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Pintor Luigi - 22 maggio 1981
Che bello, il 17 maggio
di Luigi Pintor

SOMMARIO: Si propongono due letture "contrastanti" del voto dato dagli italiani nella consultazione referendaria. Da una parte, c'è il voto sul referendum per l'aborto, per il quale il giudizio non può che esere positivo: una "maggioranza di due a uno", che - "protagoniste le donne" - ha battuto il partito democristiano. "L'onda di destra si è rivelata un'increspatura superficiale". E, in questa chiave di lettura, anche il voto sugli altri referendum trova una sua spiegazione, anche se apparentemente contraddittoria. Su ergastolo, misure di sicurezza, porto d'armi, ecc., il voto non è necessariamente indice di stato d'animo "antidemocratico", ma effetto inerziale dell'"opportunismo sbrigativo dei partiti". Del resto, la minoranza non è trascurabile, e ci sono da calcolare anche le schede bianche. Insomma, si tratta al più di "un ragionevole riflesso d'ordine". Il voto del 17 maggio mostra insomma un paese capace di cambiare...

La seconda lettura rovescia l'interpretazione. Essa prende come punto di riferimento non il referendum sull'aborto ma quello sull'ergastolo, che ha rivelato un paese "primitivo e arido". Certamente la responsabilità dei partiti, "in questo caso della sinistra", è prevalente sulle responsabilità dell'elettorato (a ben guardare, anche la "mobilitazione sull'aborto non è stata affatto tale, se non da destra"). Ma allora, perché è stato vinto il referendum sull'aborto? E' lecito stabilire una equazione tra questo risultato e "il grado di maturità" del paese? O forse sarà vero che il referendum sull'aborto non ha tutto quel valore che gli si attribuisce, e forse risponde solo ad una sorta di interesse "privato", "corporativo?" In fondo, il risultato del voto referendario non sta producendo effetti sul quadro politico, "anzi, tende a stabilizzarlo", a vantaggio della "mediocrità" dei partiti intermedi: "la materialità degli interessi prevale nella sua immediatezza"... In definitiva, una alternativa non potrà nasce

re "se non si ricompongono dei veri fronti di lotta nel corpo della società".

(IL MANIFESTO, 22 maggio 1981)

I

Ci sono due letture possibili (almeno due) del voto popolare del 17 maggio. Due letture contrastanti, che portano a giudicare diversamente dell'umore e dell'orientamento del paese, a formarsi due opinioni opposte sullo stato delle cose, sulla coscienza e la psicologia di massa negli anni '80. Sempre che sia possibile e lecita un'interpretazione generale, complessiva e unitaria, di una consultazione popolare così composita e multiforme com'è stata quella del 17 maggio, articolata in cinque diversi interrogativi.

La prima è una lettura che chiamerei politico-tradizionale, la quale porta a un giudizio nettamente positivo, che può essere forzato fino a diventare trionfale. Questa lettura permette di concludere che il nostro è un paese saggio, laico, moderno ed equilibrato, sia per l'indole e la maturità del popolo nella sua maggioranza, sia per la qualità delle sue istituzioni (malgrado tutto) dei suoi partiti più avanzati. Non è forse questa la lettura grammaticalmente più corretta, più lineare e più semplice, del vuoto numero uno del 17 maggio, quello relativo all'aborto? Prima di tutto per la "quantità" di questo voto, una maggioranza di due a uno come si forma raramente in questo paese, una maggioranza che unifica nord e sud come ancor più raramente accade, e una maggioranza che sopravanza in meglio lo schieramento dei partiti e nel modifica la dinamica. Ma poi per la "qualità" di questo voto, protagoniste le donne che traducono in scelta la loro esperienza, e muovendo di qui battono il partito democristiano e mett

ono in minoranza la chiesa o la rinviano alla sfera sua propria, dando conferma che qualcosa di millenario è cambiato per sempre nella cultura nazionale.

Con un effetto politico immediato, per di più, o almeno potenzialmente evidente. Giacché, se su di una questione di questa rilevanza, in cui si fronteggiano i principi di libertà e autorità, e della morale (in questo ordine) individuale, familiare e sociale, l'onda di destra, si è rivelata una increspatura superficiale, e la Dc è decaduta da partito dominante a forza secondaria, allora è tutta la direzione politica del paese che viene messa in discussione. Vorrà dire che se la Dc non ha ancora perduto il potere, ciò dipenderà da fattori secondari più che primari: per esempio, dalle sue capacità di manovra è dal suo sistema clientelare più che da una sua autentica rappresentatività; per esempio, dai difetti dei suoi avversari più che dalle sue virtù. E vorrà dire che una alternativa democratica è matura nelle cose e potrebbe dunque maturare, più rapidamente del previsto, anche nello schieramento politico, nel tessuto istituzionale, nei programmi di governo.

Dentro una lettura di questo genere, che una parte della sinistra tende a far propria anche se non ha combattuto in questa chiave la battaglia referendaria, e che anche noi potremmo far nostra in maggiore o minor misura, anche gli altri voti del 17 maggio possono trovar posto come una contraddizione solo apparente o parziale, o addirittura come un complemento. Si è trattato di un "pacchetto" in cui ciascuno dei quesiti posti all'opinione pubblica - ergastolo, misure di sicurezza, porto d'armi - perdeva la sua specificità, tutti essendo riconducibili al problema di una difesa tecnica dal terrorismo e dalla violenza più vistosa di questi anni. Un pacchetto certamente illiberale, ma anche l'unico, il solo genere di difesa, che sia stato proposta in questi anni al paese.

Un voto quasi "obbligato", dunque, non necessariamente indice di un animo antidemocratico diffuso, ma effetto inerziale dell'opportunismo sbrigativo dei partiti - di tutti i partiti in questo caso. Del resto non è poi così ristretta l'area di minoranza, comprese le schede bianche, che, per dire "ha tenuto alta la bandiera delle libertà democratiche" da altri calata a mezz'asta se non proprio "gettata nel fango". E comunque, se si assume il voto sull'aborto come una modernizzazione nazionale, piuttosto che come una rivoluzione culturale, ben si possono valutare anche gli altri voti come un moderato e quasi ragionevole riflesso d'ordine, piuttosto che come segno o premessa di degenerazione autoritaria e di meschini orizzonti.

Secondo questa lettura, il voto del 17 maggio mostra dunque nel suo complesso un paese capace di cambiare e di avanzare, o almeno disposto a farlo, più dei suoi gruppi dirigenti, anche se dentro l'orizzonte che questi gruppi gli propongono (nessun referendum ha ribaltato nulla, vincono i no, si forzano le leggi esistenti ma non si abrogano, solo quello sul finanziamento dei partiti sfiorò "l'eversione"). E dunque, se così stanno le cose, il discorso torna al punto di sempre, cioè al problema della sinistra italiana e dei suoi partiti, alla loro soggettività: le condizioni di una alternativa democratica, di indirizzi e di governo, se non di potere e di sistema, evidentemente esistono, e metterle a frutto compiutamente dipende solo da loro.

Che brutto, il 17 maggio

II

La seconda lettura del voto popolare del 17 maggio, che chiamerei piuttosto una decifrazione possibile, "rivela il cuore" della nazione in tutt'altra luce, porta a un giudizio più che negativo per molti aspetti. Questa lettura indurrebbe a concludere che il nostro è un paese non più arretrato e gregario, forse, ma gretto, povero di orizzonti, appiattito nell'immediatezza degli interessi, che è la forma più fragile di laicità e modernità. E ciò non solo per la decadenza (nota) delle sue istituzioni e per i demeriti (noti) dei suoi partiti rappresentativi, ma per uno smarrimento o corrompimento diffuso.

Secondo questa lettura, il voto più significante tra i cinque espressi il 17 maggio non è quello relativo all'aborto ma quello relativo all'ergastolo. Non il più importante, perché di scarsa o nessuna rilevanza sociale rispetto all'aborto, ma il meno equivocabile e il più indicativo di un certo grado o tipo di cultura e sensibilità popolare: né laico né cattolico, ma semplicemente primitivo e arido. E' vero che quel voto è un effetto del terrorismo, forse, ma che il terrorismo abbia questo effetto è appunto una aggravante, non una attenuante. E' vero che il voto popolare (quattro quinti del paese) ha contraddetto in questo caso i partiti, come noi spesso auguriamo, ma alla rovescia, rompendo la disciplina di sinistra nelle regioni più ligie ed evolute, è dunque più per meschinità o vocazione antidemocratica che per stato di necessità. E' vero che non è stata data battaglia, ma che non si diano battaglie su questioni di principio, dette anche ideali, perché in quanto tali si giudicano socialmente irrilevanti

o inattuali, è segno che concretezza coincide con indifferenza e modernità con inciviltà. I sette milioni che hanno votato contro l'ergastolo, che diventano tre o quattro che non amano le armi e lo stravolgimento del diritto penale, appaiono allora come la sola area politica e culturale con cui solidarizzare, diversamente da quel 70% del paese che ha bensì votato per regolare l'aborto, ma si è affiancato in gran parte all'altro 30% su tutto il resto.

La responsabilità dei partiti, in questo caso della sinistra, è certo prevalente su quella dell'elettorato, poiché il "sì" sull'ergastolo era incongruo rispetto agli altri "no" relativi ai delitti e alle pene. Ma erano incongrui i no, non il sì: una incongruenza che non è solo una parentesi, il frutto stagionale dei compromessi di questi anni, ma causa di profondo smarrimento per un movimento operaio che dovrebbe essere erede (oltre che becchino) della democrazia borghese. Debole è la tesi che la mobilitazione sull'aborto ha distratto dal resto, e i no si sono tirati l'uno con l'altro come le ciliege, poiché ciò davvero non deporrebbe a favore della "maturità" del popolo. Senza dire che la mobilitazione sull'aborto non è stata affatto tale, se non da destra.

Perché è stato vinto il referendum sull'aborto? Forse questa vittoria non dovrebbe essere una sorpresa, come invece è stata soprattutto nelle sue proporzioni, visto che la presa diretta della chiesa sulla gente già si rivelò sorprendentemente limitata sul divorzio, che le donne hanno cessato da tempo di essere un esercito di riserva della reazione, anche nel sud, e che in materia di salvaguardia delle proprie prerogative private la gente di questo paese è diventata già da tempo gelosissima. Ma è lecito stabilire una equazione tra questo risultato e il grado di maturità politica, culturale e ideale del paese? Se per esempio si dice che siamo finalmente un paese laico e moderno, a parte intendersi su questi termini, bisogna allora concludere che la Dc ha i giorni contati, a meno che non la si consideri appunto un partito laico e moderno, in quanto pagano. E se così non è, si potrà sospettare l'opposto, che anche il voto sull'aborto non ha per intero quel valore, quei contenuti e quella carica che gli attribuia

mo, ma risponde (in parte) a quell'interesse privato, o corporativo, o semplicemente immediato e "realistico", che anche gli altri voti hanno avuto in negativo, quel modo di essere che porta la gente a riconoscersi in maggioranza nella filosofia democristiana del potere. Tant'è che oggi il risultato del referendum, pur così clamoroso nei numeri, non sta producendo alcun effetto sul quadro politico, anzi tende a stabilizzarlo, neppure a vantaggio di un ricambio socialista ma della mediocrità dei partiti intermedi. E chissà che il papa non l'abbia perso il referendum, perché sosteneva comunque un valore, e non perché quel suo valore era falso.

Secondo questa lettura, in conclusione, la maggioranza di questo paese ubbidisce a delle necessità assai più che a delle convinzioni, senza relazione tra le une e le altre. Le mediazioni politiche e ideali contano molto meno dell'opportunità e della convenienza. Non le ideologie sono morte, che sarebbe una buona cosa, ma le idee generali. La materialità degli interessi prevale nella sua immediatezza, il che dà buoni risultati se si mobilitano gli interessi offesi, ma ne dà di pessimi, se si mobilitano gli egoismi e i privilegi, tant'è che le regioni più tormentate hanno votato meglio di quelle appagate. E un'alternativa, allora, non può nascere dalle scelte soggettive dei partiti, se non si ricompongono dei veri fronti di lotta nel corpo della società.

E in conclusione

III

Tra queste due letture, se si dovesse scegliere, propenderei per la seconda. Ma di sicuro sono entrambe sbagliate, non foss'altro perché unilaterali. A parte le contraddizioni che passano nella nostra testa, le contraddizioni che attraversano oggi tutta la società sono tali che ricavarne una sintesi, individuarne la risultante, specie attraverso un referendum come questo, è ingannevole. Per orientarsi è necessaria una bussola, ma poiché attraversiamo una tempesta magnetica, bisogna sapere che le bussole impazziscono e perciò è bene diffidarne.

Forse bisogna anche ricordarsi che, se non è vero che le elezioni sono trappole per coglioni, neppure quelle referendarie, non esauriscono però la politica. Il voto è mobile ed è sempre misero chi a lui si affida e gli confida, malcauto, il cor. Se la sinistra non restava il primato della lotta politica, fondata su chiare discriminanti, tutto resterà fondato sulla sabbia: come dire, per esempio, che la legge sull'aborto sarà liquidata da medici cialtroni, o che la logica dell'ergastolo porterà alla logica della pena di morte, che il 70% laico nel voto conviverà col 70 per cento democristiano nel potere, che l'80 per cento che vota illiberale per combattere il terrorismo non sarà mai un 80 per cento che vota antidemocristiano per combattere la corruzione e lo sfascio pubblico che prosperano incontrastati.

 
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