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Bandinelli Angiolo - 2 giugno 1981
POLEMICA CON SALVATORE SECHI. PER CHI SUONA LA CAMPANA?
di Angiolo Bandinelli, Presidente del Consiglio federativo del Pr.

SOMMARIO: Salvatore Sechi [nell'articolo pubblicato da Il Messaggero il 28 maggio 1981 con il titolo »Metamorfosi o eclisse dei radicali? - testo n. 4976] utilizza, per analizzare il fenomeno radicale, strumenti logici e culturali inadeguati, gli stessi che si sono dimostrati inutili a comprendere la problematica referendaria addirittura temendo che "la subcultura dei focolarini" potesse riuscire ad imporre i suoi valori "ad una società industriale complessa" come è quella italiana; per prendersela poi con i radicali che si rallegravano per aver guadagnato un'area di ascolto "tripla rispetto al loro elettorato". Sechi, contraddittoriamente, elogia i radicali per il loro contributo in Parlamento e poi li accusa di far "raccolta di tutti i dissensi". Per mettere ordine in questa confusione di analisi, Sechi potrebbe ben intervenire al prossimo congresso del Pr, dove si discuterà di "rifondazione politica e statutaria"... e si dibatterà se la crisi investe il Pr o invece tutta la sinistra. In trenta anni, il P

r ha cercato di fornire strumenti teorici nuovi per il rinnovamento della politica e per salvare la democrazia dalle spire dello "Stato assistenziale" occupato dai partiti; ma coinvolgendo in questa ricerca, grazie ai referendum, milioni di persone. La sinistra dovrebbe riflettere meglio sul fatto che i problemi che i radicali vanno sollevando sono gli stessi che travagliano tutta la sinistra. Comunque, al congresso straordinario, "se qualcuno attende il dramma, sarà disilluso".

(IL MESSAGGERO del 2 giugno 1981)

E' difficile accettare, senza amarezza, che un intellettuale come Salvatore Sechi, riproponga, sia pure con passione e simpatia (Il Messaggero 28 maggio), un'immagine delle battaglie e della fisionomia radicale così involta negli scampoli di una cultura che porta gravi responsabilità di incomprensione rispetto alle vicende e alla crisi italiana. L'osservazione non riguarda Sechi, naturalmente, ma gli strumenti e i metodi interpretativi correnti, che tutti alla fine ci soffocano, ci impediscono di veder chiaro, di capire: e quindi, alla fine, di intervenire positivamente.

A questa cultura facciamo, ad esempio, un addebito. Essa non aveva capito - prima, non dopo la verifica dataci dal voto referendario del 17 maggio - che era folle temere che la subcultura dei focolarini potesse riuscire ad imporre i suoi valori ad una società industriale complessa quale è quella italiana. Il confronto invece lo si è fatto con i radicali, i quali avvertivano che il pericolo per la donna non proveniva da quelle parti, fatalmente minoritarie, ma proprio dai difensori della 194. Questi sono rimasti sbalorditi dall'esito dei referendum, ma non hanno minimamente fatto ammenda del loro errore di valutazione, che era di dimensioni storiche, e se la sono presa ancora con i radicali, solo perché hanno affermato soddisfazione per aver attestato, su una linea alternativa, un'area di ascolto tripla rispetto al loro elettorato numerico.

L'esempio è tratto dall'attualità. Ben altro ci sarebbe da replicare, se un dialogo fosse possibile aprirlo. Non si può ancora ripetere - ci pare - che un partito il quale in Parlamento dà su tesi altamente istituzionali (editoria, commissione Sindona, lotta alla Sipra, fame nel mondo, ecc., come elenca Sechi) contributi riconosciuti come "preziosi", sia poi lo stesso che, con le "defatiganti maratone ostruzionistiche", per mero amore della "contraddizione" fa "raccolta di tutti i dissensi" per scagliarli più o meno proditoriamente contro le "istituzioni politiche". C'è qualcosa che non quadra, in questa costellazione di giudizi. E se le contraddizioni fossero non nostre? (si intende, al di là di questo o quell'errore: non siamo infallibili).

E' urgente rimettere ordine in queste analisi. Sechi teme infatti che per Pannella e il suo partito stia per suonare la campana. Per questo partito - ribadiamo noi - o per l'intera sinistra, il paese e la democrazia? Per quanto ci compete, con rinnovato sperimentalismo, stiamo ancora una volta per interrogarci. E sarebbe molto utile che non solo Salvatore Sechi (che espressamente invito a portarvi il suo prezioso contributo) ma quanti nutrono dubbi e preoccupazioni, analoghe o altre, intervengano al Congresso straordinario del Pr, che si svolgerà a Roma dal 5 al 7 giugno. Qui si discuterà, figurarsi, di "rifondazione politica e statutaria" del partito. Migliore occasione non potrebbe esservi, per sapere se la crisi investe noi, o solo noi, o non piuttosto Pci, Psi, la sinistra e le istituzioni da loro partecipate da trenta anni.

La verità è questa, che la sinistra e la sua cultura non vogliono accettare la tesi che, per venti anni, i radicali abbiano rappresentato innanzitutto un dato teorico con cui confrontarsi rispetto all'intelligenza della società e delle istituzioni statuali di oggi. Eppure è di tutta evidenza. Noi abbiamo lavorato soprattutto a rinnovare i concetti stessi di "politica" e di "democrazia"; a restituire le istituzioni ad un corretto funzionamento. Sotto questo lavoro, magari sotto questo attivismo (giustificato dalla stringente consapevolezza che i tempi erano molto stretti) un nucleo di analisi storica che oggi viene pienamente avallata dai teorici marxiani avvertiti: e cioè la persistenza di questo Stato assistenziale che, fondato dal fascismo, è sopravvissuto fino ad oggi avvolgendoci tutti nelle sue spire soffocanti.

Nelle febbrili ricerche condotte su questo tema, ci si è dimenticati sempre e solo della prassi, della "teoria" messe in movimento da quei "Laboratori Politici" non astratti che sono stati, ad esempio, i referendum. Se la sinistra, prigioniera anche essa del tremendo retaggio, si è impigliata nel corporativismo e nel partecipazionismo più negativi, lo abbiamo denunciato. Anche noi, come molti altri teorici, ma portando al dibattito milioni di persone. Bisogna cominciare a capire questa unità di prassi e di teoria, farci i conti con onestà e voglia di partecipare. Allora si potrà scoprire la robusta trama etico-politica che lega assieme i referendum e l'ostruzionismo "legalitario", i processi e le iniziative nonviolente. Si scoprirà la logica di un partito capace di utilizzare sperimentalmente i diversi modelli operativi possibili in una società industriale che non ha ancora avviato la fondazione di una democrazia adeguata alle sue strutture e ai suoi problemi di efficienza.

"Quale diritto? Quale Stato?". Ancora oggi, queste sono le domande essenziali cui cerchiamo di dare una risposta. E quindi: "Quale classe?", "Quale internazionalismo?", "Violenza o nonviolenza?".

Quando tutto pare impantanarsi - anche per loro - in dilemmi mediocri (referendum o elezioni comunali? Un per cento o sette per cento?) i radicali stanno apprestandosi ad alzare il tiro, a rimettere in gioco persino la loro "forma partito". Se qualcuno attende il dramma, sarà disilluso. Anche questa, comunque vadano le cose, sarà una rinnovata dimostrazione di chiarezza e di rigore. Sappia la sinistra approfittarne.

 
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