SOMMARIO: L'azione del Partito radicale per ottenere la liberazione del giudice Giovanni D'Urso rapito dalle "Brigate rosse" il 12 dicembre 1980 e per contrastare quel gruppo di potere politico e giornalistico che vuole la sua morte per giustificare l'imposizione in Italia di un governo "d'emergenza" costituito da "tecnici". Il 15 gennaio 1981 il giudice D'Urso viene liberato: "Il partito della fermezza stava organizzando e sta tentando un vero golpe, per questo come il fascismo del 1921 ha bisogno di cadaveri, ma questa volta al contrario di quanto è accaduto con Moro è stato provvisoriamente battuto, per una volta le BR non sono servite. La campagna di "Radio Radicale che riesce a rompere il black out informativo della stampa.
("LA PELLE DEL D'URSO", A chi serviva, chi se l'è venduta, come è stata salvata - a cura di Lino Jannuzzi, Ennio Capelcelatro, Franco Roccella, Valter Vecellio - Supplemento a Notizie Radicali n. 3 - marzo 1981)
Cronologia
12 dicembre: Sono le 20 circa. Le Brigate rosse rapiscono, nei pressi della sua abitazione il giudice Giovanni D'Urso, consigliere di Cassazione, dirigente del terzo ufficio della Direzione generale degli Istituti di prevenzione e pena del Ministero di Grazia e Giustizia.
13 dicembre: Le BR fanno trovare in un cestino di rifiuti, all'``EUR'', il comunicato n. 1, accompagnato da una foto nella quale il magistrato è ripreso sullo sfondo di un cartello con gli slogan dei terroristi e il drappo delle BR, con la stella a cinque punte. Il comunicato annuncia l'imminente processo a D'Urso, definito ``responsabile di quanto concerne il trattamento dei proletari prigionieri''. Si chiede lo smantellamento del ``circuito di differenziazione'' e ``la chiusura dell'Asinara''.
14 dicembre: Primi appelli per la ``fermezza''; in testa Valiani (PRI) e Pecchioli (PCI), contro ogni cedimento e trattativa. La signora D'Urso lancia un appello nel quale dice di essere ``pronta a fare tutto quello che è in suo potere'' per salvare il marito.
15 dicembre: Le BR fanno trovare il comunicato n. 2 ``D'Urso - dice il volantino delle BR - sta bene. Collabora. Il ruolo da lui svolto nelle carceri non lascia dubbi: tutti i proletari prigionieri lo conoscono come aguzzino e boia''.
16 dicembre: Il Ministro dell'Interno Rognoni, rispondendo alla Camera alle numerose interpellanze e interrogazioni sul caso D'Urso, presentate da tutti i gruppi, ma principalmente dai parlamentari radicali, conclude il suo intervento con questo preciso impegno: ``il Governo non lascerà nulla d'intentato nei limiti delle sue possibilità, per raggiungere l'obiettivo, oggi primario, della restituzione del giudice D'Urso alla sua famiglia...In questa prospettiva il Governo praticherà ogni strada e non trascurerà alcuna opportunità che possa condurre ad un esito positivo di questa vicenda, che partecipa obiettivamente dei valori più profondi del "privato"''. Intervengono nel dibattito i radicali De Cataldo, Boato, Crivellini, Teodori, Cicciomessere, Melega e Aglietta. Boato chiede l'immediata chiusura della sezione speciale del carcere dell'Asinara.
18 dicembre: Le BR fanno trovare il comunicato n. 3. Non si parla più di ``processo'', ma si chiede la chiusura immediata e definitiva del carcere dell'Asinara. Ha luogo un'assemblea dei giudici molto vivace: vengono denunciate le notevoli inadempienze governative sui problemi più gravi ed urgenti dell'amministrazione giudiziaria.
19 dicembre: Numerosi esponenti politici e giornali si mostrano contrari alla chiusura dell'Asinara, perché il provvedimento, anche se in sé giusto e deciso da tempo, potrebbe venir inteso come ``cedimento'' alle BR. Organizzata dal PR del Lazio, ha luogo, sotto il ministero di Giustizia una manifestazione per la chiusura immediata del carcere dell'Asinara, per togliere alibi ai terroristi.
Viene fatto trovare un falso messaggio, scritto a mano: sollecita un dibattito sulle carceri speciali e la partecipazione attiva e diretta del Partito Radicale sulla vicenda. E' anche il giorno in cui viene resa nota la cattura, a Parigi, di Marco Donat Cattin, lungamente ricercato.
20 dicembre: I gruppi parlamentari radicali della Camera e del Senato si riuniscono per tre giorni consecutivi in un albergo romano. Alla fine della riunione chiedono la convocazione immediata della Commissione Giudiziaria della Camera, l'immediata chiusura della sezione di massima sicurezza del carcere dell'Asinara, e l'urgente dibattito in parlamento sui problemi della politica carceraria e sulla riforma degli agenti di custodia.
23 dicembre: Le figlie di Giovanni D'Urso, Lorena e Giada mandano una lettera senza indirizzo al padre: ``Padre caro, questo santo Natale trascorre con tristezza senza di te, ma noi ti siamo lo stesso vicinissime. Crediamo fermamente che il nostro amore le nostre preghiere ti diano la forza per resistere. Stiamo facendo tutto il possibile per la tua salvezza''.
Le BR fanno trovare il comunicato n. 4. Si afferma che il prigioniero ``parla'', e che ``la giustizia proletaria farà il suo corso rapidamente''.
Marco Pannella scrive su ``Lotta Continua'' un lungo ed articolato intervento, nel quale afferma tra l'altro che i radicali e i nonviolenti sono contrari ad instaurare, con i violenti, qualsivoglia trattativa, ma che sono sempre disponibili per un dialogo con i ``compagni assassini''. ``Riteneteci - dice Pannella - a vostra disposizione non per collaborare, ma per dialogare lealmente''.
25 dicembre: Esce il comunicato della direzione del PSI con il quale si chiede l'immediata chiusura della sezione speciale del carcere dell'Asinara. Nel comunicato si chiarisce anche che se la decisione della chiusura ``nelle circostanze attuali può apparire una concessione fatta al ricatto terroristico in cambio della liberazione del giudice D'Urso'', in realtà ``essa coincide con un adempimento assolutamente giustificato e da più parti, ivi comprese fonti governative e amministrative, richiesto e sollecitato''; quindi la decisione ``non comporta alcun indebolimento e rinuncia'', ed il PSI è convinto che sia ``necessario offrire subito ai rapitori del giudice D'Urso l'occasione di evitare un ennesimo barbaro crimine''.
26 dicembre: Il giorno di Santo Stefano, con decisione ministeriale, il Governo annuncia la chiusura del carcere dell'Asinara. Il provvedimento, che già era stato disposto da tempo, viene definito ``grave'' dal PCI, che vi vede il segno di un cedimento.
28 dicembre: Le BR fanno trovare il loro comunicato n. 5: ``non ci fidiamo delle promesse dello Stato imperialista'', tra l'altro scrivono. Viene sollecitato lo smantellamento dell'Asinara, in pratica già avvenuto. Il giudice D'Urso scrive una lettera al suo superiore, Sisti: in linguaggio volutamente burocratico sollecita lui pure la chiusura dell'Asinara.
Lo stesso giorno scoppia una rivolta al supercarcere di Trani, ad opera di terroristi detenuti. Mimmo Pinto si reca immediatamente nel carcere in rivolta.
29 dicembre: Con un fulmineo colpo di mano, reparti speciali dei carabinieri riescono a domare, senza spargimento di sangue, la rivolta a Trani.
31 dicembre: Le BR uccidono a Roma il generale dei carabinieri Enrico Galvaligi.
Lo stesso giorno viene arrestato a Ortisei, il giornalista dell'``Espresso'' Mario Scialoja. Assieme al collega Bultrini (che verrà arrestato lui pure, a distanza di ore) aveva avuto contatti con un brigatista, il quale gli ha consegnato il resoconto dell'interrogatorio di D'Urso e un documento-intervista nel quale le BR rispondono a numerose domande che in effetti sono esse stesse a porsi.
1 gennaio: Le BR, con il comunicato numero 7, rivendicano l'assassinio del generale Galvaligi, dicendo che è la risposta al blitz di Trani. Esse ammettono che ``il potere ha inferto duri colpi al movimento di classe'', ma promettono che ``sferreranno colpi dieci volte maggiori e più terrificanti''.
4 gennaio: Filodiretto non-stopo di Radio Radicale sulla denuncia delle violenze compiute sui detenuti di Trani da carabinieri o agenti di custodia, o da entrambi - è da accertare - nel corso del blitz per porre fine alla rivolta, o forse dopo. E' al telefono Daniela, che a nome del Comitato dei familiari dei detenuti di Trani, racconta i casi di pestaggio a sua conoscenza. Mentre è in corso la trasmissione, nella quale, oltre a Franco Roccella, che è in studio, intervengono Marco Pannella e Giovanni Negri, arriva il comunicato n. 8 delle BR, con il quale si annuncia che il giudice D'Urso è stato condannato a morte, condanna, tuttavia, che potrebbe essere ``sospesa'' se i comitati di lotta dei detenuti delle supercarceri di Trani e Palmi ne ravvisassero ``l'inopportunità politica''. La volontà il e giudizio dei detenuti di Trani e Palmi, però, dovrebbero essere rese note da tutti gli organi quotidiani di stampa e dai giornali radiotelevisivi.
Immediatamente, sempre attraverso il filodiretto, sono convocati nella sede Radio Radicale tutti i parlamentari radicali per decidere con la massima urgenza modalità e contenuti della visita di una delegazione parlamentare radicale nelle supercarceri di Trani e Palmi.
5 gennaio: Mentre i parlamentari radicali annunciano la partenza di una loro delegazione per Trani e Palmi al fine di compiere un'ispezione conformemente a quanto dispone l'art. 67 della legge 26 luglio 1975 n. 354, i giornali decidono il black-out. Il primo ad annunciare tale decisione è il direttore del "Tempo" di Roma, Gianni Letta, seguito a ruota da Gustavo Selva, direttore di GR-2. Presto si associano i quotidiani della catena Rizzoli, con in testa "Il Corriere della Sera", poi "Il Giornale Nuovo" di Montanelli, "Il Giorno" e le testate radiotelevisive della Rai-TV. Frattanto al Senato c'è una riunione congiunta della Commissione Giustizia e Interni, e qui Sarti annuncia di voler riesumare il vecchio progetto di legge per la censura degli organi di informazione. Il senatore Leo Valiani pronuncia in questa occasione il discorso più forcaiolo della sua carriera parlamentare e pubblicista.
6 gennaio: La signora D'Urso indirizza una lettera al marito: ``Mi adopererò per fare tutto quello che mi chiedi nonostante le obiettive difficoltà'', scrive tra l'altro.
A Trani, i parlamentari radicali si incontrano con i promotori della rivolta.
La polemica sul ``black-out'' ormai dilaga.
7 gennaio: Il comitato di lotta di Palmi consegna un documento nel quale tra l'altro è scritto che ``il giudice D'Urso può essere liberato''.
Nel corso di una conferenza stampa i radicali rendono noto che il messaggio di Palmi, così come è stato anticipato e pubblicizzato, è, purtroppo travisato. I radicali si chiedono chi abbia avuto interesse a questa operazione. Viene annunciato che il giorno successivo si renderà noto il testo del comunicato di Palmi. I radicali sostengono, tra l'altro, che la dignità e la forza della legge sono affidate alla vita di D'Urso e denunciano l'infamia di quanti scambiano la forza con l'abdicazione.
Forlani pronuncia un discorso ``golpista'' nel corso di una visita a una caserma dei carabinieri. L'assurdo sta nel fatto che, mentre Forlani si traveste da carabiniere, il generale dei carabinieri Cappuzzo pronuncia un discorso ``politico'' insistendo sulla necessità di riforme. Il terrorismo, afferma Cappuzzo, non si può battere solo con la repressione.
8 gennaio: La delegazione parlamentare radicale, composta da Massimo Teodori, Domenico Pinto, Franco De Cataldo, Gianfranco Spadaccia e Massimo Stanzani, rientra a Roma dopo la visita ispettiva effettuata nel supercarcere di Trani. In una conferenza stampa rende noti i documenti ricevuti dai detenuti, nei quali si subordina la sospensione della condanna a morte di D'Urso alla pubblicazione sui maggiori quotidiani dei due comunicati di Trani e Palmi. La delegazione radicale rende anche noto che dalle sue indagini a Trani risulta che effettivamente i detenuti di questo supercarcere sono stati pestati per tre ore circa a cominciare dalle ore 17, in coincidenza con la conclusione del blitz del giorno 29 dicembre. I feriti sono 41, e la maggior parte di essi ha mani, polsi, dita o il cranio fratturato. Poi, per tutta la notte tra il 29 e il 30 sono stati tenuti all'aperto, nonostante il freddo rigido.
9 gennaio: Riprende alla Camera il dibattito sul terrorismo. Il ministro della Giustizia Sarti giustifica la decisione di chiusura dell'Asinara, in quanto attuazione di misure già predisposte, ma censura la magistratura per la concessione della libertà provvisoria al professor Gianfranco Faina, affetto da tumore polmonare aggravato da fenomeni di metastasi molto diffusi. Intervengono nel dibattito i radicali Aglietta, Boato, Cicciomessere, De Cataldo, Melenga, Pinto, Rippa, Roccella, Teodori e Tessari. Mentre è in corso il dibattito giunge la notizia che l'"Avanti" ha deciso di pubblicare i documenti dei detenuti di Trani e Palmi, e questo scatena il putiferio. Soprattutto i comunisti si scagliano violentemente contro i radicali prima e i socialisti in subordine. Si hanno gravi incidenti tra radicali e comunisti, ma è con questi ultimi, però, che i comunisti preferiscono ricorrere alla violenza fisica aggredendo e malmenando Roberto Cicciomessere. In particolare Pajetta scaglia contro Cicciomessere un bicchi
ere di birra, mentre la sua compagna di partito Maria Ciai Trivelli lo schiaffeggia.
10 gennaio: Le BR fanno trovare il loro comunicato n. 9. D'Urso, dicono, verrà ucciso se entro 48 ore i maggiori quotidiani persisteranno nel loro black-out. Finora hanno pubblicato Lotta Continua, Manifesto, Lavoro (una decisione che causerà il licenziamento del direttore, Zincone, perché il giornale infrange l'ordine della proprietà, la Rizzoli); i Diari; inoltre le Radio Radicali stanno organizzando un circuito alternativo di informazioni; ma alle BR sembra non essere sufficiente.
Viene identificato il presunto intermediario tra BR ed ``Espresso'': è Giovanni Senzani, criminologo.
Leonardo Sciascia promuove un appello perché i documenti dei detenuti di Trani e di Palmi vengano pubblicati. In poche firmano l'appello Eleonora Moro, Stella Tobagi, Andrea Casalegno; decine di giornalisti, uomini di cultura, politici.
In tutti i quotidiani, giornalisti che non accettano il black-out promuovono assemblee e riunioni. Il direttore de ``La Nazione'' Piazzesi, che vorrebbe pubblicare, viene bloccato dalla proprietà. ``Il messaggero'' e il ``Secolo XIX'' pubblicheranno, non appena avranno la certezza che D'Urso sarà liberato. ``Il Giorno'' pubblicherà dopo la liberazione.
11 gennaio: La magistratura romana firma 79 ordini di cattura per altrettanti detenuti di Trani e Palmi, ritenuti colpevoli di ``concorso in sequestro''.
12 gennaio: Leonardo Sciascia diffonde un secondo appello ai giornali, ai direttori, ai giornalisti, ai proprietari, ai lettori, perché i documenti di Trani e di Palmi siano pubblicati: ``sottostare al ricatto - dice Sciascia - è molto più nobile e proficuo in questo momento che rifiutarvisi''.
Nuovo appello di Franca D'Urso ai direttori dei giornali e ai cittadini perché manifestino in tutti i modi e le forme possibili il loro dissenso per l'assurda posizione di chiusura che hanno assunto.
Lorena D'Urso si presenta a una tribuna flash in TV messa a disposizione della sua famiglia dal partito radicale, e rivolge un appello ai direttori dei giornali e ai brigatisti perché salvino la vita del padre. Ai direttori dei giornali chiede in sostanza la pubblicazione dei documenti dei detenuti, in quanto ciò dovrebbe indurre le BR a non dare esecuzione alla sentenza di morte. Lorena legge anche un brano di un comunicato dei brigatisti di Palmi in cui si dà del ``boia'' a suo padre.
``Unità'', ``Paese Sera', ``Repubblica'', ``Corriere della Sera'' accusano i radicali, e in particolare Pannella di aver costretto Lorena D'Urso ad intervenire in televisione. Scalfari si appella al Presidente della Repubblica, Pertini, perché intervenga, anche forzando i limiti imposti dalla Costituzione.
13 gennaio: Lorena D'Urso dichiara all'ANSA che nessuno l'ha costretta a leggere in TV il comunicato di Palmi, e di averlo fatto di sua volontà al solo scopo di salvare suo padre.
In via di Pietra viene rinvenuta una lettera nella quale Giovanni D'Urso si rivolge al direttore dell'``Avanti'', Intini, ringraziandolo per la posizione assunta dal suo giornale, che ha deciso di pubblicare i documenti di Trani e di Palmi. D'Urso conferma che la sua vita è legata alla pubblicazione di quei documenti sui maggiori quotidiani. Questo induce il direttore del ``Messaggero'' Emiliani, e del ``Secolo XIX'', Tito, a pubblicare.
14 gennaio: Marco Pannella accusa il partito della forca e dello sfascio, dei giacobini e dei borboni unificati, di cercare di coinvolgere, con appelli indecorosi, in losche manovre, anche il Presidente della Repubblica.
Terzo appello di Leonardo Sciascia, diretto questa volta alle brigate rosse, che sono poste di fronte alla loro stessa coerenza ideologica. ``Voi avete respinto sdegnatamente - si dice loro - di essere "strumento cieco di occhiuta" manovra altrui. Ma uccidendo a questo punto il giudice D'Urso il dubbio, almeno il dubbio di esserlo, non vi assale? Guardatevi intorno, guardatevi tra voi, riflettete, se ne siete capaci. La vostra causa, la causa per cui dite di battervi, è già da tempo perduta; sarebbe una tragica beffa accorgervi domani di avere micidialmente operato per interessi di cui per primi sarete annientati''. Mentre alla Camera prosegue veemente il dibattito sul terrorismo e sul rapimento del magistrato, viene diffuso il comunicato numero 10 delle BR, con il quale si annuncia la decisione di liberare D'Urso. Con una disinvoltura sintomatica di una ferrea faccia tosta i rappresentanti del partito della ``fermezza'', o della forca, si attribuiscono il merito della liberazione, si dichiarano lieti che D'
Urso se la sia cavata, ma ancor più soddisfatti per aver tenuto ``duro'', in quanto questo avrebbe costretto le BR a capitolare dimenticando, naturalmente, che quando la loro ``fermezza'' non è stata bilanciata adeguatamente da un'azione che privilegia i valori della vita e respinge la logica del bruto trattativismo, l'ostaggio è stato regolarmente ammazzato. (Vedi Moro). Poche ore dopo l'arrivo del volantino n. 10 le agenzie di stampa informano che D'Urso è stato ritrovato ed è ricoverato al Policlinico Gemelli. I primi accertamenti sanitari confermerebbero che sta bene. Senonché più tardi informano che si tratta di un equivoco, e che D'Urso in effetti non è stato ritrovato, né si ha idea di dove possa essere o se sia stato realmente liberato o meno. Comincia di nuovo la suspence per la sorte di D'Urso...
15 gennaio: Il giudice D'Urso, vivo, alle ore 8 è trovato incatenato in una 127 a Portico d'Ottavia, nei pressi del Ministero di Grazia e Giustizia.