CONGRESSO STRAORDINARIO - VILLA BORGHESE 1981di Francesco Rutelli
SOMMARIO: Subito dopo la votazione sui referendum indetti dal Partito radicale (17 maggio 1981) che aveva visto il prevalere dei no di larga misura (88,4% contro la completa depenalizzazione dell'aborto; 85% contro l'abrogazione delle norme speciali di polizia; 85,2% contro l'abolizione del porto d'armi; 77,4% contro l'abrogazione dell'ergastolo) si apre il 5 giugno a Roma il XXV Congresso straordinario del Pr. Nella sua relazione, il segretario Francesco Rutelli afferma che certamente non abbiamo vinto ma che abbiamo triplicato l'area d'influenza della nostra proposta politica. L'inagibilità dello strumento referendario. L'assunzione da parte del Pr della campagna contro lo sterminio per fame.
(BOZZE NON CORRETTE)
Il 17 Maggio il Partito Radicale ha vinto o ha perso? Ha "triplicato i suoi voti"? Ha "ricevuto una solenne lezione"?
Intervenendo ad un dibattito a Radio Radicale, Laura Conti si è rammaricata di essersi mossa tardi sul referendum della scheda arancione. "Se avessi potuto far qualcosa prima - ha detto - sarei forse riuscito a convincere il mio partito ad adottare una posizione diversa". Io ritengo, in realtà, che questo non sia vero. Se anche la compagna Conti o, poniamo, altri autorevoli dirigenti comunisti, improvvisamente consapevoli, nella loro coscienza della giustezza della proposta radicale sull'aborto, avessero scatenato fuoco e fiamme non sarebbe cambiato nulla o quasi nulla. Dico di più: se il paese avesse votato, il 17 Maggio, ad esempio anche sul nucleare e sulla caccia, cioè su referendum che l'opinione comune ed i sondaggi demoscopici ritenevano vincenti, queste consultazioni avrebbero con tutta probabilità seguito la sorte degli altri referendum, anche se con più alte quote di "SI". La linea politica vincente, in questi referendum è stata quella del Partito Comunista Italiano.
Il PCI è riuscito con questi referendum ad assumere una leadership generale dello schieramento laico su posizioni moderate, ad imporre cioè una vera rivincita rispetto al 1974, quando per l'iniziativa radicale e del movimento per i diritti civili - oltre che per quella opposta del fronte clericale - fu letteralmente costretto ad assumere nel paese la leadership dello schieramento laico e di sinistra su posizioni progressiste e non ad arrivare ad un accordo compromissorio con la DC e gli altri partiti.
In nome della difesa della legge sul divorzio si realizzò una offensiva sui valori migliori dello schieramento laico e di sinistra, che per la prima volta marcò in Italia una vittoria di unità - rinnovata nelle sue idealità e nelle sue scelte - e di alternativa alla Democrazia Cristiana.
Ed è nella strategia per il rinnovamento, l'unità e l'alternativa della sinistra che va letta la politica referendaria del Partito Radicale, così come gli altri terreni della nostra lotta ventennale: da quello nonviolento e di disobbedienza civile a quello istituzionale, a quello della promozione e dell'organizzazione delle diversità politiche e sociali.
Il Partito Radicale non ha mia inteso la politica referendaria come uno strumento del proprio rafforzamento di parte sempre, in un sistema politico reso fradicio dalla totale mancanza di programmi alternativi e progetti di alternativa al regime, noi abbiamo utilizzato lo strumento del referendum per chiamare i cittadini ad assumere in prima persona alcune scelte su temi essenziali della vita del paese e per far venire allo scoperto le altre forze politiche e, particolarmente a sinistra, far emergere le contraddizioni di cultura e una pratica politica di tipo consociativo.
Così, nel 1974 è venuta fuori l'Italia laica e disposta al cambiamento. Nel 1978 è venuta una larga protesta contro la solidarietà nazionale e, più in generale, contro le degenerazioni partitocratiche.
Nel 1981, è venuto fuori un "effetto-regime".
Occorre, care compagne e compagni, essere molto netti: noi non riteniamo di aver vinto i referendum. Vivaddio, i referendum si vincono con il 51 e non con 15 o il 20%. Noi non riteniamo di "avere triplicato i nostri voti". Abbiamo detto e pensiamo altro. Neppure e tanto meno abbiamo detto che "il popolo è stato bue".
Noi riteniamo, a conclusione di una campagna condotta da uno schieramento che raggruppava contro le nostre posizioni la totalità delle posizioni politiche in Italia - e, che si è contrapposto spesso con violentissima azione di falsificazione e sempre con una determinazione demonizzante alla proposta radicale sull'aborto, che il non aver perso l'elettorato radicale - il quale in una certa misura è senz'altro confluito sul doppio NO - ma l'aver moltiplicato l'area di influenza della nostra proposta politica sia stato in una simile situazione un grosso successo.
Anche qui occorre essere molto netti: ci si è rimproverati di fare del vittimismo. Qualcuno mi ha detto "nella tua introduzione, non rispolverare questa storia delle menzogne, delle bugie: adesso che le bocce sono ferme ragioniamo con calma, teniamo da parte emotività o lamentele". Vedete, cari compagni: l'effetto regime si vede anche in questo. Noi non dobbiamo aver paure di chiamare una vergognosa campagna di menzogne col proprio nome. Anzi: in questo Congresso dobbiamo ricordarlo a chi accetta questo metodo leninista come una normale regola del gioco. No! I radicali non molleranno; si batteranno fino in fondo; porteranno a conclusione le decine di processi in corso contro il PCI, l'UDI, Comitati Difesa 194, i quotidiani comunisti; continueranno a ripetere fastidiosamente per alcune o molte orecchie sensibili queste parole: menzogna, falsificazione, inganno scientifico dell'elettorato. Perché di questo e non di altro, così amici e compagni, si è trattato.
La gente ha scelto, come spesso diciamo, anziché fare, ha preferito "farsi fare". Ne prendiamo atto. Prendiamo atto che "l'effetto-regime" (il quale non sarebbe tale, per definizione, se non trovasse una legittimazione popolare) ha funzionato nel determinare una larga maggioranza popolar-conservatrice, nell'aggregarle una larga fascia di cittadini disinformati. Al di fuori, sono rimasti undici milioni di voti bianchi, nulli ed astenuti. Rimane la fotografia definitiva di un'area di opinione minoritaria che si è aggregata sul referendum del Movimento per la Vita e che coincide sostanzialmente con i cattolici praticanti del nostro paese (e speriamo che i fantasmi del Medioevo, agitati scioccamente da sinistra sul divorzio ed ancor più oggi sull'aborto, siano d'ora in poi definitivamente lasciati riposare nei sotterranei del Vaticano e che se ne sappia trarre l'insegnamento necessario nelle sedi in cui vergognosamente ci si viene a riproporre l'aggiornamento del Concordato di Mussolini).
Rimane, infine, un'area minoritaria di progresso democratico, non riducibile, che ascolta la propria coscienza ed i propri valori che sa conquistarsi un'informazione veritiera, che non ha bisogno dell'indicazione dei partiti della sinistra storica per votare a difesa della libertà e della Costituzione, così come i due terzi dell'elettorato della sinistra storica non possono che disobbedire all'indicazione di voto del proprio partito a favore dell'abolizione dell'ergastolo come sono assuefatti da anni alla politica di destra di queste forze della sinistra, che predicano autoritarismo, e leggi liberticide razzolano da vent'anni nell'impotenza che hanno creato dello stato di diritto e delle istituzioni democratiche.
Il Partito Comunista ha ricercato con ferrea determinazione le condizioni di questa sua egemonia di segno moderato del fronte laico per riproporre una sua immagine `di alternativa" attraverso la contrapposizione ad uno schieramento d'opinione cattolica che ha fatto la su a parte per le proprie convinzioni, e che in realtà è "altro" rispetto agli interessi conservatori e di potere della DC e contemporaneamente come un fatto minoritario estremista nuovamente radical borghese e cancellare dalla memoria storica del paese 10 anni di politica e di lotte radicali e femministe, libertarie ed antifasciste in materia d'aborto.
Ed ecco che oggi, il Partito Comunista, mentre mostra il suo chiaro volto "alternativista" indica esplicitamente come accettabile per la transizione la soluzione Visentini; in realtà esso rispolvera un volto demagogico e per molti versi frontista mentre punta organicamente a soluzioni di questo tipo che non sono altro che la riproposizione sostanziale della politica del compromesso storico.
E' per tutta questa serie di ragioni che abbiamo definito come un successo politico l'aggregazione di alcuni milioni di elettori sul "SI" ai nostri referendum. Per questo abbiamo denunciato che la vittoria dei "NO" costituisce un nuovo passo indietro rispetto alla strada del rinnovamento, dell'unità e dell'alternativa della sinistra.
Perché, cari compagni, pochi giorni prima del voto sui referendum ci è arrivato dalla Francia con la vittoria di François Mitterand il messaggio della speranza che è il messaggio della chiarezza: la sinistra vince quando si candida non alla contestazione di un sistema di potere, ma al governo della cosa pubblica con la forza dei propri valori di diversità e di cambiamento.
In questo senso abbiamo detto che dal voto esce la fotografia di una situazione grave in cui le responsabilità ed i compiti del Partito Radicale, anziché diminuiti, sono accresciuti. In questo senso abbiamo riconfermato la nostra scelta ormai ventennale per l'alternativa laica e di sinistra all'indomani di un risultato che pare, di nuovo e sensibilmente, renderla più difficile e più lontana.
E questo, allora, è il significato del nostro 25· Congresso Straordinario; un Congresso nel quale il Partito Radicale potrà e dovrà interrogarsi sulla sua politica passata e recente e soprattutto tracciare i primi lineamenti della sua politica futura. Non per nulla abbiamo risposto a chi ci sollecitava un processo di "autocritica" che a noi non interessano le procedure tipiche delle organizzazioni central-burocratiche all'indomani di un insuccesso elettorale: a noi interessa (e probabilmente più che in passato dobbiamo sviluppare) un processo critico, rivolto certamente anche alle nostre inadeguatezze. Perché solo dal dialogo può trarre forza un'organizzazione libertaria: ed oggi riflessione e dialogo sono necessari nel Partito Radicale per lanciare, senza ideologizzazioni o superficialità ripetitive, le nostre nuove battaglie politiche. Ma, evidentemente, senza i piagnistei o le autoflagellazioni, che da qualche parte si annunciano. Perché deve essere chiaro a tutti noi che il Partito Radicale oggi raccogli
e, sui temi della giustizia, delle libertà, della difesa della Costituzione, le bandiere storiche del movimento progressista; che le antiche idee socialiste e libertarie, quelle nonviolente, antimilitariste, laiche, anticlericali, della difesa e la promozione delle minoranze, antiautoritarie rivelano oggi con chiarezza di essere le idee giuste, le uniche su cui puntare per intraprendere un cammino Mitterandiano anche in Italia. E i temi della "rifondazione statutaria e politica" del Partito - che oggi cominciano ad affrontare in sede Congressuale aprendo una grande confronto che ci porterà - attraverso il congresso ordinario di novembre - al Congresso di rifondazione dell'Agosto '82 - non sono certo quelli della rottura con l'esperienza di questi venti anni: sono anzi il segno della continuità coi valori di fondo cui abbiamo dato corpo con questo partito di poche migliaia di iscritti, di poche centinaia di militanti, che è stato e continua ed essere per milioni di italiani un riferimento democratico ormai in
sostituibile. E' stato tracciato nel 1967, il nostro Statuto, perché fosse la prefigurazione organizzativa e politica dell'unità federativa e federatrice della sinistra: va ripensato e aggiornato oggi anche perché queste forme organizzative non possono, nei prossimi anni, continuare a rimanere in larga misura sulla carta. Perché il Partito Radicale, in buona sostanza, deve darsi nel tempo la forma attraverso la quale propone la sua alternativa, attraverso cui si realizzano concretamente le sue lotte. Altrimenti, può concretizzarsi il rischio, che è sempre esistito, di ridursi a forza di testimonianza, di trasformarsi nel Partito che vede giusto, che ha ragione (e, di percorrere un cammino analogo a quello terminale del Partito d'Azione, oppure di ridursi ad essere forza-alibi per il regime).
Se "rifondazione" non significa dichiarazione di sconfitta dello Statuto del 1967 ma, anzi, sviluppo delle sue premesse di carta teorica del PR, tanto mono essa può significare sotto mentite spoglie al liquidazione del Partito. E' impossibile che il Partito debba attrezzarsi per un lavoro lungo e paziente di costruzione di nuove lotte e delle forme adeguate per realizzare: ma per qualunque prospettive c'è bisogno di tutte le energie che abbiamo espresso in questi anni e di molte altre che dovremo acquisire. In questa sede io mi sento di indicare intanto alcune direttrici su cui possa utilmente avviarsi il dibattito sulla rifondazione; un maggiore sviluppo delle realtà associative di partito basate su temi specifici più che sul modello territoriale; una promozione marcata e coraggiosa dell'associazionismo radicale in tutta l'Europa; la realizzazione, da subito, di strumenti adeguati di ricerca e dibattito, con particolare riferimento ad una struttura di comunicazione scritta se è vero, come credo sia vero, ch
e la indispensabile esistenza della rete di Radio Radicale - come ha affermato Angiolo Bandinelli - rischia di sostituire una `maniera", una "lingua" radicale alla parola ed al dialogo politico per realizzare i quali troppo spesso manchiamo degli strumenti adatti.
C'è un versante politico su cui io mi auguro che il nostro Congresso sappia esprimere un dibattito ed indicazioni politiche di grande respiro e di immediata validità politica. E' il versante internazionalistico, antimilitarista e pacifista, della lotta contro lo sterminio per fame nel mondo.
Alcuni compagni, nel nostro dibattito precongressuale, hanno inteso mettere in guardia il Partito dal muoversi su lotte che sono state definite "planetarie" o "stratosferiche", quasi che l'affrontare questi temi equivalga ad una fuga dalla difficile realtà di tutti i giorni e ad un tuffo in una dimensione che rischierebbe magari di essere impolitica.
Io credo che sia esattamente il contrario. Che, cioè, il problema non sia quello di trasferirsi su qualche improbabile pianeta, ma semmai di porsi in un più efficace punto di osservazione della realtà. Angelo Panebianco ha analizzato tempo fa la totale assenza, nel nostro paese, di ciò che comunemente si definisce "politica estera". E' un disastro, questo, che riguarda la Democrazia Cristiana ed il suo pedissequo asservimento sul piano internazionale, così come i partiti di opposizione. La crisi della distensione, in particolare, ha messo in crisi il PCI, che se "doveva essere all'interno partito di lotta e di governo", volere insieme la rivoluzione e l'alleanza col partito conservatore, doveva conciliare sul piano esterno sia il mantenimento dei legami con l'URSS sia l'accettazione della NATO".
Nella classica trasposizione delle vicende interne del nostro paese rispetto a quelle internazionali e viceversa, il fallimento della distensione mette ulteriormente in difficoltà l'alleanza del PCI con la DC, il mantenimento dei suoi buoni rapporti con Mosca e la garanzia di una non-interferenza USA. Tutte situazioni, queste, che consentivano le necessarie ambiguità al Partito Comunista e garantivano, il perenne mantenimento del predominio democristiano.
Oggi, nella nuova situazione internazionale, appare difficile per il PCI sostenere il riarmo NATO e non cadere contemporaneamente nelle braccia della propaganda degli svariati "partigiani della pace" sovietici e filosovietici. Ma appare paradossale una sponsorizzazione dell'alleanza militare occidentale che ne rifiuti la necessaria filosofia ed il corollario degli ammodernamenti nella tecnologia bellica: diventa ridicolo, ad esempio discriminare armi "buone" da armi "cattive" (come nel caso della bomba al Neutrone).
Ci sono altri elementi su cui questo Congresso deve a mio avviso riflettere attentamente, che riguardano la valutazione della "politica estera" del Partito Socialista Italiano.
E' qui, credo, che la distanza teorica, politica e morale tra le posizioni dei socialisti del PR ed i socialisti del PSI si fa più grave e profonda.
Se nella parte di questa mia comunicazione in cui ho tracciato un bilancio del voto referendario non ho dedicato che alcuni accenni al Partito Socialista Italiano è perché mi è chiaro come a sinistra oggi esistono solo due posizioni: quella comunista e quella radicale. Dopo l'inutile enfasi del suo Congresso di Palermo, la crisi ed insanabili contraddizioni stanno avvolgendo il Partito Socialista e la sua politica di centro-sinistra. La convergenza sui referendum con il Partito Radicale si è trasformata da parte socialista in una operazione di liquidazione dell'istituto referendario e di questo progetto referendario. Quella che io avevo definito al Congresso socialista come una "governabilità illusoria" deve oggi fare i conti con questi risultati dei referendum determinati anche dall'irresponsabile subalternità del Partito Socialista. Io mi chiedo: la detenzione di tre uomini da parte delle Brigate rosse può essere compensata dall'87% di No sulla Legge Cossiga? Il nuovo rinvio delle riforme democratiche dell
e istituzioni preposte alla giustizia e all'ordine pubblico che questo voto di conservazione sicuramente giustifica ed induce è una spinta a governare meglio il paese, o non è piuttosto un nuovo avallo allo sfascio provocato dal regime democristiano. Eppure, compagni socialisti, è di pochi mesi fa la splendida battaglia che abbiamo condotto insieme sulla vicenda D'Urso: quanta acqua, quanto fango da allora è passato sotto i ponti!
Ma la distanza tra i valori che dovrebbero unirci (gli unici, lo ripeto, cari compagni, che possono fare la forza della sinistra e della sua componente socialista e libertaria in particolare) e la politica che ci divide si fa immane, come dicevo, sulle questioni internazionali. Non tanto e non solo perché è socialista oggi il Ministro della Difesa che sovrintende alla prosecuzione della nostra mediocrissima e pericolosa politica militare; non tanto e non solo perché sono socialisti i Ministri (loggia P2 permettendo) che dal Ministero del Commercio con l'Estero e delle Partecipazioni Statali pilotano gli immondi traffici dell'esportazione di armi italiani sempre più numerose e sofisticate verso una gran parte dei teatri di guerra, degli stati fascisti o totalitari del mondo contemporaneo, quando non addirittura la violazione del Trattato di Non Proliferazione Nucleare attraverso la fornitura di tecnologia nucleare militare ad un paese come l'Irak, perdipiù in guerra.
Guardiamoci attorno: tutta l'Europa è travagliata da un moto popolare contrario alla guerra, e questa contrarietà alla guerra assume oggi caratteri non astratti ma concretissimi attraverso l'opposizione alla installazione di nuove generazioni di armi atomiche. E' così in Olanda, come hanno dimostrato le ultime elezioni in cui sono stati sistematicamente premiati, in ogni partito, i candidati contrari ai missili rispetto a quelli orientati a favore; è così nei quattro paesi nordici, che rafforzano proprio in questi giorni i loro legami - indipendentemente dalla colorazione progressista o conservatrice dei governi - attraverso un'iniziativa comune di rifiuto delle armi atomiche; è così, in modo dirompente, in Gran Bretagna; è così in Belgio, così in Germania ed in altri paesi. Solo in Italia viviamo la spaventosa abulia di chi ha accumulato per decenni una politica di fatalismo e di assuefazione - ma sarebbe meglio dire di estraneità - alle scelte militari ed internazionali.
Come se la guerra - quella che è in atto e si traduce ogni anno in decine di milioni di morti per fame, e quella che quotidianamente si prepara non ci riguardasse. C'è in questa situazione tutto il provincialismo e la miopia di una classe al potere che una volta sollecitata dalle dichiarazioni del Presidente della Repubblica, sente il bisogno di andare alla ricerca delle ricevute fiscali circa l'attività di qualche agente segreto, perché altrimenti non sa percepire l'azione internazionale di destabilizzazione che è in corso da anni nel nostro paese.
Quale damagogica finzione, compagne e compagni, induce la nostra classe di governo a sottovalutare il fatto che nel giro di pochissimi anni saranno esaurite - in virtù degli spaventosi progressi qualitativi della corsa agli armamenti - le possibilità concrete del negoziato per il disarmo o anche per il controllo degli armamenti. Che se ci sono voluti 3 anni per realizzare il SALT 1, circa 7 anni per realizzare (e non ratificare) il SALT 2, cioè negoziati che prevedono comunque un enorme riarmo, una "limitazione" delle armi nucleari a livelli ancora più immani degli attuali, il SALT 3 non si realizzerà mai? Ma non tanto perché siamo "tornati alla guerra fredda", quanto perché in breve tempo sarà impossibile mettere sotto controllo tutto lo spettro delle innovazioni tecnologiche. Ma parliamone, esplicitamente, di queste cose, alle quali probabilmente noi stessi rischiamo di assuefarci in un processo - anche noi - si delega alle realpolitik: nel giro dei prossimi anni gli arsenali delle superpotenze, altre al "
perfezionamento" degli arsenali nucleari tattici e strategici, chimici e batteriologici, per le alterazioni genetiche e la guerra meteorologica saranno arricchiti dalle strumentazioni per la definitiva vittoria della guerra antisommergibile (che rappresenta, com'è noto, il "cuore" dell'equilibrio del terrore non essendo attualmente i sottomarini identificabili nelle profondità dei mari) attraverso l'applicazione di una ventina di sistemi diversi coordinati attraverso i milioni di occhi dei satelliti militari; dall'adozione di sistemi missilistici intercontinentali quale l'MX, che prevede di trasportare su duecento circuiti ferroviari altrettanti missili dotati ciascuno di dieci testate nucleari indipendenti in un sistema di ventiquattro rampe di lancio per ciascun circuito, in una costante rotazione che costringerà l'avversario a bersagliare questi colossali insediamenti con 4.800 testate nucleari per avere la certezza della loro distruzione; da sistemi anti-missile (fondati su schermi di sbarre di uranio sp
ento ad alta penetrazione oppure sull'emissione di particelle subatomiche neutrali) i quali vanificherebbero qualsiasi attacco nucleare sia balistico sia orbitale; dall'adozione dei sofisticati e poco dispendiosi (e quindi di certa proliferazione) di missili da crociera del tipo Cruise non solo in funzione tattica ma strategica; dallo sviluppo dei sistemi a più finalità basati sulla nuova micidiale generazione di raggi laser; dalle nuove spregiuticatissime utilizzazioni dello spazio (in ovvio spregio e violazione dei trattati che lo proibiscono) per finalità militari; dagli avanzamenti quantitativi di alcuni altri sistemi d'arma. Ma si consentirà di parlarne, solo per far capire a chi mi ascolta quale dimensione demenziale abbia raggiunto - nella più generale disinformazione e distrazione - la scienza della morte e l'accumulazione di armamenti che ci viene contrabbandata da chi vi profitta ignobilmente come "accrescimento della nostra sicurezza". In un solo sommergibile dotato di missili nucleari Trident del
la seconda generazione (ed i progettati sistemi sovietici denominati Typhoon sono agli stesi livelli) esistono testate nucleari capaci di colpire qualcosa come 408 città o bersagli qualsivoglia delle superpotenze avversaria.
Di fronte a questa situazione è del tutto evidente che lo scenario della proliferazione nucleare, e cioè la continua estensione del numero degli Stati titolari di un armamento atomico appare come un gioco da ragazzi. Ma la classe dirigente del mondo contemporaneo ha già ripetutamente mostrato di non preoccuparsi troppo del fatto che il Sudafrica, Israele, il Pakistan, l'Argentina, il Brasile e diversi altri Stati prevalentemente dittatoriali detengono o siano in procinto di detenere la bomba; tant'è vero che l'Italia è pienamente associata a quest'opera di altruismo internazionale - come ho già detto - attraverso una fornitura nucleare all'Irak.
Entro pochi anni, quindi la pace senza un effettivo disarmo sarà impossibile, sarà impensabile.
Ma come vincere questa lotta per la vita? Come spiegare alla gente che se le finalità dei complessi politico-militare-industriali delle potenze militari fossero quelli del mantenimento della pace, magari attraverso l'equilibrio del terrore, si potrebbe ottenere questa garanzia lasciando navigare nei mari, paradossalmente, un paio di sottomarini nucleari per parte? E che invece l'unica regola che domina è la ricerca di profitti e porzioni di potere sempre più elevati, e sono questi fattori oggi ad imporre nelle nostre società la cultura dell'"ineluttabilità del riarmo"?
E' concepibile che ci tocchi ascoltare solo da un uomo autoritario ed antidemocratico come il Presidente della Romania Ceausescu un discorso sensato come quello fatto due anni fa, quando ha rifiutato di aderire alle richieste sovietiche di incremento dei bilanci militari: "Oggi in Europa ci sono abbastanza armi per distruggere ogni forma di vita 18 volte. A che serve che io contribuisca a portare questa potenzialità distruttiva a 19, 20 o 21 volte?"
Di fronte all'asservimento morale, politico ed economico di chi asseconda il galoppo verso un'accumulazione di armamenti che distrugge le nostre ricchezze e prepara una guerra certa (che potrebbe non esplodere al momento giusto solo se la decretassero in anticipo dei meccanismi casuali che oggi si annunciano con sinistra frequenza) occorre muovere le coscienze, organizzare la gente.
Dev'essere questo, io credo, uno dei prossimi compiti del Partito Radicale, che è rimasto molto indietro su queste cose.
E' possibile avviare anche in Italia un grande movimento popolare in tempi non lunghi, come negli altri paesi europei. E' possibile sconfiggere l'ignobile politica collaborazionista dei socialisti italiani con i disegni del ricamo. Su questi temi, evidentemente, la nostra divisione dal PSI, richiama oggi le più gravi divisioni storiche all'interno del movimento socialista internazionale.
Ma perché il PR sia all'altezza di questo compito occorre innanzitutto creare una culture nuova affermando un nuovo approccio teorico alle questioni della politica internazionale.
Anche qui, non occorre inventare nulla di inedito, ma è necessario rendere più sicuro un commino intrapreso da vent'anni, da quando Giuliano Rendi e gli altri radicali formulavano la proposta antimilitarista del Partito Radicale, e nutrivano questo originale e moderno internazionalismo basato su un approccio unilateralista innanzitutto sull'analisi e la denuncia dei nazionalismi. Oggi, nuove forme di nazionalismo sono alle porte. qualcuno, sorridendo, le riscontra nelle parole del segretario del Partito Socialista, che chiude il suo discorso al Congresso di Palermo intonando "Viva l'Italia!", ma a noi interessa vederle in una politica che punta nuovamente ad organizzare l'insicurezza della nazione, come avviene classicamente, attraverso nuove ideologie dell'emergenza e nuovi provinciali populismi. In definitiva, attraverso l'assenza totale di una politica estera che non sia l'adeguamento al dominante esercizio del cinismo internazionale.
Possiamo dire che la proposta di politica estera del Partito Radicale è contenuta nella Mozione del XXIII Congresso Straordinario del Partito Radicale, richiamata all'impegno di tutti i radicali dal VII punto della Mozione politica approvata quest'anno. Il Partito Radicale è convinto che l'unica politica di progresso che possa essere sostenuta dall'Occidente sia quella che trasferisce la competizione con l'Unione Sovietica dal terreno militare (che è quello su cui più congenialmente e spregiudicatamente si muove la burocrazia gerontocratica del Cremlino) a quello che è stato definito "dei diritti umani".
E' il contagio della democrazia, del pluralismo, delle libertà, in particolare, quello che può consentire di sottrarre ad una condizione totalitaria i paesi dell'est: la vicenda della Polonia parla chiaro in questo senso. Chi vuole mantenere il confronto al livello delle stanze dei bottoni nucleari è anche colui che oggi si assume l'atroce responsabilità di censurare persino ad Occidente l'avvenuta morte di Juri Kudd, professore universitario estone. Kudd - e io voglio operare questa denuncia dalla tribuna del Congresso radicale - è morto oltre due mesi fa, come Bobby Sands e gli altri nazionalisti irlandesi, dopo oltre tre mesi di sciopero della fame, attuato per sensibilizzare innanzitutto l'Europa sul suo caso di detenuto per reati d'opinione, per essersi pronunciato contro l'invasione sovietica in Afghanistan. Per Juri Kudd non ci sono state prime pagine, e neppure trafiletti sui giornali, se non una notizia data con due mesi di ritardo. Questo silenzio complice, nonostante gli appelli di Amnesty I. è eq
uivalso alla sua condanna a morte. Su questa vicenda, compagne e compagni, io chiederò al Congresso di assumere durante i suoi lavori iniziative adeguate, e fin d'ora chiedo alla stampa presente di muoversi per rendere onore e almeno in parte giustizia, ad un uomo di cui i familiari oggi non hanno avuto neppure il diritto di vedere il cadavere, seppellito a mille km dalla sua abitazione, non lontano dal gulag dove è morto.
C'è un approccio nuovo - dicevo - da percorrere e tentare di imporre, in un modo in cui l'interdipendenza dei diversi sistemi e sottosistemi rende sempre più fallimentare gli approcci multilateralisti generali. L'iniziativa aggressiva, autonoma, unilateralista sui terreni del disarmo e su quello della lotta contro lo sterminio per fame, che sono le due facce della stessa medaglia. E' una politica che darebbe un inestimabile prestigio ed un nuovo ruolo al nostro paese e quindi, certamente, maggiore sicurezza che asseconderebbe elementari esigenze di arresto dello spreco di risorse, che prefigurerebbe notevolissimi vantaggi di medio e lungo periodo attraverso un rapporto cooperativo con i paesi in via di sviluppo e detentori delle materie prime e delle fonti di energia, che potrebbe assegnare un nuovo ruolo a politiche federaliste di democrazie internazionale a partire dall'Europa. In definitiva, una politica unilateralista per il disarmo e lo sviluppo è l'unica sfida pensabile se non volgiamo obbedire allo st
atus quo ed alle orribili degenerazioni che se ne preparano né vagheggiare velleitariamente un "nuovo ordine internazionale" che non verrà mai.
Si tratta in definitiva di lanciare anche sul piano internazionale con il ricorso a nuove forze - ed in questo senso tutti noi aspettiamo da Marco Pannella di conoscere i frutti del suo lavoro ed i suoi progetti per la lotta contro lo sterminio per fame - lo stesso metodo di lotta, sperimentale, fondato non su programmi generici e tantomeno su opzioni ideologiche ma si obiettivi specifici che ha rappresentato la sfida del Partito Radicale nella politica italiana di tutti questi anni. E' una via, con tutta evidenza, terribilmente impervia, per imboccare la quale probabilmente non ci giova la scarsissima discussione ed elaborazione che è seguita all'approvazione dei documenti del XXIII Congresso. Si tratta di delibere che comportano un impegno generale del Partito la cui portata a tutt'oggi abbiamo affrontato con pressoché totale inadeguatezza.
Ho ritenuto doveroso, compagne e compagni, riservare la parte più ampia di questa mia relazione alle parti che riguardano la "politica estera" del Partito. Non perché io ritenga che in questo impegno debba esaurirsi od orientarsi in modo assolutamente prevalente la nostra politica, ma perché si tratta delle questioni su cui mi pare che si possa già in questa fase avanzare una riflessione più approfondita (e su cui, naturalmente, mi riprometto di fare alcune precise proposte di iniziativa al Congresso). Ma non posso, seppure brevemente, non formulare alcune altre ipotesi su cui invito il Congresso alla discussione.
I temi del referendum, innanzitutto, restano per il Partito Radicale un impegno centrale. Non sono battaglie che - come qualcuno ha inteso strumentalmente sostenere - nascono dall'oggi all'indomani. Nei temi delle 19 proposte referendarie radicali di questi anni c'è la storia di tutta la nostra politica alternativa e di alternativa: il passaggio di legislazioni più avanzate (sulla libertà d'antenna, i tribunali militari, i manicomi, sulla stessa legge 194 rispetto alla legislazione fascista), grandi battaglie ancora aperte (Concordato, nucleare, caccia, finanziamento pubblico, Inquirente, reati d'opinione ed altre norme del Codice Rocco, leggi speciali sull'ordine pubblico, droga e non-droghe, smilitarizzazione dei corpi militari dello Stato, ergastolo, porto d'armi, di nuovo l'aborto). E' bene, io credo, che il Congresso ponga davanti a sé questo imponente e splendido schieramento di proposte politiche. E' bene, credo, che lo pongano davanti a sé gli osservatori e le altre forze politiche. Chi può dire, in
Italia, di avere proposto al paese una simile apertura di temi di progresso e di cambiamento? Chi può, senza essere obiettivamente in errore per mancanza di consapevolezza o per dolo, affermare che il Partito Radicale è stato in questi anni una mera forza di protesta, e non di proposta? Il Partito Radicale, guardando a questi anni di lotte politiche quasi sempre solitarie e combattute controcorrente, può dire con orgoglio a sé stesso ed al paese di avere fatto la sua parte, una parte originale, creativa, indispensabile per impedire, sino ad oggi, la definitiva degenerazione di questa Repubblica.
Nello scorso Congresso indicando i temi dei referendum assieme alle lotte internazionaliste come i primi punti di un programma comune delle forze di sinistra in Italia. Questa proposta rimane valida. La nostra lotta continua. Dovremo attrezzarci certamente in modo nuovo, trovare altre vie.
L'istituto referendario esce profondamente cambiato dalla prova del 1981. E' necessario che anche qui il PR fornisca a se stesso ed al Paese gli strumenti di conoscenza ed analisi necessari per capire come operare da ora in avanti la difesa ed anzi il rilancio di un istituto che rimane comunque un baluardo della Costituzione che occorre salvaguardare e ricondurre negli ambiti della certezza del diritto. E' uno strumento che il nostro Partito deve mantenersi pronto ad utilizzare, anche se in forme nuove, nella consapevolezza che se talvolta si è peccato in casa radicale di una sorta di ideologizzazione del referendum, il bilancio di questi anni non ci porta certo ad essere dei "referendari pentiti" né per il numero delle proposte (corrispondenti ad una progettualità alternativa generale, se non certo ad un "programma alternativo") né tanto meno per il lavoro contenuto. Il paese esce comunque più maturo dalle prove referendarie, dopo aver attraversato un confronto democratico di massa che non ha precedenti né
analogie nel nostro panorama politico non a caso un sondaggio demoscopico a poche settimane dal voto indicava che la gente, disinformata sui contenuti dei referendum - e divisa a metà nel ritenere il referendum usato troppo o usato adeguatamente se non troppo poco - si dichiarava in buona maggioranza dell'avviso che il referendum è uno strumento utile per limitare il potere dei partiti (e qui nonostante la campagna di demonizzazione antireferendaria operata durante tutta la campagna elettorale).
Il paese attraversa una crisi gravissima. Fatti sconvolgenti si succedono ormai da mesi e squassano ed incalzano l'Italia: la decomposizione del sistema di potere democristiano - in assenza di Aldo Moro, che noi abbiamo definito come l'artefice di questo regime - si traduce in una selvaggia lotta da basso impero che coinvolge ora indirettamente ora direttamente tutte quelle forze che alla DC hanno fatto da satelliti nel trentennio del suo potere; la catastrofe del terremoto ed i vizi del dopo-terremoto, l'indebolimento crescente dell'economia, fatti atroci di terrorismo anche internazionale ci colpiscono. Ai frutti velenosi del malgoverno e della corruzione si aggiungono eventi che paiono tutti favorire il crescente distacco dei cittadini dalla politica, una sfiducia apparentemente insanabile nella possibilità che la cose possano cambiare in meglio (e, in questo senso, un segnale lo leggiamo anche nel voto referendario).
Ma non ci sono ricette miracolose, se è vero - come noi crediamo - che l'unico modo per cambiare le cose in meglio non può risiedere in soluzioni parziali o abborracciate. Manca una cultura e una politica di governo da parte della sinistra: il PR ripeterà sistematicamente - come una sorta di "delenda Carthago" - che l'unica via d'uscita sta nell'unità, il rinnovamento, l'alternativa della sinistra. Dobbiamo ripeterlo con forza in questi giorni, di fronte ad una pericolosa crisi di governo, aperta irresponsabilmente, che a maggior ragione e con drammaticità evidenzia la totale mancanza odierna di alternative credibili. Spetta a noi radicali aprire una riflessione più approfondita su questo sistema dei partiti e la sua generazione: non per lanciare velleitarie campagne "per la moralizzazione della vita pubblica", ma per valorizzare il nostro ruolo di opposizione costituzionale che non si limita a predicare l'attuazione della Costituzione a chi propone presunte "Grandi Riforme" istituzionali, ma sa avanzare ini
ziative concrete già in questa fase per garantire un esercizio corretto delle regole del gioco. L'informazione innanzitutto, il pieno funzionamento del Parlamento, l'arresto dell'occupazione sistematica di ogni aspetto della vita del paese da parte dei Partiti sono alcune battaglie essenziali. Ma non ci spaventa che propone di modificare l'uso dello strumento del referendum o i meccanismi elettorali: a condizione che si venga a misurare con noi, anche qui, senza barare.
Non saranno necessariamente tavoli truccati, quelli delle prossime elezioni amministrative, ma sono tavoli che non ci interessano. Io ritengo che questo Congresso debba invitare i cittadini ad astenersi dal voto, da un appuntamento cui il PR ha deciso di non partecipare per impiegare le sue poche energie in altri modi più utili.
Lo ripetiamo: i radicali eletti in questi enti locali - come dimostra una sperimentazione ormai sufficientemente significativa in numerose città italiane - sono spesso i migliori, ma possono assai poco. Senza contestare la legittimità ed anche talvolta l'utilità di simili scelte, il PR, un partito che può dichiarare di non aver mai ingannato o illuso il proprio elettorato, dove in questa fase, porsi altri obbiettivi, svolgere altri compiti, per i quali a maggior ragione c'è bisogno di una adeguata organizzazione del Partito. E io credo fermamente che il Partito Federale debba condurre con ancora maggior convinzione che nello scorso anno una campagna attiva di astensionismo, che non è una campagna di rifiuto delle istituzioni ma, anzi, una pratica importantissima di attivazione dei pieni diritti del voto. Come sulle elezioni generali, sui referendum, sulle elezioni amministrative, sulla miriade di inutili consultazioni minori (dalle rappresentanze scolastiche a quelle dei militari) dovere del cittadino è di u
sare la scheda nel modo che ritiene più utile, e dovere di una forza politica liberale e libertaria è quello di proporre se necessario iniziative di disubbidienza. Va anzi detto, chiaro e tondo, che l'appello radicale ad astenersi in assenza di una convinzione motivata e di adeguati elementi di informazione vale e lo ripeteremo egualmente anche in quelle elezioni in cui saranno presenti liste radicali, perché esso, corrisponde ad un impegno di laicizzazione del voto che mira alla sconfitta del voto "abitudinario" e passivo (che, com'è noto, premia innanzitutto le forze conservatrici).
A queste elezioni del 21 giugno saranno presenti - a Genova e in Sicilia - due liste formate da gruppuscoli minoritari di iscritti al Partito Radicale. Ho già avuto modo di affermare che si tratta di iniziative velleitarie e gravi, perdenti in partenza e concretizzatesi in candidature e programmi del tutto inadeguati a rappresentare anche in minima misura la credibilità radicale a Genova ed in Sicilia. Questi compagni non sono riusciti neppure a trovare il numero necessario di candidati per riempire le liste.
Sarà necessario, con tutta evidenza, informare l'elettorato radicale e tutti gli elettori circa le delibere del Partito Radicale in materia di elezioni amministrative, anche considerando che non mancheranno certo gli osservatori che attribuiranno il sicuro insuccesso di queste liste al Partito nel suo insieme.
Un'ultima considerazione: nella passata tornata amministrativa il PSI si è giovato - non certo per un inesistente "patteggiamento" con il PR - di una quota di voti di elettorato radicale. Fu una conseguenza dell'impegno socialista sulla raccolta delle firme per i referendum. Al di là di ogni equivoco, è bene dire che noi ci auguriamo, ed opereremo perché la gente lo comprenda, che un rafforzamento del PSI nelle elezioni del 21 giugno non rappresenterebbe in alcun modo un fatto rassicurante né positivo per la politica italiana e quella della sinistra in particolare.
Un'altra sollecitazione, in conclusione, tento di rivolgere al Congresso perché si chieda, nel corso del dibattito, se è venuto il tempo per il nostro Partito di rilanciare una grande battaglia che fu di Ernesto Rossi e che dalla sua straordinaria analisi sulla fondazione del regime democristiano rappresentava uno degli sbocchi più significativi. La crisi economica, la dilapidazione delle difese costituite dal risparmio, le vergognose sperequazioni della giungla delle retribuzioni ai danni dei pensionati delle categorie meno protette: questi ad altri fattori stanno determinando l'emarginazione atroce di una fascia sociale di anziani che è la meno protetta e tutelata dalla società consumistica e dallo Stato corporativo. Solo ogni tanti qualche indagine sociale rivela clamorosamente - per poi ripiombarla il giorno dopo nel silenzio - l'esistenza dei ceti che vivono in condizioni di profonda miseria. Abolire la miseria, bandire le condizioni dell'indigenza, organizzare nel paese e in Parlamento una lotta genera
le di liberazione morale e materiale dei più dimenticati tra gli emarginati, quelli della terza età, può forse divenire, senza improvvisazioni né improvvisazioni, uno dei temi centrali delle lotte radicali dei prossimi anni.
Il Partito Radicale, compagne e compagni, entra con questo Congresso in una fase importante e delicata: non ci sono ricette, non ci sono scorciatoie; ancor meno possiamo offrirci oggi delle certezze.
Sicuramente, dobbiamo in un momento come questo evitare tendenze integralistiche e puntare invece a trarre forza da tutte le diversità che si possono aggregare sulla politica radicale.
Come sempre, sarà dalla lotta e nella lotta che misureremo concretamente se il dibattito che si apre oggi aprirà a sua volta la strada per nuovi successi.
Il Partito Comunista ha tappezzato l'Italia di manifesti nei quali rivendica l'assenza dei suoi uomini dalle liste della P2. Abbiamo già fatto notare ai compagni comunisti e ai cittadini che la differenza tra le uniche due forze che sono fuori da questo luridissimo affare è che il Partito Comunista è stato ed è tuttora alla ricerca di un accordo con gli esponenti di questo stesso sistema di potere.
Noi radicali non amiamo la solitudine, ma sappiamo che essa è talvolta necessaria quando dappertutto si propongono delle pessime compagnie. E' sulla chiarezza della diversità dei contenuti e dei valori che si può impedire lo sfacelo e ridare corpo alla speranza. Per questo noi non rinunciamo oggi a rivolgerci a tutte le forze dell'arco costituzionale divorzista che, dai liberali ai comunisti, dimostrino di voler condurre con noi anche dei brevi tratti di strada. Ma, così come siamo stati soli a denunciare da molti anni le attività del signor Gelli, i soli ad additare al paese durante il sequestro D'Urso i pericoli che venivano dal cosiddetto "partito della fermezza" i cui massimi promotori - annidati sin nei massimi vertici dello Stato - sono oggi allo scoperto nelle loro gravissime responsabilità, oggi non abbiamo timore di rimanere ancora isolati nella nostra proposta di unità, rinnovamento ed alternativa della sinistra. Perché, ne siamo certi, non restiamo isolati rispetto a molti milioni di cittadini. E'
con questa convinzione e questa speranza che auguro a noi tutti un buon lavoro in questo 25· Congresso del Partito Radicale.