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Pasquino Gianfranco - 19 giugno 1981
Astenersi non giova neppure ai radicali
di Gianfranco Pasquino

SOMMARIO: "Per la seconda volta nello spazio di un anno, il Pr ha invitato i suoi elettori ad astenersi": "il partito radicale non è un partito come gli altri..." "Premesse e conseguenze" di questo invito "vanno messe 'radicalmente' in discussione". Il Pr ha dato "espressione e rappresentanza anche parlamentare a nuove domande e a nuovi soggetti"... "Ma le nuove domande politiche e i nuovi soggetti non possono accontentarsi di partecipare una volta ogni cinque anni circa..." o di "riversare le loro energie nella raccolta di firme". Come negare che "la qualità della vita... si gioca anche... nelle città"? Poiché le "nuove domande" esistono comunque, e non seguono le esigenze del Pr, è probabile che l'indicazione all'astensione "verrà seguita da una percentuale piuttosto piccola" degli elettori radicali, i quali "non se la sentono di buttare a mare le giunte di sinistra" e torneranno magari a malincuore su PCI e PSI. In definitiva, il Pr "abdica alla sua funzione storica"; è probabile che, così facendo, debba

affrontare anche una "crisi di militanza". Allora, "la parabola sarà completata".

(»Il Messaggero 19 giugno 1981 - ripubblicato in "I RADICALI: COMPAGNI, QUALUNQUISTI, DESTABILIZZATORI?", a cura di Valter Vecellio, Edizioni Quaderni Radicali/5, 1981)

Per la seconda volta nello spazio di un anno, il Partito radicale ha invitato i suoi elettori ad astenersi in occasione delle elezioni amministrative parziali del 21 giugno ed ha rinunciato a presentare liste proprie. Il ragionamento di fondo, non privo di ambiguità, è simile a quello dell'anno scorso: il Partito radicale non è un partito come gli altri e non deve trasformarsi in un altro partito. Un pugno di consiglieri regionali, provinciali o comunali non incide positivamente sulla »grande politica del Partito radicale, ma può avere effetti negativi, imporre vincoli e costrizioni, stornare energie da battaglie più importanti.

Premesse e conseguenze di questo invito radicale all'astensione, alla scheda bianca e nulla vanno messe »radicalmente in discussione. Anzitutto, va ricordato come l'anno scorso fra le motivazioni militanti contro l'impegno nella campagna amministrativa vi fosse la necessità di non privare la raccolta delle firme per i referendum, giunta alla fase della stretta, dell'indispensabile apporto di attivisti simpatizzanti radicali. Oggi questa motivazione non appare più, semmai potrebbe essere rovesciata sulla base delle stesse affermazioni radicali. Se davvero molti elettori che hanno votato »sì ai referendum radicali sono radicali, allora bisogna offrire loro la possibilità di esprimersi per candidati e liste radicali, dare loro subito un obiettivo politico.

Il grande merito del Partito radicale negli anni Settanta non è stato quello di lanciare il referendum come strumento decisionale o di partecipazione politica incisiva (che in quanto tale, non ha mai prodotto la vittoria delle proposte radicali), ma piuttosto di offrire possibilità di partecipazione e di espressione politica ad elettori prevalentemente di sinistra, più o meno fortemente insoddisfatti della politica del Psi e del Pci e critici nei loro confronti. Il Partito radicale ha non solo socializzato alla politica molti giovani che altrimenti avrebbero potuto ingrossare le fila dell'apatia e del riflusso, se non della lotta armata, ma ha dato espressione politica e rappresentanza anche parlamentare a nuove domande e a nuovi oggetti.

Ma le nuove domande politiche e i nuovi soggetti sociali non possono accontentarsi di partecipare una volta ogni cinque anni circa (vale a dire in occasione delle elezioni parlamentari) o di riversare le loro energie nella raccolta di firme ed in essa esaurirle. Se la loro motivazione di fondo è partecipare per contare e se si tratta davvero di nuove domande politiche, come negare che tale partecipazione può esprimersi efficacemente anche nel governo delle grandi città e delle regioni? Che i nuovi bisogni trovano una loro sede e una possibile soluzione anche nelle modalità con le quali le città e le regioni sono governate? Che, infine, la qualità della vita, se non vuole rimanere un vuoto slogan, si gioca anche, forse prima di tutto, nelle città?

Poiché le nuove domande non possono essere stimolate o attenuate a seconda delle esigenze complessive del Pr, ma esistono e cercano uno sbocco reale e ravvicinato, e poiché i nuovi soggetti sono comunque attivi sulla scena politica e sono stati attratti dal Pr proprio in base alla promessa e alla convinzione che essi avrebbero potuto contare e incidere, diventare protagonisti, la scelta radicale dell'astensione non solo è contraddittoria con i principi alla base dell'azione del Pr, non solo è controproducente, ma, con tutta probabilità verrà seguita da una percentuale piuttosto piccola degli elettori radicali.

La scelta dell'astensione non verrà seguita da quegli elettori radicali (e sono molti fra quel 6 per cento dei genovesi e quel 7 per cento di romani che votarono Pr nel 1979) che vollero nel 1979 mandare un segnale al Psi e al Pci e che oggi, in assenza di un'alternativa radicale, proprio perché elettori razionali e decisi a contare, non se la sentono di buttare a mare le giunte di sinistra e torneranno, più o meno a malincuore, su Psi e Pci. In piena coerenza con le loro motivazioni iniziale e in piena consapevolezza che la politica è anche la capacita di saper orientarsi fra scelte non sempre ottimali.

Ma la decisione radicale per l'astensione è anche controproducente. Non è vero che così facendo il Pr può concentrare i suoi sforzi su obiettivi più importanti. E' vero il contrario. Il Pr non solo rifiuta di radicarsi maggiormente nel Paese, di non essere solo il partito dei mass media, ma di diventare il partito-lievito della politica nelle grandi città (dove si trovano la maggioranza dei suoi elettori attuali e potenziali e i più importanti dei nuovi bisogni e dei nuovi soggetti). Abdica alla sua funzione storica: attrarre nell'orbita della politica i giovani, socializzarli ad una politica non violenta e partecipata, spingerli sulla via della mobilitazione sociale per obiettivi specifici aventi al loro cuore una nuova qualità della vita. Abdicando a questa sua funzione, il Pr può finire per precludersi anche le proprie tradizionali attività future e trovarsi ad affrontare una crisi di militanza. Allora la parabola sarà stata completata, ma la politica italiana avrà perso un attore che aveva l'opportunità

di giocare un ruolo rilevante per il suo rinnovamento.

 
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