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Notarianni Michelangelo - 7 giugno 1981
Pannella, il politico
Michelangelo Notarianni

SOMMARIO: Analizzando l'intervento di Marco Pannella al 25· congresso radicale, Michelangelo Notarianni osserva che il processo di rifondazione del Partito radicale che si sviluppa nella scelta di privilegiare la politica internazionale, nell'impegno contro lo sterminio per fame e il riarmo piuttosto che inseguire a tutti i costi il nuovo conformismo modernista, rappresenta l'inevitabile avvio di un terreno di confronto con la politica e la tradizione comunista.

(Il Manifesto del 7 giugno 1981)

Il Partito radicale parla della propria rifondazione. Ne parlava da prima del risultato referendario. Il risultato esaspera l'attesa, crea davvero un problema di identità. Non a caso Marco Pannella ripercorre tutta la storia della sua vita, e della vita del suo partito, nel discorso in cui rivendica un ruolo che segna l'Italia dell'ultimo decennio insieme e si interroga quasi smarrito su un futuri che si spalanca alla vista come un abisso, affascinante e pericoloso. Ha ragione Pannella, il risultato ultimo del voto del 17 maggio è davvero un successo, forse addirittura un trionfo della storia radicale. Ma ha anche ragione quando dice di sentire oscuramente, che si tratta di una sconfitta. L'Italia è laica, moderna, progressiva. Il voto cattolico è un voto di minoranza. E la Dc è alla catastrofe, travolta dalla P2 e da un processo di disgregazione che non riesce ad arrestarsi, neppure per un giorno. Pure, mai come oggi i radicali si sono sentiti isolati, minoranza estrema, lontani da ogni fazione e contraddiz

ione della classe dominante, della borghesia da cui sono venuti e insieme da quel popolo delle piazze e delle strade metropolitane che sono andati a cercare nel loro vagabondaggio. Pannella parla di un partito di poche centinaia di iscritti, di un ritorno all'origine. Vede e dice che, davanti a lui, a sinistra, non meno isolato, al di là di ogni apparenza, c'è ormai solo il Pci. A tratti gli appare quasi solo come una grande forza di conservazione, unica rappresentanza di quel 70 per cento di italiani che oggi valorizza come propria vittoria e teme come il vero avversario, il regime, il mondo dell'inganno e della menzogna, la palude della rinuncia alle contrapposizioni ideali e ai nobili valori della politica.

L'Italia moderna e laica, il sogno da cui è partito Pannella, il sogno di Mario Pannunzio e di Ernesto Rossi. Pannunzio si limitava a sognarla, spregiando gli italiani del suo tempo e la loro miseria, dall'alto di un classismo nobile e chiuso. Pannella l'ha cercata e ora se la trova di fronte col volto che meno avrebbe atteso, quello del partito dell'arretratezza e del caso italiano. Non a caso ha un attimo di smarrimento, non a caso per un attimo esalta Wojtjla, l'uomo dell'ideale, della contrapposizione, della fede che non sta al compromesso. Poi arretra, riconosce il temporalismo da cui è segnato il pontificati del polacco, torna a sfidarlo perché scelga tra fede e potere, tra l'immagine del condottiero e quella del pastore disarmato e non violento.

E' curioso il destino di Pannella. Mentre tanta parte dell'intelligenza comunista opera la sua conversione al moderno, sogna un'America di maniera e si getta agli esercizi della politologia, ripresa da una nuova versione del feticismo del potere, l'unico politico italiano della modernizzazione scopre di aver già percorso quel cammino, di aver già bruciato nel suo percorso pratico queste esperienze.

Forse, è venuto il momento di riflettere su ciò che veramente è stata, in questi anni, l'esperienza radicale in Italia, parte della storia reale di una sinistra che in ogni sua parte è andata tanto al di là delle ideologie di partenza da interrogarsi oggi su un cammino che gli schemi iniziali non servono più a contenere. Potremmo dire, forse, che le due anime del radicalismo italiano, entrambe filiate dallo stesso ceppo, hanno terminato solo ora un cammino che è stato di concorde e furibonda discordia. Scalfari ha fatto giornali, Pannella un partito. L'anima scalfariana, sociologizzante e antipolitica, ha scelto la classe d'origine nei riferimenti concreti a cui si è indirizzata, sognando un comunismo confindustriale che si è andato sempre più configurando come confutazione estrema e crudamente realistica del residuo gobettiano, che pure era anche nella cultura comunista. L'anima politica di Pannella ha anch'essa mantenuto il suo proprio nel culto della nobiltà della politica che l'ha contrassegnato nel rifi

uto di delegare ad altre forze un primato irrinunciabile, sempre più affidato ormai soltanto all'esile passerella del carisma personale. Scalfari ha finito con l'affidare del tutto ai comunisti il compito di praticare una politica i cui contenuti restavano quelli di una borghesia modernizzatrice concretamente inesistente. Pannella ha cercato altri contenuti, osando scendere in concorrenza diretta con il Pci per dare espressione a quel momento ideale della cultura delle masse che gli pareva soffocato dall'economicismo della tradizione marxista, prediletto dai giornali del suo fratello nemico. Scalfari ha scelto Pci, dopo aver vanamente inseguito i socialisti sul cammino di un riformismo impraticabile e impraticato. Pannella, che aveva contrastato il riformismo del centro sinistra, ha cercato nel Psi la sponda attraverso cui far rinascere il momento libertario della tradizione popolare. Scalfari si interroga in questi giorni su un visentinismo che mostra il suo volto nelle vicende del "Corriere della Sera", e,

ancora, non rinuncia a un Pci convertibile alle ragioni di un ragionevole reaganismo. Pannella scopre che i movimenti che la sua iniziativa ha suscitato sfuggono allo schema verbale del liberalismo modernizzante della sua ideologia, vede donne e giovani, ecologi e omosessuali confluire nell'area di influenza del Pci e insieme rappresentarne la contraddizione. Scopre che i contenuti di questi movimenti vanno al di là della sommaria identificazione dei diritti civili della tradizione liberale, incrinando la solidità della struttura sociale e cercando in un nuovo classicismo ancora inesistente, quello che Rosselli forse cercava nel "comunismo liberale", la propria espressione politica. Sente lui stesso, forse, di non essere più l'uomo delle sue origini. Proprio nella politica internazionale, nella battaglia contro la fame e il riarmo, individua il terreno principale di rottura col Psi, l'asse di una propria rinnovata iniziativa politica e l'inevitabile avvio di un terreno di confronto con la politica e la trad

izione comunista. Il politico Pannella vede forse più cose di quante non ne veda la sua filosofia.

 
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