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Pannella Marco - 5 giugno 1981
(2) DAI DIRITTI CIVILI ALLA FAME NEL MONDO: Una storia per il presente
Relazione pronunciata il 5 giugno, primo giorno del congresso

INDICE

- Nota introduttiva, di Angiolo Bandinelli (3799)

- »Pannella il politico , di Michelangelo Notarianni (1057)

- »Una storia per il presente Relazione pronunciata il 5 giugno, primo giorno del 25· congresso straordinario del P.R. (3800)

- »Chi vuole le teste di cuoio? Replica pronunciata il 7 giugno ultimo giorno del congresso (3801)

SOMMARIO: La relazione introduttiva e la replica pronunciate da Marco Pannella al 25· Congresso (straordinario) del Partito radicale, tenutosi a Roma nei giorni 5, 6 e 7 giugno 1981.

"...abolire la miseria: era la grande bandiera radicale di Ernesto Rossi. Allora dobbiamo abolire la miseria che conduce allo sterminio, la politica di miseria alla quale assistono inerti - in termini di iniziativa politica - tutte le altre forze politiche che rendono omaggio ad una 'giusta politica internazionalista' sui problemi della fame nel mondo (...) che significa tacere? Potremmo essere radicali? ...sarebbe possibile essere credibili nella propria volontà di governare la pace, la libertà, il diritto positivo - Stato di diritto - il diritto alla vita, il diritto al cibo?"

("DAI DIRITTI CIVILI ALLA FAME NEL MONDO" - di Marco Pannella - a cura di Angiolo Bandinelli - Prefazione di Michelangelo Notarianni - Edizioni Quaderni Radicali / 6)

Una storia per il presente

Relazione pronunciata il 5 giugno, primo giorno del congresso

Autocritica attorno a un Barnum

Compagne e compagni, una prima osservazione, autocritica. Voi sapete, io ho detto che come sistema l'autocritica mi è estranea, fa parte di un mondo culturale ben preciso; se ora annuncio che faccio un'autocritica i cultori del sistema della autocritica probabilmente saranno però ugualmente delusi. Parlando la settimana scorsa con Francesco Rutelli, al telefono, dicevo: mah, essendoci - sia pure indotta e non giustificata, comprensibile e non giustificata - essendoci una situazione di sconcerto, probabilmente di stanchezza fra molti nostri compagni; essendo un momento nel quale siamo certamente colpiti - mi diceva che a Bari mi pare tre su sei, su sette, non so quanti, i membri della segreteria hanno gli esami di maturità da affrontare in questi giorni; e anche per altre considerazioni, dicevo dunque: »Ma, in fondo, non preoccupiamoci troppo, se avremo ottocento - e qui sono mille e cinquanta - posti per il nostro congresso . Ebbene pazienza, saremo forse pieni, ma preoccuparci di avere una situazione logist

ica più ampia forse è inutile, dinanzi al fatto che nel 1981, dopo trentacinque anni di gestioni comunali, nella nostra Capitale le strutture civili, le strutture per i dibattiti sono queste: se la Confindustria non ha un posto, se l'EUR non ha un piccolo posto fra le sue manifestazioni commerciali bisogna ripiegare altrove e, se non si è dei potenti, nei tendoni da circo .

E anche questa è - scusatemi, siamo alla vigilia delle elezioni, amministrative ma anche politiche e anche romane - se mi consentite, una piccola osservazione che possiamo fare: va bene nella Sicilia malfamata e di destra e mafiosa, che i compagni socialisti vi debbano portare il loro grande barnum; ma mi pare che un momento di riflessione vada fatto anche sul fatto che il piccolo barnum radicale deve tenersi in queste condizioni - a Roma - non perché le abbiamo scelte, ma perché la città di Roma non offre nulla a questo momento di vita democratica, se non la non convocazione e la non tenuta del congresso; e quindi l'abbiamo risolto in questo modo.

Se a quest'ora siamo quanti siamo, in piedi, il problema - voglio dire - si porrà un po' più gravemente oggi pomeriggio e poi domani. Problema non marginale, problema che ancora una volta forse dimostra che nei momenti peggiori noi rischiamo di non avere coscienza che la nostra crisi - puntualmente finora - si conferma come appuntamento con una crisi di crescita e di assunzione di nuove responsabilità e come tale - quasi miracolosamente; spontaneamente, non spontaneisticamente - viene vissuta da coloro che in queste condizioni decidono, con questo caldo, in queste condizioni, senza delegati finanziati dalle federazioni e via dicendo, di accorrere per fare di questo congresso un momento importante dei radicali, anche visivamente, anche per il numero di coloro che ritengono necessario dar corpo ad un partito radicale unito in un congresso più grande della volta precedente.

E' tutta qui la mia autocritica. Me ne scuso con i compagni della maggiore eleganza culturale, in modo particolare con il compagno Mauro Paissan e i compagni del »Manifesto ; i quali devo dire, ormai, grazie a Rossana Rossanda ci offrono (credo dovremo raccoglierli in volume) da quindici anni i più belli ed eleganti e anche più numerosi scritti di autocritica sempre puntuali; ci si chiede però quando cominceranno a trarne conseguenze che non siano di tipo letterario.

E ce lo domandiamo perché al di là dei malanimi io credo più che mai che con questo giornale noi dobbiamo assumerci il problema, vero, di un dialogo; questo giornale che è stilisticamente, formalmente - ma, quando si scrive, la forma... - ed anche graficamente l'unico continuatore dell'eleganza, del moralismo, della serietà - da questo punto di vista - che fu del »Mondo , della borghesia progressista italiana (siamo nati lì dentro!); ma questa sua dimensione stilisticamente altissima ha in realtà, come unico corrispettivo, la borghesia più o meno marxisteggiante o marxista che si esprime con un ventaglio altissimo di risorse retoriche - nel senso migliore - puntualmente su tutto, dalla polemica alla satira, alla costruzione ideologica, alla ricerca filosofica e via dicendo: e questo non è cosa da ignorare. Con questi compagni, io credo, al di là delle differenze strutturali, classiste - di classe - fra un gruppo di grande omogeneità culturale borghese come il »Manifesto ed un gruppo, invece di massima etero

geneità - di storie ed itinerari e linguaggi e condizioni sociali, come noi siamo - dobbiamo porci il problema di un dialogo.

Cos'è, oggi, il nostro congresso

La relazione che farò, compagni e compagne, verterà su più punti; prima vorrei fare però una premessa, annunciare i colori della fine della mia relazione, che deve essere centrata anche sull'attualità politica. I colori sono questi: possiamo tenere questo e non altro congresso perché all'inizio di quest'anno la mancata fornitura da parte delle BR del cadavere che gli veniva comandato dal regime ha impedito il golpe legale già organizzato nel nostro Paese e che vedeva le menti soggettive, l'organizzazione delle forze, in quello che è il mondo della P2, con il suo retroterra. In questo e solo in questo sono d'accordo, sul tentativo di ricerca che sta facendo Radio Radicale e Lino Iannuzzi; sullo sfondo, certo, le grandi centrali della destabilizzazione delle democrazie e del Mediterraneo: con il concorso - cieco - dei compagni comunisti che non si accorgevano, nella stragrande maggioranza, dove il tutto - l'uso di Visentini da parte dei Valiani e del »Corriere della Sera , della P2 e del regime - poteva portar

e, con quella designazione alla Presidenza del Consiglio che tutti sapevamo avrebbe seguito di quarant'otto ore la fornitura del cadavere di D'Urso al regime; il quale ne aveva organizzato l'arrivo, ne aveva comandato e ne comandava giorno dopo giorno la determinazione; e con il concorso, dall'altra parte, di quell'equivoco mondo radicaloide - ma di razza padrona - che è quello di Scalfari e di »Repubblica , che anch'esso ciecamente credeva di potere in questa occasione forse liquidare i conti, non sappiamo bene con che cosa... Con queste due convergenze, il governo fondato sul cadavere di D'Urso, pronto, previsto, lanciato massicciamente - in modo terroristico - dalla messa in condizione della stampa italiana, è stata un'occasione storica mancata che ci dà un respiro importante; di mesi, e forse di un anno.

Ma se si fosse catalizzato quel fatto, che noi con la disponibilità delle »cose socialiste, non con un disegno ed un'iniziativa socialista, abbiamo drammaticamente, da soli, evitato - insultati per i nostri eccessi, insultati per il nostro stile - costringendo i compagni assassini delle BR a non essere assassini in quel caso, incalzando nelle coscienze, nelle case, nei garages in cui costoro prefigurano la loro società antifascista! ...sarebbe stata un'ulteriore conferma di quanto già sapevamo: avremmo avuto cioè confermati anni di lettura della realtà italiana, della realtà della DC, della realtà di classe, della realtà della politica che si inaugura nel 1936, che si conferma con lo sbarco a Salerno, che si riconferma ancora nel novembre del '73 con il compromesso storico, con la conferma delle subalternanze, antidemocratiche degli altri, antiliberali dei liberali, rispetto ai poteri stabiliti: dei quali costoro vogliono fare solo, in genere, i fiori all'occhiello, increduli essi stessi nella capacità libe

rante della libertà e del diritto; ecco, se noi non avessimo avuto dalla nostra questo patrimonio chiaro, una coscienza politica "unica" (ciascuno ha la sua coscienza politica »unica , ma la nostra...), questo congresso e la vita del Paese si sarebbero svolti secondo linee non sappiamo quali, ma certamente diverse. Ricordate la rabbia che ha salutato la vita di D'Urso, la rabbia che non ha nemmeno avuto la capacità di nascondersi, gli appelli a quel Quirinale che era già condizionato dai golpisti e dai corruttori per cercare di mettere in cortocircuito il presidente Pertini rispetto alle forze della democrazia e della civiltà giuridica del nostro Paese! Lo dicemmo allora!... Terminerò la mia relazione ritornando su queste cose che ho voluto subito iscrivere come premessa alla lettura della realtà che abbiamo determinato e dalla quale siamo determinati.

Messa a punto sulla strategia radicale

L'incedere della relazione sarà più o meno questo, compagni, una serie di precisazioni che mi sembrano necessarie. Sentiamo dire - nel e fuori il partito - che la strategia radicale nella quale si sostanzia l'iniziativa storica del partito radicale è ormai battuta e finita. Chiedo a ciascuno di dire in quale documento, in quale momento della nostra vita politica di socialisti libertari alternativisti nonviolenti di singolarità estrema noi abbiamo mai detto che la strategia radicale era la strategia referendaria. Noi abbiamo sempre affermato che avevamo una strategia, una linea referendaria, ma anche una linea di iniziativa nonviolenta di base - quella che dà corpo storico ad una cultura di alternativa che era dimenticata e battuta, l'unica socialista autogestionaria alternativista e di pace possibile, che ha caratterizzato la nostra esistenza di pochi con carceri, digiuni ed altro, e ha caratterizzato fino alla satira, come è giusto, fino alla polemica spicciola - fino all'individuazione, direi, nell'humus d

ella mormorazione - il radicale come il digiunante, vero o falso; come il carcerato indegno; come il drogogeno, l'abortogeno e via dicendo. E poi l'altra, la strategia del diritto, la strategia legislativa, la strategia della proposta la strategia della rivendicazione - per dei libertari - del diritto come momento massimo della crescita sociale possibile; battendo quella vecchia, fradicia, cultura pseudoanarchica che sembra rivendicare allo stato di natura non già le leggi della jungla, ma leggi bucoliche la cultura di quanti ritengono che la corruzione della natura e della storia vengano a partire dalla nascita del diritto e dello Stato; affermando invece - come noi abbiamo sempre affermato - che la peggiore delle leggi è meglio della nessuna legge nella legge della jungla, che è appunto legge di violenza, e che l'attività morale di una politica radicale libertaria non può che essere costantemente volta a prefigurare e rispettare - magari socraticamente - il diritto come momento fondamentale della convivenz

a nella libertà e nella responsabilità di ciascuno.

La politica radicale va quindi vista attraverso la riaffermazione di questi tre volani che sono anche tre presenze nella vita "sociale", nella vita "culturale" di un'epoca: quella della nonviolenza quella del diritto e quella referendaria per il metodo; per strappare, a coloro che hanno tradito la Costituzione - chiamandola »ordinatoria invece che »perentoria , e sono riusciti a sottrarci i termini, classici in democrazia politica, di alternanza e di alternativa - per strappare appunto alla Costituzione e alla vita di ogni giorno quel tanto di bipolarismo che solo con la pratica dei referendum abbiamo potuto e possiamo tentare per il momento di realizzare nel nostro Paese, dandogli quel tanto di continuità e di consonanza con le democrazie politiche che sono vissute e non sono morte nella storia: il "confronto bipolare ed alternativo", che onora le due culture che vengono a confronto, onora i due ideali, le due posizioni, e può »inverarle nella vita della società e della storia.

Su questo abbiamo da essere giudicati. E allora la coscienza del nostro passato o è coscienza del presente o è luogo di ricordi, di frustrazione, oasi lontane che ci inventiamo per trovare un approdo, falsamente bello solo se dimentichiamo di quanta estrema umiltà ed estrema drammaticità è stato fatto ogni momento che oggi noi ricordiamo bello e in realtà fu bello perché ebbe tutti i sigilli, ma anche tutte le ferite proprie di momenti umanamente drammatici, fatti di lacerazione - in ciascuno di noi - fra quel che di noi è singolare e attività morale in senso proprio e stretto e quel che di noi è senso comune (e non buon senso) anonimia, cosa, prodotto: non solo genetico, ma prodotto sociale, prodotto da consumare, di consumo.

Sicché a questo punto, "subito", il primo tema della mia relazione: per arrivare lì dove arriva l'articolo, il bell'articolo di Franco Corleone. Glielo dicevo prima: succede a ciascuno di noi, Franco, il tuo è un bell'articolo che riesce però ad essere una »summa di banalità e di senso comune, non di buon senso. Succede, mi succede spesso e succede anche a Franco Corleone. E »Repubblica in questo non si sbaglia, quando promuove attore Corleone di questo tipo di giornata, ma negli altri trecentosessantatre giorni della vita di Corleone non lo promuove affatto, ma lo soffoca.

I referendum: la lunga marcia

"Risultati e conseguenze del referendum": è questo il punto dal quale dobbiamo partire, compagni, con puntualità, con serietà, fino alla noia. Ha ricordato il segretario del partito che un »trittico in qualche sorta è costitutivo della stessa storia radicale: alternativa, unità e rinnovamento della sinistra: con un altro trittico accanto: alternativa, unità e rinnovamento laico, libertario e socialista; con un altro trittico ancora (ci venivano così a grappoli di tre): per un'iniziativa anticlericale, antiautoritaria, antimilitarista. Ha forse un suono diverso dire »antimilitarista oggi, per qualche orecchia che riteneva che noi fossimo non già coloro che annunciavano le necessità classiche orecchio che riteneva che noi fossimo non socialisti, ma invece i cultori di »cose passate e putrefatte della storia del movimento operaio e della storia dei movimenti di libertà nel mondo; e, ancora, dire »autogestionario e, ancora, tante altre cose. Quello che ha fatto la nostra solitudine - non scelta come solitudi

ne ma scelta come proposta positiva - era appunto questo: alternativa e unità, concetto di democrazia politica, alternanza e alternativa: perché ritenevamo che le condizioni storiche del nostro Paese ci fossero, dovessero essere create, e che tutte le linee di dimissione da questa strategia, in base a false e, secondo noi, sbagliate analisi della realtà culturale e sociale del Paese le rendevano invece impossibili.

Sempre, dall'inizio, abbiamo consistito in questo: alternativa, ideali e cultura alternativa; la Costituzione come alternativa alla tradizione giuridica - enorme - di Alfredo Rocco e dello Stato corporativo, contro una concezione da monopartitismo imperfetto che ha legato, da Michelini a Vecchietti passando per Malagodi e per Spadolini, tutta la classe politica italiana in trentacinque anni; cioè il presupposto che la specificità italiana è quella che comporta l'operare per indurre la DC ad essere concausa e coautrice del rinnovamento democratico del nostro Paese, o del "recupero" delle grandi tradizioni che anche in buona fede gli altri non chiamavano fasciste, ma che hanno trovato in questo secolo il loro momento di massima organizzazione e profondità ideologica e culturale nell'apporto della borghesia italiana - negli anni '30 - allo Stato fascista, allo Stato di Bottai e di Bombacci, di Rocco e di Gentile; quella borghesia che dava, lo ripeterò per l'ennesima volta, ai Ministeri della Pubblica Istruzione

non i Malfatti o i Misasi, ma i Giovanni Gentile, e al Ministero di Grazia e Giustizia non gli Oronzo Reale, ma gli Alfredo Rocco; che dava appunto, tragicamente, il meglio di sé e non, secondo il vecchio errore crociano, fatto - qui sì - di presunzione provinciale e classista, una parentesi della nostra storia di cui fossero autori la barbarie, l'ignoranza, la piccola borghesia e la non-cultura. Era un modo non laico, da parte di Benedetto Croce, di liquidare con l'infamia Giovanni Gentile, verso il quale evidentemente il confronto era arduo e duro; duro, purtroppo, per tutti quanti noi.

Otto anni per un progetto!

Dunque: alternativa, unità e rinnovamento; con quei contenuti. Lottammo, compagni e compagne, per otto anni con - non Lidia Menapace, che allora faceva parte di un partito interclassista - ma con le ironie più pesanti; peggio, con la sufficienza, la distrazione di tutto il meglio delle componenti marxiste, marxiane, marxologhe e chi ne ha più ne metta; gruppettare, pregruppettare, psiuppine e socialdemocratiche, saragattiane e via dicendo: tutte quante assieme volte a spiegarci che la battaglia per il divorzio era improponibile, per le condizioni storiche e reali del Paese. Ed erano in buona fede, perché il presupposto di tutte le linee di collaborazione - diciamo non occidentali, non di alternativa - di "tutte", fossero quelle di Almirante o di Tullio Vecchietti, era l'inamovibilità dalle situazioni di potere e di governo, nel nostro Paese, del mondo cattolico e di quello che, come fenomeni diretti, parafenomeni, epifenomeni, esso riusciva ad organizzare ed a veder convogliare nella propria struttura, vera

struttura successiva e successoria al progresso immenso in direzione dell'organizzazione unanimistica e corporativistica, consociativa, della società, realizzato (rispetto alla società e allo stato liberale) attraverso la costruzione degli anni '30: dall'IRI alle concezioni stesse dell'associazione fra capitale e lavoro con la mediazione della burocrazia di Stato, animata dalla filosofia politica e dal pungolo politico del partito etico nello Stato etico.

Erano in buona fede, ad essere increduli nei nostri confronti: era la loro storia, quindi la loro natura. Ci si diceva per esempio che il divorzio non era una lotta di classe; e avevamo voglia noi, Mauro e gli altri, a dire che non a caso era »ABC , il giornale populista indegno, con le cosce brutte messe in prima pagina, con carta non sgranabile e via dicendo, »ABC e non l'»Espresso e gli altri, che era riuscito a far circolare la nozione della profonda ingiustizia del divorzio di classe, dell'amore di classe, del sacramento di classe, dell'uso di classe di tutto. No!, noi eravamo in quel momento i petulanti: non l'annuncio di una società futura, ma i petulanti anticlericali, rigurgito dell'»Asino dei tempi passati, che proponevano una battaglia impossibile. Creammo uno schieramento democratico di classe: il nostro linguaggio era - esplicitamente - linguaggio democratico di classe (un'altra cosa che ha accompagnato venticinque anni di relazioni congressuali, di delibere nel nostro partito: il termine »de

mocratico di classe , »l'alternativa democratica di classe ...).

Ebbene - vi ringrazio di avere avuto pazienza ma, vedete, era necessario questo ricordo, questa esplicitazione della nostra storia, cioè del nostro presente - noi usammo, potemmo usare lo schieramento e il mezzo referendario non perché la sinistra italiana avesse lottato per l'attuazione della Costituzione su questo punto magari con ostruzionismi parlamentari dicendo. »Se manca il referendum previsto dalla Costituzione la nostra vita democratica è zoppa . No, già allora ci dicevano - ed è falso - che la nostra Costituzione aveva previsto il referendum come fatto straordinario. E' falso, non c'è scritto, il referendum è previsto come fatto ordinario, come il Parlamento; se lo si esercita c'è. Ma lo avemmo perché, avendo noi costretto coloro i quali per loro natura, storia, strategia, filosofia non credevano, non avevano creduto alla battaglia dei diritti civili e quindi giudicavano questa battaglia inutile perdita di tempo, e magari messa in crisi delle marce di avvicinamento verso l'unità nazionale, ritenend

o in più che non la si sarebbe vinta; ebbene costoro, tutti quanti insieme, si sono però ad un certo punto trovati dinanzi ad un fatto plastico, bello, al quale non credevano, che gli disse qualcosa. Quale? Non voglio fare nomi ma ricordo compagni comunisti di massimo livello a vedere battuti, non so se Michelini o Almirante, e Fanfani e Moro messi assieme su questa storia di una eccezione di costituzionalità e noi altri vincenti, dire: »Certo, certo, è un momento indimenticabile, un momento nuovo, è un momento che non abbiamo vissuto dal '47, nella storia del nostro Parlamento . Era un fatto emotivo, ed era vero.

Ebbene, il referendum fu strappato come concessione fatta alla DC ed al mondo clericale! Perciò venne fuori con quelle caratteristiche, deplorate non solo da noi, ma alla fine anche dalla Corte Costituzionale; ma che noi criticammo subito. E ci trovammo, compagne e compagni, davanti ad un'iniziativa di gruppi estremisti radicali del mondo clericale i quali proposero quel referendum sul divorzio. Quindi storicamente sbaglieremmo, sbaglierebbero tutti coloro che continuano a dire: »Il referendum "radicale", il referendum laico sul divorzio, vinto nel '74 . Ma la storia in questo fa pulizia dei dati assolutamente, meramente formali; perché è vero che Gabrio Lombardi raccolse quelle firme, ma è anche vero che un anno dopo averle raccolte se le dimenticò, non fece nulla, perché i sondaggi parlavano alla Chiesa come parlavano agli altri; e fu solo la LID a difenderlo, la Lega Italiana del Divorzio, il partito radicale.

Fecero nel '72 delle elezioni anticipate con il »gioco Andreotti ; elezioni anticipate - per perderle - pur di non vincere il referendum. Già nel '72! Sciolsero le camere perché i laici, cultori del centro-sinistra, i cultori del compromesso storico non potevano permettersi lo scontro profondo nel Paese; perché il referendum - tenuto - avrebbe messo in crisi il centrismo, il centro-sinistra, il compromesso storico, ritardandolo per anni. E scelsero consapevolmente; lo dicemmo allora, non è senno di poi: »Pur di non vincere il referendum con le vostre bandiere e i vostri ideali, nella vostra realtà politica suicida sceglierete ora di perdere queste elezioni , e infatti quelle del '72 furono elezioni perse, pericolosamente perse.

Tornammo "noi" alla carica, e di nuovo unanimi, quelli del centrismo, del centro-sinistra, della sinistra - in sintonia con una destra clericale che negli alti vertici, nella sua infinita e putrefacente saggezza, ha sempre voluto evitare i grandi scontri nella storia, ha sempre amato i luoghi riservati, il »caro cugino re d'Italia, che si scomunica ma al quale si continua però poi a scrivere, a chiedere, come cugino, potere e via dicendo - furono tutti volti a fare le leggi Reali, le leggi Bozzi, le leggi Carrettoni... Vedete, non solo per i più giovani è importante, compagne e compagni, la vera storia del referendum sul divorzio! Ma pensate; quel referendum doveva essere tenuto nel '72. Pensate, tre anni dopo il '68, due dopo il '69, entrare in campagna per tradurre in termini di diritto e di libertà e di alternativa quel che accadeva in Europa e nel mondo! Pensate se questo non avrebbe potuto significare - nel '72 - porre un'ipoteca immensa contro le disperazioni, certe Autonomie e poi certe ricerche dell

a vittoria attraverso l'assassinio, posto che attraverso le istituzioni questa sembrava troppo lenta o impossibile.

Ebbene, fu nel novembre 72 che il congresso radicale a Torino, in uno scantinato di un palazzo di Torino, il partito radicale già votava quella che altri chiamano »la strategia referendaria : »Diciamo uno, dieci, mille referendum magari siamo compagni di Lotta Continua; perché ci rivolgevamo molto a quei compagni, proprio nel finale, mi ricordo, nella relazione introduttiva di quel congresso. Dico questo a coloro che aspettano da me una autocritica alla conferma di atteggiamenti: mi pare che perfino Giorgio Forattini (al quale, credo al più civile, al più profondo degli editorialisti nel nostro Paese, deve andare il nostro ringraziamento soprattutto per le critiche che ci fa) ecco, Giorgio Forattini diceva l'altro giorno: »Aveva il sapore del partito comunista negli anni '50, il Pannella che proclamava che aveva vinto i referendum che invece erano stati persi . Accetto il dialogo: in noi qualcosa ci diceva che avevamo perso, il senso comune, non il buon senso, forse, vedremo.

Novembre '72. E perché i radicali dicevano questo, compagne e compagni, perché dicevano questo? Perché solo lo scontro fra il mondo cosiddetto moderato ma che è a destino - suo malgrado - tremendamente reazionario e il mondo di progresso da riconquistare e riaggregare nella sua chiarezza ideale può provocare non il peggio ma il meglio, sia a destra che a sinistra! Solo scontri ideali, culturali, che attengono alle speranze, alla storia, al meglio di ciascuno possono evitare i pericoli nella storia di una società civile, di un Paese; guadagnare grandi termini di confronto: sulla vita, sullo spermatozoo, sul sesso, sull'amore... Ma vivaddio, io qui lo ripeto: Giovanni Paolo II che va al macello non poteva non saperlo. Sostenendo le cose alle quali crede, merita però l'omaggio di chi sa che - al limite - anche le leggi si devono violare (perché Giovanni Paolo II viola ed ha violato la legge italiana) in omaggio a quel che sono gli estremi comandamenti della propria coscienza e che si ritiene essere la vita per

tutti e non la morte dell'avversario.

Scheda verde, scheda arancione

Io ritengo che chi ha votato la scheda verde ha votato per l'aborto di Stato: è mia convinzione. Ma Giovanni Paolo II, con queste contraddizioni, violando la legge, votando per un piccolo invece che grosso, ma indegno aborto di Stato lo stesso, ha votato per una visione che merita tutte le cose che ci rimproveravano a noi, e dalle quali siamo esenti. Dobbiamo ringraziare la sorte che ancora esistano coloro che scendono in campo sapendo che si perde comunque, se non si rischia di perdere e di vincere. Il male, nel nostro Paese, non ci viene dalla cultura clericale e chiericale di Giovanni Paolo II e degli altri del Movimento della Vita, ma ci viene dalla Democrazia Cristiana; e mi ricordo già negli anni di università che problemi si crearono, quando io, capovolgendo una certa impostazione in parte nostra dicevo: »Meglio i cattolici della FUCI che i cosiddetti laici della Democrazia Cristiana ; quando dicevo - già allora - che c'è un mondo, un laicume massonico che vive sperperandole in modo ignominioso, che v

ive da mercante le idealità laiche, come nel mondo cattolico la Democrazia Cristiana, gli uomini di potere clericale e democristiano sono gli sfruttatori della religiosità e della fede e della coscienza di coloro che li votano.

Era la nostra ricerca del bipolarismo, dell'andare al referendum parlando dei figli, dei genitori. Vi ricordate: »Il povero bambino, che nasce lì dove la famiglia sarà... , vi ricordate l'impazzimento di una cultura: la conferenza episcopale italiana che annunciava - come certe vecchie sette eretiche millenariste, trattate ferocemente dalla Chiesa cattolica - la fine della famiglia, la fine dell'amore, se fosse passata quella legge o se avessimo vinto i referendum; la conferenza episcopale, "ex cathedra"; l'impazzimento di questa cultura alla quale però va riconosciuto che non è pericolosa così come è pericolosa la cultura dei Moro, è pericolosa la cultura dei Fanfani, è pericolosa la cultura degli Spadolini, di coloro che fanno mercimonio delle culture e delle idee. Ricordate: questi sono stati tutti uniti, nel »doppio no ! Era l'ultimo schieramento, il colpo di coda di una concezione unanimistica, di una concezione della politica cattolica, della politica andreottiana, che ritiene che le cose di questo mon

do non possono essere amministrate e governate secondo ideali e che gli ideali non possono essere il motore del governo »pratico delle cose, ma ci vuole la »tattica e la »strategia .

Per l'ennesima volta, compagni, perdonatemi: questa sinistra, questo laicume che non ha né Mazzini, né Marx, ma Clausewitz come proprio ideologo: la »strategia , la »tattica , l'»avanguardia , la »retroguardia ! Ha anche la cultura teologica e ideologica della doppia verità: la verità »vera e la verità per il popolo che può non capire, e via dicendo.

Ebbene, nel novembre '72 - novembre '72 - un partito politico stabilisce che ci vogliono otto o dieci referendum: perché è necessario in Italia affermare la dignità dei contendenti, non in termini idealistici o di generazione, ma ponendo a confronto le aggregazioni storiche fasciste nel senso più nobile e tragico della parola e l'antifascista: ma nel senso più ernestorossiano, più »Giustizia e Libertà , più »Partito d'Azione , più Calogero, più Capitini e non di altri. Costoro appunto, questo partito aprì una partita, compagne e compagni, dovevamo ricordarlo, l'altra sera, la sera del 17. Ma nel corso di anni!

Parte la campagna sull'aborto

Sei mesi dopo ci riuniamo di nuovo e cominciamo a stabilire i temi, nell'agosto 1973 abbiamo l'adesione - non bisogna dimenticarlo - del Manifesto, di Avanguardia Operaia, della Gioventù Liberale Italiana, della Federazione Giovanile Repubblicana, di tutti i gruppi post '68, al nostro disegno referendario, con otto referendum - parte, ancora quelli che avevamo proposto quest'anno - per proporre temi essenziali di antifascismo al fascismo di un Parlamento che per omissione o per convinzione accettava di reggere lo Stato protraendo le leggi fasciste: non solo sul piano penale, ma anche sul piano civile e delle strutturazioni economiche e della concezione sindacale. Non a caso non si è mai voluta la organizzazione giuridica repubblicana, secondo Costituzione, del sindacato e dei sindacati italiani; non a caso, ma per poter consentire di fatto il predominio burocratico nella mediazione fra capitale e lavoro, delle burocrazie nazionalizzate di partito e di sindacato; arrivando così a giustificare perché questo si

ndacato - che ha altro di cui preoccuparsi - è dovuto scendere in campo per dire anch'esso che lo contro sul divorzio avrebbe impedito l'unificazione sindacale del luglio '74; e le tre confederazioni sindacali nell'aprile '74 ci scomunicarono, già allora, come fanfaniani, perché volevamo il referendum contro le leggi Reali e Carrettoni sui quali erano ormai d'accordo Lombardi (Gabrio, non Riccardo solo) e - di fatto - la Chiesa; ci scomunicarono per evitare quel referendum. Che diveniva - così - "nostro" e della LID.

Ebbene, compagne e compagni, per parlare di divorzio, noi cominciammo a raccogliere firme sull'aborto: e allora ci si disse - la sinistra di classe, quella che si chiamava, si autoincensava, »sinistra di classe (aveva aderito!) - ci disse: »Ma, scusate, sarà già così complicato farcela, con il popolo italiano così com'è, a vincere il divorzio; e voi volete raccogliere... ma siete suicidi!>.

Questa storia delle campane a morto, di un partito radicale che »ieri era una speranza e che »adesso rischia di non esserlo più, compagni, ci ha accompagnato da quindici anni. Tutti i compagni che dicono così, qua e là - certo, hanno collaborato politicamente ad alcune azioni radicali. Ma mai c'è stato un momento in cui ci hanno detto, in contemporanea: »E' "qui" la speranza radicale . Era sempre la speranza di "ieri"; sempre. Lì, sull'aborto, qual'era il confronto di classe? Noi lo dicemmo subito: che siccome nella realtà di classe, storica, le donne italiane - e gli uomini - conoscevano a decine di milioni l'aborto e avevano conosciuto invece forse solo a centinaia di migliaia il divorzio, se volevamo vincere il referendum che stavamo imponendo dovevamo raccogliere contemporaneamente le firme sull'aborto. Non ce la facemmo.

I saggi, i saggi del prima e del poi; »Bisogna trattare il problema con una strategia militare... offriremo un ulteriore coagulo all'interclassismo avverso... rischiamo di elevare spauracchi ! Ma lo spauracchio, per il popolo italiano, è quando guarda la televisione e dice: »Ma, in fondo parlano tutti nello stesso modo . Questo è l'incubo, questo è lo spauracchio; non le tesi contrapposte sulle grandi scelte che non fanno dormire perché sono grandi scelte anche nella coscienza, nelle notti, nella vita di ciascuno sempre. E la memoria storica del proletariato sapeva che di aborto si muore, che l'aborto di classe c'e, che non è peccato, che la donna che abortisce non è un'assassina, che si ha il dovere in certi momenti di non mettere alla luce qualcuno che è condannato alla morte e soprattutto si ha il dovere di non bestemmiare prendendo per concepimento, per concezione, per concepire cristiano la casualità successiva ad un momento di piacere, naturalmente poi sessuofobicamente ritenuto - necessariamente - ani

male.

Onorare la vita significa prima di tutto non ritenere che la vita è un processo biochimico, col dozzinale materialismo che è proprio come dato di fondo di Casini e della 194, dietro il cui primo articolo ci sono le dimissioni ideali di Giovanni Berlinguer. Il quale, in Parlamento, si inchina anche lui, ammiccante, alle concezioni fasciste - nel senso migliore della parola - di Gedda, di Pende e degli altri, gli unici che hanno ripreso, negli ultimi cinquant'anni, la teoria della animazione immediata, della materialità assoluta, biochimica della vita sul piano scientifico, continuando - con un uso tolemaico della rivoluzione galileiana - a dire: »La scienza dice, perché Bompiani dice ; sempre con questo bisogno, appunto, di avere dei succedanei alla fede, mentre un cristiano dovrebbe dire semplicemente: »Me lo dice la mia fede, che non ha bisogno del Tolomeo di ieri o di oggi, o del Galileo o del Copernico di ieri o di oggi, per dire che ho ragione . Invece, loro, incapaci, pudibondi, vergognosi della propria

fede!

Devo dire; »Noi siamo laici ; se per »laici si intende il laicismo di Spadolini o il laicismo dei compagni comunisti quando fanno il »laicismo cioè il lassismo, il permissivismo, il possibilismo, il non parlare di cultura, di idee, di ideali, di speranze? Ci è stato detto ieri, sempre dagli eleganti compagni del »Manifesto : »Questa volta, sull'aborto i radicali non erano a Piazza del Popolo con i laici ; non so se il solito compagno addetto ai radicali, Mauro Paissan, non poteva informarsi meglio; ma quando ci fu la cosiddetta manifestazione di Piazza del Popolo sul divorzio, noi fummo esclusi! Anche allora eravamo criminalizzati; a Piazza del Popolo ci andarono quelli che non volevano il referendum sul divorzio e che dovevano recuperare agli occhi di se stessi il fatto che ancora il 27 marzo (con data mi pare 3 aprile) »Rinascita , già allora interprete egemonizzante di quel laicismo, ci accusava di essere fanfaniani perché volevamo il referendum, lo scontro referendario; allora andarono a Piazza del Pop

olo, dove mi affacciai e sentii delle mormorazioni anticlericali, basse, da caffè, con tutte le vecchie cose sulla Chiesa, eccetera... Ma noi fummo esclusi. La Lega Italiana del Divorzio, per volontà innanzitutto dei laici, non ebbe un solo minuto in televisione, e se non fossero state le contraddizioni degli altoborghesi, il Perrone, e le Giulia Maria Crespi, non avremmo avuto né sui giornali di classe, né in quelli di Stato, né in quelli di borghesia, la possibilità di parlare; ci fu »Il Mondo che ci regalò una pagina a settimana e lì ci raccogliemmo; ma avevamo vinto prima.

Destra e sinistra ideali a confronto

Continuiamo, dunque. Qual è il filo conduttore, allora? E' costringere una destra blasfema rispetto ad ideali che pure esistono. Ma credete che l'autorità sia un valore più grande della libertà? E' un valore diverso; gli uni credono che solo nell'autorità può nascere quel tanto di vita che spera per sé e per gli altri; noi crediamo che la libertà come mezzo "oggi", quando c'è il casino, il caos, sia il modo migliore per creare vita e ordine; ed allora il nostro tentativo costante - con fiducia storica nel Paese - di provocare lo scontro. Per dividersi, ma non sulle presidenze di Signorile. Ecco il lungo contrasto di venticinque anni sul piano del disegno ideologico e politico, tra noi e invece la sinistra lombardiana, al di là della foglia di fico, dello splendido disco, ad ogni congresso, di Riccardo Lombardi. Ci divideva quanto poi ha portato dove ha portato Fabrizio Cicchitto; e lo ha portato con onestà - riconosciamolo - a dirlo: »Ho commesso questo errore, perché in fondo in questo Paese se si vuole far

e politica bisogna fare queste cose; bisogna dare la presidenza della Banca del Lavoro a Nerio Nesi; bisogna... bisogna avere più posti ; »Bisogna averli, negli enti locali ; e guardate Lagorio, questo intransigente autonomista, subalterno nella alcune volte buona politica frontista rossa in Toscana, pur di fare il Presidente: che adesso, pur di fare il Ministro della Difesa atlantico è subalterno ai peggiori disegni del sottobosco NATO, come dimostreremo, dovremo dimostrare!

Allora continuiamo: che cosa diciamo a noi stessi, nei nostri congressi, di "nuovo"? Non è possibile lasciare fare strage di legalità, dire che l'abolizione dell'ergastolo, della pena di morte, la libertà libertaria repubblicana, varranno quando non avremo più il terrorismo o la corruzione. Ma scusatemi: se queste cose servono contro il terrorismo dilagante, nei momenti di calma teniamole per impedire il terrorismo veniente; noi diciamo che l'ordine è compreso nell'uso del diritto e della libertà nel momento in cui dilagano le violenze e i caos. Questo è Cesare Beccaria, questo è l'ordine nuovo che hanno pensato socialisti e liberali, questo è Stato di diritto contro il diritto dello Stato, questi sono gli ideali della rivoluzione socialista, della rivoluzione borghese, che la borghesia rappresenta, da dieci decenni almeno, solo come rinnegata: perché, accreditata nella storia in nome di queste idealità rivoluzionarie, a ogni decennio - in cambio della lenticchia di un potere che poi deve esercitare da assas

sina - continuamente rinnega le idealità libertarie e borghesi; con modestia, magari con eleganza, come fa, come ormai si accinge a fare il mio amico - dico veramente »il mio amico - che stimo, al quale voglio bene, Valerio Zanone; questa maledizione che faceva dire a Mario Ferrara, quando facemmo la scissione dal partito liberale (eravamo in pochi a dire questo): »Noi non possiamo passare una vita a difendere un nome, una bandiera dalla sorte continua che le è data: diciamo liberale e vediamo la illibertà, il privilegio . Allora riuscimmo a imporre - ricordi, Ada - questa cosa nuova: »Diciamo "partito radicale"; ma, se volete, aggiungiamo "dei democratici e dei liberali italiani" . Era Mario Ferrara che ci indicava questo: anche semanticamente, a volte è necessario compiere delle scelte di fondo, delle scelte chiare: nel conservare, ma a volte nel rifiutare qualcosa che sembra avere il destino segnato.

Ebbene, compagne e compagni: continuiamo, "soli"; ancora: »alternativa, referendum, confronto ; nel '74, soli come cani, noi - piccolo-borghesi senza coscienza di classe - dicevamo che la gente, la povera gente, le donne, il Sud, sull'aborto erano infinitamente più avanti dei grandi leaders storici della sinistra che li rappresentavano; e appunto grazie al popolino di »ABC , al popolino italiano, ai comunisti come sono, presero e tirarono finalmente per la giacchetta Enrico Berlinguer che non voleva, non ci credeva, e lo portarono il 3, il 4 aprile del '74, ad accettare finalmente non la Legge Carettoni e il furto del referendum, ma la »iattura del referendum , come era stata definita da Luigi Longo: »la iattura del referendum .

Vedete? C'è "continuità". C'è un disegno politico. Abbiamo fatto questo non per attivismo, non siamo i monomaniaci del referendum! Contemporaneamente, per arrivare a soluzioni di diritto, Roberto Cicciomessere ed altri andavano nelle carceri; i penitenziari militari divenivano dei protagonisti - almeno per alcuni di noi - di una storia che era nemica ed era pericolosa. Contemporaneamente con la nonviolenza guidavamo già i digiuni. Nelle marce antimilitariste nel '68, '69, '70 - quando i dannunzianesimi di destra o di sinistra sembravano dilagare e Pasolini aveva ragione a volte nel vedere a Valle Giulia più pericolo fascista (comunque più necrofilia, più pericolo di morte) non nei poliziotti ma nei figli dei borghesi che erano lì per odio ai loro padri, per riproporre morte come i loro padri - noi continuavamo a dire »nonviolenza , come grande fatto politico, autogestionario, come indicazione alternativa al »Viva la muerte di tutti i fascismi; »viva la vita , »viva l'amore , »viva il corpo , contro l'uso de

ll'idea come grande spugna che cancella l'importanza e la concretezza storica e morale del corpo e dell'esistenza personale ed individuale.

Quindi voi, noi, i venuti nel '74, i venuti nel '75 - ma tutta la nostra storia - si ricominciava.

Nel '74 riproponiamo i referendum e nel gennaio '75 c'è l'arresto di Gianfranco, l'arresto di Adele, la scadenza della nonviolenza e della disobbedienza alla quale diamo corpo di classe, col CISA e le altre cose, dopo quattro anni di autodenunce fatte solo dalle compagne radicali e del MLD, fatte solo dai compagni radicali del partito radicale, tra le sufficienze degli altri, tra i distinguo di vario tipo; finalmente, con l'»Espresso che fiuta l'affare - come Scalfari fiuta l'affare dei bambini che muoiono di fame nella primavera '79; ma l'»Espresso giunge a noi anche perché dentro c'erano compagni radicali - facciamo quella grande raccolta di firme, con lo sforzo militante della gente del »Manifesto ai nostri tavoli, alla quale, compagni del »Manifesto - e se volete fare autocritica andate a rileggervi - contrapponevate la raccolta »rivoluzionaria di firme per l'iniziativa di messa in fuorilegge del Movimento Sociale Italiano.

Bisogna ricordarsi la storia, bisogna ricordarla alla Menapace. Bisogna, compagni della delegazione comunista, ricordarvi che mentre portavamo su »Liberazione le autodenunce, mentre parlavamo dell'alternativa democratica di classe sull'aborto in nome della vita, Carmen Zanti Banti, senatrice comunista, a nome dell'UDI dichiarava - non a caso all'agenzia ASCA - che solo i demoni, borghesi e corruttori, dei radicali potevano porre il problema della liberazione della donna non in termini di lavoro e di salario ma in termini borghesi, relativi all'aborto. Compagni del »Manifesto , andate a leggere i documenti!

E che cosa significava tutto questo, per noi, nella nostra vita quotidiana e in ogni momento, a Torino o a Napoli, a Roma, a Trieste, in una sede o nell'altra, dove eravamo pochi, soli, frustrati, continuamente soffrendo, non riconoscendoci e dicendo: »Ma questa è la nostra compagnia libertaria? Non dormiamo, non ci capiamo più! Ma allora? Ma tanto vale, meglio la droga o il matrimonio... Eravamo soli, perché appunto - di nuovo - gli altri gruppi ci dicevano: »Disponibili sì, ma solo per l'aborto, non per queste altre cose . »Le altre ; quali? Il "diritto". Il "diritto fascista", il "diritto sindacale"! Ma soprattutto qualcosa di diverso dalla storica rassegnazione unanimistica delle nostre forze parlamentari. Raccogliamo quindi ancora firme nel `75. Monomaniaci? No, in base a questo disegno, dopo lo scontro sul divorzio; ma, devo dire, anche in nome della religiosità.

Rossi, gli altri, lo hanno sempre saputo che la battaglia di liberazione era battaglia di liberazione per "tutti", anche per i credenti, innanzitutto per costoro, due volte offesi dalla tradizione cesarista, cesaro-papista, dal carabiniere che deve andare a controllare se ci si attiene al debito coniugale per onorare un sacramento e dal giudice - come Casini - che deve andare a scrutare, con Agostino Greggi, probabilmente con il microfono, se l'atto sessuale e la copula può essere riferita a questo o a quel punto di giurisprudenza della Sacra Rota applicata ad uno scroto di classe invece che ad un altro.

Ma cosa ci anima? Solo questa passione che Moravia ci aveva riconosciuto un giorno (»Se ci fosse una caratteristica - disse nel '75 - di questi radicali è la passione per la giustizia ?). Solo questo, una cosa pur giusta? No, lo siamo "sempre" stati, così lucidamente laici, così costruttori, propositori, così attenti nel dar corpo di presente al futuro che speriamo. Allora, nel '75 abbiamo continuato. Abbiamo detto: »Ci vuole il secondo scontro, il primo non è bastato . Pensate, su che cosa hanno sciolto di nuovo le camere! Sul fatto che altrimenti si andava al referendum sull'aborto, nel '76! Ma perché? Perché tutto il Parlamento italiano un secondo confronto non lo poteva reggere, sui temi del divorzio e dell'aborto, perché le politiche di centro sinistra, di centrismo, di destra almirantiana, di compromesso storico - tutte - non potevano sopportare questo secondo scontro profondo nella vita del Paese. Mentre noi, questo scontro lo volevamo: anche chiamare la Chiesa alla sua missione, a scegliere se rappre

sentare una volta di più il mondo ottuso della salvezza dell'anima garantita dal carabiniere o dal torturatore dell'inquisizione, o scegliere invece la speranza nella coscienza nella libertà nella vita salvante della fede e della grazia anche per chi crede, e non l'obbrobrio del volerlo garantire attraverso una legge penale piuttosto che attraverso un'altra: una bestemmia contro la vita e contro la fede, ma tipica di questo clericalismo, questo confessionalismo che è l'elemento storico di unità di tutti i nostri dirigenti, dal '47 ad oggi. Tipico, lo ripeto; il laicume amministra la laicità come il clericume ammministra la religione: per sfruttarli e massacrarli, in realtà, contro tutti.

Pensateci un istante, compagne e compagni: se avessimo avuto nel '76 la vittoria contro il clericalismo, quella dell'altro giorno! Nel '76! Noi volevamo risparmiare a noi stessi ed al Paese l'unità nazionale, il compromesso storico - allora facendo un processo alle intenzioni e alla realtà, oggi conoscendo quello che era accaduto - volevamo risparmiare le cose atroci accadute politicamente fra il '76 ed il '79 in un Parlamento dove in modo vario c'era una maggioranza del 97%: sempre per »salvare il Paese , sempre in favore della »conservazione di qualcosa: conservare le leggi fasciste per combattere il terrorismo, restare accanto a Cossiga contro Giorgiana Masi e via dicendo, giorno dopo giorno. Pensate che storia forse avremmo avuto, se nel '76, invece di sciogliere le Camere per la seconda volta, avessero tenuto il referendum dell'altro giorno...

La legge 194 è nostra

Siamo tornati alla carica, inesausti. Non a caso nel '76 abbiamo scelto di presentarci alle Camere Dinanzi al furto del referendum - da cinque anni - siamo dovuti andare a mettere una testa di ponte perché il Parlamento non fosse ostruzione alla Costituzione, ma contributo alla vita costituzionale. Siamo andati avanti, ancora, con i digiuni, le carceri, abbiamo fatto le nostre battaglie e abbiamo ricondotto di nuovo... Scusatemi compagni, per monomania? Per volere lo scontro dell'altro giorno? Certo, l'aborto: certo l'aborto! No. Non solo per questo: per fiducia, perché sapevamo che le donne e gli uomini italiani avrebbero votato ancor meglio che sul divorzio; e tanto meglio se la legge fosse stata migliore... Ma "volevamo soprattutto l'alternativa della sinistra", l'unità della sinistra, il rinnovamento della sinistra sulle posizioni che culturalmente e idealmente sono le sue: che drammaticamente, in modo contraddittorio, sicuramente abitano nello stesso modo la coscienza di Maurizio Ferrara o la mia, per q

uel che riguarda le idealità, la storia, le speranze di una società e di un uomo e di una donna diversi e nuovi; perché la nostra storia è lunga, ed è scritta con le sue parole, gli ideali.

Nel '76 abbiamo cercato di stimolare il Parlamento a legiferare, abbiamo riraccolto le firme contro l'unità nazionale e i suoi disastri, contro i compromessi storici; abbiamo riraccolto le firme per riproporre atti di governo, leggi di tipo libertario e arrivare allo scontro che nessuno, repubblicani, socialisti, comunisti, missini, democristiani, "nessuno" voleva; abbiamo saputo giocare all'interno delle loro contraddizioni in nome della forza delle nostre idee; che andavano perfino, a volte, a riportare in loro stessi una coscienza diversa delle "loro" idee. Siamo arrivati così al '78, macellati da tutti. Anche Democrazia Proletaria era contro di noi allora: ne parlavamo con Mimmo Pinto, l'altro giorno; dicevo ridendo che pur di differenziarsi dai radicali e di recuperare il loro ritardo sull'aborto, Corvisieri e gli altri di Democrazia Proletaria andarono a presentare una sorta di progetto di legge che diceva, a mio avviso, sostanzialmente questo: »Portiamo la gravidanza a diciannove mesi, per poterla int

errompere al diciottesimo; così dimostriamo che siamo più avanzati dei radicali . Andarono a presentare una proposta ridicola e risibile per scavalcarci a sinistra.

Ebbene, compagni, nel '78, in quel che ha di positivo la 194 è prodotto "solamente" dei radicali, perché se non c'era la scadenza del referendum di lì a dieci giorni la 194 non c'era. Ma non c'era nessun bisogno, dinanzi alla DC ed alla Chiesa - terrorizzata dall'idea del referendum dopo dieci giorni - di cedere la vergogna dell'articolo 1, di cedere la vergogna sulle minorenni, di cedere la vergogna dell'assistenza del medico »pubblico ufficiale per salvare lo spermatozoo accolto una sera da una donna incapace di intendere e di volere, e via dicendo. Ma la 194, che noi siamo stati i soli a non votare, era "nostra" in tutto quello che rappresentava di positivo, di salto in avanti, perché gli altri non avrebbero mai avuto la forza di rompere con la Democrazia Cristiana, di rompere lo schema dell'unità nazionale, sul quale era mobilitato spasmodicamente anche Pietro Ingrao, una persona nobile e rigorosa come Pietro Ingrao: abbiamo raccolto le firme sulla Legge Reale, sul finanziamento pubblico dei partiti e a

bbiamo visto il PCI e gli altri in nome della realpolitica scegliere - per stare fra i vincenti - le battaglie della destra e dell'altra parte, ed è toccato a noi tenere accese le forze della sinistra.

Allora, compagne e compagni, quando adesso arriviamo allo scontro dell'altro giorno, ecco perché possiamo e dobbiamo parlare di una grande affermazione politica della storia, del partito, delle donne, degli uomini, degli imbecilli, dei coglioni, degli intolleranti radicali, perché quello è stato il giorno al quale siamo riusciti a costringere anche Casini. L'avete sentito quella sera? L'avete sentito: Benelli non si sarebbe mosso se noi non avessimo proposto il nostro referendum. Ve lo ricordate, compagni del doppio no? »Colpa dei radicali se corriamo il rischio di essere battuti . Vi ricordate quel giornale, »Panorama , picista, non comunista (sia chiaro, altro è essere comunisti e altro è essere i picisti di »Repubblica o di »Panorama , altro è essere PCI ed altro essere picisti di questi settori della razza padrona) catapultare la menzogna pseudo-scentifica che la Demoskopea avrebbe detto che stavamo per perdere e che quindi bisognava votare contro anche i referendum dei radicali; su »Panorama , questi c

ialtroni mentitori - professionalmente parlando - in questa occasione avevano ricucinato ai fini di una propaganda goebbelsiana o, appunto, stalinista, un sondaggio senza nessuna attendibilità, fatto nel mese di novembre e che quindi non era mai stato reso pubblico. Per potere vincere, la sinistra - come la DC quarant'anni fa - gioca ad unificarsi sulla paura: altrimenti gli »altri vincono!

Ecco, l'hanno detto loro cos'è stato lo scontro dell'altro giorno, il trionfo del »no sull'aborto di Stato di Casini (perché a me per questo interessa)!... Per questo ho dichiarato che il partito ha scritto (ancorché in modo contraddittorio e stupido nel modo di arrivarci, Corleone) uno dei documenti di maggiore rigore, felicità, forza morale ed intellettuale, rifiutandosi di cedere al ricatto del »doppio no ; perché noi eravamo contro la Casini anche perché era aborto di Stato, eravamo contro la clinicalizzazione che si era fatta, sul piano del diritto positivo, della nostra posizione libertaria, cristiana e socialista e liberale. "Noi", in questa occasione, siamo riusciti - compagne e compagni - ad avere un risultato; ecco l'importanza, ecco il messaggio che io ho voluto, con gli altri compagni, immediatamente - la sera dei risultati del referendum - fissare nella memoria, la coscienza: "abbiamo costretto il clericalismo e il mondo che si chiama laico, abbiamo costretto i partiti che dovrebbero essere di

classe a scontrarsi"; Benelli l'ha fatto ripetere la sera del 17: »Se i radicali non avessero preso l'iniziativa, non ci saremmo andati . E allora, compagni, chi è che ha vinto con quei »no quel giorno? Chi da dodici anni, accanitamente, ogni momento, dice »Alternativa, unità rinnovamento cioè fedeltà alle antiche bandiere di Jaurés e non a quelle degli opportunismi di destra e di sinistra, e diceva che questa sarebbe stata vittoriosa: perché la democrazia è fatta di sì e di no evangelici. Perché la democrazia deve essere "chi"? Chi è il vincitore per il domani. Una vittoria si vede per quello che viene dopo, anche le vittorie di Pirro. Compagne e compagni, vi offro questa riflessione: sulla scheda verde "la vittoria e l'affermazione è radicale". Parleremo dopo del »sì sulla nostra scheda. Lì non avrò problemi a spiegare perché, per quel che mi riguarda, sono stati tre milioni e seicentomila cittadini che hanno detto »sì alla politica radicale e non un milione e duecentomila; ma di questo parleremo dopo.

Ma riflettiamo su questo dato di fondo: che forza storica avrà, nel prossimo congresso comunista (quando ci sarà); in quello socialista, quando il dibattito riprenderà corpo, qualsiasi tesi di centro-sinistra o di compromesso storico? L'avvenimento che abbiamo immaginato, creato, giorno dopo giorno, che si è verificato quel giorno, compagne e compagni, è la sconfitta storica definitiva, di qualsiasi pretesa di dignità ideologica e strategica della politica dell'unità nazionale, del compromesso storico, dei centro-sinistra che hanno come presupposto la centralità massiccia del blocco moderato, della Democrazia Cristiana, del mondo clericale. E questo il grande dato storico, è questa la conquista; "noi" l'abbiamo conquistata, costringendo a quest'altro scontro referendario.

Fummo criminalizzati: »E' colpa loro se la Chiesa scende... Certo, io credo che noi siamo la gente della provvidenza anche per Giovanni Paolo II, che dovrà scegliere d'ora in poi se essere Bartolomeo Colleoni o quel grande Pontefice, uomo di fede, che può forse essere. Bartolomeo Colleoni avrà tre »cose , come si dice, ma alla fine una battaglia la perde e rischia di perdere la guerra. Noi questo l'abbiamo detto, previsto: »Ben venga Giovanni Paolo II come uomo di fede, ma anche come ultima incarnazione - mi avete sentito in tre congressi spiegare: »Dio ce l'ha dato, guai a chi me lo tocca - dell'estremo nobile condottiero della battaglia temporalista, della battaglia culturale - appunto - clericale, presa in tutta la sua enorme serietà.

Quindi da questo momento comincia una storia diversa, compagni. Non ha più nessuna forza oggettiva la tesi dell'unità nazionale, del compromesso storico, del centro sinistra. Grazie alla vittoria "imposta" da noi il 17 maggio a dei laici che non chiedevano altro che di continuare a bestemmiare contro le loro idee e che sono stati costretti per un giorno ad apparire come dei laici costringendo in un momento i loro fratelli siamesi ad apparire, come sono, dei clericali e dei reazionari. Termino questa parte della mia relazione per ricordare (come ha detto il Segretario del partito, »la lunga pazienza del giorno dopo giorno ...) che quel giorno è stato il giorno che ha dato forma e forza al sogno radicale e che non dovete, compagni, vivere come incubo per voi e incubo per gli altri il sogno radicale, da Ernesto Rossi fino a noi.

La storia è il presente radicale

Compagne e compagni, questa sorta non di storia come hanno detto - pare - alcuni, ma di esposizione del "presente radicale" con cui ho cercato di svolgere la parte iniziale della mia relazione, mi pare costituisca anche il modo giusto per creare delle premesse di dialogo e per evitare che si possa legittimamente parlare di ottimismi o di pessimismi, di trionfalismi o di disfattismi.

Io intendo pormi e mi sono posto sul piano delle ragioni d'essere formali, ufficiali - oltre che interiori, personali - radicali; non con intimismi, non con fughe in avanti o indietro, ma cercando di riesprimere da questo congresso - a coloro che sono sordi perché non radicali, o a coloro che hanno bisogno di far finta di essere sordi - il fatto che il 17 maggio una tappa fondamentale della storia d'Italia costruita dai radicali si è compiuta, riuscendo democraticamente ad imporre nel nostro Paese uno schema democratico di scontro ad una destra ed una sinistra che, da una parte e dall'altra, hanno ideologicamente scelto invece da trent'anni - all'interno delle rispettive culture e storie - l'unità in una politica secondo la quale in realtà governare è amministrare, governare non è creare, governare non è costruire, ma è amministrare il possibile e amministrarlo senza l'ingombro del voler far corrispondere le idee - nella loro drammatica e limpida concretezza - con gli atti ed i progetti; e, ripeto, non è né

vittimismo né evocazione di una condizione di privilegio o di sfavore la caratteristica del partito radicale - dalla sua nascita, dicembre 1955, con contraddizioni assolutamente insuperabili in quel momento - e cioè che in quel partito si parlò, si impose l'alternativa laica. Il partito radicale sorse, nei '55, nel '56, anche nell'unità con una classe dirigente in gran parte di estrazione liberale come il partito dell'alternativa laica; che poi le diverse componenti portassero fatalmente questo partito - nel quale una parte era naturalmente "anticomunista" e non "antistalinista" o "antigiacobina" - ad una contraddizione che non gli consentisse di trarre le conseguenze semplici e rigorose di un'alternativa laica nei valori, nei contenuti e nei metodi, è l'altra parte della storia che abbiamo verificato e che ha portato alla rifondazione - fra il '63 e il '67 - del nostro partito.

Ma Rossi e gli altri, in particolare Ernesto Rossi, contro il centro-sinistra, contro i morandismi, contro i lamalfismi, contro i compromessi storici, parlavano di "alternativa", anche se non disegnavano il progetto nella sua composizione sistematica; ma indicavano un metodo, indicavano degli obiettivi.

Allora, compagni, qual è la conseguenza del 17 maggio? Perché dobbiamo contemplare la realtà per trasformarla, non per fotografarci al suo interno e la fatica alla quale ho forse un po' sottoposto il congresso nella minuziosa volontà di ricostruire dei fatti e degli atti della fenomenologia radicale (anche la fenomenologia che si ricava dalle delibere costanti, semestre dopo il semestre, per dieci anni) è lavoro, a mio avviso, di attrezzatura dell'"oggi", delle battaglie che stiamo combattendo e che quando ci lasceremo dobbiamo continuare a combattere; che la coscienza (una coscienza profonda del significato del presente della congiuntura) sia il primo strumento - necessario - perché una battaglia sia non perdente, credo dovevamo ricordarlo.

A questo punto io credo che il primo compito che ciascuno di noi su questo fronte ha è di "incalzare", (e qui forse riappare la giustificazione di un modo d'essere libertario e socialista dell'inizio del secolo, con il ciclostilato, il gruppo che si esprime per iscritto, quello che non fa ideologia ma speranza e analisi. Noi oggi dobbiamo "imporre" la lettura obbligata del 17 maggio, come quella del 14 maggio '74 logorata e consumata dai partiti della sinistra fino a fare oggetto del suicidio - nell'unità nazionale - proprio quella maggioranza che nel '76 già c'era, praticamente assoluta, alla Camera dei Deputati e rispetto alla quale il compagno Berlinguer - con una superficialità teorica, di teoria dei fatti, immensa - diceva che non si governa con il cinquantuno per cento! Quando lo schieramento divorzista era già schieramento di oltre il sessanta per cento, e se fosse stato caricato sin d'allora dei significati internazionali, disarmisti, pacifisti di aborto, di vita, di giustizia, di anticorruzione, sar

ebbe stato del settanta e dell'ottanta per cento! Cosa ci saremmo risparmiati, se non ci fosse stata allora quella lettura! Non consentiamola oggi, compagni. C'è adesso un rendiconto, e vale per tutti. Lo stesso discorrere che fa il PDUP-MLS della alternativa è discorrere e conversare - una volta di più - mondano e sovrastrutturale, se non si ancora alla affermazione che il 17 maggio... Avete visto invece come tendono subito a dimenticarselo? Avete visto come hanno suonato le campane alla vittoria? Avete visto adesso che cosa significhi quella vittoria della storia del partito comunista, socialista? E' tutto finito! Si parla di nuovo di questa trita imbecillità della crisi governativa fatta dai teorici della »governabilità dal povero Bettino che si presenta con il muso duro, chiaro, puro di chi sacrifica alla moralità del governare le fisime settarie e di parte e non fa che produrre, un momento dopo l'altro, che crisi e crisette e crisine, senza la capacità di reggere ventiquatt'ore alle analisi per le qual

i, in un modo non donchisciottesco ma un po' rodomontesco, di volta in volta vengono presentate dalla stampa di regime i più brevi sospiri di Bettino Craxi.

Perché stanno liquidando il 17 maggio? Ma cari compagni: chi è che vince? Quando uno vince resta ancorato alla vittoria, al suo significato, non la dimentica subito, non la mette tra parentesi; io, noi, continuiamo a dire »il 17 maggio : il »17 maggio ha significato la condanna necessaria di ogni pretesa di alibi oggettivi e storici, ai disegni centristi e frontisti . Compagni, la linea, la teoria radicale dell'alternativa come fatto specifico, possibile e necessario per l'ordine, per l'ordine che vogliono i commercianti o il vecchio frustrato, per l'ordine che vuole la donna e l'uomo che vive oggi in Italia e dovunque, la teoria della necessità di liquidare il compromesso continuo che mette tra parentesi cultura ed ideali e soluzioni e terapie laiche e libertarie e socialiste e autogestionarie contro quelle pseudomoderate - ma in realtà di smoderato e smodato opportunismo - questo oggi è stato guadagnato. E dobbiamo impedire che la cappa del mancato dibattito imposto dalla stampa, stampa di regime - non per

ché serva, ma perché omogenea al regime nei criteri di promozione e di scrittura che le sono propri - impedisca che nei dibattiti dei Comitati centrali del partito comunista, nei congressi del partito socialista, del PDUP, MSI, del MLS, venga fuori appunto questa considerazione; per capire invece, attraverso la riflessione sui fatti, che cosa dobbiamo e dovremo adesso tentare di fare.

Il 17 maggio ha comportato la riprova - ed è una conquista politica, compagni - che la teoria radicale è la teoria del possibile, contro la teoria della squallida utopia dell'impossibile, dell'unità nazionale, l'impossibile unità di »destra e »sinistra per la salvezza della Città, la salvezza concreta delle donne e degli uomini di "questa" società. Il 17 maggio ha portato allo scontro una sinistra e laici che non volevano e non vogliono scontrarsi con i clericali; ha portato allo scontro clericali che non vogliono scontrarsi con i laici. "Il 17 maggio è la struttura che abbiamo concepito per sette anni, uno dopo l'altro" - ma dicendolo, non con il »senno di poi ; ve lo ricorderete, io mi ricordo Marisa Galli che sei mesi fa, in una riunione del gruppo radicale, ci chiedeva: »Ma compagni, parliamoci chiaro, con questo partito comunista così com'è ma come possiamo mai continuare a parlare di alternativa, di unità, della sinistra? Con questo partito che fa le cose che fa? Ebbene, noi non abbiamo mai cessato,

anche quando sembrava inimmaginabile, in tutti i congressi, di dire che l'"unità", l'"alternativa" e il "rinnovamento" della sinistra nei contenuti prefigurati e figurati dal partito - non dai sogni radicali - ogni giorno di più trovavano la conferma eclatante. Dobbiamo evitare che le ideologie, marxianamente sempre e necessariamente morte, diano per la terza volta in questo secolo sepoltura alla sinistra sociale, impedendole di divenire sinistra politica e governo delle speranze, degli obiettivi, delle realtà di cui storicamente è portatore il Terzo Stato o - se volete - sono portatrici le classi del lavoro e le classi proletarie o proletarieggianti: l'alternativa proletaria di classe.

Tutta questa parte della mia relazione, sia chiaro, vuol esprimere non volontà di dire »abbiamo vinto ; ma volontà di ricordare che il 17 maggio significa quel che animava ciascuno di noi nel prendere il tavolo, il bollo; nel vivere come abbiamo vissuto per sette anni per la giustizia che c'era nelle proposte che facevamo, una per una; e significa anche la costruzione - contro tutto e tutti, contro le debolezze, gli estremisti delle fughe in avanti e indietro, di questa dura centralità radicale della tolleranza, costruzione, lenta ma sicura, un millimetro al giorno, nella direzione giusta; quella che ha portato oggi - mi sembra - in termini di teoria politica, la politica italiana a questo nodo. Badate, non solo a sinistra, ma anche a destra. Anche a destra dovrà pur farsi luce, se qualcuno limpidamente crede ai valori dell'autorità, alla necessità della amministrazione onesta e paternalista del privilegio come elemento di crescita dell'ordine nella storia, per denunciare che puntualmente da quindici anni, v

ent'anni, Almirante e Carli, Moro e Fanfani, l'intero partito repubblicano di Valiani e via dicendo... Questa destra così articolata, questa destra deve ritrovare coraggio di proporsi anch'essa come alternativa, con le sue idee, contro questo sfascio di qualsiasi proposizione e ideale e progetto contrapposto della crescita di una società. Anche a destra anche nella destra che si chiama liberale, che si proclama di centro, che guarda a sinistra, cioè anche nel PLI, questo conto deve oggi essere fatto.

Credo quindi che la prima cosa che dovevamo e dobbiamo rivendicare, come abbiamo fatto, è la scelta del progetto di alternativa, unità e rinnovamento, con i nostri contenuti, della sinistra italiana; questo. Come?

La scheda arancione

Cari compagni, su questo armiamoci: ma prima dobbiamo e dovevamo dirci che questa è oggi la situazione politica. Perché non ce lo dice »Rinascita ? Perché non ce lo dice »Mondo Operaio ? Perché non lo dice la terza, quarta o quinta pagina del »Corriere ? Perché non lo dice nessun intellettuale, tranne coloro che hanno scelto l'isolamento e l'individualismo per poter continuare a parlare, ed a parlare in sintonia con noi - come Salvatore Sechi e Baget-Bozzo ed altri - i quali, per poter serbare il diritto alle sintonie con il mondo radicale, hanno dovuto e stanno scegliendo ogni giorno di più di compiere una scelta individualistica, non organizzata, perché appunto sia sopportata la loro costante attenzione alla verità della proposta politica radicale.

Ecco perché, lo ripeto e me lo ripeterò sempre: noi siamo coloro che da vent'anni costruiscono, come unica alternativa di salvezza allo sfascio del fascio dell'unità nazionale e delle sue misere illusioni, la praticabilità - per l'oggi - dell'alternativa di governo e di governo unito della sinistra.

Resta - avendo letto in questo modo, con umiltà e con pazienza, il significato della scheda verde, del »no sulla scheda verde, di quell'ottanta per cento, non mi ricordo più quanto, cari compagni e compagne - resta, soprattutto all'interno del partito - e fuori - il discorso della scheda arancione, del referendum radicale. E bene ha fatto, molto bene, Francesco Rutelli a dire, da segretario del partito, che si rifiutava di soggiacere al ricatto della pretesa ragionevolezza e serietà e consapevolezza autocritica alla quale siamo arrivati. Il discorso è vedere i fatti: e se per caso in Italia fosse accaduto, come noi riteniamo, che si è determinata una violenza di pretto stampo e forza goebbelsiana, (perché insistere nella parola lo vedremo) tutti i discorsi dell'alternativa - i politici ed altri - devono cedere il passo a vedere se è vero che in Italia abbiamo avuto una tipica operazione che appartiene all'Europa, alla storia recente dei nostri Stati nazisti o stalinisti.

Cari compagni, c'è qualcosa - se ci pensate - di mostruoso nel fatto che l'Italia del Mezzogiorno, l'Italia della povertà, che poi è un mezzogiorno più non solo geografico, ha votato all'ottanta per cento contro la misura legislativa compresa nella nostra richiesta referendaria, che l'indomani - l'indomani! - avrebbe sul piano del diritto positivo immediatamente consentito che non si versasse più sangue di classe dal corpo delle donne, come concretamente accade lì dove la 194 produce, come in Sicilia, un consultorio - un consultorio in tutta la Sicilia!

Pensiamoci, c'è qualche cosa di mostruoso, che è simile ai voti plebiscitari che si riescono ad inoculare con la mediazione dei Beni Oui Oui, come dicono i francesi, dei nazionalisti apparenti, negli Stati che cercano la loro indipendenza nazionale, con i voti di massa favorevoli alla proposta formale di nuova organizzazione, apparentemente federativa, nel Paese colonizzatore; c'è mi pare, se ci pensate, qualcosa di mostruoso che delle regioni, l'Italia povera, questa Italia povera, abbia votato, sia stata indotta a votare per il rafforzamento dell'arma che la fa sanguinare, che - materialmente - la raschia. Non stiamo facendo fughe avanti o indietro; senza il miglioramento delle proposte radicali la 194 - per l'Italia povera - è "quella che è", quello che vi hanno detto. Come è stato possibile, allora, quel voto?

Certo, è tremendo quando la libertà conculcata non consente che ci siamo delle elezioni; ma quel che è più tremendo è quando il Paese crede di scegliere, crede di conoscere gli elementi della scelta e questi gli sono sottratti e truccati. E' tremendo perché è goebbelsiano. La classe operaia della Ruhr fa la scelta nazista perché le si spiega che contro il disfattismo socialista, comunista o anche cristiano negli anni '30 solo il nazismo consente la rinascita industriale, e quindi anche operaia, della Germania; le si negano altre scelte e col suo voto unanime quasi, al novantasette, novantotto per cento, si creano i presupposti, per tre o quattro anni, al sostegno della Nazione tedesca alla politica nazista. O a quella staliniana, in questo più tremenda, più cattolica, più inquisitoria, più antica, quella che riesce a vincere non solo ammazzando fisicamente i propri compagni ma riuscendo ad ammazzarli moralmente, togliendogli perfino il diritto alla loro identità; ad ammazzare Trotski non per quel che dice, m

a facendogli proclamare e facendo proclamare da tribunali, dallo Stato, dalla giustizia dello Stato, da tutti i mass-media che, in realtà, costoro erano oggettivamente e soggettivamente alleati del capitalismo e magari del nazismo. Questo meccanismo ha funzionato anche in Italia ed è una delle cose più gravi della nostra storia. Non possiamo sottovalutarla. Mi è arrivata una cartolina di qualcuno, dicendo: »La mia educazione è catara: ma disgrazia a quel partito radicale che oggi, contro coloro che lo accusano di moralismo, testardamente vuole considerare come ``politico'' la denuncia e vuol documentare una menzogna come arma di azione politica . Ora, senza richiamare gli antenati o no catari, e senza richiamare tutta una storia di coloro i quali hanno negato l'importanza della verità, sostenendo la necessità della doppia verità nella lotta politica, non meno che in quella; religiosa, noi dobbiamo dire - e voi lo sapete, compagni e compagne - che anche nelle vostre famiglie, fra i vostri amici intimi, fra i

vostri - compagni e compagne - grazie all'azione messa in opera dall'ottobre scorso ad aprile - c'era la convinzione che il referendum radicale fosse, prima di formale, poi di sostanziale abrogazione della 194. Lo sapete: a scuola, in ufficio, questa era l'ideologia; e quando dicevamo: »Ma no, guarda... , mi si rispondeva: »Ma la vostra è la privatizzazione assoluta! . Voi sapete che con "questo" abbiamo dovuto fare i conti e che tutto è stato messo in opera... Sapete anche in molti che alla fine è venuto fuori anche quel discorso che i »sì e i »no si sommavano assieme, eccetera... Insomma si chiedeva di votare il doppio »no perché altrimenti con il »sì al referendum radicale indirettamente si, diceva anche »sì a quello del Movimento della Vita...

Guardate compagni: non importa per chi e contro chi questo è stato fatto; ma se nelle vita del nostro Stato, se nella vita della nostra democrazia si ha quello che già era apparso a difesa fascista della Legge Reale, con Spagnoli che dice alla televisione - per ingannare gli operai della FIAT, i comunisti, i lettori dell'»Unità , la gente di sinistra, gli antifascisti - che se si abroga quella legge fascista Concutelli e i terroristi neri sono scarcerati; quando appunto, per vincere con la destra si alza la battaglia ideologica, fenomenologica, legislativa, concreta della destra - è questo l'essenza delle unità nazionali naziste e fasciste - che succede? C'è bisogno sempre del nazionalsocialismo? No; nazionalliberalismo; nasce con Mussolini, leader carismatico socialista, la scelta di sollevare e fare proprie le bandiere dei valori delle destre per avere consensi; e in questo modo si creano quantitativamente le unità nazionali, ma a quel punto si afferma anche nel modo più feroce la necessità di dover realiz

zare con la violenza questa tappa intermedia del potere nel quale si realizza uno Stato totalitario, violento - e si assassina magari - per arrivare »poi , passata la parentesi, passate le necessità obbligate, le circostanze internazionali ecc., allo Stato senza classe e socialista.

Compagni, scusatemi; ma quanti di voi hanno vissuto come se fosse impossibile difendere il nostro »sì a febbraio, marzo, aprile; sentendo che era quasi impossibile e inutile? Ebbene, compagni, perché in questo caso non deve valere la logica - pura e semplice - e dobbiamo invocare delle logiche politiche sapute, elevare a dignità di profonda saggezza il senso comune, stolto, stupido e scontato? Era facile scrivere su »Repubblica - ma non scherziamo, non scherziamo - »chi fa l'undici per cento, il tredici per cento, è battuto ! Non scherziamo: »Come si fa in un referendum a non prendere almeno il dieci per cento? , con tutta l'evidenza terroristica del buonsenso, del senso comune. E in effetti, sembra quasi vero che »come si fa in un referendum a non prendere il dieci per cento? . Ma abbiate pazienza, io ho ragionato e, i miei compagni sanno, non con il senno del poi; vi sono alcuni testimoni che quando mi è giunta a Bruxelles per telefono, esultante, la notificazione del sondaggio Makno che diceva: »Trenta

per cento ai radicali , la mia risposta fu: »Non hanno nemmeno imparato a fare il loro mestiere e c'è chi ci gioca ... Quando la posizione radicale era ignorata grazie appunto a questa grande unità democratica, di classe, rappresentata in avanguardia dalla compagna liberale Costanza Pera, leader con l'UDI del femminismo del nostro Paese, del doppio »no ! Bisognava pure, a questo punto chiedersi dove sta scritto che il »problema era un altro ...

Il senso della vittoria del 13 maggio

Noi avevamo, come radicali, il tre, quattro per cento. Dove era scritto che per quel novantasei per cento che per batterci aveva assunto perfino l'inganno e la menzogna, che impediva agli italiani di sapere quello che volevamo per batterci, dove sta scritto che il problema non fosse proprio dello sfondamento di quel tre, quattro fino a ridurci al nulla, all'uno, uno e mezzo? Ma cosa credete, che abbia votato con noi »sì quel settanta per cento dell'elettorato radicale che nelle città, nei paesi, nella campagna non ha nessun contatto organizzativo con i radicali e quindi non poteva sapere che cosa davvero comportasse la nostra legge?

A questo punto, io credo che è possibile (e lo spiegai ai compagni del Manifesto che non bastava mettere come capolista, con un'operazione opportunistica e trasformista e demagogica Valpreda, per riuscire a strappare il quoziente e settariamente rifiutare alleanze per salvare la sinistra! lo ripetei ai compagni del PSIUP, e al Livio Labor e a tutti, che era imbecille credere che non si potesse essere sgominati nella democrazia politica ed elettorale!) è possibile perdere quando uno Stato intero, costituito in regime, quando tutti, come nel partito fascista, hanno sentito il dovere »della Nazione di insorgere per il doppio no contro il referendum radicale, con questi meccanismi folli, fascisti; badate, i meccanismi, non le volontà e quello che non c'entra niente! Che so, l'Associazione Odontotecnici probabilmente si è pronunciata: perché la salvezza dei denti probabilmente passava dalla salvezza di questa verità e scelta di civiltà!

Non possiamo - se crediamo alla democrazia politica - non renderci conto che questa operazione dimostra un cinismo cieco, stupido; dimostra una cultura alla quale poi può succedere che Fabrizio Cicchitto - non solo Manca - si va ad iscrivere alla P2; è la cultura di quelli - coglioni, non cattivi - che credono che...: »La democrazia politica? Sì, ma ; che...: »la verità? Sì, ma ; che....: »le idee? Sì, ma...

Ebbene, in tali condizioni... Ma per Dio, è l'unico modo per capire, azzeccare i pronostici elettorali! Ripetere questo miracolo costante dei radicali che crescono, per i quali ogni volta suonano le campane a morto, e appunto tutti sono pronti finalmente, ormai, a pascolianamente ci sono coloro i quali, appunto, si apprestano a segare la quercia radicale e dire »era pur buona, era pur generosa . Tutti pronti; e poi restano delusi ed incazzati perché la quercia è restata, non è caduta nemmeno quella volta e il loro mestiere di corvi della quercia non riesce a realizzarsi... In tali condizioni, era "questo" il nostro problema! Questo è ciò che dobbiamo chiederci: Come è stato possibile che non un milione e duecentomila donne e uomini, ma due e quattro; nemmeno, ma tre e sei ci abbiano votato, in una situazione nella quale se si era democratici si votava due volte no!

Da Msi a Pci, tutti uniti contro di noi

La scelta dei compagni socialisti nell'ultimo mese è stata sintomatica; la più aberrante, la più imbecille, perché pretendeva di essere la più amichevole nei confronti nostri. Mica ci hanno detto: Noi d'ora in poi non vi attaccheremo più, e non vi attacchiamo più perché è vero, avete ragione... perché Margherita Boniver... perché ha ragione D'Ambrosio, Fortuna, eccetera , ma hanno detto: »Noi non vi attacchiamo più: diciamo solo doppio »no . Capite? Così tutto quello che dicevano contro la scheda verde automaticamente diveniva sufficiente e valido per la scheda arancione. Questi che hanno voluto fare meglio hanno fatto peggio, perché il loro comportamento significava »Volete la privatizzazione? No? allora votate due no , e non c'era connessione logica.

In queste condizioni, onestamente, compagni e compagne, non credo che ci fossero più di dieci milioni di italiani su cinquantacinque che sapessero che non era vero quello che tutta la politica italiana, tutta la stampa diceva. Ma, scusatemi, d'un tratto »Corriere della Sera , »Messaggero , »Avanti , »Unità , tutti: »Doppio no . Badate, la stampa italiana sulla scheda verde era separata, ma dal MSI al PCI sulla scheda nostra arancione era un regime unito; come sul Concordato, come su tutte le altre cose, su questo l'unità nazionale era profonda per motivi vari. Fra di loro questi avversari si rispettavano: nel contrapporsi, Casini e la Magnani Noya - se è lecito paragonare una piccola cosa con una in questo caso relativamente grande - il grande Casini e la Magnani Noya ad un certo punto si rimproveravano delle cose giuste; cioè si attribuivano l'un l'altro le qualità che l'un l'altro rivendicava davvero; ma erano uniti contro di noi. Badate: a sinistra, da fascisti. A destra no, perché a destra dicevano il ve

ro: »Se volete che anche tutte le altre donne possano abortire votate il referendum radicale, ma noi, a destra, non lo vogliamo . A destra abbiamo trovato avversari leali, puliti, seri; l'avversario fascista è stato nello schieramento dursiano, comandato dal »Corriere della Sera , da questi falsi pontefici della dignità resistenziale, dai Valiani, dai moralisti di turno, dai catoni che parlano dai pulpiti dai quali invece, per dieci anni, si spara contro tutto quel che è di democratico, politico e pulito nella nostra vita nazionale.

Amici del »Manifesto , perfino voi, nella vostra eleganza intellettuale, poi alla fine dicevate che in fondo il nostro referendum era un'altra cosa; c'era la Menapace, nella sua coerenza ventennale con quello che era già negli anni '50 e '60, che continuava a dire che invece poi, in fondo, la concezione nostra era - come ci diceva la sinistra DC negli anni '50 e '60 - una concezione un po' borghese, priva del senso sociale (il »solidaristico di allora)... ma era la componente della sinistra democristiana, di quella sinistra lì: il solidarismo sì, mentre il liberalismo e lo Stato di diritto sono cose vecchie e di classe... In realtà sapevate benissimo che la maggior parte dei compagni elettori di DP e del »Manifesto non hanno seguito DP e »Manifesto - evidentemente, quelli militanti che conoscevano il problema - se non in odio alla cosa radicale; perché era l'occasione in cui forse si poteva definitivamente liberarsi di questa rogna che continuamente gratta, gratta, gratta e fa male al corpo corrotto delle

politiche non di alternativa, ma di evasione o di accettazione dell'unità nazionale. Fu detto! »Questa scheda è del partito radicale, di questi maiali di radicali, di questi irresponsabili radicali!

Ed allora consentitemi di dire che, visto che questo l'avete detto alla televisione, alla radio, dappertutto (ma per quale aberrazione io non devo ricordare che voi avete detto che non bisognava votare quella scheda radicale, quella più di ogni altra, perché rappresentava nel peggio il pericolo radicale) se a questo punto ci sono stati tre milioni e seicentomila voti invece che uno o due su questa scheda, ma cari compagni, anche gli elettori di DP, del Manifesto hanno "scelto" la politica radicale contro la vostra comune politica; la politica del partito radicale.

Quindi quanto ho detto che siamo partiti la mattina del 17 maggio con un esercito del 3,4 per cento e dall'altra parte... Diciamo di tremila e quattrocento persone e dall'altra di novantaseimila persone per andare allo scontro; e adesso è sera e si rientra negli accampamenti, e non è accaduto quello che potevamo legittimamente temere, che i tremila e quattro, sgominati, non tornassero sotto le loro tende per iniziare e preparare la lotta dell'indomani, ma che lì in quelle tende erano tornati moltiplicati, erano tornati il tredici per cento, erano tornati invece che in tremila e quattro in quattromila e sei, in settemila e otto - fate i vostri conti, in realtà più che triplicati, questo era il bilancio - allora, compagni, se abbiamo il senso di ciò che è accaduto quel giorno, da una parte la rivendichiamo: una grande vittoria, grande vittoria contro tutte le linee contrarie all'alternativa, conclusione vittoriosa di dieci anni puntuali di lotte radicali!

A cosa servono i referendum

Dall'altra parte, questa storia del voto »radicale . Noi non avevamo chiesto un voto radicale. Ma tutta la radio, la televisione, tutti i partiti hanno detto: »State attenti che quel voto è un voto al peggio dell'iniziativa radicale . Tutti sapevano che era questo; allora dico che quella sera noi abbiamo avuto, raccolti in unità di progresso e di verità sotto la bandiera radicale, vilipesa e sputtanata, non più solo un milione e duecentomila donne ed uomini italiani, ma tre milioni e sei: è stata una grande vittoria, contro coloro che ritenevano di potere sgominare una volta di più, una volta per tutte le forze della alternativa irridotte ed irriducibili. Che poi, se si vorrà continuare a dire che facciamo trionfalismo, potete semplicemente ricordare ai soddisfatti ipocriti e farisei del doppio »no l'autocritica bella e sterile di Rossana Rossanda, che pure, due giorni dopo, ha scritto uno splendido articolo (ma Mauro Paissan non l'ha letto) in cui diceva: »Ma noi dovremo pur chiederci come mai, e perché, p

erché... .

Compagni, sì dirò che il diciassette maggio non c'era solo il referendum sull'aborto. Certo, e allora anche su questo siamo brevi: ma tutte queste storie, sull'uso proprio ed improprio dei referendum, da parte di uomini di cultura, di osservatori, di uomini politici che per tutta la loro esistenza non hanno "mai" chiesto un referendum, non l'hanno mai voluto, hanno sempre detto che questo non andava bene per un motivo e quello per un altro, i quali ci vengono a spiegare - magari dal »Manifesto - che abbiamo tradito l'uso radicale proprio e bello dei referendum perché »bisognava usarli in un altro modo e che stiamo sputtanando quest'arma, che loro non hanno mai voluto usare!... Anche qui, io credo che ci vuole un minimo di serietà nell'analisi.

Che cosa sono per noi i referendum? "Occasioni di lotta politica". Dice: »Ma bisogna farne un uso sennato . Compagni, per me bisogna continuare; perché non c'è uno solo degli argomenti che ci sono opposti che mi convinca. Non ce n'è uno solo; questa marea di argomenti, ciascuno appena appena sufficiente, non fanno una politica sufficiente di liquidazione della strategia referendaria.

Ci dicono: »Ma i referendum si fanno per vincere giuridicamente . E dove sta scritto? Dove è scritto? Se questa interpretazione facesse parte della legge sarei anche d'accordo, ma non fa parte della legge. La legge è fatta per la vita democratica e per l'uso democratico di chi vuole, se ce la fa. Ebbene, quale altra possibilità noi avevamo, noi antifascisti, noi partito di Giustizia e Libertà, noi partito dalla parte di Terracini e Gramsci oltre che di Rosselli e gli altri e non dalla parte di coloro che applaudivano alle espulsioni di Terracini e Gramsci, che combattevano il fascismo in nome dello stalinismo e delle altre cose? Noi - sulla linea di Giustizia e Libertà di Rosselli, di Rossi, di Capitini, di Calogero, dell'alternativa di libertà e di diritto, dell'antifascismo radicale senza eccezioni, contro la morte, contro la morte ovunque, comunque giustificata - noi, in questa posizione, abbiamo il dovere di dire che "tutte le armi che ci sono consentite abbiamo il dovere di usarle". Per fare che cosa? S

e ci sono leggi fasciste, per abrogare le leggi fasciste.

Abbiate pazienza. Che cosa ci chiedono i compagni delle strategie sennate? Ci chiedono che noi depositiamo dei progetti di legge di riforma dei codici fascisti e delle altre cose; ma, di progetti di legge "buoni", fino a dieci anni fa erano piene le fosse del Parlamento italiano e della democrazia italiana. Presentarvi una "buona" interrogazione, presentarvi una "buona" legge... e non facevi nulla; così c'è il mistero di un Paese che aveva sempre oltre il quaranta per cento, anzi il novantacinque, di deputati antifascisti (diciamo comunque di sinistra), nel quale non c'è stata "una sola" battaglia per attuare la costituzione, democratico-repubblicano-liberale non certo rivoluzionaria.

Noi abbiamo presentato i progetti di legge; noi abbiamo sottolineato che ad ogni legge Cossiga era un rintocco di campane a morto della riforma dei codici e della riforma della giustizia, senza la quale era evidente che andavamo al caos ed allo sfascio; abbiamo fatto queste battaglie, abbiamo aggregato, e abbiamo anche chiesto al Paese di aggregarsi su queste cose. E che cosa è accaduto? Che dal momento in cui è stato possibile vincere nel Paese (come il referendum del '74 dimostrò) da sinistra, da quel momento ufficialmente il partito comunista - che per quindici anni è vissuto in questo modo: »Tu, socialista, siccome tanto tu sei corrotto, tu vota la legge Reale; io voto contro, ma tu votala perché sennò non potrei votare contro (è stato sempre l'atteggiamento, l'abbiamo visto, consenziente, ma dissenziente nella sceneggiata) - il partito comunista ha dovuto assumersi una responsabilità opposta.

Io ricordo Pietro Ingrao, Presidente della Camera, che mi diceva: »Stai attento, se continuate in questo ostruzionismo, sarò io, che vengo rimproverato di sensibilità eccessiva nei vostri confronti, sarò io a proporre al mio partito di appoggiare la legge Reale, se voi non ci consentite di far fuori quel referendum ; erano consapevoli di quel che significava.

Quindi cos'è accaduto? Nel momento in cui abbiamo fatto crescere battaglie puntuali di diritto e di libertà diverse, ritorna la linea perversa, quella del 1936 - per intenderci quella dettata da Praga, raccolta dalla dirigenza non in carcere del Partito Comunista Italiano - che chiedeva il compromesso storico con i fascisti in nome (chiedo scusa; nel 1937) - degli ideali traditi dalla rivoluzione fascista, e tutti i partiti dell'unità nazionale si devono ritrovare tutti assieme: ma nella difesa della continuità con i codici fascisti, non della Costituzione Repubblicana.

So che Boato ed altri compagni non ritengono molto elegante questa ricostruzione, perché »erano altre epoche ; no, non erano altre epoche, era la "nostra" epoca, perché il problema non comincia con lo sbarco di Togliatti a Salerno! Togliatti sbarca a Salerno titolare di una politica vecchia, ormai, per lo stalinismo: che era il »pas d'ennemis à droite , »niente nemici a destra ; della politica - lo ripeto - che ammazza Trotzky e fa gli accordi con Ribbentrop, sia pure per motivi tattici, sia pure per motivi di accerchiamento e via dicendo...

Ecco spiegata anche, se voi volete, la storia del referendum sull'ergastolo. L'ha già detto Rutelli, non si può essere convinti, come i nostri compagni comunisti del vertice dimostrano di essere, che se c'è casino, terrorismo e via dicendo non si può avere una legislazione liberale e garantista, »perché i brigatisti lo impediscono . Questo, i brigatisti, è quello che vogliono. Non si può pensare questo e poi ad un certo punto dire: »Però che stiamo facendo... è troppo grossa; questo nostro schieramento puntuale...; e allora, almeno sull'ergastolo, ci pronunciamo .

La verità è che si sono pronunciati una mattina; dopo di che. essendo contro la loro storia, la loro natura (hanno sempre pensato che esiste una circostanza storica nella quale ci vuole una dittatura "al" proletariato, non "del" proletariato; la dittatura dei burocrati sul proletariato e sulla politica); il cuore non c'era per imporre nelle regioni rosse - lì dove si riesce a costruire il 97,8% contro il referendum radicale, il plebiscito - per imporre se non un otto o dieci per cento in più che in regioni bianche o altrove.

I nostri referendum: un programma di governo

Ma a questo punto, compagni, dovremmo dire che noi non stiamo costruendo l'unità e l'alternativa? Anche qui ha detto bene Rutelli: leggiamo una per una le proposte referendarie votate da quattro milioni di persone, votate da venti milioni di persone, una per una, e come vedete, se siamo convocati domani dal presidente Pertini - d'un tratto radicalmente illuminato - noi abbiamo il nostro programma di riforma e di governo, sul quale sappiamo di poter aggregare, come sul divorzio e l'aborto, il sessanta, il settanta, l'ottanta per cento degli italiani. Non c'è nessun partito che così concretamente come noi ha una serie di obiettivi di governo che coprono tutto l'arco dell'organizzazione della sinistra e del nostro tempo.

Ecco perché, cari compagni - proprio perché credo che se abbiamo la crisi dobbiamo capire quali sono le ragioni della nostra crisi - la prima cosa che dobbiamo fare è di evitare di attribuirci malattie che non abbiamo; perché, se abbiamo una malattia e ci curiamo per quelle che non abbiamo, la malattia che abbiamo vincerà e rischierà di farci fuori. Non crisi quindi di strategia, non crisi di consensi, non crisi politica! Noi continuiamo a dire: »Il rinnovamento c'è, in Italia, se al centro dell'unità della sinistra vi sono non i discorsi di schieramento di Craxi o di Berlinguer ma i dati di valore concreti, i dati di progetto e di progettualità . Su questo non abbiamo che da insistere. Il problema è capire come mai ci sentiamo in crisi; il problema è anche di capire se per caso non hanno ragione quegli altri attenti osservatori di sé o degli altri (a seconda che sia un radicale o non radicale) che dicono: »E adesso questo partito radicale deve stare attento a non fare l'altra fuga in avanti! Essendo stato s

gominato sui referendum, adesso non deve cominciare con la fame nel mondo .

Cari compagni, credo che da questo punto di vista bisogna innanzi tutto dimostrare che noi avessimo la strategia referendaria e non una strategia "anche" referendaria, e fare i conti se questa è servita per dei passi avanti o per dei passi indietro; ma si tratta anche di capire se noi adesso faremmo un ricorso - come dire - tatticistico ai temi dell'internazionalità e della pace o se questo non fa parte del nostro "dover essere".

Su questo, anche qui, darò dei dolori a qualche nostro carissimo compagno, convinto che sia intelligenza il senso comune che ci scaglia continuamente addosso. Io credo che noi dobbiamo - ovviamente, come sempre, riflettendo le circostanze - non smettere, fin quando possiamo, sempre rinnovandoci, dall'uso dello strumento referendario; ma sono sempre più convinto che soprattutto l'uso della nonviolenza, soprattutto l'uso del nostro "metodo" politico è urgente, se vogliamo salvare il Paese e tutti dai risvegli che potevano esserci a gennaio con il caso D'Urso, che in parte ci sono adesso con questa quasi risibile ma fondamentale cosa - quasi risibile per noi, ma giustamente scandalosa per tutti - il fatto cioè che si scopre che la cultura della nostra classe dirigente è una cultura omogenea ai disegni, alle realtà del signor Gelli, probabilmente »destabilizzatore delegato di coloro che operano nel mondo con grandi forze.

A questo punto una critica l'ho da fare a noi stessi ed al partito; noi siamo il partito che si è affermato con la galera di Cicciomessere e con l'antimilitarismo, con certe convinzioni chiare, non di scola, con certe previsioni che facevamo e oggi purtroppo si dimostrano vere: ma forse la parte della relazione di Rutelli seguita con meno attenzione era quella nella quale spiegava quale sia la realtà che stiamo vivendo in termini di guerra possibile, di armi, di armamenti, di probabilità di guerra.

Quale era il progetto del golpe

Lo capisco, compagne e compagni. Perché ci hanno tutti abituati a pensare - anche qui, al novantesette per cento - che il problema dello scontro sulla politica internazionale non esiste. Accusarono per anni, ricordate, il linguaggio radicale; quattro anni fa dicevamo »P2 , dicevamo »l'esercito della P2 , dicevamo »le P38 passano, ma le P2 restano : erano slogan anche televisivi; parlavamo e dicevamo (ed eravamo censurati) di questo Stato come associazione per delinquere contrapposto alla nostra associazione per delinquere, ricordate? Vedevamo chiaro in noi e negli altri, è vero o no? E adesso quel nostro linguaggio...! Leggevo ieri sul »Manifesto , a proposito della legge sull'editoria, a proposito dello Stato che ritarda sull'editoria, Luigi Pintor parlare di »assassino pubblico ed io sono molto d'accordo, ma quando noi dicevamo - "prima" che l'assassino potesse continuare ad assassinare - »un'assassino di libertà , »assassinio di verità eravamo ritenuti un po' plebei e smodati, non padroni del linguaggio

politico, demagogici, non abbastanza seri. Oggi il linguaggio radicale lo troviamo nelle parole di Pertini o di Pintor, degli editorialisti, di Valiani, dappertutto: »la strage di verità , »il sequestro della verità , »il sequestro della legalità e via dicendo, cose nostre.

Così ci corre l'obbligo, compagne e compagni, di dire che "bisogna essere antimilitaristi". E ha ragione il segretario del partito, che dobbiamo augurarci che la lotta politico italiana su questo diventi chiara; dobbiamo tender a raggruppare il Paese in due fronti: quello della politica di riforma. Anche in politica estera, augurandoci di essere noi a raccogliere nei valori alternativi della sinistra, di pace, il cinquantuno per cento; e sia invece chi sta scegliendo di cavalcare le alternative all'antimilitarismo e al pacifismo a guidare lo schieramento opposto.

Per questo, cari compagni, c'è il Partito Socialista Italiano. Oggi le due linee alternative, in termini di politica internazionale, di politica militare e di politica della pace, di politica della P2 e di politica della P38, sono quella del PSI e quella del Partito Radicale. Tutto questo è tanto grave che io vorrei aggiungere a quello che diceva Francesco Rutelli qualche altra considerazione, perché ci abituiamo a parlare come radicali anche di queste cose ed a sentire che anche di questo si tratta: non solo che i nuovi missili in realtà non sono immobili in un posto, ma in cinquanta chilometri e quindi, se installati, devono stazionare e girare in venti volte cinquanta chilometri (è la loro caratteristica tecnologica); questi missili che Lagorio e il PSI stabiliscono che si devono mettere (siamo Paese di avanguardia nel fare questo): ma c'è una cosa molto diversa, molto semplice.

Non vogliamo fare le Cassandre come la Malfa, cioè urlare »l'avevamo detto e preparare, in realtà, quello che diciamo di voler scongiurare. Cari compagni, la situazione nel Mediterraneo è semplice e si inquadra nella realtà della P2. La NATO - forse d'accordo oggettivamente con gli orientali - la NATO ha fatto un colpo di stato in Turchia. Nel Parlamento europeo una metà dei socialdemocratici europei si stanno battendo perché la Comunità Europea continui ad assicurare il finanziamento dei golpisti turchi: c'è un protocollo finanziario che noi radicali abbiamo chiesto venga quantomeno sospeso. Badate, in una situazione nella quale sessanta giorni dopo il golpe dei colonnelli greci - all'unanimità - il Parlamento Europeo, quel Parlamento "non eletto" votò la sospensione dei rapporti tra Comunità Europea e Grecia; mentre con "questo" Parlamento europeo, a direzione »liberale , nove mesi dopo il golpe di costoro che hanno processato centotrentacinquemila persone, che stanno sfasciando sempre di più e divenendo,

dai bravi e puliti generali NATO che appunto dovevano salvare la democrazia (in effetti in putrefazione) degli Ecevit e degli altri... bene, abbiamo un Paese in stato di guerra con il denaro votato da Stati democratici europei che per molto meno avevano invece preso posizione contro i colonnelli greci! Ecco quello che significa il liberalismo di oggi! Giscard è stato battuto?: »Non è liberale; noi... e infatti! A livello internazionale gli amici liberali fanno parte del gruppo giscardiano e non - caro Patuelli - all'inverso, perché in termini quantitativi voi siete due o uno e quegli altri, i giscardiani, sono invece venticinque o ventisei! Comunque non importa, perché poi c'è tutto il resto della melma antiliberale che si è impadronita del nome »liberale !

NATO, P2, Grecia, Italia...

Ma compagni, la situazione è molto semplice: il Parlamento Europeo e la Comunità Europea hanno pronunciato la loro solidarietà alla Spagna ed al re di Spagna per lo scampato pericolo. Ma dopo tre mesi. Per un motivo molto semplice: che questo Parlamento, questa Comunità Europea, questa socialdemocrazia di Schmidt ed altri non vogliono stare dalla parte dei perdenti; se quel colonnello avesse vinto la sceneggiata della occupazione del Parlamento, è evidente che avremmo continuato il processo di associazione della Spagna; quando ci si dice: »La Spagna deve entrare nella Comunità Europea per garantirsi dai colpi di Stato , si dimentica, compagni socialisti, che la NATO, una parte della NATO, è la forza che organizza i golpe, che una parte della politica del Pentagono è quella, sempre più, di organizzare l'ordine militare lì dove la democrazia non riesce ad assicurarla.

E' evidente che con la filosofia che oggi porta a dare soldi ai golpisti turchi torturatori ed assassini in nome dell'Europa democratica e liberale e socialista, è evidente che non appena in Spagna decideranno di aderire alla NATO e di fare il colpo di Stato - ed è facile farlo, riuscire a »piegare il giovane re - è evidente appunto che a maggior ragione la politica usata nei confronti della Turchia si ripeterà per la Spagna.

Vi parlo di questioni delle prossime settimane. Molto probabilmente ad ottobre è Papandreu che vince in Grecia; state tranquilli - scenario terrorismo - la vittoria di Papandreu significa che Turchia, Grecia, Spagna e Italia sono nel mirino per il Nuovo Ordine Mediterraneo secondo la logica Reagan-P2 ed altre cose del genere, una logica alla quale la politica socialista, ma anche la politica comunista, non stanno dando in termini di informazione, di lotta e di intelligenza nessun contributo; perché la politica comunista è subalterna ancora all'ideologia degli anni '30, stalinista, quella della scelta delle alleanze con le rivoluzioni nazionali nei vari Paesi a conduzione borghese e militare; quella che portava a sacrificare all'altare dell'alleanza con le classi militari e borghesi del Terzo e Quarto mondo anche le minoranze rivoluzionarie - e si firmavano i patti con le dittature militari cosiddette progressiste nel Terzo e Quarto Mondo mentre si assassinavano i rivoluzionari socialisti e comunisti di quegl

i Stati.

Ma nello scenario delle situazioni che abbiamo dinanzi teniamo presente che la situazione nel Mediterraneo e in Europa è una situazione da risvegli facili, in Turchia il golpe c'è stato; in Grecia, in Spagna ed in Italia... in Italia la vittoria riportata ottenendo la vita di D'Urso ci ha probabilmente, però, fatto guadagnare molti mesi: perché sono certo, e lo sapete, non sarebbe scoppiato il fatto della P2 se avessero vinto, se avessero avuto il cadavere di D'Urso; era tutta gente di governo! Diciamo da questo congresso, compagni, che l'ottimo lavoro - grosso e misconosciuto anche da Radio Radicale e forse anche dal partito e in parte dal gruppo - di Massimo Teodori nella Commissione Sindona ha consentito ed ha agevolato anche, per una volta, un atteggiamento che i compagni comunisti non sono soliti tenere in questi casi, quando non c'è il tallonamento e l'intransingenza radicale.

Ma diciamo che, da questo punto di vista, noi che abbiamo sempre parlato di P2 dobbiamo dire che vogliamo sapere se l'eroe non P2, il Generale Capuzzo, che guardacaso era lanciato dalla P2 del »Corriere della Sera come il generale - forse lo è - »lava più bianco, OMO , non faccia parte per caso di quell'altra massoneria, quella pulita - lo dico da questo congresso - la massoneria del ladro e truffatore Salvini, la massoneria del ladro e truffatore Gamberini, cioè il Grande Oriente d'Italia che nel suo assieme, tranne piccole minoranze, è un'associazione per delinquere con la P2, che ne condivide pienamente le responsabilità. E il gioco delle tre carte. Io sono convinto che se il partito repubblicano è presente nella P2 solo col Bandiera è perché il partito repubblicano, in gran parte massone, ha fatto le sue scelte e fa parte dell'"altra" ala della massoneria, non P2, quella che però condivide il putridume dell'uso degli ideali massonici di fratellanza - laici - per amministrare le campagne in sintonia con

Calvi, Ortolani, Sindona e gli altri, per fare poi che il »Corriere della Sera con il Giampaolo Pansa intervisti il Di Bella, troppo cattivamente trattato dai radicali, i quali hanno detto cose immonde (ve lo ricordate) contro questa stampa pulita, valianesca, pertiniana, della fermezza, in difesa della vita di D'Urso. E d'un tratto scopriamo che questo pulpito è eretto sugli assassini della droga, la riconversione (l'abbiamo detto e lo ripetiamo) del denaro dei sequestri, della droga, della grande criminalità internazionale: e che Leo Valiani che da vent'anni vive (viveva finché Pertini non ce l'ha tirato fuori) in una sorta di scantinato della Comit, da Ufficio Affari Riservati, Leo Valiani sapeva prima e meglio di noi che cosa significa la Comit, che cosa significa Calvi, cosa significa il mondo finanziario internazionale. Leo Valiani che dai tempi della Resistenza (gloriosa finché volete) ha sempre avuto visioni abbastanza singolari e sintone a volte, coi grandi servizi segreti - nostri amici, come quel

li inglesi, ma amici in guerra - e che comunque ha costruito la sua continuità di osservatore politico in una sorta di scantinato, seppure al quarto piano, della COMIT, come centro di osservazione delle grandi operazioni finanziarie internazionali; accanto, ma vedendo tutto...

Lo contesto qui; non è lecito dire, non è lecito sospettare che Leo Valiani non sapesse nulla di Calvi, di Sindona, della P2, del coacervo di forze che davano forza al partito della fermezza; della congiunzione fra questa criminalità finanziaria e la criminalità della P2, ed anche della logica che fa usare in tutto il mondo a favore delle P2 e dei partiti delle fermezze di tutto il mondo (come in Turchia ed altrove) i terrorismi rossi e neri per giudicare le fermezze dei fermi di polizia, delle leggi Cossiga, degli ergastoli, delle politiche fatte con i generali Capuzzo o quegli altri innominati...

Sembra che è scomparso - ma chi, chi vogliamo minchionare! - il generale Ferrara, al Quirinale; il grande, grandissimo Generale Ferrara. Non c'è più un giornalista che ne parli. E' il più intelligente di tutti, e lo sappiamo; è fra i giovani; è consulente per il terrorismo del Presidente Pertini; sappiamo che conosce tutto e tutti. D'un tratto questa stampa - la »Repubblica e gli altri: »Ferrara, chi era costui? . Magari Maurizio. No, parlo di quell'altro... sono interrogativi grossi. A gennaio, compagni e compagne, il filo fra alcuni giornalistucoli dell'ANSA - P2 - e il Quirinale, si è mosso per tre giorni - e Pertini ce ne ha voluto per averlo detto chiaramente - per cercare di impedire che l'ANSA passasse alcuni nostri interrogativi, perché altrimenti Pertini avrebbe potuto e dovuto leggerli; si è cercato, si è costruita a gennaio, attorno al Presidente Pertini, un'associazione a delinquere per impedirgli di conoscere per deliberare, e - tutti, tutti - il partito della fermezza giocava in quella direzio

ne.

Ci si racconterà che la P2, che questo partito aveva - come si chiama - Piscitello? No. No, vi sono altri massoni al Quirinale. Il presidente Pertini lo sa, o lo sappia: »Presidente Pertini, per fortuna del nostro Paese, sei oggi molto di più di quando eri presidente della Camera e i repubblicani erano tanto parte nella gestione della Camera, e grazie ad un'inalberata notturna di Ugo La Malfa, che in questi casi non si imbarazzava a mettere - e faceva bene - in imbarazzo il proprio partito, i propri amici, venisti a sapere che alla Camera dei Deputati c'erano cose brutte che succedevano, soprattutto lo scandalo di stipendi altissimi; e poi...

Allora Pertini, ve lo ricordate, il Presidente della Camera, tacque; annunciò che si stava per dimettere e poi scrisse una lettera: »Caro Ugo, non ho dormito tutta la notte a pensare... e via dicendo, tutti lo ricordiamo. Ebbene, io ricordai che se non da Cosentino, un po' più lontano, da Maccanico a Paolo Ungari, a Manzella, a Negri, moltissimi erano - ma di altro tipo - erano tanti i funzionari repubblicani. Ed era certamente folle che fosse La Malfa a denunciare quel che era la costruzione dei repubblicani nel nostro Parlamento. C'era una contraddizione, ma Pertini allora aveva fiducia in Ugo, e aveva ragione; ma poi anche negli uomini di Ugo?

Oggi Pertini ha fiducia in Leo e negli uomini di Leo. Oggi non ci possiamo permettere, Presidente della Repubblica, che tu un giorno scriva, non più »Caro Leo , ma non so »Caro chi : »Io non credea... Perché ne va della vita della Repubblica, "della vita", della vita, Presidente Pertini, della legge e della Repubblica. Ci sono al Quirinale altri massoni. Noi che rivendichiamo i nostri ideali umanistici e quindi rivendichiamo la continuità anche con le fratellanze massoniche con quello che potevano significare ed hanno significato in alcune parti nel mondo, anche in nome di questo dobbiamo dire che non vogliamo criminalizzare nessun massone in quanto tale, ma dobbiamo dire che stavano per imbarcarsi in un'avventura della quale si sarebbero pentiti.

La guerra che ritorna

Dunque, compagni, Annibale dentro la città, non alle porte. Dunque una situazione diversa, come diversa era la situazione dell'utero delle donne dinnanzi all'aborto, come diversa era la situazione dinnanzi all'amore, al sesso, della gente che noi siamo, e diversa la situazione delle armi, della guerra che è possibile, così come giustamente predicavano, e sembrava da pazzi - nel '39 o nel '38 - gli Ernesto Rossi, Giustizia e Libertà e come abbiamo il dovere di dire e di tener presente noi.

Ve l'ho detto: in Grecia, se vince Papandreu, abbiamo poco - se non si modificano le cose - da aspettare; in Spagna è andata male quella cosa lì, ma è chiaro, leggetelo: questo terrorismo basco invincibile, necessario, che fornisce anche esso i cadaveri a coloro che vogliono l'adesione della Spagna alla NATO, per la sua stabilità democratica!

E la situazione italiana... Li abbiamo battuti. Li abbiamo battuti, nell'immediato; ma si può vincere convincendo il Paese solo se abbiamo alternative chiare. Ormai non si può più vincere difendendosi, dobbiamo affermare il programma, dobbiamo insistere e dire: »Abbiamo detto "governo ombra", abbiamo detto "programma comune della sinistra", abbiamo detto "Ministro ombra della Giustizia" . Questo è stato incessantemente il metodo delle nostre proposizioni.

E attenti, compagne e compagni, per lo meno per quello che riguarda alcuni di noi, a questo ricatto tipico di un certo tipo di intellettuali - Pasolini li individuava nel povero Casalegno e nel Firpo, diceva: »Questi intellettuali! L'ostruzionismo degli intellettuali, che dicono »no , sempre, a qualsiasi cosa di nuovo, o perché troppo grande o perché troppo piccolo, perché non s'ha da fare oggi, è da fare domani... - questi intellettuali, interni o esterni non importa (ma direi, in genere, più »amici ) i quali così come hanno leggermente parlato della nostra strategia referendaria, adesso diranno: »Il partito che cerca di uscire dalla sua crisi, buttandosi nei problemi della fame nel mondo, ecc...

No. No. Ma se muoiono trenta milioni o quaranta milioni di persone assassinate per motivi di classe - e muoiono - se le statistiche - che non conosce solo Carli! I compagni del »Manifesto hanno tanto, hanno i compagni Modigliani, hanno il meglio, anche lì... potrebbero intervistare Tinbergen, altri Nobel, economisti... - se le statistiche dicono che noi stiamo andando all'esplosione, non più di trenta o quaranta milioni di assassinati nei prossimi dodici mesi, ma forse di sessanta o settanta! Cose di dimensioni, come si dice, bibliche! E vicine.

»Abolire la miseria , proponeva Rutelli; e ricordava la grande bandiera radicale di Ernesto Rossi: »Dobbiamo abolire la miseria . E possibile. Allora, se mi consentite, dobbiamo abolire la miseria che conduce allo sterminio, la politica di miseria alla quale assistono inerti, in termini di iniziativa politica, tutte le altre forze politiche organizzate italiane, senza eccezioni: anche quelle che rendono omaggio ad una »giusta politica internazionalista sui problemi della fame nel mondo. Sottolineo - e non è trionfalismo, non è nemmeno vittimismo, noi affermiamo semplicemente, cari compagni, delle piatte verità - non c'è una sola organizzazione politica, manco »sottogruppettara , che dedichi "un'ora" del suo tempo alla lotta su questo fronte: della vita, per la vita; in una situazione nella quale tutti ci dicono, da McNamara come governatore della Banca Mondiale agli altri, che stiamo andando allo sfascio completo e assoluto: perché quei morti suonano a morte anche per noi.

E allora? Ma che socialisti si è? Ma cosa si vuole? Si vuole fare iniziative se "un" nostro compagno sta per essere ammazzato o condannato o torturato - che so io - in Irlanda o in Spagna... Ma questa è aberrazione nazista, razzista! Questa perversione, questa eleganza, questo cinismo, questa illogicità! Questa aberrazione per la quale proprio noi - con i nostri valori - dovremmo ritenere giusto e doveroso mobilitarci perché "uno di noi" non sia torturato, abbia salvi i suoi diritti di carcere, e non chiediamo nemmeno un minuto di silenzio nei nostri congressi - almeno questo! Sono uniti nell'unità nazionale, lo siamo almeno nelle liturgie buone. Un minuto di silenzio perché in quel momento lo scontro di classe sta assassinando trecentomila, in quel momento ci sono tecnicamente trecentomila agonizzanti!

Ma, perdio, sono fatti politici; che cosa significherebbe tacere? Ma, compagni, potremmo essere radicali? Non lo eravamo, non lo saremmo stati se non ci importava l'utero sfondato dal raschiamento dell'aborto clandestino, se non ci avesse importato davvero, se non fosse stato un problema di lotta, di libertà, di speranza, di felicità; se non sapevamo che l'amore era in causa, mentre si discuteva di sacramento, di sacramento o di dissolubilità giuridica...

Ma voi credete che si può davvero essere per il socialismo, per la vita; essere, qui in Italia, per il rispetto della vita e dell'assassinando delle BR o dell'assassinando della droga degli amici di Valiani, senza fare una battaglia di priorità politica quando, per salvare cinque milioni di persone, bastano delle noccioline americane, bastano quattordicimila miliardi o diciottomila o ventimila miliardi di lire in tutto il mondo? Ma vi rendete conto?

Possiamo poi stupirci se non sappiamo custodire il nostro futuro dai terremoti? Possiamo proclamarci essere una sinistra di governo che possa rimproverare ai governi della nostra società di non mettere in bilancio magari il mutamento dei siti, dei luoghi, dei paesi (quando sappiamo, la scienza ci dice, che entro dieci anni o quindici - matematicamente, secondo la scienza - riavremo a Messina, altrove, in Abruzzo, da noi, gli stessi sismi - o più gravi - che abbiamo conosciuto nei decenni: la scienza lo dice, preavvisa)?

Come possiamo dire: andiamo, investiamo, mutiamo il modo stesso di concepire il governo delle cose, degli Enti; abbiamo il coraggio di vedere se si deve ricostruire negli stessi posti, o cambiare le città; cose, quasi bibliche e quasi faraoniche, da fare con la democrazia (e non si fa nulla, nel fatalismo più suicida: avremo i terremoti e poi, dopo, scriveremo che non siamo morti di terremoto, ma della miseria della politica, lo scriveremo dopo, e ci saranno i maestri della rabbia e della consolazione che andranno a spiegare questo)...

Compagne e compagni è possibile essere credibili nella propria volontà di governare la pace, la libertà, il diritto, quando non siamo capaci di ricordarci che è diritto positivo - nazionale ed internazionale, Stato di diritto - il diritto alla vita, il diritto al cibo; diritto positivo il diritto, addirittura, alla salute, alla buona salute?

Non è un caso se la concezione giuridica, la concezione del "diritto" non circola per quella che è; non è un caso se si sceglie anche nell'Università, anche nei partiti, anche nei settori di Riforma dello Stato di Pietro Ingrao, di catapultare via l'elemento davvero rivoluzionario e rivoluzionante che il diritto ha, come diritto positivo "costringente", senza di che le classi dirigenti sono associazioni a delinquere contro il diritto che esse stesse rappresentano. Lottare in questo, compagni, significa attrezzarsi in questa direzione; e non lo siamo.

C'è la crisi radicale?

M'avvio alla fine; ma vorrei che questo congresso avviasse un dialogo e un dibattito. L'ho detto all'inizio di questo nostro incontro: crisi al gruppo radicale, crisi in Via di Torre Argentina, crisi nostra a Bruxelles. Crisi dovunque... Questo partito che non riconosciamo più; »Oh! le cose libertarie per le quali ci siamo uniti e invece la merda, di ogni momento, oh! dei nostri congressi! Questo muro del pianto, questo muro del lamento, questo muro della "crisi"! C'è. Si tratta di capire perché: e se mi consentite, compagni, la prima cosa che mi interessa, per il rispetto di questa crisi, è togliere a questa crisi i suoi alibi.

A coloro che dicono che siamo in crisi per i referendum; che siamo in crisi per il 17 maggio; che siamo in crisi perché dobbiamo, "noi", ripensare alla nostra strategia; che siamo in crisi perché le cose che abbiamo detto vanno rinnovate; che siamo in crisi di identità! Eh! certo se, guardandoci allo specchio, vediamo l'immagine che gli altri danno di noi, invece che la nostra, lo credo che abbiamo la crisi di identità! Vorrei che noi constatassimo, invece, che miracolosamente abbiamo conquistato tanti altri mattoni nell'edificio della speranza e dell'alternativa e dell'unità della sinistra, e che sappiamo che stiamo erigendo finalmente, ancora, una barriera contro il dilagare, lo straripare della stupidità centrista e di quella frontista, di Craxi e di Berlinguer di oggi; contro questi errori per i quali, non potendo riproporre decentemente, dopo due mesi o dopo due anni, il centro-sinistra e l'unità nazionale, non si fa altro che riproporre gli accenti più lontani e più dimenticati; "centristi", invece che

del centro-sinistra e "frontisti" invece che dell'unità nazionale e del compromesso storico.

Dobbiamo, quindi, sapere che dobbiamo trovare altrove i motivi della nostra crisi. E figuratevi, se io non so chi adesso poi verrà, e potrei anche chiamarlo per nome e cognome, a dire: »Ma allora tutta la spiegazione è che gli altri sono cattivi? »Non è che le cose da noi non vanno e ora viene Marco (così bravo, dal quale ho tanto appreso della mia esistenza, compagni, ma io ho il dovere di dirlo) il quale tira fuori il coniglio e dice che tutto va bene? E allora voi di nuovo, tutti quanti, in questo congresso: »Oh! la democrazia, dove se ne va? E il carisma! E qui e là, e la decisione, la controdecisione questo tipo di cose che si sono sostituite ai lanci di merda! Dopo che nessuno aveva combattutto nessuno in quanto lanciatore istituzionale di merda, ma perché abbiamo a un certo punto "saputo" ottenere che non fosse più possibile il lancio delle merda e della menzogna, della diffamazione del nostro partito, e si diceva »è falso!

»Non avete rispettato lo statuto del partito ! »No, non è vero . Il lancio di merda era la diffamazione. Non c'è più nel nostro partito; adesso c'è un'altra cosa: »Ma come è possibile, come è immaginabile? »Ma insomma, allora saremmo i soli ad avere ragione? Soli contro tutti? Ma questa è una visione... »Si deve essere eroici? »Ma in concreto, poi, lo vediamo come soffriamo! E in effetti... vediamo. C'è il gruppo radicale. Ci saranno poi, credo, in questo congresso, le relazioni, o per lo meno gli interventi dei titolari di questa responsabilità; ma io, per quello che ne so (non sono più deputato qui, vivo come deputato europeo) dalle riunioni e seminari, è il muro del pianto: »E' la fine! .

Questo gruppo che è riuscito ad essere in realtà, da solo, l'antagonista, e a fare un lavoro straordinario dall'inizio della legislatura ad oggi; questo gruppo che va in crisi non se per ventiquattro ore non è l'antagonista - badate - ma se non è il protagonista di battaglie parlamentari; questo gruppo nel quale la situazione è tremenda, nel quale c'è la tragedia e il dramma di Marisa Galli che se ne è andata! Io lo dicevo che era un dramma brutto - lo dicevo io - con rispetto, io, di Marisa Galli, quando dicevo: »Marisa, mi pare che tu abbia cambiato opinione, tu stai diventando una indipendente di sinistra, hai un'altra posizione, hai quella linea ; avete visto, Marisa Galli - che se ne era andata per l'unità e l'alternativa, perché noi non lo eravamo abbastanza, per una maggiore intransigenza - si è scatenata anche lei, per trovare un minimo di udienza nel mondo politico italiano, ad andare a fare la campagna per i due »no ; lei, Marisa, che era stata fra le più scandalizzate, quasi religiosamente, per la

194, per quello che comportava; e per avere quel po' di spazio di dipendenza di sinistra, povera Marisa è andata - testimone contro se stessa, avendo raccolto le firme dei referendum con noi - a parlare contro, anche lei.

Era un problema politico, e andava salutato con il suo valore politico, di perdita politica, la scelta politica di Marisa Galli; ma è scelta non di altro, ha dignità di scelta, e quindi si aveva il dovere di dire: »Cara compagna Marisa, ci spiace, possiamo anche augurarti che tu abbia ragione, temiamo che tu abbia torto: la battaglia per l'alternativa, l'unità, il rinnovamento, anche della coscienza religiosa, anche delle tensioni ideali si fa qui, fuori è purtroppo una illusione; ma puoi andare e vai, ti diamo l'augurio; ci auguriamo che non debba accorgerti troppo presto che ti sei sbagliata a ritenere che il limite era, non in te, non in Italia, ma nel gruppo radicale. Vedrai che riuscirai ad esser meno radicale lì dove andrai mentre ci vai - e lo sappiamo - per esserlo più e meglio; e che se vorrai sopravvivere dovrai fare quelle cose contro le quali ti eri costituita in donna, in militante, in deputata radicale .

Certo, ci sono nel gruppo altre crisi, gravi, ma io devo dire. compagni, che poi c'è anche a Via Torre Argentina: ce l'abbiamo a Trieste, a Bari forse meno; insomma, ce l'abbiamo un po' dappertutto.

Voi sapete che, come avevamo annunciato al congresso di novembre, tutti e tre, pubblicamente Jean Fabre, Giovanni Negri ed io, avevamo annunciato che ci saremmo dedicati ad »altro , l'»altro dell'ultima parte della mozione congressuale che riguardava, appunto, i problemi dell'internazionalismo e della fame. Ebbene, vi assicuro, compagni, stiamo facendo e abbiamo fatto molto; ma anche noi a Bruxelles in certi momenti: »Non ne possiamo più, il carattere è disumano, per carità, ci si vuole molto bene, ma non si regge, non ce la facciamo. E' questa la vita, il modo libertario, l'amore che dovremmo prefigurare quando abbiamo scelto di fare i radicali? e via dicendo. Certo, ogni volta che abbiamo coscienza perdiamo coscienza storica di noi, compagne e compagni, e ogni giorno che rinunciamo a comprendere che se cessa di esserci la nostra iniziativa politica cessano anche di esserci i grandi atti di intelligenza e di amore collettivo per tanti e tutti, e quindi anche al nostro interno diventano difficili gli atti

di intelligenza e di amore, anche più personale e collettivo, e più individuale; se noi dimentichiamo questo, se noi non comprendiamo che la sola possibilità di speranza è di non illuderci che esistano delle possibilità di felicità che non siano nello stesso tempo proposte pubbliche di felicità e di raccordo su felicità ed intelligenza, anzitutto "manifestazione" di proposte e di progetto, manifestazioni concrete, anche questo - radicalmente e progressivamente - come la pelle di zigrino finisce per restringersi, anche all'interno dei nostri gruppi.

Essere »radicali

Essere radicali ha sempre significato essere »radicali . Ci sono degli amici qui, di Comunione e Liberazione o quasi, presenti; volevo dire che una volta si sapeva che essere cristiani, testimoniare della propria fede, significava esserlo in "partibus infedelium", non costituiti in setta osannante o celebrante la propria unità fra i puri e i duri. Essere radicale - il nostro statuto ce lo indica - significa essere radicale "fra chi non lo è", significa situazione di dialogo costante, di raccordo significa non ricercare la perfezione all'interno della setta, ma la crescita ovunque - per la decrescita del suo contrario - di una visione dialogica della esistenza, sapendo che la "manifestazione" è la cifra unica di giudizio di un pensiero e di una speranza, mentre i pensieri e speranze che restano nel circuito chiuso delle intenzioni, della coscienza, dei tormenti e anche delle attese sono le sepolture di quelle speranze, il modo per cui l'"altro" si impossessa di noi e storicamente diventa vincente e non ci ren

de più riconoscibili a noi stessi.

Su questo, credo, compagne e compagni, non faremo nulla di straordinario; ma dobbiamo confermare di volta in volta, nella puntuale analisi delle possibilità e la strategia referendaria, e la strategia del diritto e quindi della via legislativa, e la strategia della nonviolenza con i suoi obiettivi.

Abbiamo dalla nostra una fortuna enorme, che non dobbiamo dilapidare: le cose per le quali ci siamo riuniti nella loro testualità non sono in crisi, sono in crisi le altre; oggi è più forte la possibilità di quattro milioni sulle armi... Quattro milioni, questa gente, è un elemento di forza molto grande, perché abbiamo anche messo in contraddizione - e oggi è chiaro - la sinistra ufficiale che ha rinunciato a fare quello per cui è sinistra, e il dibattito non potrà non affrontarsi ed essere affrontato anche al loro interno.

E noi dovremmo vigilare ad andare in questa direzione. Dobbiamo chiederci, compagne e compagni, come ha fatto Francesco Rutelli, una cosa: noi avevamo concepito, in sintonia con Giorgio Amendola, lo statuto del partito unico dei lavoratori italiani.

Giorgio Amendola lo propose per una stagione di tre mesi, poi ebbe paura del proprio partito e vi rinunciò; battuto dalla lunga linea grigia, degna e profonda, che trova non in Berlinguer, ma in Ingrao il vero continuatore - quella della democrazia consociativa, quella di una visione gentiliana di sinistra, non gramsciana, gentiliana di sinistra, delle possibilità di progresso del nostro Stato e della nostra società.

Noi abbiamo concepito allora questo Statuto ed era lo Statuto che offrivamo come strumento di rispetto delle diversità storiche della sinistra per federarsi e renderla federatrice, come dice Francesco. Oggi dobbiamo riconoscere che noi, che eravamo nati e sorti per morire quanto prima possibile nell'unità che volevamo costruire nell'alternativa e nel rinnovamento, siamo tremendamente - anche per noi - necessari, nella nostra crescita di partito e nella nostra singolarità, a questo processo.

Non c'è più Giorgio Amendola; d'altra parte la sua intuizione fu battuta e dovette lasciarla ben presto, come scoria della sua iniziativa politica. Noi, oggi che siamo più forti e agguerriti nei contenuti, nei programmi e nei metodi, nella storia e nell'immagine, di quanto non fossimo, per proporre alla sinistra italiana e al Paese di mutare per vincere, convincere e rinnovarsi, dobbiamo, a questo punto, liberarci dal nostro Statuto. Ecco il mio contributo - a luglio - alla riflessione per il luglio '82: liberarci da questo Statuto, per darlo a tutti quelli che a sinistra volessero e vorranno una grande alternativa autenticamente socialista e liberale, e democratica e cristiana, di governo della nostra società; della sinistra in tutte le sue componenti.

Lì, in quello Statuto, c'è l'indicazione del sindacato democratico di classe, non del sindacato corporativista o del sindacato della unanimità; per intenderci, della CFDT o delle Trade Unions di trent'anni fa, di quelli che sono una delle due gambe politiche del Terzo Stato, e non i tutori del momento »puro della trattativa sindacale che non si capisce mai quale è; soprattutto in un Paese nel quale, di nuovo, abbiamo i grandi scioperi, bestemmiatori dello sciopero come lotta del lavoratore, convocato per televisione e con i treni popolari - come negli anni '30 e '35, quando il regime stabiliva che ci voleva la grande manifestazione di massa dei lavoratori; grosso modo così si fanno le manifestazioni di massa della Triplice, annessi e connessi.

Lì c'è una ipotesi di partito; dobbiamo non dimenticarla, offrirla ai compagni intelligenti e colti di »Mondo Operaio e del »Manifesto ; offriamo loro una teoria della prassi e dell'organizzazione già enucleata per la sinistra, come adesso sembrerebbe che anche Magri e Cafiero la vogliono, e come molti di noi la vogliono.

Lo statuto della nostra realtà

Ci vuole poi - invece - e dobbiamo concepirlo, il "nostro" Statuto: ebbene, io so una sola cosa, compagne e compagni; è che noi siamo il partito che di una cosa non si può lagnare - è l'ultima falsa crisi della quale dobbiamo liberarci per arrivare a capire quale è la nostra vera crisi - noi siamo il solo partito che vede un eclatante successo del suo criterio costitutivo statutario. Vedo alcuni compagni che amo, e sennati, ho visto perfino Valter Vecellio, adesso, dire »cazzo - scusatemi - e sembrava che io dicessi una fesseria grande e ci fosse il commento della saggezza umile del compagno che lavora e pensa.

Ebbene, compagni, anche qui non ho una logica politica e una logica personale; siamo millecinquecento - è vero Valter? - millesettecento o duemila, e in più al novanta per cento frustrati - è vero?: e in più, frustrati in questo senso, che tutti noi siamo frustrati: chi al novantanove, chi al settantaquattro, ma è questa la realtà - vero Adelaide? - del gruppo, tua e di altri. E' importante, Adelaide, e le cose che mi dici spero che le dirai anche qui: questo gruppo che non esiste, questo gruppo nel quale non riesci... e non è vero! Tu vedi il gruppo che Marco vede con i suoi occhi, che sono diversi: tu non vedi te, non vedi il tuo gruppo, non vedi quello che fate, vedi quello che gli altri dicono che non fate. E' così! E comunque, per quello che ti riguarda, per quello che riguarda altri di noi, c'è la frustrazione, il non farcela, e poi viene fuori: »Ma forse il mio limite soggettivo, sono io che non ce la faccio, sono stanco... eccetera.

Bisogna vedere le cose come stanno, parlarne. Ebbene, Valter, non dicevo una minchionata; voglio dire: siamo millecinquecento, millesettecento, vero?... Perché dico questo? Perché, se dobbiamo capire che cosa non va, non attribuiamo le cose che invece vanno come causa del non andare; perché se la diagnosi è sbagliata, non ci cureremo.

Allora: ma quale è il partito nella storia di Europa, non solo d'Italia, in questo momento, che in millecinquecento, in millesettecento, in cinque-settecento militanti più duemila al momento della mobilitazione referendaria, segna di sé la storia del proprio Paese; non solo ha il 3,4 per cento, non solo rappresenta il gruppo antagonista nel Parlamento, non solo pare che raccolga decine di Nobel su dei testi »strani , eccetera; e non solo, non solo, non solo... ma costringe a discutere di sé continuamente come parametro; e tutti dàgli a seppellire l'»illusione referendaria dei radicali (che non abbiamo, ma che devono seppellire)... Scusatemi, se l'organizzazione è lo statuto di un partito, come per l'azienda l'organizzare il lavoro, i rapporti di produzione ecc., ebbene, siamo millecinquecento, duemila, lo siamo sempre stati in questi anni (abbiamo ricordato gli schieramenti reali, di classe, oggettivi, i rapporti anche di forza, di produzione politica) e stiamo producendo sempre - oltre che la nostra crisi,

le nostre frustrazioni e le nostre crisi di crescita - stiamo producendo quello che io onestamente dicevo per esempio - per quello che riguarda la strategia dell'unità e dell'alternativa - il "significato" dello scontro imposto il 17 maggio alla destra e alla sinistra che non lo volevano, né l'uno né l'altro.

Stiamo costruendo queste cose. Allora, bisogna pur riconoscere che il nostro modo di stare insieme - cioè il nostro statuto o le nostre prassi - sono "sconvolgentemente" produttive, in una situazione nella quale partiti da centinaia di migliaia di consiglieri comunali, di consiglieri d'amministrazione, di consiglieri di qua e di là, di presidenti, eccetera, riescono a determinare l'assoluta irrilevanza della propria qualità e delle proprie proposte ideali nella storia del nostro Paese e nella società. Perché quando ci si dice »che cosa vuole dire essere radicali? In realtà la fantomatica donnetta, il vecchietto e via dicendo nell'autobus ve lo sanno dire: »Ah!, Quelli lì, divorzio, aborto, quelle cose... Sanno dirlo. e più altre cose che non confessano, che gli importano.

Ma se uno dicesse, scusatemi compagni, cosa significa essere - non dico »picisti come la stampa di regime - ma »comunista oggi, »il Pci che vuole? »Che tipo di economia? A due settori. probabilmente, certo, come tutti. L'autogestione, la socializzazione? Quali tecnologie sceglie? E il comunismo? Nei due tempi? Il socialismo che cos'è? Cos'è la Democrazia Cristiana? Veramente è incredibile; dobbiamo pensare a questo; che cosa sono, che cosa producono con le loro decine e centinaia di miliardi tanto quanto costano, le aziende comuniste, democristiane, centinaia, migliaia indirettamente, essendo grande parte, ufficiale, dello Stato; i consigli regionali, le deputazioni, i senatori... ma è Stato, sono nazionalizzati. Lo Stato sono in gran parte loro.

Dobbiamo pur dire, Valter, che a questo punto la prassi dell'organizzazione, dell'organizzazione nostra, dei millesette-milleottocento è l'unica che funziona! Bisogna spiegare come fanno gli altri, a non funzionare. Allora dobbiamo chiederci, dobbiamo chiederci che cosa è che non va; ma non dobbiamo dire che è la sconfitta del 17 che non c'è stata, che è la crisi che è solo di crescita - se c'è - della linea radicale e della sua politica; non è crisi dei contenuti, non è crisi della nostra lettura e quindi della nostra cultura politica della nostra lettura degli eventi internazionali è nazionali. Noi abbiamo descritto l'esercito dieci anni fa, quindici anni fa, come oggi ce lo descrivono i giornali; abbiamo descritto la guardia di finanza - per amore anche dei finanzieri - come una necessaria associazione per delinquere in gran parte dei suoi vertici; dicevamo anche a Falco Accame che oggi la struttura militare non può che produrre queste cose; gli abbiamo raccontato il presente.

Cosa non possiamo abbandonare?

Allora, compagni, la risposta dobbiamo darcela in questo periodo, dobbiamo anche rifuggire dalla comodità o dalla viltà del non riconoscere quello che "non possiamo" abbandonare, proprio perché su questo sempre più in Italia e in Europa aumenta la forza delle attese e delle aggregazioni attorno alla esile struttura dei milleduecento, millequattrocento e milleottocento. E non ho la risposta. Ma l'unica operazione di pulizia è rifiutare le risposte e le spiegazioni che venivano date.

Personalmente ritengo che è possibile, teoricamente possibile - non so se c'è qui Panebianco - ma voglio nel lavoro pensarci in questi mesi fino all'82 è teoricamente possibile che noi dobbiamo immaginare (... e già sento qualcuno: »i leninismi , e via dicendo) immaginare uno statuto per i mille, i settecento e gli ottocento; perché l'unico modo di ottenere la nascita dei partiti federali dei più soggetti è che a questo punto noi ci riduciamo al soggetto che siamo e non facciamo finta di essere quel soggetto plurale fatto di tanti partiti, di tante cose che non ci sono. Noi siamo un soggetto di tre, quattro, cinquecento, settecento compagni che hanno saputo assieme lottare e lottare bene, raggiunti per ogni generazione da qualche altri cento o cinquanta compagni... e siamo riusciti in questo modo probabilmente, comunque, ad esigere da noi il massimo di modo libertario, di modo socialista, di modo nuovo di vivere personalmente e politicamente il nostro impegno politico. Dobbiamo quindi, se non vogliamo anche

noi essere quelli delle costituzioni »perentorie e »ordinatorie , precisare, limitare il soggetto partito radicale; perché, appunto, più partiti radicali, più soggetti socialisti, più soggetti federali e federalisti possano organizzarsi senza fare - della milizia all'interno della »grande cosa radicale - l'alibi per i loro insuccessi a Roma o a Napoli o a Trieste o a Bruxelles; e cercare di creare quelle altre strutture nelle quali abbiamo sempre pensato che i radicali devono esprimersi, non in un partito-chiesa, ma in tante strutture di diversa natura, nelle quali ci si trova ad impegnarsi.

Ecco il contributo, compagni, che ho potuto darvi. Sarà stato, e sono stato lungo - lungo per me ma anche lungo per voi - ma credo che il mio dovere è anche quello di far fuori un'altra storia, quella che non si sa mai cosa pensa Pannella: »C'è un congresso straordinario, non si sa cosa vuole, non si sa che cosa!!... Credo che ci sia questo diritto all'informazione di tutti i compagni. Mentre per quel che stiamo facendo di preciso e che si tradurrà - come sapete - in una grande campagna internazionale e internazionalista della fame che ci auguriamo anche il partito e i gruppi italiani faranno propri, interverranno, per dare qualche notizia di più, sia Jean Fabre che Giovanni Negri, anche se è evidente che non si tratta per nessuno di noi di dare apporti di settori specifici; così, al di là dei loro contributi e anche delle loro logiche congressuali, sia Jean Fabre che Giovanni Negri credo porteranno qualche altro brandello di informazione su quello che stiamo tentando e che abbiamo la speranza, credo, di rea

lizzare insieme e di realizzare, poi, anche, assieme a voi. Grazie, compagni.

 
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