SOMMARIO: L'azione del Partito radicale per ottenere la liberazione del giudice Giovanni D'Urso rapito dalle "Brigate rosse" il 12 dicembre 1980 e per contrastare quel gruppo di potere politico e giornalistico che vuole la sua morte per giustificare l'imposizione in Italia di un governo "d'emergenza" costituito da "tecnici". Il 15 gennaio 1981 il giudice D'Urso viene liberato: "Il partito della fermezza stava organizzando e sta tentando un vero golpe, per questo come il fascismo del 1921 ha bisogno di cadaveri, ma questa volta al contrario di quanto è accaduto con Moro è stato provvisoriamente battuto, per una volta le BR non sono servite. La campagna di "Radio Radicale che riesce a rompere il black out informativo della stampa.
("LA PELLE DEL D'URSO", A chi serviva, chi se l'è venduta, come è stata salvata - a cura di Lino Jannuzzi, Ennio Capelcelatro, Franco Roccella, Valter Vecellio - Supplemento a Notizie Radicali n. 3 - marzo 1981)
IL TERZO DIBATTITO ALLA CAMERA DEI DEPUTATI
Le comunicazioni del Presidente del Consiglio Forlani (14 gennaio)
"Forlani, Presidente del Consiglio dei ministri". Signor Presidente, non sappiamo a questo momento se il volantino che annuncia il rilascio del giudice D'Urso abbia fondamento e se possa essere confermato dai fatti. La nostra speranza è naturalmente la stessa della famiglia e di tutti i cittadini. Le dichiarazioni che mi accingo a svolgere corrispondono a valutazioni che restano comunque valide, nel mio giudizio, e hanno riferimento a fatti e polemiche su cui il Governo è chiamato a riferire. Il ministro dell'interno verrà comunque, appena possibile, per dare le notizie delle quali potrà disporre...
Reagire alla disgregazione
La possibilità di reagire ai processi di disgregazione non passa attraverso le polemiche esagerate, e credo che comunque il Governo debba rispondere continuando il suo lavoro. Penso anche che occorra in tutti, e in particolare nelle forze politiche responsabili, un recupero di riflessione e anche di freddezza. Certo, esso non è facile, quando umanamente si è avvolti da fatti così tragici ed angosciosi; ma è necessario, se abbiamo la consapevolezza della posta in gioco. L'attacco è contro il sistema democratico ed ha nel terrorismo la punta mostruosa.
Su questo terreno il Governo, più che parlare, deve fare tutto ciò che è necessario perché l'azione complessiva dello Stato e dei suoi servizi di sicurezza si svolga con una progressione di efficienza e di capacità di iniziativa. E' una guerra, è stato detto; io non so se possiamo definire così questa torbida trama, questa criminalità subdola e feroce, manovrata dai nemici della democrazia. So soltanto, onorevoli colleghi, che, per quanto ci riguarda, non saremo noi ad arrenderci.
Gli assassini di oggi
Sui diversi aspetti delle drammatiche vicende di queste settimane ha riferito al Senato e alla Camera, in modo esauriente, il ministro di grazia e giustizia. La posizione del Governo di fronte al terrorismo corrisponde al dovere di difendere lo Stato democratico. Gli assassini di oggi non sono diversi da quelli che abbiamo conosciuto in passato. Sono espressione della stessa abiezione morale, e ne ripetono metodi ed obiettivi, che convergono nel disprezzo degli ideali civili e politici della democrazia.
Il ministro Sarti ha ripetuto, sulla base di precise indicazioni, che l'utilizzazione dell'Asinara come colonia penale agricola, la chiusura della sezione speciale ed il trasferimento dei criminale in essa detenuti in altre carceri di massima sicurezza, attuano decisioni già prese e da tempo in via di realizzazione. Nel 1978 la presenza media dei detenuti era di 90 unità; nel 1979 di 80 unità; a fine gennaio 1980, tale presenza scende a 56; all'inizio dell'estate i detenuti sono 37; ad ottobre, quando questo Governo si è insediato, scendono a 31, quindi a 23 e attualmente a 8.
Il fatto che la più sensibile diminuzione sia avvenuta nel periodo in cui sono stati portati al terrorismo i colpi più duri, ed è quindi aumentato il numero dei criminali arrestati e condannati, è di per sé chiaramente indicativo di quale fosse e resta il programma dell'amministrazione, programma motivato da criteri obiettivi, logistici, di funzionalità e di sicurezza.
Confermando gli indirizzi in materia, ribadisco che il Governo intende mantenere e perfezionare le forme differenziate di detenzione conseguenti a reati comuni rispetto a quelle connesse al terrorismo ed all'eversione: questo per quanto attiene alla sostanza delle cose.
Il comunicato del PSI
Riguardo alla forma, e cioè con riferimento alle critiche per i tempi ed i modi del comunicato con il quale si è data notizia alla pubblica opinione del programma suddetto, mi limito a rilevare che, se non vi fosse stata la precisazione ministeriale, dopo il comunicato del partito socialista, anche a voler prescindere dalle polemiche in via di svolgimento tra i partiti e sulla stampa, le misure di trasferimento in corso di attuazione sarebbero apparse a volte, date le circostanze, in chissà quale sospetta luce, rilevate come un sotterfugio e dunque interpretate, anche da chi è in buona fede, come risultato di un cedimento al ricatto dei terroristi.
Si è obiettato che quand'anche una richiesta dei terroristi corrispondesse ad adempimenti già in corso e autonomamente deliberati, questi dovrebbero essere sospesi in presenza di un ricatto o di minacce di qualsiasi natura.
Comprendo il rigore e l'intransigenza che ispirano un simile atteggiamento, ma esso sarebbe in realtà pericoloso se fosse assunto dal Governo e dalle forze politiche. Occorre riflettere sull'ambiguità del fenomeno terroristico e sulle componenti contraddittorie che vi concorrono, convergenti nel proposito di rendere sempre più aspre le condizioni dello scontro, fino ad uno sbocco autoritario. In questo cammino tortuoso e rispetto a trame diverse è necessario che lo Stato - vorrei dire la società - nelle varie istituzioni acquistino una capacità fredda e risoluta a non lasciarsi condizionare in nessun caso dal terrorismo, qualsiasi cosa accada, a non modificare programmi ed obiettivi così come democraticamente e normalmente vengono definiti. Su questo dobbiamo cercare di intenderci meglio, evitando il più possibile le agitazioni, le polemiche e le divisioni che seguono ad ogni delitto, ad ogni azione criminosa: agitazioni, polemiche e divisioni che sono appunto ciò che i terroristi si propongono di ottenere.
Il problema dei giornali
Relativamente al problema che si pone per i mezzi di comunicazione di fronte a documenti di provenienza terroristica, occorre aver chiara coscienza - sempre e non solo nelle circostanze di più evidente drammaticità - che su di esso si decide un delicato equilibrio di funzioni che sono costitutive di un sistema di diritto.
In ogni coscienza democratica non può non essere un sentimento di sdegno e di protesta ogni volta che si realizza una surrettizia appropriazione dei mezzi di comunicazione da parte della criminalità politica.
Condivido, nella responsabilità, l'invito espresso dal ministro di grazia e giustizia per una fattiva collaborazione di tutti gli organi di stampa e di informazione, basata sull'anteposizione del bene comune che deriva dai princìpi della nostra Costituzione democratica.
La minaccia che il terrorismo ha portato ai giornali, quasi scaricando, come è stato detto, su di essi le decisioni ultime relative alla vita di un uomo, è una forma di estrema aberrazione, ed esprimo ogni solidarietà ai giornalisti ed alle testate che sono oggetto dell'infame ricatto.
La protesta per la diffusione dei messaggi della criminalità eversiva ha trovato rispondenze nel rifiuto di gran parte della stampa: una decisione che sappiamo sofferta, che nasce dalla consapevolezza che ciascun cittadino è chiamato a far fronte alle responsabilità del proprio stato, a rispondere alla propria coscienza ed ai propri doveri professionali.
In questo senso, e per il rispetto che dobbiamo appunto a valori di coscienza e di autonomia, nessuno, e tanto meno il Governo, può partire dalla presunzione che non siano egualmente sofferte determinazioni diverse, che hanno portato anche alcuni giornali democratici a non adottare una linea di totale reiezione dei cosiddetti ``messaggi'' eversivi, pur nella condanna più dura del loro contenuto.
Egualmente sofferte e decisioni diverse
Certo, non possiamo confondere gli organi costituzionali dello Stato e le espressioni del pluralismo civile e culturale che riflette la società tutta intera. I giornali non sono organi né veicoli del potere di Governo, e il rilievo che anche fra i partiti della maggioranza, nelle loro espressioni autonome di stampa, si sono manifestati modi differenziati di reazione non comporta per me una diversità di valutazione rispetto a quello che ho ora manifestato, e che già d'altronde erano state esposte nel precedente dibattito parlamentare, trovando il consenso e l'approvazione dei gruppi della maggioranza in questa che per il Governo è la sede di preminente e responsabile riferimento.
"Servello". Con la benedizione generale!
"Forlani, Presidente del Consiglio dei ministri". Che poi nella posizione complessiva che un Governo di coalizione assume di fronte alle Camere ed al Paese concorrano elementi anche differenziati, frutto di sensibilità e di princìpi che hanno identità e caratteri propri, è vero, onorevoli colleghi, ma è anche vero che solo immaginando sistemi politici diversi si potrebbe pretendere di avere in ogni circostanza una assoluta uniformità di comportamenti e di pensiero ("Proteste a destra").
"Tremaglia". Questo è doppio gioco!
"Staiti di Cuddia delle Chiuse". O facendo funzionare quelli che esistono!
"Presidente". Onorevoli colleghi, vi prego! Prosegua, onorevole Presidente del Consiglio.
"Forlani, Presidente del Consiglio dei ministri". Ciò che conta di più in un sistema di democrazia, anche di fronte al problema del terrorismo, è non solo di avere la fermezza necessaria, ma di avere la volontà sicura di non accettare nemmeno il ricatto, parimenti grave ed esiziale, di non concorrere ad imbarbarire i modi della vita politica e civile. Dobbiamo cioè essere egualmente decisi a non rinunciare ad alcuno di quei princìpi preziosi che fanno della democrazia la conquista più alta nella vita di un popolo.
Tutto ciò vuol dire che i percorsi attraverso i quali si giunge da parte delle forze politiche fedeli alla Costituzione alla formazione di una larga volontà comune possono non essere condivisi, ma devono essere rispettati perché esprimono identità e sentimenti che sono e vivono nella realtà democratica del paese.
Sono questioni, queste, in cui la misura è sempre d'obbligo, né il Governo può accettare lezioni in questo campo da chi, con ragionamenti estremi e forzature evidenti, dichiara tutta una classe politica responsabile dei mali che affliggono il paese e di tutte le sciagure che intervengono. Giudizi sommari di questo tipo non concorrono certo a rendere forte lo Stato democratico. Quando si introducono in modo settario e generalizzato valutazioni di questo tipo nel dibattito politico è chiaro che anche le istituzioni vengono ferite.
I deputati e le carceri
Anche non volendo ripetere ora le altre considerazioni qui svolte a nome del Governo dal ministro di grazia e giustizia e le precisazioni da lui fornite ai numerosi colleghi che avevano presentato interrogazioni e interpellanze sulla rivolta di Trani, sull'intervento delle forze dell'ordine, sulle visite successive di parlamentari, in ordine a quest'ultimo aspetto voglio qui ricordare che l'articolo 67 del nuovo regolamento penitenziario dà facoltà, fra gli altri, ai parlamentari di visitare gli istituti carcerari per esercitare un sindacato ispettivo e comunque attingere elementi informativi sulla situazione complessiva degli istituti.
"Martorelli". Ma non agli ex parlamentari!
"Forlani, Presidente del Consiglio dei ministri". Mi lasci completare!
Il Governo annulla o limita tale diritto, evocando l'articolo 90, in presenza di gravi situazioni di disordine. Non era questa la situazione in atto a Palmi e nemmeno a Trani dopo il ristabilimento dell'ordine ("Si ride ironicamente all'estrema sinistra e a destra - Richiami del Presidente").
La responsabilità dell'uso distorto che i parlamentari radicali hanno voluto fare della loro presenza all'interno delle carceri ricade soltanto su loro, e il Ministero competente sta accertando per via di inchiesta tutti i profili del comportamento dei parlamentari stessi e, nell'ambito di una più opportuna normativa, potrà adottare conseguenti determinazioni.
L'atteggiamento del Governo, anche in questa tragica vicenda, nonostante le polemiche esasperate e le interpretazioni diverse e settarie che lo hanno circondato, è stato responsabile e misurato, come si conviene a circostanze nelle quali l'angoscia e la preoccupazione di salvare una vita umana non può essere disgiunta da quella di salvaguardare le condizioni e le regole della comunità nazionale.
Abbiamo fatto ciò che si poteva e ciò che si doveva per salvare D'Urso
Abbiamo fatto in coscienza, onorevoli colleghi, tutto ciò che poteva e doveva essere fatto, in ogni ora di queste giornate, per salvare la vita del giudice D'Urso, per ampliare possibilità e spazi, di luogo e di tempo, alla ricerca, all'indagine, agli spiragli anche, sui quali potesse aprirsi, come è stato detto, un barlume di resipiscenza. Continueremo ad agire così ("Interruzione a destra"). Siamo stati, con i nostri sentimenti di angoscia e di solidarietà, vicino al dolore della famiglia del generale Galvaligi, così come a quello di altre famiglie; abbiamo impresso nelle nostre menti il nome di tutte le vittime di questi anni, perché il nostro compito è di non dimenticare che la giustizia deve essere perseguita, nei limiti in cui agli uomini è consentito, per ciascuno di loro e per la comunità intera.
Questo è un impegno che abbiamo insieme a tutti voi, davanti alla società, a fianco degli uomini più esposti che, nei diversi settori dello Stato, operano con coraggio e dedizione per ristabilire condizioni di ordine e di serenità.
Siamo ora, come siamo stati sempre in queste settimane, in ogni momento, partecipi della trepidazione dei familiari di D'Urso: la sofferenza non attenua però - non può attenuare! - le ragioni dello Stato, così come democraticamente lo abbiamo definito nella nostra Costituzione. E' questo l'atteggiamento che abbiamo tenuto senza indecisione, ma anche senza clamori inutili.
Mi si è rimproverato il silenzio e qualcuno lo ha definito ``agghiacciante''; altri, sconvolto, ha parlato di ``8 settembre'': penso che, malgrado tutto, dovremmo ritrovare la compostezza necessaria ed una volontà comune nella difesa della democrazia.
Certo, io non credo che servano oggi i proclami e non credo neppure che siano utili le dispute verbali, oltre certi limiti. Credo invece ad un impegno severo e quotidiano che, anche sul fronte del terrorismo, porti lo Stato a livelli di crescente efficienza; una efficienza che nei dispositivi di sicurezza è già buona e che a mio avviso possiamo rendere risolutiva, se sapremo insieme accompagnarla, nel Parlamento e nel Paese, con misure sempre appropriate e con un impegno concreto di collaborazione da parte di tutti i cittadini ("Applausi al centro e a sinistra").
L'intervento di Adelaide Aglietta (15 gennaio)
"Aglietta". Signor Presidente, signor ministro di grazia e giustizia, se ci limitassimo oggi a rispondere a quanto il Presidente del Consiglio è venuto a comunicarci, saremmo colpevoli di superficialità nei confronti del Governo, e prima di tutto, nei confronti dei colleghi. Rischieremmo, infatti, di limitarci alla contingenza senza cercare di andare avanti, di andare oltre. Noi tenteremo di dare qui, di dare qui a tutti, ai compagni socialisti, ai compagni comunisti, ai colleghi di tutte le parti politiche, al Governo, quel contributo rigoroso e puntuale, costruttivo, che sempre sentiamo di dare, che sempre vogliamo dare. Parlo in questo momento con l'animo sgombro dalla angoscia di quella vita legata ad un filo, ad un filo cui era legato - come abbiamo detto nei giorni scorsi - anche quel minimo di dignità e di credibilità dello Stato, con l'animo sgombro per il fatto che questa vita sia stata recuperata alla propria famiglia.
Ma proprio a partire da questa considerazione credo che una prima risposta vada data a quel ``partito della fermezza'' che in questi giorni abbiamo contribuito a far venire alla luce di fronte all'opinione pubblica. Una prima risposta va data proprio in rapporto alle reazioni ancor più scomposte ed incredibili che oggi ci giungono dalle colonne del "Corriere della Sera" e de "La Repubblica". Voglio leggere - facendolo mio e del gruppo che rappresento - il comunicato di un compagno che molto si è impegnato ed è stato coinvolto in questa vicenda, il compagno Pannella: "Le reazioni invereconde e scomposte, dense di livore perché D'Urso è stato liberato, sono una confessione, provano molto più di quanto avevamo intuito e temuto: D'Urso serviva cadavere! Gli appelli martellanti al Presidente della Repubblica che venivano dai due gruppi editoriali, quello sindoniano e quello che è giunto fino a pubblicare le autointerviste delle Brigate rosse ed i verbali degli immondi processi ai terroristi, perché intervenisse i
n modo straordinario nella vita delle istituzioni non hanno, questa volta, potuto contare sull'infamia degli assassini ed hanno perso. Scalfari e Valiani oggi sono eloquenti. Il senatore a vita, catapultato per un errore che può rivelarsi gravissimo nella vita delle istituzioni, chiede oggi a gran voce la costituzione in Italia del tribunale speciale, a somiglianza di quella corte di sicurezza francese che tutte le forze democratiche francesi denunciano ormai come intollerabile offesa alla giustizia ed alla Repubblica. Scalfari, come impazzito, mostra che il Governo al quale puntava doveva avere poteri straordinari e dittatoriali contro l'opposizione radicale. Se non ci si intende censurare, il mio pensiero si sintetizza dunque in questo modo: il partito della fermezza stava organizzando e sta tentando un vero "golpe"; per questo, come il fascismo nel 1921, aveva bisogno di cadaveri, ma questa volta, al contrari di quanto è accaduto con Moro, è stato provvisoriamente battuto. Per una volta, le Brigate rosse
non sono servite".
Voglio dire che tutto ciò che in questi giorni si è manifestato, quanto di peggio poteva manifestarsi (linciaggi, processi, insulti, che hanno avuto eco gravissima anche in quest'aula) quanto di antidemocratico vi è stato in tutti questi atteggiamenti, è proprio ciò contro cui io ed il mio gruppo, finché saremo in quest'aula, ci batteremo a fondo, con durezza e con fermezza.
Ed allora voglio fare una premessa: signor Presidente del Consiglio, signor ministro di grazia e giustizia, al di là delle contingenze, al di là dei fatti pur di immensa importanza, non passa giorno, non passa - potremmo dire - parola senza che la distanza tra la forza alternativa di governo che è, è sempre stata (ed io intendo rivendicarlo) quella radicale, e la democrazia cristiana ed i suoi oppositori ufficiali o ufficiali collaboratori, divenga più spessa e chiara.
Forlani e Sarti
Noi possiamo anche ammettere, in linea di principio e di fatto, che alcuni atti, che riteniamo emblematici di questa distanza, possano essere non dolosi, ma istintivi e spontanei. E' difficile, certo, immaginare che un Presidente del Consiglio responsabile, in momenti drammatici per l'ordine pubblico repubblicano, vada nelle caserme per dire che il peso della salvezza della Repubblica deve gravare innanzitutto sulle spalle di un corpo militare, sulla sua organizzazione e sulla sua dottrina; e che ci vada senza rendersene conto e senza rendersi conto della gravità di quel che dice, in tal senso, con parole secche ed inequivoche.
La vostra cultura politica, la vostra cattiva e falsa coscienza
Noi possiamo anche ammettere che il ministro Sarti, che si diletta e ci diletta di letture colte e fini, non voglia deliberatamente, pur essendo un ministro della democrazia cristiana, affermare la supremazia della ragione di Stato nella vita politica, civile ed istituzionale del paese, tecendo, invece, ogni riferimento al senso dello Stato, che è cosa opposta. Ma proprio perché siamo disposti a far salve le buone intenzioni, proprio perché vogliamo dire - anche se non concedere, ed è differenza sostanziale - che non si tratta di calcolo, ma di istinti, di spontaneità e di naturalezza, dobbiamo, allora e nello stesso tempo, prendere atto che ci troviamo dinanzi al definitivo assestamento storico della classe dirigente democristiana e di tutta quella di regime, su una cultura che è erede di quella antidemocratica, clericale e autoritaria, populista e corporativista che torna a rovinare e a creare rovina non solo sull'Italia, ma sull'Europa. Ragion di Stato, la salvezza della democrazia affidata a corpi milita
ri, diritti dello Stato contro lo stato di diritto, i diritti civili ed i doveri civili subalterni rispetto a quelli militari, visione dell'esercito di tipo sud-americano, Stato sempre più militarizzato e società sempre più armata! Ecco la vostra cultura politica, ecco la vostra ideologia, cioè, la vostra cattiva e falsa coscienza, il vostro sistema di riflessi e di pensieri e non certo di ``pensiero'', che è davvero difficile concedere o rintracciare.
Così diventa logico, a partire da queste considerazioni, un episodio che forse è poco conosciuto e che già ho avuto occasione di ricordare, signor ministro, e non a caso: l'Avvocatura generale dello Stato, dinanzi alla Corte costituzionale, a nome del Governo o per suo conto - di questo Governo, lo sottolineo, compagni socialisti e socialdemocratici - chiede che non venga giudicato costituzionalmente proponibile il "referendum" sul porto d'armi, oltre ad altri. Secondo il Governo - secondo questo Governo, lo sottolineo - il porto d'armi, che significa milioni e milioni di armi che circolano e che corrispondono al sostegno di una industria non produttiva e gravemente inquinante la società, che corrispondono alla legge della giungla o la presuppongono legittimata, è ritenuto ineliminabile: il porto d'armi è, nientemeno, che un diritto costituzionale e civile! Avete fatto sostenere dall'Avvocatura dello Stato presso la Corte costituzionale che il porto d'armi significa attentare...
"Gitti". E' giusto! Le armi le dai ai brigatisti e non le dai ai cittadini per difendersi! ("Commenti del deputato Mellini").
"Cicciomessere. (Indicando il gruppo del Movimento sociale italiano-destra nazionale)". Passa nell'altro gruppo!
"Presidente". L'onorevole Aglietta sta dicendo che l'Avvocatura dello Stato ha sostenuto una certa tesi su una questione che è di competenza della Corte costituzionale. Onorevole Gitti, lei ha diritto di esprimere il suo pensiero, ma non vorrei che ciascuno di noi emettesse sentenze anticipando la Corte costituzionale, che ha molto lavoro, ma che certo affronterà, a tempo opportuno, anche questo problema.
"Gitti". L'onorevole Aglietta sta pronunciandosi sul ruolo della Corte costituzionale, ma lei non è la Corte.
"Presidente". Onorevole Gitti, l'onorevole Aglietta non condivide il parere espresso dall'Avvocatura dello Stato e il non condividere è cosa diversa dal promuovere sentenze che dovranno invece essere emesse dalla Corte costituzionale.
L'onorevole Aglietta sta esprimendo il suo pensiero; la prego, quindi, di proseguire. ("Commenti del deputato Teodori").
"Aglietta". Stavo dicendo, signor ministro di grazia e giustizia, che avete fatto sostenere che togliere il porto d'armi significa attentare al diritto costituzionale di proprietà...
"Gitti". Il diritto alla vita! Sono gli articoli 2 e 42 della Costituzione.
"Aglietta". ...alla sacra proprietà del cittadino. Il diritto alle armi è un diritto civile! D'ora in poi la gente dovrà difendere le sue cose con le armi. ("Interruzione del deputato Gitti").
"Presidente". Non è obbligatorio, onorevole Aglietta, ma facoltativo!
"Aglietta". Non so se questa sia anche una dichiarazione di impotenza, perché non esiste uno Stato che sia in grado di difendere i diritti del cittadino. Signor Presidente Scàlfaro, lei che di queste cose è fine osservatore ed ha grande sensibilità può capire cosa possa significare dire, oggi, che il diritto alle armi è un diritto costituzionale e civile.
Eppure anche questo episodio è la spia di una cultura stupidamente, volgarmente dimissionaria da qualsiasi posizione morale, che non tiene conto della civiltà del diritto; una cultura giuridica canonica, gesuitica, casuistica, dove tutto è relativo, tutto è permesso quel che sembra negato, e condizione che la classe dominante vi trovi il suo tornaconto, il tornaconto di un potere non vincolato da nessuna legge, che può esso stesso e per primo violarla, e quindi spingere alla violazione da parte degli altri, e quindi lasciarla violare.
Sintonia con i socialisti
Noi sappiamo che nel governo, in questo Governo, è rappresentata anche un'altra tradizione, un'altra cultura, molto vicina, forse identica per molti versi, anche se spesso, troppo spesso, contrapposta sul piano della politica concreta, sul piano della gestione quotidiana. Ma dobbiamo dire, in questa occasione, ai compagni socialisti, con i quali ancora una volta, come per la raccolta delle firme sui "referendum" svoltasi nella scorsa primavera, abbiamo registrato momenti di sintonia e di sensibilità comune, in mezzo al linciaggio, indegno quanto esplicito, proveniente nei nostri confronti da quasi tutte le altre parti politiche, dobbiamo dirvi, dicevo, compagni socialisti, di stare molto, molto attenti: nessuna delle culture, delle grandi culture, a cominciare da quelle dominanti da secoli fino alle altre, trionfanti tragicamente in questo secolo, ci è interamente estranea. Ognuna di queste ci insidia intimamente, è una parte di noi, fa parte di noi, è nella nostra storia. E poiché per noi non esiste il prob
lema del rapporto tra politica e cultura, e la politica è cultura o non è nemmeno politica, dobbiamo in questa occasione sottolineare che la cultura di questo Governo, la cultura di potere, quindi la politica di questo Governo, quella di questa maggioranza non meno di quella delle vecchie opposizioni di questa Assemblea, di destra e di sinistra, si sta rivelando disastrosa.
Il Governo: meglio che con Moro
Poiché non siamo ingenerosi - non abbiamo bisogno di esserlo - ammettiamo pure e concediamo volentieri (poiché non siamo tra coloro che hanno sostenuto la politica del ``tanto peggio, tanto meglio'', particolarmente in questi giorni) che il Governo e la maggioranza, nel suo insieme, si sono comportati, nella dolorosa e infame vicenda del sequestro D'Urso, meglio, in modo meno ignobile e meno indecente, di quanto non fecero durante la vicenda Moro; e che tutti, anche il Governo e la maggioranza (salvo una parte di essa), hanno dunque concorso all'esito nel complesso positivo di questa vicenda. Concediamo anche, poiché è la nuda verità, che in quest'anno e in queste settimane quanto di positivo poteva venire da una più responsabile, seria e libera da equivoci e pericolosi condizionamenti, amministrazione dei vari dicasteri, nell'ambito però della continuazione sostanziale - questo è il punto che vogliamo sottolineare, compagni socialisti! - di una politica drammaticamente, tragicamente sbagliata e catastrofica
, lo si è cominciato a scorgere nei confronti dei governi Andreotti e Cossiga, del ministro dell'interno Cossiga e dei ministri di grazia e giustizia Bonifacio e Morlino.
E' evidente a tutti che lo Stato è stato meno clamorosamente battuto, vilipeso irriso tragicamente dalle forze del terrorismo. Mai come allora, come dal 1976 al 1978, come per l'atroce vicenda Moro, per quella Sindona e Caltagirone, lo scempio nel paese ha corrisposto in modo così puntuale allo scempio delle istituzioni, della giustizia, dell'ordine pubblico, del Parlamento, che era stato sequestrato dai vertici di partito, autoritari e anticostituzionali, quanto incapaci, inetti e corrotti.
I governi ``monocolore'' della democrazia cristiana, preferiti e sostenuto dal partito comunista, sono stati anche quelli dello sfascio legislativo, delle leggi sbagliate, che si succedevano con ritmo frenetico e vergognoso. Gli anni dell'``unità nazionale'', i suoi governi e le sue maggioranze costituiscono ed hanno costituito una iattura; ma ci troviamo dinanzi a correzioni, non a svolte di quella politica.
Sui temi di fondo continuate a restare uniti, senza nemmeno accorgervene, tutti tragicamente uniti. E, tornando alla vicenda D'Urso, devo dire che il Governo ha mancato ed ha mostrato i suoi limiti, di stile ed anche di cultura, quando non ha risposto subito - lo diceva già il collega Pinto - con chiarezza con onestà a chi aveva sequestrato il giudice D'Urso e aveva avanzato una richiesta in ordine al carcere dell'Asinara, dicendo che questa richiesta era ridicola e grottesca, perché le Brigate rosse, prima di ogni altro, sapevano benissimo che era già in corso e già deciso dal Governo lo sgombero del settore speciale di questo carcere, e che il Governo e il Parlamento erano impegnati a realizzarlo.
Paura del PCI
Non lo ha fatto perché ha avuto paura delle critiche interne; ha avuto paura del Partito comunista e del Movimento sociale italiano-destra nazionale, di una parte dei repubblicani, quella parte ormai chiaramente egemonizzata dal gruppo Rizzoli e dal suo mentore, il senatore Valiani. Non lo ha fatto per mancanza di convinzione; poi, però, lo ha fatto, corrispondendo alle esigenze della Costituzione, nei confronti del Parlamento, oltre che adempiendo a quelle esigenze operative, secondo le opinioni e le richieste del generale dalla Chiesa e del generale Galvaligi, stando almeno a quanto ci raccontano i quotidiani. Ed ha fatto bene a lasciare - tranne atti e dichiarazioni, che sono stati in realtà più vili che gravi, del ministro di grazia e giustizia - il potere giudiziario responsabile del suo settore, sia di fronte alle decisioni che il potere giudiziario ha assunto nella sede di Firenze, per quello che riguardava l'imputato Faina, sia di fronte a quelle di opposto ed incredibile stile del magistrato Sica, d
i opposto segno civile oltre che politico.
Ed hanno fatto bene il Governo e la maggioranza a rovesciare l'atteggiamento del Governo e della maggioranza del periodo del sequestro Moro, assumendosi le loro responsabilità, non delegando alle delegazioni dei vari partiti complici, ai vertici di partito, le funzioni proprie del Parlamento. Ha fatto bene e fa bene il Governo a non interferire o tentare manifestamente di intervenire su alcuni giornali dell'area pubblica o para pubblica, sicché si deve a "Il Messaggero", oltre che a "Il Secolo XIX", e, in misura molto minore, a "Il Giorno", di avere per una volta testimoniato che un'editoria ed un giornalismo non partigiani, sleali e settari sono possibili o almeno immaginabili anche in Italia, anche con questa stampa!
Pajetta
"Pajetta". E' il contrario, perché sono lottizzati! Hanno pubblicato perché sono lottizzati, non perché sono dello Stato!
"Aglietta". Se parliamo di lottizzazione, Pajetta, possiamo cominciare a parlare della SIPRA, possiamo parlare di Barbato, della lottizzazione comunista nella RAI-TV, di quella che è stata negli anni dell'``unità nazionale''!
"Pajetta". No, parlo del "Messaggero!"
"Presidente". Onorevole Pajetta, la prego! Onorevole Aglietta, cerchi di non accendere di nuovo un'aula che ha bisogno di grande serenità. Quindi la prego di riprendere il suo discorso senza raccogliere le eventuali interruzioni.
"Aglietta". La ringrazio, Presidente.
"Presidente". Ed io ringrazio lei se prosegue.
"Aglietta". E devo dire che, nel comportamento adottato, il Governo è stato oggettivamente aiutato dalla diversità delle rivendicazioni dei terroristi. Al tempo della strage di via Fani si ponevano condizioni allo Stato - è una differenza importante - inaccettabili in quanto condizioni legalmente inammissibili ed intollerabili. Ed è anche vero che la violenta ed ignominiosa gestione da parte dei partiti - in primo luogo del Partito comunista e della Democrazia Cristiana - della tragica ed infame, anch'essa, vicenda che aveva in modo così manifesto indignato il paese, mortificato le istituzioni, in modo connesso al tragico esito del sequestro, all'assassinio di Moro, questa volta non si è ripetuta se non marginalmente e con un Partito comunista rinsavito solo perché escluso dalla possibilità di mal fare e di mal incidere come allora.
Fummo soli al tempo di via Fani
Insomma, il problema - per trarre alcune conclusioni da queste premesse - non riguarda le Brigare rosse, ma la vita del nostro Stato e del nostro Paese. Il fatto che chi assassina in un anno meno di trenta persone sia a tal punto premiato, per essere assassino, da essere promosso a protagonista quasi storico della vita del paese è un affare di altri che non di Curcio o di Moretti: è un affare di Stato, di regime, di cultura, di politica! E' affar vostro! Noi fummo soli - lo voglio ricordare, poiché non ci siamo stancati di ricordarlo in questo periodo - al tempo della strage di via Fani, a gridare spaventati contro il fatto che la vostra cultura di informazione, la cultura degli Emanuele Rocco, la cultura dei Gustavo Selva, i vostri giornali si facessero di fatto portavoce delle risoluzioni politiche e dei comunicati delle Brigate rosse. Siamo stati gli unici, allora, ad urlare! Erano pubblicati, virgola dopo virgola, punto dopo punto, giorno dopo giorno! Occupavano le pagine di tutti i quotidiani, di tutti
i giornali, di partito e non! E gli avete concesso, in un solo giorno, più informazione dettagliata e precisa di quanta non ne abbiate concessa in dieci anni alle lotte non violente, civili e democratiche, socialiste e libertarie, dei radicali! Eravamo soli, accusati di intolleranza e di illiberalismo, di fronte anche, ed in primo luogo, agli uomini di cultura e di cultura comunista, a cominciare dallo storico ufficiale del partito comunista Paolo Spriano! Dicemmo allora, abbiamo sempre detto ed abbiamo continuato a dire, che là dove c'è assassinio c'è cronaca nera, cronaca nera e basta, non altro, che va trattata come tale! Lo ripetiamo, lo abbiamo ripetuto ogni giorno ed in questi giorni, da "Radio Radicale", lo abbiamo sottolineato: è un affare di Stato, signor Presidente del Consiglio - ed anche queste sono cose che non diciamo da oggi, che diciamo da sempre con puntualità, fermezza e rigore - perché non si sono realizzate in sede legislativa, per il concorso politico-culturale di una democrazia cristian
a e di un partito comunista assieme egemoni su tutti gli altri gruppi parlamentari, né le riforme dei codici (da dieci anni il codice di procedura penale non esiste), né la riforma carceraria (è rimasta lettera morta ed è diventata controriforma), né la riforma di polizia (da otto anni inutilmente implorata, richiesta dagli agenti di polizia), né quella degli agenti di custodia (nel 1976 il Governo Andreotti aveva preso l'impegno di vararla in breve tempo, ma ancora oggi giace in Commissione).
Le BR e Beccaria
Allora, se in questi anni queste sono le cose che, col concorso di responsabilità comunista e democristiana, non si sono fatte, noi diciamo che si è invece realizzata, a fronte di quanto si sarebbe dovuto realizzare, una situazione nella giustizia, nella polizia e nelle carceri che è sempre più deteriorata e pericolosa. E' grave, grottesco e drammatico - riflettiamoci! - che siano le Brigate rosse - dico le Brigate rosse - ad essere lasciate a rivendicare l'attuazione di principi costituzionali sul carattere non punitivo della pena (Beccaria!): e lei, Presidente del Consiglio, solo oggi ci viene ad annunciare che perseguirà la politica di differenziazione?
Questo significa che sono le Brigate rosse che difendono il carattere umano e democratico delle carceri e delle procedure processuali e di polizia; loro che hanno ferocemente praticato in questi anni pena di morte, sequestro e infami attentati a innocenti, che hanno avuto l'unica - dico l'unica - colpa di compiere, come ritenevano in coscienza, il loro dovere rispetto allo Stato e alle istituzioni.
E oggi ci venite a riproporre il fermo di polizia! Ma non vi rendete contro dell'ottusità, della cecità di tutto ciò? Il fermo di polizia, per ammissione dello stesso ministro dell'interno nelle relazioni che ha presentato, non è servito a niente: è un passo indietro inutile e pericoloso, che darà fiato alle Brigate rosse! Questi sono i gesti che non vanno fatti; non perché sono gesti; perché sono sostanza, sono indice di una volontà e di una politica!
De Matteo, Gallucci, Vitalone e Sica
Invece di attuare le riforme che rafforzino l'amministrazione repubblicana e democratica, le avete rinviate e continuate a rinviarle! Avete difeso tutti insieme le politiche giudiziarie (di politiche si tratta!) dei De Matteo e dei Gallucci, dei Vitalone e dei Sica; politiche giudiziarie che hanno portato, oltre tutto, le nostre carceri a divenire centri di arruolamento forzato al terrorismo di centinaia di persone che, pur tristemente fidenti nella violenza, terroriste non erano e non sono. Avete continuato la politica di Pecchioli e di Cossiga, di aumentare l'area poliziesca e di diminuire quella dell'amministrazione della giustizia e dell'ordine pubblico, inchiodando tutti insieme la polizia a responsabilità non sue, alle quali non è destinata né preparata, inchiodandola all'ordinamento militare e parafascista invece di puntare - anche questo lo abbiamo detto nelle lotte che abbiamo condotto l'anno scorso per fare aumentare il bilancio della giustizia - sulla professionalità e sull'ammodernamento tecnolog
ico e culturale della funzione di polizia e degli addetti ad essa.
Soprattutto continuate ad offendere la giustizia attraverso il vergognoso sistema della corruzione clientelare di vasti settori dei vertici della magistratura, giudicante o inquirente, attraverso l'uso e l'abuso dell'Inquirente, che avete impedito fosse sottoposta al giudizio popolare che era stato democraticamente voluto dai 500 mila cittadini che avevano firmato la richiesta di "referendum" sull'Inquirente, che voi avete mantenuto con la truffa, e che voi continuate a permettere che insabbi.
Continuate a mantenere in piedi la pratica dell'immunità per i più gravi reati dello Stato e della sua classe dirigente; continuate a negare, da 35 anni, l'attuazione del dettato costituzionale che vuole una polizia giudiziaria autonoma e alle dirette dipendenze del giudice. Ho sentito decine di volte i colleghi De Cataldo e Mellini parlare su questo tema, chiedere queste cose, ma voi siete schiavi del passato e delle omertà di regime, che hanno legato, al di là delle sceneggiate, governi e opposizioni, fino al caso della "Lockheed" (incluso e non escluso, compagni comunisti!).
L'alternativa radicale
E allora, signor Presidente (e mi avvio alla conclusione), se l'alternativa radicale che sin dalla passata legislatura, con le sue lotte parlamentari e con quelle referendarie, con le lotte non violente contro il vostro - il vostro, di tutti! - sterminio per fame nel mondo, è riuscita a dare, da sola, il contributo necessario per battere il fascio, il fascismo politico e parlamentare che ha sconvolto le istituzioni e terremotato la società fino a costringervi almeno ad una più fisiologica e democratica composizione delle vostre diversità, il vostro essere tornati oggi al centro-sinistra da una parte e alla demagogica e dissennata opposizione frontista dall'altra, significa semplicemente che abbiamo guadagnato un po' di tempo in più alla prospettiva democratica, perché in troppe cose siete in quest'aula, ancora tutti uniti (tutti!), nel peggio di ciascuno di voi. Siete uniti, da Almirante a Berlinguer, da Craxi a Piccoli; siete uniti passivamente, inutilmente, in modo sconfitto, schierati nella NATO e all'int
erno della politica del nord, che è politica di scelta della rivoluzione tecnologica nuclearista, invece che in quella democratica, più economica e più sicura, delle energie dolci alternative e dei modelli industriali e post-industriali che ne derivano. Siete uniti nella tecnica dei rinvii e delle tattiche. Siete uniti per la revisione, cioè per il mantenimento, del concordato clerico-fascista, con tutto quanto ha significato e con tutto quanto comporta. Siete uniti per rinviare a un domani sempre più improbabile e lontano le riforme di struttura, le riforme di sovrastruttura e di infrastruttura necessarie e urgenti sia all'apparato giuridico che a quello amministrativo dello Stato, oltre che alla politica del territorio. Siete uniti nelle vostre forme, divisioni e prassi tradizionali. Siete uniti mentre ben altri che Pacciardi sembra oggi lavorare freneticamente per una seconda Repubblica, perché la prima, quella scritta nella Costituzione e che sulla Costituzione si fonda, non nasca, definitivamente.
Visentini, Tassan Din, Gelli, Sindona e Rizzoli
Il partito della fermezza dovrebbe garantire tutto questo. Fallito il compromesso storico clerico-comunista, si tenta ora un altro compromesso storico, quello fra il partito comunista e il profitto o capitalismo ``più avanzato'' (detto fra virgolette). E in questa prospettiva sembra per la prima volta che siate anche disposti a liquidare in parte il primato della democrazia cristiana. C'era già il Governo Visentini, Colajanni, Valiani, con il generale Ferrara e altri, dietro l'angolo, con contenuti efficientisti, tecnici e ormai autoritari contro qualsiasi diversità, in primo luogo, contro la diversità radicale e socialista che noi rappresentiamo; con l'aiuto, in questa congiura, delle zone più torbide ed oscure del sottobosco politico non solo italiano: quello dei Tassan Din e dei Gelli, quello dei Sindona e dei Rizzoli, e costoro per passare - è stato evidente in questi giorni - hanno sperato di poter utilizzare il terrorismo, come arma anche per convincere (altrimenti non sarebbe possibile, forse, convinc
ere) che invece è pedina necessaria quanto involontaria di questo tentativo!
Hanno scritto: D'Urso deve essere immolato
Per questo, sono passati ad un assalto frenetico da settimane, di questo Governo e di quello precedente; per questo il loro livore è anche contro le pur troppo timide e limitate esitazioni o contraddizioni del partito socialista che, per altro, sono un patrimonio importante. Alcuni hanno scritto che D'Urso doveva essere immolato, e molti si sono comportati di conseguenza, a cominciare dall'impero editoriale di un bancarottiere diventato persona potente, grazie al regime! Si è giocato tutto per questa posta, fino ai linciaggi stalinisti e fascisti, per ora, fino al "blackout" contro le vittime del terrorismo, a cominciare da Eleonora Moro, da Stella Tobagi, da Andrea Casalegno e dallo stesso Giovanni D'Urso; siamo agli sputi ed ai linciaggi, tollerati da tempo (lo dicevo ieri ed altri l'hanno con me denunciato), da una gestione sciatta, corriva ed autoritaria della Camera!
Vorrei soffermarmi, oltre che sul bilancio e la legge finanziaria, su un'altra cosa. Fra 10 settimane al massimo noi saremo in piena campagna referendaria; non sappiamo ancora oggi cosa stia preparando la Corte costituzionale dopo il "golpe" posto in essere nel '78. Sappiamo però che, nell'ambito di questo organo costituzionale, l'unione nazionale, in primo luogo tra partito comunista, democrazia cristiana e partito socialista, è ancora una solida tentazione. Credo - avevamo urlato l'altra volta di fronte al "golpe" del febbraio 1978 - che là dove si distrugge la democrazia, là dove si distrugge la partecipazione democratica dei cittadini, là dove si distrugge la possibilità di manifestare il proprio dissenso in modo democratico e non si consente, per paura e per viltà, al popolo di esprimersi, là si creano premesse di morte. Vorrei che su questo si riflettesse.
...ma siamo riusciti a salvare una vita...
Per fortuna oggi, grazie al fatto che siamo riusciti a salvare una vita, e a farla salvare anche alle Brigate rosse oltre che a voi, manca un cadavere eccellente in più, di cui c'è stato tanto bisogno in questi anni per il regime. Noi faremo democraticamente pagare caro al regime un altro ``scippo'', un altro sequestro come quello avvenuto nel 1978 da parte della Corte costituzionale; lo faremo pagare caro perché sappiamo che diversamente il paese lo pagherebbe caro in termini di democrazia e in termini di violazione della legalità, in realtà si preparano i tempi del caos, dello sfascio e della violenza.
Signor Presidente del Consiglio, abbiamo posto all'attenzione di tutti delle riforme quali quelle dei tribunali militari, il problema dell'ergastolo, una civiltà giuridica che si discosti da quella che perseguite - dei reati di opinione; ancora oggi il codice Rocco è presente con tutta la sua violenza nella vita della nostra Repubblica - e della smilitarizzazione della guardia di finanza. Capisco che il sequestro del giudice D'Urso è riuscito a ``cancellare'' dalle pagine dei giornali la vicenda legata al generale Giudice o Lo Prete; capisco che si spera definitivamente superato lo scandalo della guardia di finanza, di questa guardia di finanza che potremmo ironicamente, ma non troppo, definire una ``banda armata a delinquere'', mi pare di capire. Il problema della droga che ancora uccide tutti i giorni...
"Presidente Scalfaro". Onorevole Aglietta, mi consenta: lei ha parlato della guardia di finanza affermando che: ``potremmo definire una banda armata a delinquere''.
"Aglietta". Ironicamente, signor Presidente!
"Presidente Scalfaro". Mi permetta onorevole Aglietta; la guardia di finanza è una forza dello Stato di fronte alla quale il Parlamento non può non inchinarsi sempre. ("Vivi applausi"). Quando poi...
"Rippa". La forza del destino!
"Presidente Scalfaro". Canterà la ``Forza del destino'' quando avrà voce. Quando poi lo Stato ha la capacità di mettere in galera - e fino a questo momento nessuno può dire se queste persone siano o meno colpevoli, se vogliamo rispettare la Costituzione - anche uomini che hanno raggiunto il massimo grado in quell'Arma, vuol dire che esso ha la forza di funzionare. Questo però non può permettere a nessuno di generalizzare e di colpire una forza dello Stato che è essenziale per mantenere libertà, democrazia e giustizia nel nostro paese. ("Applausi"). Prosegua, onorevole Aglietta.
"Briccola". Bravo!
"Aglietta". Presidente, credo che non abbia ascoltato fino in fondo le mie parole...
"Presidente Scalfaro". No, ho ascoltato con molta attenzione, molta, anche troppa!
"Aglietta". Se mi consente di parlare, io ho detto ``ironicamente''; sono sicura e certa...
"Presidente Scalfaro". Non è sufficiente usare l'avverbio ``ironicamente'' per rovesciare termini di questo genere su una forza dello Stato! Prosegua, onorevole Aglietta!
"Aglietta". Se me lo consente, signor Presidente.
"Presidente Scalfaro". Sì, ma non torniamo sul tono drammatico che con il sottoscritto non attacca assolutamente! ("Proteste dei deputati del gruppo radicale").
"Aglietta". Non ho bisogno di ``attaccare nulla'' con o senza spirito, signor Presidente: sto parlando e sto esprimendo delle idee anche se sono forti e pesanti. Tutti noi sappiamo che, per fortuna, la guardia di finanza non è tutta composta di Giudice e Lo Prete.
Allora, il decreto Cossiga, il fermo di polizia, la carcerazione preventiva (ed anche su questo, signor Presidente del Consiglio - che la volta scorsa non c'era -, avevo chiesto una risposta): proprio la carcerazione preventiva ora viene richiesta da un partito che sta al Governo con lei, non so se per ricattarla o per governare. Ebbene da questo partito è stato richiesto l'aumento della carcerazione preventiva: è un aumento che, ai limiti cui siamo giunti, è davvero folle solo ipotizzare. Ma credevo fosse folle solo ipotizzare anche la proroga del fermo di polizia.
Sul porto d'armi, sul problema del nucleare e della caccia ho già parlato. Sul problema dell'aborto, ancora una volta, per incapacità di governare le situazioni, grazie al compromesso storico fatto su questa legge (e di cui questa legge è il drammatico esempio), dal partito comunista alla democrazia cristiana le donne sono costrette ad abortire clandestinamente con tutta la violenza ed il dolore che ciò comporta. Proprio su queste cose siete tragicamente immobili e silenziosi. Questo Parlamento non si muove; su queste cose esiste il "black-out" sugli organi di informazione e di stampa: sono nodi che verranno al pettine.
Queste sono le riforme che sono necessarie ed indispensabili per dare un po' di speranza e di fiducia alla gente di questo paese che le ha richieste firmando e non sparando pallottole di piombo; le ha richieste firmando, per cui ha il diritto di vedere parlare giornali e televisione, di sapere cosa vogliono fare le forze politiche, di sapere che cosa faranno il Parlamento ed il Governo, oltre a tentare di affossare e di ``scippare'' alla Corte Costituzionale queste riforme.
Questa è democrazia. Questa è democrazia non violenta! Noi ci appelliamo alla necessità drammatica ed urgente che la democrazia, anche attraverso il rispetto di quei 500 mila cittadini che hanno esercitato un loro preciso diritto costituzionale, sia rispettata, perché, se non c'è e non ci sarà questo rispetto, credo che possiamo ragionevolmente temere che il caos, la violenza e l'illegalità continueranno a sfasciare ed a distruggere questo Stato. ("Applausi dei deputati del gruppo radicale").
(segue al testo n. 1816)