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Camera dei deputati - 14 maggio 1981
STATUTO LAVORATORI: Referendum per l'abrogazione di alcune disposizioni della Legge 20 maggio 1970, n. 300 - Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento (giusta causa)

SOMMARIO: Scheda sul refererendum relativo ad alcune norme dello statuto dei lavoratori, promosso da Democrazia Proletaria.

(CAMERA DEI DEPUTATI - QUADERNI DI DOCUMENTAZIONE DEL SERVIZIO STUDI - IL REFERENDUM ABROGATIVO IN ITALIA: LE NORME, LE SENTENZE, LE PROPOSTE DI MODIFICA, Roma 1981 - Aggiornamenti successivi)

14 maggio 1981: presentazione della richiesta

11 dicembre 1981: Ordinanza Ufficio centrale della Corte di cassazione che dichiara legittima la richiesta

8 febbraio 1982: Sentenza n. 27 della Corte costituzionale che dichiara l'inammissibilità della richiesta

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CORTE COSTITUZIONALE

SENTENZA 8 FEBBRAIO 1982 - N. 27

(...)

"Considerato in diritto":

1. - Oggetto della richiesta di "referendum" abrogativo, sulla cui ammissibilità la Corte è chiamata a decidere, sono gli artt. 28, primo comma, limitatamente alle parole "locali delle associazioni sindacali nazionali", 35, primo e secondo comma, limitatamente alle parole "di quindici" e "di cinque" e 37, limitatamente alle parole "dagli altri enti" della legge 20 maggio 1970, n. 300, concernente "Norme sulla tutela della libertà e della dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell'attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento".

2. - Occorre pertanto verificare, a norma degli artt. 2, primo comma legge 11 marzo 1953, n. 1 e 33 legge 25 maggio 1970, n. 352, se esistono ragioni ostative a tale ammissibilità derivanti dall'art. 75 della Costituzione nell'interpretazione datane da questa Corte.

Mentre è evidente che le norme in esame, le quali riguardano aspetti della regolamentazione dell'attività sindacale e della tutela degli interessi dei lavoratori, non rientrano nelle ipotesi escluse espressamente dal "referendum" (leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali), a più attento esame occorre procedere per quanto riguarda l'esistenza di cause ostative implicite nella previsione del citato art. 75. Al riguardo è opportuno anzitutto ricordare che fin dalla sent. n. 16/78 la giurisprudenza della Corte ha individuato, in linea di principio, fra i criteri da osservare ai fini del giudizio di ammissibilità del "referendum" abrogativo la necessaria sussistenza, in caso di quesiti plurimi, di una matrice unitaria, e la correlativa inammissibilità di domande eterogenee, che si discostino dagli scopi in vista dei quali l'istituto del "referendum" abrogativo è stato introdotto, come strumento di genuina manifestazione della volontà popolare

.

La Corte ha poi ribadito e sviluppato tali concetti in occasione dei successivi giudizi (v. particolarmente sentt. n. 26, 27, 28, 29/81), ritenendo sempre decisiva, ai fini della ammissibilità di quesiti plurimi, l'esistenza di connotati di sostanziale unitarietà nelle disposizioni oggetto dei quesiti stessi, estendendo l'analisi al riscontro della sufficiente chiarezza e semplicità della formulazione delle domande, a garanzia della piena consapevolezza della scelta dell'elettore e quindi della sua libertà di voto; è stato evidenziato in particolare che le caratteristiche di chiarezza, semplicità ed univocità dei quesiti si realizzano ove sia riscontrabile nelle norme oggetto del "referendum", obiettivamente considerate nella loro struttura e nella loro finalità, un comune principio la cui eliminazione o la cui permanenza verrà a dipendere dalla risposta che il corpo elettore fornirà al dilemma sottopostogli.

Conclusivamente può affermarsi che l'elemento essenziale della omogeneità dei quesiti referendari debba in concreto essere inteso nel senso che l'unitarietà della proposta abrogativa emerga dalla constatata esistenza di un principio comune univocamente ispiratore delle norme investite e dalla parallela univocità delle conseguenze abrogative, in modo da consentire una scelta libera dell'elettore, con particolare riguardo alla necessità che le conseguenze dell'abrogazione siano chiaramente e immediatamente intellegibili al momento del voto, onde realizzare pienamente lo scopo essenziale dell'istituto del "referendum", cioè la libera, consapevole e precisa espressione della volontà popolare in ordine ai quesiti proposti.

3. - Ciò premesso, occorre ora considerare:

a) con l'eliminazione dal testo dell'art. 28 delle parole "locali delle associazioni sindacali nazionali", si vuol conseguire l'estensione della facoltà di proporre ricorso al Pretore contro i comportamenti antisindacali del datore di lavoro, facoltà prima limitata appunto agli "organismi locali delle associazioni sindacali nazionali che vi abbiano interesse", a qualsiasi "organismo che vi abbia interesse".

b) con l'eliminazione del numero minimo di dipendenti posto dall'art. 35 quale limite per l'applicabilità dell'art. 18 (reintegrazione nel posto di lavoro nel caso di riconosciuta illegittimità del licenziamento) nonché del titolo terzo dello Statuto dei lavoratori (disciplina dell'attività sindacale) si vuole che la predetta normativa sia applicabile, in relazione a ciascuna sede, stabilimento, filiale, ufficio o reparto autonomo che occupi "più dipendenti", e, quindi, in caso estremo, anche due soltanto;

c) con l'eliminazione delle parole dell'art. 37 sottoposte a "referendum" si vuole rendere applicabile lo Statuto dei lavoratori ai "dipendenti pubblici" in genere, salvo restando il disposto dell'ultima parte dell'articolo stesso.

4. - Ciò posto, passando alla verifica della rispondenza dei quesiti ai criteri sopra richiamati, deve giungersi ad una risposta negativa.

Invero le proposte abrogative si articolano in realtà su temi distinti per il loro oggetto e non omogenei riflettenti, da un lato, l'organizzazione dell'attività sindacale dal punto di vista dei soggetti legittimati a promuoverla e, dall'altro, il campo di applicazione della tutela degli interessi dei lavoratori sotto duplice, differenziato profilo. Di talché, nella specie, l'elettore ben potrebbe non concordare su tutte le proposte avanzate, non legate da un nesso di inscindibile coerenza logica e sostanziale, mentre è, invece, costretto a fornire una risposta unica in sede di espressione del voto. Ben potrebbe cioè l'elettore condividere l'una o l'altra delle soluzioni abrogative ma non tutte, mentre dovrebbe invece necessariamente rispondere "sì" o "no" in relazione al loro complesso.

Infatti, la risposta positiva all'attribuzione agli "organismi" predetti della facoltà di azione sindacale non suppone necessariamente la risposta altrettanto positiva alla riduzione del numero minimo di dipendenti pubblici dell'applicabilità dello Statuto dei lavoratori, essendo ben ipotizzabile che la visione dei connessi problemi economico-sociali si presenti in modo diversificato all'elettore appunto per la loro diversa oggettività, investendo essi, da un lato, la titolarità dell'azione sindacale, e dall'altro l'unificazione di tutti i rapporti di lavoro sotto una comune disciplina, gravide entrambi oltre tutto di conseguenze non chiaramente definibili a priori.

Ciò esime la Corte dal portare il suo esame sulla chiarezza ed univocità dei singoli quesiti referendari.

5. - Né la situazione in esame è compatibile con quelle concernenti i "referendum" sulla legge 22 maggio 1975, n. 152 recante "Disposizioni a tutela dell'ordine pubblico" (sent. 16/78) e sul d.l. 15 dicembre 1979, n. 625, convertito con modificazioni nella legge 6 febbraio 1980, n. 15 recante "Misure urgenti per la tutela dell'ordine democratico e della sicurezza pubblica" (sent. 22/81), che potrebbero presentare qualche apparente analogia con l'attuale questione all'esame della Corte.

In entrambi i casi ora citati, è vero, questa Corte ha ritenuto omogenea la proposta di abrogazione sulla base della riconosciuta esistenza del comune intento di garanzia dell'ordine pubblico e della difesa della libertà democratica contro la delinquenza perseguito dalle leggi complessivamente sottoposte a "referendum" e della correlativa unitarietà della proposte abrogative che rispettivamente le concernevano. Ma si trattava allora di quesiti che consentivano la riduzione ad un concetto unitario delle varie norme o parti di norme sottoposte a "referendum" e quindi ad una inequivocabile unitarietà delle risposte, per la ben precisa delimitazione della materia già formalmente operata dal legislatore; mentre, come testé si è visto, tale necessaria coerenza esula dalla materia in esame, di fronte alla quale l'elettore, come già rilevato, potrebbe assumere atteggiamenti e formulare giudizi non necessariamente univoci.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

"dichiara" inammissibile la richiesta di "referendum" popolare per l'abrogazione parziale degli artt. 28, 35 e 37 della legge 20 maggio 1970, n. 300, iscritta la n. 27 Reg. ref., nei termini indicati in epigrafe, dichiarata legittima con ordinanza 11 gennaio 1981 dell'Ufficio centrale per il "referendum", costituito presso la Corte di cassazione.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 8 febbraio 1982.

F.to: LEOPOLDO ELIA - MICHELE ROSSANO - ANTONINO DE STEFANO - GUGLIELMO ROEHRSSEN - ORONZO REALE - BRUNETTO BUCCIARELLI DUCCI - ALBERTO MALAGUGINI - LIVIO PALADIN - ARNALDO MACCARONE - ANTONIO LA PERGOLA - VIRGILIO ANDRIOLI - GIUSEPPE FERRARI - FRANCESCO SAJA.

GIOVANNI VITALE - "Cancelliere"

 
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