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Melman Seymour - 1 febbraio 1982
(2) Fabbriche di morte: è possibile convertirle?
di Seymour Melman

(a) Gli ostacoli alla conversione dell'industria militare in industria civile nei paesi ad economia di mercato, ad economia centralizzata ed in via di sviluppo

(Seymour Melman, New York, 1917, professore di ingegneria industriale presso la Columbia University di New York fin dal 1948. Nell'ultimo decennio si è soprattutto occupato di problemi di conversione di strutture militari in civili. Le sue principali opere sull'argomento sono:

"Barriers to Economic Conversion - a Report to the United Nations" - 1980;

"The Permanent War Economy" - Simon and Shuster - 1974;

"Pentagon Capitalism" - McGraw-Hill - 1970 - edizione italiana "Capitalismo militare. Il ruolo del Pentagono nell'economia americana", Einaudi, 1972;

"The War Economy of the United States" - St.Martin Press - 1972.

Seymour Melman è anche presidente del SANE, una organizzazione che si occupa di spese militari e della conversione delle strutture)

INDICE:

Introduzione: Una storia di pentole (2820)

- Gli ostacoli alla conversione dell'industria militare in industria civile nei paesi ad economia di mercato, ad economia centralizzata ed in via di sviluppo (2821 - 2822)

- Inflazione e disoccupazione, prodotti dell'economia di guerra (2823)

- Bibliografia (2824)

- Programma per la conversione delle strutture industriali militari e delle basi militari (2825 - 2826 - 2827)

- Altre indicazioni bibliografiche (2828)

- Appendice (2829)

SOMMARIO: »In caso di decisione politica di congelamento o di inversione della corsa agli armamenti, che cosa è possibile fare delle vaste e specializzate economie militari, con le loro sofisticate attrezzature e il loro personale? In quale misura i principali Paesi sono in grado di convertire il proprio assetto industriale dal perseguimento di scopi militari al perseguimento di scopi civili? E' possibile effettuare il trapasso all'economia civile con breve preavviso e senza gravi danni, ovvero tale trapasso richiede una decisa programmazione preliminare? La conversione industriale è un problema puramente teorico, ovvero è condizionata dalle qualità di fondo di un dato sistema economico?

Queste alcune domande a cui risponde Seymour Melman

(Seymour Melman »FABBRICHE DI MORTE: E' POSSIBILE CONVERTIRLE? , Tullio Pironti Editore, Napoli febbraio 1982)

(a) Gli ostacoli alla conversione dell'industria militare in industria civile nei paesi ad economia di mercato, ad economia centralizzata ed in via di sviluppo

Premessa

Una volta impegnato nell'esame dei problemi della conversione dell'industria militare nei Paesi ad economia di mercato, in quelli ad economica centralizzata ed a quelli in via di sviluppo, ho scoperto di avere tra le mani un problema di campionatura strategica. I requisiti principali per la scelta dei Paesi da esaminare erano: la loro importanza nel rispettivo ambito economico, la disponibilità di dati precedenti circa la loro economia militare, la possibilità di aver contatti con funzionari e/o privati in ciascun Paese.

Su una tale base, i Paesi prescelti per il capitolo sulla "economia di mercato" sono stati gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e la Germania. L'Unione Sovietica è apparsa, ovviamente, un Paese importante ai fini del capitolo sull'economia centralizzata, mentre l'Egitto, Israele e l'India sono stati prescelti per il gruppo dei Paese in via di sviluppo.

I Paesi presi come campione nel loro complesso rappresentavano - nel 1976 - il 48% del prodotto nazionale lordo mondiale. Gli Stati Uniti, Il Regno Unito e la Germania federale, coprivano il 69% del prodotto nazionale lordo dei Paesi della NATO. Il prodotto nazionale lordo dell'Unione Sovietica corrispondeva al 72% del totale del prodotto nazionale lordo dei Pesi della del Patto di Varsavia, mentre l'Egitto, Israele e l'India, insieme coprivano l'8% del prodotto nazionale lordo dei Paesi in via di sviluppo.

I sette sistemi economici prescelti per la presente indagine costituiscono, pertanto, un campione significativo, sia dal punto di vista qualitativo, sia da quello quantitativo.

La scelta dei Paesi in via di sviluppo, nei confronti dei quali era necessario polarizzare l'attenzione sulla presenza di rilevanti economie militari nel mezzo di una situazione di sviluppo, è stata alquanto più complessa. In due dei Paesi in questione, Egitto e Israele, la mia aspettativa di poter accedere alle persone ed ai luoghi è stata ragionevolmente soddisfatta. In India le autorità hanno opposto un rifiuto al mio accesso presso i dirigenti delle aziende e agli stabilimenti industriali per la produzione militare. Ma un tale divieto mi è stato opposto solo all'atto del mio arrivo nel Paese e dopo che avevo già dato inizio alla mia indagine.

Anche nell'URSS mi è stato negato l'accesso alle attrezzature e ai dirigenti delle aziende, ma le autorità hanno predisposto per me una serie di interviste con moltissime personalità di rilievo operanti presso le istituzioni preposte alla programmazione del Ministero dell'industria e nei centri universitari di ricerca.

Malgrado le suddette limitazioni, è stato possibile scoprire nuovi aspetti dell'economia militare e del problema della conversione economica. Mentre, come era forse prevedibile, le interviste con i dirigenti delle aziende militari negli Stati Uniti, in Gran Bretagna e in Germania hanno aggiunto poco alla vasta letteratura esistente in materia, la documentazione raccolta nell'URSS e nei Paesi in via di sviluppo hanno fornito nuove indicazioni. E' mia speranza che altri ricercatori, rilevando i limiti della presente indagine, si sentano spinti a studiare la questione più a fondo e con più ampio respiro di quanto non sia stato qui possibile.

Mi rendo conto che, nel descrivere le economie militari dell'URSS e dei Paesi in via di sviluppo, ho proceduto come se mi fossi trovato davanti ad un gioco da incastro in cui mancassero alcuni pezzi. Sono certo che ulteriori indagini consentiranno di sviluppare e, forse, in qualche punto correggere, le conclusioni qui raggiunte. Di ciò non ho che da compiacermi, se si verificherà. Soprattutto opportuna cadrebbe la decisione di studiosi e di governo di rivolgere l'attenzione al problema della conversione economica come elemento essenziale nell'azione volta ad arrestare e invertire la corsa agli armamenti.

Nel dar conto dei risultati della presente indagine, mi sono astenuto dal fornire nomi. Nel caso in cui è stato fatto un nome, ciò significa che si è trattato dell'unica azienda operante nel settore; tale è, ad esempio, il caso della Israel Aircraft Industries Ltd., che è l'unica industria "aeronautica" e "aero-spaziale" operante in Israele.

In ogni caso ho precisato alle persone da me intervistate che non possedevo né avevo intenzione di procurarmi informazioni militari di carattere riservato, e che i dati che mi venivano forniti sarebbero stati resi di pubblica ragione. Ovunque ho fatto presente che lo scopo della presente indagine era quello di redigere una relazione ``pubblica''.

Al lettore può interessare sapere che, in molto luoghi, la mia richiesta di informazioni attinenti all'attività militare non aveva precedenti. Alcuni intervistati hanno avuto difficoltà a vincere il sospetto che tutto ciò potesse essere una manovra di spionaggio militare.

Scusandomi per il tipo impersonale della comunicazione, desidero cogliere l'occasione per ringraziare ciascuna delle persone, nei Paesi visitati, la cui generosa collaborazione e le cui elevate capacità professionali hanno reso possibile la raccolta di un ingente quantitativo di dati in un tempo relativamente breve.

Sono particolarmente debitore nei confronti dei colleghi che hanno condotto interviste con dirigenti di industrie militari negli Stati Uniti, nel Regno Unito e nella Repubblica federale tedesca. Mark Hipp, assistente nel Dipartimento di ingegneria industriale e di ricerca operativa dell'università di Columbia ha svolto il suo lavoro negli Stati Uniti; Harry Dean, dell'Unità Informazioni sull'Armamento e sul Disarmo dell'università del Sussex, ha effettuato le interviste nel Regno Unito. I professori Ulrich Albrecht e Ko Rodejohann, della libera Università di Berlino, e Michael Brzoska, dell'università di Amburgo, hanno intervistato i dirigenti dell'industria militare in Germania.

Un caloroso ringraziamento va alla mia segretaria Philla Osborne che ha dovuto far fronte ad un complesso lavoro di segreteria, di comunicazioni di vasta portata e di compilazione di dati a sostegno dell'indagine e per la preparazione della presente relazione.

(New York City, aprile 1980).

1. Relazione generale

In caso di decisione politica di congelamento e di inversione della corsa agli armamenti, che cosa è possibile fare delle vaste e specializzate economie militari, con le loro sofisticate attrezzature e il loro personale? La domanda evoca il problema della conversione.

In quale misura i principali Paesi sono in grado di convertire il proprio assetto industriale dal perseguimento di scopi militari al perseguimento di scopi civili? E' possibile effettuare il trapasso all'economia civile con breve preavviso e senza gravi danni, ovvero è condizionata dalle qualità di fondo di un dato sistema economico?

Scopo della presente relazione è di fornire una risposta al vasto interrogativo; quali sono i problemi della conversione dall'economia militare a quella civile nelle economie di mercato, in quelle centralizzate e in quelle in via di sviluppo? In rappresentanza dei Paesi del capitalismo occidentale ho scelto gli Stati Uniti d'America, il Regno Unito di Gran Bretagna e dell'Irlanda del Nord e la Repubblica federale di Germania.

Presi insieme, questi Paesi costituiscono la maggior parte della produzione militare del capitalismo occidentale. L'URSS è stata scelta in rappresentanza dei Paesi ad economia centralizzata, poiché essa rappresenta di gran lunga maggiore e più importante di tali economie ed è anche il centro decisionale nei confronti dei Paesi ad essa alleati. I Paesi in via di sviluppo sono rappresentati dall'Egitto, dall'India e da Israele.

Per ciascun Paese ho stabilito la capacità di conversione economica esaminando: a) la presenza di un piano di conversione a livello nazionale nonché a livello di azienda; b) i processi decisionali in fatto di produzione nel settore dell'economica militare rispetto a quella civile, dato che tali processi determinano le esigenze di conversione per l'impresa nel complesso e per le occupazioni dirigenziali e tecniche in particolare. Il programma dell'indagine, durato un anno, ha richiesto la collaborazione di funzionari di grado elevato nei governi, nell'industria, nelle università e nelle istituzioni di ricerca. La qualità e la quantità dei dati si è rivelata assai diversa tra i vari Paesi assunti come campione, ma è stato possibile trarre una serie di rilevamenti precisi.

1.1. Sommario dei rilevamenti effettuati

1. Nessuno dei governi interessati dispone di una capacità istituzionale di conversione sotto forma di enti di programmazione con personale designato o assegnato a tale funzione.

2. Nessun governo ha formulato piani che richiedano alle imprese addette alla produzione militare di elaborare alternative di produzione per scopi civili.

3. Nelle economie di mercato del capitalismo occidentale, le economie interne del settore militare sono caratterizzate dalla tendenza verso il massimo dei costi e il massimo dei sussidi. Ciò le differenzia dall'economia civile e dà origine a fondamentali problemi di occupazione in caso di conversione, da parte del personale dirigente e tecnico. Le decisioni dall'alto, che sono determinanti del successo nell'industria militare, generano il fallimento nella sfera civile.

4. Nell'Unione Sovietica, le imprese dell'economia militare sono separate da quelle dell'economia civile per l'elevata posizione di quelle nel sistema prioritario che regola l'accesso ad ogni genere di rifornimenti per la gestione delle aziende. I dirigenti ed i tecnici dell'industria militare sovietica sono perciò in posizione di relativo privilegio e di potere rispetto ai dirigenti ed ai tecnici dell'industria civile (che gode di minori vantaggi). Le differenze di privilegio e di potere condizionano il comportamento professionale.

5. Le economie militari dei Paesi in via di sviluppo praticano livelli massimi di costi e sussidi, e godono anche di un trattamento prioritario ai fini degli approvvigionamenti.

1.2. Importanza del problema della conversione

La definizione della capacità di conversione economica e delle barriere che occorre superare per attuarla costituisce una parte indispensabile di ogni serio sforzo volto a dar corso ad un'inversione multinazionale alla corsa degli armamenti. La fine del riarmo significa il cambiamento dell'occupazione per milioni di uomini e donne che ora sono specializzati nella ricerca e nella produzione di armi.

Ecco una mia stima, riferita al 1979, della portata della forza lavoro adibita all'industria militare nei Paesi di cui alla presente indagine:

- Stati Uniti (1974) 2.000.000

- URSS 4.800.000

- Repubblica Fed. tedesca 325.000

- Gran Bretagna 600.000

- Egitto 40.000

- Israele 70.000

- India 270.000

[* Il dato relativo agli Stati Uniti (1974) è tratto dalla risposta del governo degli Stati Uniti ad un questionario delle Nazioni Unite, apparsa nel documento ONU, Assemblea Generale, "Conseguenze economiche e sociali della corsa agli armamenti e suoi effetti estremamente dannosi, sulla pace e la sicurezza mondiale", 12/9/1977, p. 140. Il dato relativo all'URSS è stato ricavato come segue: la cifra di 3,6 milioni di persone nelle forze armate, è stata desunta da R.L. Sivard, "Spese militari e sociali nel mondo", 1979, p. 25; si è ipotizzato, come nel caso degli Stati Uniti, un rapporto di 1:1 tra personale delle forze armate e industria civile di supporto, rettificato rispetto alla produttività dell'URSS nell'industria militare, ipotizzata al 75% di quella degli Stati Uniti; quindi, nell'industria militare dell'URSS è stato stimato l'impiego di 4,8 milioni di addetti. La cifra relativa alla Germania occidentale è stata desunta da informazioni di prima mano da parte di fonti competenti. La stima relativa all

a Gran Bretagna è stata desunta dalla pubblicazione: "Sense about Defence; The Report of the Labour Party Defence Study Group" (Relazione del Gruppo di studio del Partito Laburista in materia di difesa), Quarter Books 1977, p. 16. I dati per Egitto e Israele sono stati forniti dai rispettivi Ministeri della Difesa. Il dato relativo all'India proviene dalla Relazione governativa 1978-79 Min. Difesa, Nuova Delhi, 1979.

L'economia militare è divenuta l'unica fonte di sussistenza per milioni di uomini e donne nei Paesi industrializzati e non industrializzati, soprattutto per i numerosi tecnici, scienziati e dirigenti che sono impiegati in numero sproporzionatamente elevato dall'economia militare.

L'esperienza lavorativa è altamente specializzata e differisce ovunque dalle prestazioni richieste dall'industria civile. In assenza di alternative, questa specializzazione, vincolando un gran numero di persone fornite di un elevato titolo di studio e ben remunerate all'economia militare, si traduce in un impegno politico alla corsa agli armamenti ed all'attività tecnica e produttiva che ne è alla base.

Per questi motivi, la capacità di conversione è una misura essenziale della volontà e della capacità di una società a partecipare all'inversione della corsa agli armamenti.

1.3. Problemi di definizione-valutazione della conversione economica

La qualità delle risorse militari da convertire per uso civile costituisce un aspetto fondamentale del problema della conversione. Di norma si ritiene che il termine "capitale" sia appropriato per l'insieme delle risorse che, in unione tra loro, vengono impiegate per progettare e realizzare strutture e mezzi di produzione nuovi (capitale fisso). In riferimento ad un'impresa industriale, questo capitale fisso viene messo in moto dall'impiego di materie prime e di lavoro (capitale di esercizio). Queste indicazioni di dettaglio sono importanti ai fini del presente studio poiché i bilanci militari delle forze armate tecnicamente aggiornate sono fondi di risorse equivalenti (rispetto al capitale). I bilanci, infatti, mettono in moto il lavoro degli ingegneri, degli scienziati e dei tecnici nonché dei lavoratori qualificati di arnesi e macchine, di fabbricati, di materie prime e di carburanti.

Prese nel loro insieme, tali risorse corrispondono al capitale messo in moto da un investimento industriale su vasta scala. Ciò vuol dire che il "costo delle possibilità" offerte da un bilancio militare moderno non è semplicemente un flusso di tipo medio di stanziamenti e risorse in una data società, ma rappresenta piuttosto l'insieme delle risorse che comunemente viene definito "capitale".

Il modo in cui una data economia impiega le proprie risorse di capitale influisce in maniera determinante sullo sviluppo economico del Paese. Il livello della produttività della manodopera che è possibile raggiungere è fortemente condizionato dall'intensità e dalla qualità dell'investimento per unità lavorativa. L'uso concentrato di capitale e di risorse tecnologiche affini allo scopo di produrre beni e servizi che siano utili per il consumo o per ulteriori processi produttivi ha un effetto decisivo sul tenore materiale di vita che una data società può raggiungere. La scelta qui implicita è quella vecchia, consueta, che si riassume nell'alternativa: burro o cannoni?

Nel caso di una programmazione su un intero arco economico a fini di conversione, è possibile stimare l'effettivo scambio tra bilanci militari e prodotti e produttività civile in alternativa. Tuttavia, quando la programmazione delle economie militari e le informazioni dettagliate circa l'impiego delle risorse a tal fine, sono separate dalla programmazione dell'economia civile, il calcolo delle concessioni reciproche diviene difficile se non impossibile. In tal caso non è dato conoscere il costo sociale di un bilancio militare.

Esiste una differenza sostanziale tra il concetto di "diversificazione" e quello di "conversione". Nelle economie industrializzate la diversificazione è una delle strategie per l'organizzazione delle imprese industriali. Ciò significa che la produzione e l'organizzazione del controllo della produzione stessa sono divise a seconda della classe di prodotti.

Così, ad esempio, i reparti A, B, C, di una grossa azienda sforneranno prodotti per uso civile, mentre il reparto D opera per conto dei militari. Supponendo che ogni reparto produca merci di ugual valore monetario, la dirigenza dell'azienda può affermare che il 75% della produzione dell'impresa che serve i militari consiste di merci per uso civile.

Dal punto di vista della capacità di conversione tecnica ed economica è importante che la produzione civile abbia luogo sotto lo stesso tetto ed in parallelo con l'attività militare, con impiego di manodopera e di strumenti di produzione affini. In tal caso la conversione economica diviene compito relativamente assai più facile di quanto non avvenga quando l'attività militare è organizzata con direzione, personale tecnico e attrezzatura produttiva speciale ed in completa autonomia. In quest'ultimo caso la conversione economica richiederà probabilmente una maggiore alternanza di mezzi di produzione e una più ampia riconversione di tecnici e di dirigenti.

La diversificazione rispecchia tipicamente la varietà di prodotti nei quali è versata l'impresa, senza necessariamente influire sulla facilità o sulla difficoltà di conversione economica. Quando una data direzione aziendale dichiara di star perseguendo un vigoroso programma di diversificazione, vuol dire che ha adottato misure volte a diluire i propri rischi finanziari in una serie di linee di produzione. Da punto di vista finanziario, questa può essere una strategia eccellente ma non rende necessariamente più facile la conversione. La dirigenza comune di vertice delle operazioni militari e civili è funzionalmente influente ai fini della capacità di conversione.

Non esistono punti di riferimento universalmente validi per misurare la portata di un'economia militare. I metodi di misurazione devono essere adeguati invece al problema che si affronta e allo scopo che si persegue.

Se ci interessa lo studio della distribuzione dei redditi in una data economia, è giusto valutare l'importanza di un bilancio militare paragonandolo al prodotto nazionale lordo quale misura del valore monetario di tutti i beni e servizi prodotti e fatti oggetto di scambio. Tuttavia, se si tratta di comprendere quali siano gli effetti dei bilanci militari sullo sviluppo e sulla produttività economici, allora è indispensabile porre a raffronto il bilancio militare con la formazione del capitale fisso, categoria che misura il valore monetario delle nuove costruzioni e del nuovo macchinario. Nel 1974, ad esempio, le spese militari degli Stati Uniti erano pari al 6,1% del prodotto nazionale lordo, ma al 32,6% della formazione del capitale fisso lordo. Nel caso del primo raffronto, il bilancio militare appare come una porzione piuttosto modesta del valore monetario complessivo dei beni e servizi, mentre nel secondo caso esso appare nella sua dimensione di componente della formazione del capitale.

1.4. Perché programmare?

La conversione economica non può esser condotta su base estemporanea. Essa deve essere convenientemente programmata in anticipo. Vasti settori (la percentuale non è nota) di aziende produttrici in campo di economia militare sono specializzati nella produzione militare. Analogamente, la maggioranza dei prodotti militari assolvono una funzione speciale. Nel contempo, è utile rendersi conto che una parte dell'attrezzatura produttiva ha caratteristiche di impiego per "scopi generali". Alcune parti di prodotti militari (poniamo, l'elettronica di elevata affidabilità) sono convertibili per la produzione civile (ad esempio, per l'elettronica medica) che richieda un analogo coefficiente di affidabilità. Ma un adeguato trasferimento e una riconversione delle strutture produttive non possono esser fatti in un batter d'occhi. Anzi, l'esperienza delle maggiori aziende industriali (in USA e in URSS) indica che occorrono da sei mesi fino a ben due anni di tempo per la semplice programmazione delle operazioni di produzione

di nuovi prodotti.

Gli addetti alla produzione nell'insieme non presentano particolari problemi ai fini della conversione dal lavoro per scopi militari a quello per scopi civili; la maggior parte di essi è in grado di trasferire le proprie capacità nel settore civile senza una riconversione formale. Ma la situazione è ben diversa nel caso dei dirigenti e degli ingegneri industriali.

I dirigenti (in specie i quadri "intermedi") delle imprese che servono il settore militare sono condizionati, nell'esecuzione di un lavoro altamente specifico, dal rapporto della ditta con l'ufficio del governo centrale. Ciò rende necessaria la rieducazione. Nell'occidente bisogna disimparare il modello di spinta massima dei costi e dei sussidi; in URSS bisogna dimenticare la facilità con cui è risolto il problema degli approvvigionamenti. E nei Paesi in via di sviluppo, i dirigenti devono disimparare sia i metodi di spinta al massimo dei costi, sia i privilegi prioritari cui sono abituati.

I problemi posti dagli ingegneri sono diversi. Essi sono impiegati in imprese dell'industria militare in numero tale che spesso supera quella degli addetti alla produzione. Ciò avviene di rado nell'economia civile.

Gli ingegneri, inoltre, nel settore dell'economia militare, tendono ad esser concentrati per industria e per regione. Per tali motivi la programmazione anticipata è necessaria se si vuole che essi possano esser rieducati e trasferiti in gran numero.

Salvo per le merci di uso comune, poniamo il cemento, i prodotti che potrebbero surrogare quelli militari non sono di facile reperimento. La scelta e la progettazione di prodotti alternativi non piove dal cielo; occorre pensarci sopra bene, occorre esaminare le alternative, occorre poter provare e scartare queste ultime. Deve altresì potersi disporre di tempo per tutti questi procedimenti e per il collaudo dei prototipi dei prodotti finalmente prescelti.

Nessuna di queste esigenze di programmazione anticipata della conversione economica è influenzata dalla struttura economica e dal sistema sociale di un particolare Paese. Invece, la necessità di programmare affonda le radici nel carattere specialistico dei mezzi di produzione e nei particolari criteri operativi relativi ai posti di lavoro specializzati nel quadro dell'economia militare.

1.5. L'opzione centralismo/decentramento

Ovunque sia stata presa in considerazione la programmazione per fini di conversione economica, si è sempre trovato chi ha fatto pressantemente notare che il solo modo possibile per affrontarla consiste nella programmazione centralizzata. L'argomentazione a favore di questa tesi è che i programmatori, accentrati nella capitale del Paese, sono meglio in grado di redigere i piani di conversione delle imprese industriali, qualunque ne sia il numero, in tutto il Paese. L'aggettivo "centrale" spesso è considerato come necessario complemento della "programmazione". Non si nega che l'attività decisionale centralizzata produca una conseguente concentrazione di potere di decisione nelle mani dei vertici amministrativi interessati. Ma il centralismo è un metodo efficace e indispensabile per l'attività industriale? L'elaborazione delle nuove strutture produttive può talvolta esser tentata senza far riferimento alle condizioni specifiche di una zona particolare. In tali condizioni la riuscita è improbabile poiché le part

icolarità climatiche e del suolo, la disponibilità di energia, le risorse idriche, i mezzi di trasporto, la possibilità di smaltimento dei rifiuti, ecc. condizionano in maniera determinante la validità di un modello standard di stabilimento.

L'importanza di prendere in considerazione le condizioni locali specifiche è resa ancor più rilevante nel caso della conversione. La programmazione di impieghi alternativi per le strutture industriali militari (o civili) deve tener conto delle qualità particolari di tutto l'insieme delle risorse di cui dispone un'impresa. Il Prof. Lloyd J. Dumas ha così sintetizzato il problema: "Per poter funzionare, ciascun piano di conversione deve esser fatto su misura nei confronti delle specifiche della struttura per la quale viene redatto. Ciò richiede quel tipo di conoscenza particolareggiata della forza lavoro e dei beni di investimento, dei vantaggi e degli svantaggi dell'ubicazione dello stabilimento, ed anche delle caratteristiche economiche della collettività circostante, che si può desumere il più efficacemente possibile da coloro che conoscono bene lo stabilimento e l'area, coloro, cioè, che vivono e lavorano sul posto".

Non vi è modo di acquisire tali dati da lontano, né la descrizione sulla carta dell'assetto produttivo è una base adeguata per la programmazione di un impiego alternativo. Quindi, la logica tecnica di quest'ultimo tipo di programmazione vuole che le relative operazioni siano decentrate. Vi è anche la considerazione relativa ai costi. Nei casi in cui la programmazione investa migliaia di aziende, il costo di gestione di un certo operante in pieno servizio di queste ultime, ascenderà facilmente a parecchie centinaia di milioni di dollari l'anno. A questa conclusione sono pervenuti parecchi colleghi i quali hanno valutato il costo probabile dell'impiego di una équipe centralizzata per la valutazione (non già, anche, per la progettazione) di piani di impiego alternativi alle industrie e alle basi militari degli Stati Uniti (20.000 appaltatori, 100.000 sub-appaltatori, 400 basi).

Anche nelle economie centralizzate, un'iniziativa di vasto respiro, accentrate, di nuova progettazione industriale, è impresa costosa. Non vi è modo di sfuggire all'economicità intrinseca che si consegue nell'affidare compiti e responsabilità in materia di programmazione industriale alle persone del luogo.

1.6. Diniego della necessità di programmazione della conversione.

Nel corso della presente indagine, numerosi funzionari del settore industriale e di quello politico hanno negato la necessità della programmazione della conversione. Il diniego ha assunto due aspetti; il primo è di ordine politico, il secondo è di esigenza funzionale. La ragione politica del rifiuto della programmazione della conversione è determinata dal fatto che un'inversione della corsa agli armamenti non è considerata imminente e che quindi non ha senso investire in un certo piano di conversione costoso.

Ad avviso di un funzionario sovietico e di uno americano, un'iniziativa del genere avrebbe dovuto attendere un'indicazione precisa circa la sua effettiva applicabilità.

Una seconda ragione di ripulsa della programmazione della conversione trae ispirazione dall'ideologia economica della società interessata. Così, in URSS mi è stato detto: abbiamo già un programma e quindi affronteremo il problema della conversione quando si presenterà; l'attuale meccanismo di programmazione è pienamente in grado di fari ciò.

Per di più, mi è stato fatto osservare, poiché l'URSS è un'economia "di deficit", sarebbe abbastanza facile reperire posti di lavoro nel settore della produzione di nuovi tipi di merci per uso civile.

Un portavoce sovietico mi ha dichiarato che, poiché circa il 41% della produzione dell'industria militare sovietica è di natura civile (dati del 1971), ciò dimostra che la conversione è sempre in atto e perciò il problema non sussiste. Il fatto è che gli Stati uniti (dati del 1978) il 60% della produzione dell'industria militare era destinato al mercato civile. In entrambe le economie, questi dati in nessun senso eliminano il problema della conversione per gli stabilimenti industriali militari e per la forza lavoro interessata.

Ciò che è significativo, nella presente indagine, è che, qualunque giustificazione venga offerta, la mancata programmazione anticipata della conversione economica ha l'inevitabile effetto di rafforzare le posizioni, il potere e il privilegio delle occupazioni che traggono vantaggio da un'economia militare, in tal modo rafforzando anche l'impegno della società nei confronti della politica della corsa agli armamenti.

In ogni Paese visitato ai fini della presente indagine mi son trovato di fronte più e più volte ad un modo di ragionare comune, consistente nel negare la necessità della preparazione alla conversione della forza lavoro. Gli ingegneri e i tecnici dell'economia militare, mi è stato fatto osservare, sono persone altamente istruite, assai competenti, le quali potrebbero portare il loro contributo di elevate capacità di precisione e di controllo della qualità in seno all'economia civile, facendone progredire le prestazioni. Ma l'esperienza maturata in diversi luoghi ha già indicato che la capacità dei tecnologi militari sono spesso assai legate alle esigenze militari e quindi inadatte alla produzione per fini civili. Gli ingegneri provenienti dall'industria militare portano con sé anche gli alti costi e un'abitudine agli sprechi.

Vari funzionari mi hanno dichiarato che la rieducazione dei dirigenti dell'industria militare è superflua poiché trattasi generalmente di persone dotate di capacità fuori dell'ordinario e di ampie vedute. Questo giudizio prescinde dalle persistenti differenze di progettazione dei prodotti e dal modo precipuo di produzione di articoli militari rispetto a quelli per usi civili. I dirigenti dell'industria militare hanno imparato ad operare in regime di costi massimi o di privilegi prioritari, o di entrambi. Le capacità manageriali acquisite nel servire un Ministero della difesa sono alquanto diverse da quella necessarie per soddisfare i mercati civili. E queste considerazioni sono valide per tutte le economie che sono state fatto oggetto di studio. I dati relativi alla presente indagine confermano l'importanza essenziale della capacità di conversione di un processo di programmazione istituzionalizzato a tutti i livelli. Solo in un tal caso gli addetti all'industria militare potranno vedere e credere che esiste

per loro un'alternativa economica qualora la corsa agli armamenti dovesse invertirsi.

Sulla base delle considerazioni teoriche sopra riferite, ho indagato sulle condizioni della programmazione economica e dell'attività aziendale nelle sfere militare rispetto a quelle civili nelle economie di mercato, in quelle centralizzate e in quelle in via di sviluppo. I risultati sono esposti in dettaglio qui di seguito.

2. Economie di mercato: Stati uniti, Regno Unito e Repubblica Federale Tedesca

L'ideologia classica del capitalismo occidentale ha in sé il concetto che le istituzioni e i rapporti di mercato esercitano un potere di controllo sul comportamento economico. Secondo questa opinione, l'interazione tra acquirenti e venditori, sia nei mercati concorrenziali, sia in regime di mercato amministrativo o monopolistico, determina il prezzo e quindi serve ad assegnare le risorse per la produzione e per il consumo. Il passaggio dai prodotti militari a quelli per uso civile ed ai relativi metodi di produzione, costituisce semplicemente una sorta di incidente economico che può essere adeguatamente regolato dal meccanismo di mercato.

Nelle economie di mercato, si dice, non esiste un problema di "conversione economica" in sé e per sé. Quando il governo acquirente non richiede più merci militari, le risorse omogenee in precedenza impiegate per tali prodotti vengono liberate per rifornire altri mercati dove, a tempo debito, esse saranno richieste ed usate. Non è necessaria né è auspicabile alcuna programmazione specifica di conversione.

Addetti e risorse possono in realtà essere reimpiegati in tal modo, ma spesso ciò avviene con forti aggravi per gli interessati e con elevati costi sotto forma di crisi di rottura della collettività, di indennità di disoccupazione e di gravi perdite in fatto di attività produttiva. Quello che gli economisti di mercato definiscono normale reimpiego di risorse per fornire mercati diversi in attesa di nuova domanda, spesso appare agli interessati come un processo così gravoso, ed anche doloroso, che ad esso viene opposta tenace resistenza. Col crescere di una tale ostilità esso si trasferisce nella politica di sostegno e di espansione dell'economia militare mediante interventi adeguati.

Questa è, in realtà, la storia dell'attività da parte dei dirigenti di azienda, degli organismi tecnici, dei sindacati e delle camere di commercio che si dedicano alla conservazione dello status quo in fatto di occupazione, di reddito e di utili nel campo dell'economia militare. Questo tipo di risposta politica è evidente in ogni Paese capitalista occidentale ed è divenuto un fattore preciso nella vita politica di quei Paesi.

I fautori della conversione economica vedono il problema del mutamento dall'attività militare a quella civile come un fatto che merita la stessa deliberata e ordinata programmazione che viene posta in atto dai dicasteri militari dei governi al passaggio delle dall'attività civile a quella militare. A tal fine la programmazione preliminare, sia a livello economico generale, sia a livello di singola impresa, è prassi normale.

L'attività delle imprese e dell'economia sia militare sia civile nei Paesi capitalisti occidentali è ampiamente documentata. Malgrado le omissioni di dati dovute alla sicurezza militare e al segreto commerciale, le caratteristiche operative interne delle ditte al servizio dell'industria militare degli Stati Uniti, ad esempio, sono citate in una letteratura che abbraccia dalla biografia degli ex-ingegneri e amministratori militari e dalla formale descrizione della dirigenza alla micro-economia delle ditte al servizio dei militari, e ad una ricca biblioteca relativa alle sedute del governo federale e alle relazioni sugli aspetti del sistema industriale militare (*).

[(*) V.S. Melman, "The Permanent War Economy" (Economia della guerra permanente), Simon Schuster, 1974; S. Melman, "Pentagon Capitalism" (Il capitalismo del Pentagono), McGraw-Hill, 1970; A.E. Fitzgerald, "Arming America" (Armando l'America), Harvard Business School, 1974, M.J. Peck, I.F. Scherer "The Wapons Acquisition Process, an Economic Analysis" (Analisi economica sull'acquisto delle armi), Harvard Business School, 1962; F.M. Scherer, "The Weapons Acquistion Process, Economic Incentives" (Incentivi economici all'acquisto di armi), Harvard Business School, 1964; J.F. Gorgol, "The Military-Industrial Firm, A Practical Theory and Model" (L'azienda industriale militare, saggio e modello pratico), Praeger, 1972; J.J. Kennedy, "Description and Analysis of the Organization of the Firm in the Defense Weapon Contract Industry" (Descrizione e analisi dell'organizzazione in seno all'industria per le commesse di armi per la difesa), Tesi inedita, Ohio State University, 1962, ottenibile dalla University Microfilm I

nc, Ann Arbor Michigan; per l'accesso alla vasta raccolta di documenti del governo USA, v. elenco mensile delle pubblicazioni governative, e gli indici annuali pubblicati dalla Soprintendenza ai Documenti dell'U.S. Printing Office.]

Ai fini della presente indagine la letteratura suindicata è stata integrata con una serie speciale di interviste con dirigenti di grado elevato delle imprese industriali militari: otto negli USA, otto nel Regno Unito e cinque nella Repubblica federale tedesca. Queste interviste hanno avuto lo scopo particolare di accertare le circostanze in cui vengono prese le decisioni in materia di produzione. Mentre aggiungono dettagli su tali questioni, esse confermano in generale i modelli di comportamento dianzi descritti.

In ciascun Paese l'organizzazione dell'industria militare controlla il più vasto blocco singolo di investimenti industriali dell'economia. Si consideri il fattore essenziale della fornitura di capitale. Negli Stati Uniti, la più grande delle economie militari dell'Occidente, i mezzi resi disponibili per il Dipartimento della Difesa sono stati ogni anno, a partire dal 1951, superiore all'utile netto (previa detrazione delle imposte) di tutte le imprese private.

In ciascuno dei Paesi capitalistici occidentali l'economia industriale militare è organizzata e funziona su base dirigenziale statale. Un vasto apparato amministrativo in seno al governo centrale di ciascun Paese sovrintende alle principali attività delle imprese al servizio dei militari. Così, mentre in ciascuna economia opera il sistema di libera compravendita, resta il fatto che il comportamento dell'azienda (venditrice) è regolato da una rete elaborata di amministratori del governo (acquirente) i quali, dal punto di vista funzionale, dirigono l'azienda venditrice. Le ditte che servono i militari devono osservare norme rigorose (Regolamenti sulle Commesse per le Forze armate) che sono emanate e gestite dal personale dell'Ufficio centrale di ciascun Ministero della Difesa. Le ditte private che producono materiale militare nei Paesi capitalisti dell'occidente sono organizzate tipicamente su base di più reparti con prodotti diversificati. Tra i 100 maggiori appaltatori militari presso il Dipartimento della D

ifesa degli Stati Uniti, il 40% della produzione è di tipo militare (a partire dal 1978) e il 60% è di tipo civile (*).

[(*) Per 77 delle 100 principali ditte appaltatrici nel settore militare, come riferisce il Dipartimento della Difesa USA (Newsletter, 5 sett. 1979) il consiglio per le Priorità Economiche ha potuto dimostrare la percentuale di vendite effettuate al Dipartimento della Difesa. La media del 40% delle vendite al Dipartimento suddetto è ponderata sulla percentuale delle vendite delle ditte effettuate nel 1978. Il dato della General Dynamics è stato rettificato a 100 dalla percentuale di 129 riferita al Dipartimento della Difesa per il 1978 poiché i nuovi contratti per il 1978 sono stati parti al 129% delle vendite in detto anno.]

Dal punto di vista formale le aziende private sono le principali produttrici di materiali militari in ciascun Paese dell'Occidente, ma la proprietà privata di queste ditte contrasta con la sede del controllo finale che in ogni caso è nell'ufficio centrale del governo. Di conseguenze, il potere decisionale in materia di tipo di produzione, di quantità, di modalità di lavorazione, di fissazione del prezzo e di consegna del prodotto è tutto dipendente dalle istituzioni dirigenziali statali. Dalle interviste effettuate si evince che il modello statunitense di controllo da parte dell'ufficio centrale sulla rete dell'industria militare è stato gradualmente applicato negli altri Paesi dell'Occidente.

Una delle conseguenze di rilievo del controllo governativo è che i classici meccanismi di autocorrezione dell'economia privata sono stati notevolmente ridotti. Ad esempio, è virtualmente impossibile, sotto l'egida del controllo governativo, che una ditta importante, operante nell'ambito dell'industria militare, fallisca. I nomi della Lockheed, della Rolls Royce e della Chrysler richiamano alla mente gli interventi governativi volti ad assicurare la solvibilità nel caso in cui tali ditte rischino il fallimento. In ciascun caso la natura privatistica dell'impresa è stata sostanzialmente modificata nell'atto in cui l'ufficio governativo è intervenuto per "conservare la base aziendale" dell'industria militare, assicurando la solvibilità finanziaria. Un altro aspetto della trasformazione di queste industrie è stato l'abbandono della politica dei costi minimi come criterio di base di gestione aziendale, e la sua sostituzione con un meccanismo misto di costi e sussidi massimi.

L'azienda che persegue una politica di costi elevati al massimo non si ispira ad una norma esplicita che dica: "Occorre spingere al massimo i costi", ma i modelli di comportamento adottati, soggetti ad ispezione ed approvazione da parte dell'ufficio centrale del Dipartimento della Difesa provocano nell'insieme una spinta verso l'alto dei costi. I controlli amministrativi si moltiplicano ed essi sono costosi sia in termini di personale sia di denaro. Le caratteristiche delle prestazioni tecniche sono esaltate e rese elemento dominante nella scelta dei prodotti militari, con il conseguente aumento dei costi di materiale e produzione. La "capacità" di ricerca e produzione dell'azienda è impiegata quale criterio principale per l'aggiudicazione dei contratti. Questo diventa un invito alla proliferazione del personale per la ricerca e di quello tecnico e all'investimento in attrezzature per produzioni esotiche e per far bella mostra di "competenza". Nel medesimo tempo in cui le sollecitazioni di questo tipo pervad

ono il sistema, le norme relative alla scelta delle ditte per l'assegnazione dei contratti militari assegnano un peso del 15% al fattore costi.

2.1. Programmazione per la conversione economica

Nella Relazione economica del Presidente degli Stati Uniti del gennaio del 1969, Lyndon Johnson formulò l'ultimo piano economico reso noto da parte del governo degli Stati Uniti circa le alternative economiche alla spesa militare. Esso aveva la forma di una proposta particolareggiata di nuovi stanziamenti di spesa da parte del governo federale a partire dal 1972 e a valere per parecchi anni successivi. I nuovi stanziamenti dovevano surrogare la spesa per il conflitto nel Vietnam. La "Commissione del Gabinetto per il Coordinamento della Programmazione economica per la cessazione delle ostilità nel Vietnam" raccomandava una spesa annua di 39,7 miliardi di dollari a favore di un lungo elenco di attività civili riconosciute di pertinenza del governo. Esse andavano dall'istruzione alla sicurezza sociale, allo sviluppo economico, ai rifornimenti idrici, allo sviluppo delle risorse naturali, allo sviluppo urbanistico, ai trasporti, alle scienze e all'esplorazione spaziale, agli aiuti economici all'estero.

La proposta - uno degli ultimi atti ufficiali del Presidente Johnson - definiva il contenuto di quello che è divenuto noto sotto il nome di "dividendo della pace", il beneficio economico, cioè, che poteva esser tratto dall'aver posto fine alla spesa governativa per la guerra in Vietnam.

Dal 1969 non si è più avuta alcuna iniziativa nota, da parte sia del potere legislativo sia di quello esecutivo del governo degli Stati Uniti - o di altro Paese occidentale - per la formulazione di piani economici globali per il trasferimento di ingenti stanziamenti dall'economica militare a quella civile. Dal 1973 al 1979 si sono avute numerose proposte da parte del Congresso, in materia di conversione economica, ma nessuna di tali proposte è stata convertita in legge (si veda, ad esempio, la proposta di legge S.1031, concernente la revisione economica della Difesa, in "Congressional Record" (Atti del Congresso) del 26 aprile 1979.

Né si è avuta alcuna iniziativa in Occidente per portare la programmazione della conversione economica al livello di impresa. Mentre alcuni studiosi, sindacalisti, ingegneri, presso le varie università, nonché attivisti politici, in varie occasioni hanno formulato pani di conversione economica per le imprese e le industrie, quest'ultimi non sono stati mai impiegati, da alcun gruppo di imprese conosciuto, come guida alle effettive operazioni di conversione (si veda la bibliografia selezionata sulla Conversione economica in calce alla presente relazione). (Nota del traduttore: la bibliografia non è allegata al documento originale). Ciò non deve sorprendere. Quando alcuni anni fa lo scrivente espose l'idea della programmazione della conversione al livello di impresa, ad un funzionario del governo federale, questi osservò che essa non avrebbe ricevuto alcun appoggio in quanto il Generale "x" voleva che le ditte industriali legate da contratto con l'Aeronautica pensassero all'Aeronautica e alle sue esigenze e non

ad altro. Visto che la programmazione formale era esclusa in quanto trattavasi di "altro", la risposta della maggioranza delle aziende industriali militari, alla scadenza del contratto, è stata quella di licenziare operai, ingegneri e personale dirigente intermedio.

In vista di un interdetto così ampiamente diffuso, le aziende industriali militari non hanno compiuto alcun serio tentativo di programmazione della conversione di dirigenti e ingegneri specializzatisi in materie di esigenze militari. Di conseguenza, la scadenza dei contratti militari è stata normalmente seguita non solo dalla ricerca frenetica di nuovo lavoro del medesimo tipo, ma addirittura dall'abbandono delle proprie occupazioni da parte di numerosi ingegneri e altro personale. Ciò si è spesso verificato laddove l'effetto della scadenza del contratto risultava ad un tempo ingente e concentrato in una particolare regione, sì da ridurre drasticamente la possibilità di trovare un impiego equivalente. Per gli interessati questo ha voluto dire spesso un lungo periodo di crisi personale, mentre dal punto di vista della collettività il trasferimento di ingegneri, poniamo, verso impieghi quali quello dell'agente immobiliare o del venditore ha prodotto sprechi sotto forma di scarsi risultati di un investimento so

ciale elevato per una formazione professionale economicamente essenziale.

I dirigenti e gli ingegneri al servizio dei militari nelle economie di mercato sono divenuti esperti nella prassi di elevazione al massimo dei costi e dei sussidi e quindi incapaci, sul piano occupazionale, di prestazioni adeguate in seno alle imprese civili. Non è stato compiuto alcun intervento sistematico per affrontare il problema con piani di conversione professionale.

L'assenza cumulativa di capacità di conversione a tutti i livelli gioca un ruolo importante nell'invischiare governi e cittadini delle società ad economia di mercato nell'attività economica militare e in una politica basata sull'ostentazione delle forze armate. In ogni Paese l'economia militare è di gran lunga la maggiore entità posta sotto il controllo governativo e di dirigenti statali amministrano la più grande organizzazione dirigenziale governativa in nome della gestione del sistema dell'economia militare. Un effetto collaterale consiste nel rendere l'apparato governativo ben fornito di personale e di idee relative all'impiego della potenza militare come strumento politico, ma severamente limitato quanto alle opzioni economico-politiche che si offrono ad una economia civile degna di tal nome.

Le nazioni del capitalismo occidentale sono ora in varia misura afflitte da gravi problemi economici interni la cui soluzione non è, probabilmente, possibile per mancanza di nuovi, importanti investimenti produttivi. Le risorse di capitali e di tecnologia necessarie a tal fine, a loro volta possono esser rese disponibili solo mediante l'attuazione di un processo di conversione sistematica. I problemi nazionali, la cui soluzione richiede consistenti investimenti produttivi, comprendono: la produttività in declino, l'inflazione, la disoccupazione a seguito di esaurimento della competenza tecnica ed economica e il minacciato scadimento di molti aspetti della qualità della vita.

3. L'economia centralizzata: L'URSS

L'URSS ha una posizione preminente nel sistema delle "economie centralizzate". Per tale regione è necessario sottolineare, fin dall'inizio, quattro importanti limitazioni relativi ai dati concernenti l'URSS disponibili ai fini della presente indagine.

Anzitutto i dati resi pubblici del governo sovietico circa la propria economia militare e su argomenti riflettenti la conversione economica dell'economia militare: numero di ditte e di stabilimenti, numero di dipendenti, bilanci, retribuzioni, investimenti de capitale, fondi impiegati per la ricerca etc., non sono disponibili. Inoltre, la letteratura de cui si dispone comprende appena due scardi riferimenti alla conversione economica nell'URSS, ambedue relativi all'esperienza successiva alla seconda guerra mondiale.

In secondo luogo, le autorità sovietiche non hanno permesso allo scrivente di intervistare alcun dirigente di azienda né di visitare imprese industriali militari.

Una terza limitazione deriva dalla compartimentazione delle informazioni sulle questioni economiche militari tra i vari funzionari e istituzioni sovietiche. A prescindere dalle intenzioni, i sistemi di segretezza e la limitazione del "bisogno di conoscere" in relazione all'accesso alle informazioni, isolano l'economia militare e la proteggono dagli sguardi del pubblico. I dati relativi al numero delle imprese impegnate nella produzione militare non risultavano disponibili presso il Comitato statale per la programmazione (Gosplan).

Una quarta limitazione sui dati deriva dall'evidente mancanza di interesse nei confronti dei problemi dilla conversione economica. Le istituzioni superiori preposte alla politica e alla programmazione spesso mancano di informazioni su: a) tempi di programmazione delle conversione industriale; b) tempi effettivi di riattamento degli stabilimenti industriali; c) differenze nella composizione della manodopera per la produzione civile rispetto a quella militare; d) esigenza di rieducazione, ai fini della conversione economica, dei dirigenti (specie i quadri intermedi); e) esigenza di rieducazione dei tecnici; f) accettabilità sul piano economico, dei prodotti civili fabbricati secondo criteri di progettazione per fini militari.

Malgrado tali limitazioni sui dati, è stato possibile almeno dare l'avvio, nella presente indagine, ad una definizione dei problemi della conversione che riguardano specificamente l'URSS. In ultima analisi, partendo dalla consistenza delle forze armate, pari a circa 3,6 milioni, è possibile dedurre, sia pure in misura approssimativa, l'ordine di grandezza dell'economia industriale di supporto.

Migliaia di imprese e di istituzioni sono necessariamente coivolte nella ricerca, nello sviluppo e nella produzione militare. Queste organizzazioni devono impiegare milioni di operai dell'industria, di tecnici, di ingegneri, di scienziati e di dirigenti. Per di più, il dell'economia militare, a fronte dell'economia civile ha subìto uno sviluppo storico nell'URSS del tutto diverso da quello verificatosi negli Stati Uniti e nell'Europa occidentale. In questi ultimi Paesi le attuali economie militari sono state costruite a fianco di economie civili già pienamente sviluppate. Viceversa, nell'URSS, dopo la seconda guerra mondiale, la ricostruzione e lo sviluppo industriale hanno dato la precedenza alla base dell'industria pesante e ad una collaterale economia militare. Tale priorità ha avuto un notevole influsso sul successivo sviluppo della produzione civile e sul suo rapporto con quella militare e con la connessa base dell'industria pesante.

3.1 Interviste in URSS

Il seguente elenco contiene l'indicazione dei funzionari, degli specialisti di livello universitario e di altre persone con le quali è stato possibile avere interviste per il tramite delle autorità sovietiche:

a) funzionari della programmazione: un alto funzionario del Comitato statale per la programmazione dell'URSS; un alto funzionario del Comitato statale dell'URSS per la scienza e la tecnologia (Consiglio dei Ministri); un membro del Comitato centrale del Partito comunista dell'URSS.

b) specialisti di economia industriale: due alti funzionari degli istituti di ricerca dell'Accademia delle scienze dell'URSS; un alto funzionario del Centro per la direzione aziendale dell'università statale di Mosca.

c) funzionare dei ministeri industriali: un alto funzionario del Ministero per la produzione di macchinario; un alto funzionario di un importante istituto di ricerca meccanica.

d) altri: un economista del lavoro; due giornalisti sovietici.

Si tratta di funzionari responsabili, dotati di elevata competenza professionale in materia di politica di meccanismi e procadire di programmazione e di direzione aziendale nell'Unione Sovietica. Gli specialisti dell'industria e gli amministratori di grado elevato intervistati erano a conoscenza dei problemi dilla formazione professionale e della riconversione di dirigenti e ingegneri che hanno rilevanza ai fini della presente indagine.

3.2. Approvvigionamenti e priorità dei rifornimenti

Gli approvvigionamenti costituiscono un problema centrale, anzi con ogni probabilità - sono il problema centrale, sia per i dirigenti dell'economia nazionale, sia per quelli delle singole imprese nel quadro del sistema sovietico. I problemi degli approvvigionamenti nell'URSS sono affrontati entro i limiti di un sistema di priorità centralizzato. Una economia controllata funziona in un contesto di carenze di merci così numerose e diffuse che alcune autorità sovietiche definiscono la loro una "economia di deficit". In tali condizioni, non vi è un "problema di mercato", e non sussiste alcuna questione relativamente al reperimento di acquirenti per qualsiasi merce.

L'economia dell'URSS assorbe una parte rilevante, ma ufficialmente non determinata, degli approvvigionamenti e della produzione manifatturiera. La parte assorbita dai militari è, peraltro, abbastanza ampia, onde le priorità tra impieghi militari e impieghi civili sono oggetto di trattazione ai più alti livelli di governo.

Nel quadro dell'assegnazione prioritaria di capitali e risorse connesse alla funzione militare, la programmazione e la direzione dell'economia militare si svolgono separatamente da quelle dell'economia civile.

3.3. Massimizzazione dei costi

Un interessante ed importante problema della micro-economia industriale sovietica non ha potuto essere adeguatamente risolto nella presente indagine. I dirigenti e gli ingegneri sovietici seguono il criterio dei massimi costi?

La logica del diffuso problema degli approvvigionamenti nell'industria sovietica induce a guardare in quella direzione. Se gli approvvigionamenti di tutte, praticamente, le materie prime sono men che sicuri, la prudenza dei dirigenti imporrebbe uno sforzo volto ad ottenere l'approvazione, da parte delle superiori autorità, di piani che elevano al massimo le assegnazioni di approvvigionamenti e riducono al minimo gli obiettivi operativi. Una combinazione del genere garantirebbe nel migliore dei modi il successo del dirigente nell'essenziale compito di portare a compimento il proprio piano. Se è vero che tutti indistintamente i dirigenti industriali sovietici hanno un interesse di tal sorta, quelli delle industrie prioritarie (militare) si trovano nella migliore posizione per ottenere condizioni di favore.

Tutti i dirigenti sovietici sono spinti a far lievitare al massimo i costi relativi al prodotto finito e ciò rende ragione delle varie descrizioni, fornite dalle autorità sovietiche, in merito ai dirigenti industriali del settore militare: la tecnologia militare tende a sorvolare sui costi e ad esaltare la capacità; gli ingegneri militari renderebbero i prodotti civili talmente costosi che nessuno potrebbe comprarli; in parecchi casi in cui le ditte al servizio dei militari si sono occupate di progetti civili, la produzione relativa ha avuto costi proibitivi. Sembra possibile che i dirigenti sovietici in seno all'industria militare riescano meglio a far lievitare i costi della loro controparte civile.

Quanto precede è frutto essenzialmente di deduzioni desunte da una limitata base di dati. Purtroppo le autorità sovietiche non hanno consentito di poter avere contatti con dirigenti di imprese.

3.4. Programmazione della conversione

Esiste una programmazione per la conversione economica su scala nazionale? Sembra di no. Né esiste alcun indirizzo di politica generale che imponga alle ditte che operano nel settore militare di predisporre piani di produzione alternativa a livello di impresa. Il convincimento degli alti funzionari è che lo sviluppo di piani del genere richieda molta fatica, sicché essi non possono permettersi il lusso di affrontarne l'esecuzione in mancanza di un impegno che garantisca la loro attuazione.

Nel contempo, gli alti funzionari sovietici non hanno difficoltà ad ammettere che, in seno al Gosplan, "essi agognano" un tale evento. Esso renderebbe la vita più facile al Comitato statale per la Programmazione, dato ce le aziende militari consumano più manodopera per unità - a causa delle specifiche dei prodotti militari rispetto a quelli civili - di quanto non ne occorrano per una produzione civile di buona qualità. Così stando le cose, un passaggio all'economia civile renderebbe più facile il "riequilibrio dell'economia".

La costante risposta, da parte dei dirigenti dell'economia sovietica, al problema digli approvvigionamenti, è data da un sistema di stanziamenti che segue un ordine di priorità nei confronti delle imprese. Il "Manuale dei dirigenti di aziende manifatturiere" (a cura si G. A. Egiazaryan, A.D. Sheremet, Economic Publishing House, Mosca, 1977, vol. II, p. 131) fissa un sistema formale di scala di retribuzioni per i massimi dirigenti e per gli alti funzionari delle aziende del settore industriale della produzione meccanica sovietica. La graduatoria è basata su un punteggio che riguarda aspetti formali quali il capitale investito e il numero dei dipendenti dell'aziende in questione, nonché la complessità tecnica del prodotto. Il punteggio assegnato a questi fattori permette di suddividere le imprese in sette categorie (in ordine decrescente di importanza) con i corrispettivi stipendi-base per gli amministratori. Oltre a questa graduatoria formale, talune imprese sono classificate anche in base a considerazioni pa

rticolari formulate nei loro confronti dagli alti dirigenti politici. In tal modo, le imprese che svolgono funzioni essenziali ai fini degli obiettivi prioritari di un dato piano quinquennale godono della posizione più elevata nella graduatoria.

Una gerarchia di questo tipo, o affine ad essa, costituisce, a quanto sembra, il meccanismo principale per l'assegnazione di ogni tipo di approvvigionamento industriale. I fornitori di materie prime sanno che i clienti che godono di precedenza assoluta vanno serviti con partite di merci quantitativamente e qualitativamente adeguate ed alla scadenza fissata, ed è compito primario dei dirigenti delle imprese fornitrici di assicurare che tutto avvenga puntualmente.

Comprensibilmente, ad una posizione elevata nel sistema prioritario in materia di retribuzione e di approvvigionamenti corrisponde la facilità di accesso dei dirigenti delle aziende privilegiate presso gli alti funzionari dei ministeri industriali, presso gli alti gerarchi e le istituzioni del Partito comunista e, in generale, ne deriva loro una posizione di poter e di prestigio.

3.5. Compiti del dirigente e priorità negli approvvigionamenti

Un alto funzionario ha fatto presente che la soluzione dei problemi di approvvigionamento di un'impresa costituisce un importante obbligo manageriale. Si considerino due aspetti dell'approvvigionamento: i materiali e i tecnici. E' illuminante vedere come una direzione aziendale che gode de priorità assoluta affronta questi problemi.

Un alto funzionario di un ministero per la produzione meccanica riceve una richiesta di assistenza da parte di una delle imprese dipendenti dal suo dicastero: la produzione rischia di subìre ritardi se non si provvede subito alla fornitura di alcune materie prime chimiche. Il dirigente d'azienda in questo caso non era riuscito a mettersi d'accordo direttamente con l'industria chimica per ottenere un'adeguata e tempestiva fornitura e si era quindi rivolto al ministero. Il funzionario ministeriale aveva trattato la questione con il collega di pari grado del Ministero dell'industria ed era riuscito, in breve tempo, a raggiungere un'intesa sui tempi e sul quantitativo dei materiali necessari. Il funzionario ministeriale spiega: "Talvolta noi, quali clienti, possiamo aiutare un nostro fornitore (nella fattispecie, l'industria chimica) fornendogli attrezzature (ad es. macchinario industriale) che noi produciamo". E' questo il tipo di influenza che il capo di un'industria produttrice di macchinario può esercitare n

ei confronti di ditte fornitrici che hanno bisogno delle attrezzature da essa prodotte. Questo rapporto di influenza reciproca naturalmente non funzionerebbe nel caso in cui una delle parti fosse il dirigente di un'azienda che non gode di elevata priorità, ad esempio un fabbricante di camicie da uomo.

La fornitura di materie prime può anche esser richiesta mediante ordini diretti da parte di alti funzionari o gerarchi di partito, abilitati ad ordinare approvvigionamenti di materie prime a titolo prioritario a favore di ditte che godono del diritto di precedenza. La norma generale sembra esser questa: i dirigenti di aziende con elevate priorità, ivi incluse le imprese che servono il settore militare, si mettono in lista di attesa come tutti gli altri, ma sono i primi di ogni fila per i rifornimenti.

E' pure istruttivo notare il meccanismo mediante il quale le assegnazioni prioritarie funzionano nei confronti dell'invio di ingegneri alle imprese dipendenti da un ministero che gode di elevata priorità. Un funzionario ministeriale spiega: "Come facciamo a procurarci i migliori ingegneri? Le richieste da parte del nostro Ministero vengono inoltrate al Comitato statale per la Programmazione. La quota a noi assegnata viene smistata ad un'istituzione che provvede alla formazione di ingegneri laureati. Quindi su - poniamo - 40 laureati di un istituto di Mosca, ce ne vengono assegnati 10. Le possibilità di ottenere l'assegnazione di ingegneri particolarmente qualificati sono ulteriormente facilitate dal fatto che il nostro ministero finanzia diversi laboratori presso l'istituto di Mosca in questione con contratti di volta in volta concessi. I laureandi lavorano in quei laboratori, in virtù di quei contratti, in tal modo noi riusciamo a conoscerli e possiamo decidere quali di loro preferiamo".

Ho chiesto al medesimo dirigente: "Avete mai avuto o avete problemi di approvvigionamento che non riuscite a risolvere?" La risposta è stata un deciso no.

I problemi e i metodi di gestione per i dirigenti che godono di priorità media o bassa sono alquanto diversi. Questi dirigenti (che hanno scarsa o nessuna entratura presso gli altri funzionari amministrativi) devono, ad esempio, ricorrere al "tolkach" è un "addetto al disbrigo delle pratiche", spesso fornito di fondi di cui non deve render conto e di capacità e scaltrezza per procacciarsi una benevola collaborazione. Con metodi diversi, legali ed extra-legali, egli deve tentare di ottenere la consegna delle partire necessarie alla propria ditta, in modo tale che questa possa dimostrare di aver operato in conformità con il piano, il che, in ultima analisi, costituisce la condizione per la concessione di premi e indennità al personale ed è un elemento importante ai fini del giudizio sull'attività del direttore dell'azienda. Gli alti funzionari dell'URSS ammettono che i dirigenti e gli ingegneri delle aziende militari ricevono le migliori attrezzature e i migliori materiali. E' quello il loro privilegio ed esso

conferisce loro condizioni professionali che sono ignote al mondo dei dirigenti di impreso di più basso rango.

3.6. Alcuni aspetti tecnici della conversione industriale nell'URSS

I funzionari sovietici affermano che i prodotti delle imprese militari destinati ad usi civili tendono ad essere di miglior qualità delle merci consimili prodotti da imprese interamente civili. Ciò è comprensibile, in quanto rispecchia i vantaggi di cui godono le imprese militari nei confronti di tutti i tipi di materie prime industriali. Alcuni addetti sovietici alla programmazione sostengono che, così stando le cose, la produzione civile di imprese militari convertite, con ogni probabilità avrebbe carattere di competitività nei confronti delle merci prodotte dalle imprese civili esistenti.

Peraltro, gli osservatori dell'industria militare sovietica hanno notato il ripetersi di un certo schema di "errori" ogni qualvolta le ditte del settore militare si sono date alla produzione civile. In alcune occasioni, parecchie di tali industrie di una data regione hanno insistito con il medesimo prodotto, per il loro ingresso nell'attività civile, in tal modo inondando i mercati regionali. Fatto ancor più rilevante, ai fini della presente indagine: la qualità dei prodotti civili eseguiti da ditte industriali militari in varie occasioni si è rivelata inaccettabile. In parecchi casi il costo di produzione di nuovi articoli civili era così alto da superare il loro prezzo convenzionale di vendita al dettaglio. Ciò si è verificato nel caso di certi apparecchi per radio e televisione. Gli altri costi di produzione si sono verificati perché alcune ditte hanno persistito nell'applicare al prodotto civile le caratteristiche di progettazione e di produzione cui erano abituate nel prestare la propria opera per conto

dei militari.

Nel caso sovietico le differenze di qualità tra l'industria militare e quella civile sono dovute alle più rigorose specifiche relative a molti prodotti militari. Ad esempio, le organizzazioni militari hanno bisogno di apparati per comunicazioni di elevata affidabilità, qualità indispensabile per un'efficace azione di comando. Il tipo di scarsa affidabilità che si riscontra negli ordinari servizi telefonici civili, anche nella stessa Mosca, non sarebbe accettabile per fini militari.

Inoltre, molte circostanze relative al potenziale impiego militare impongono requisiti di scarsa o nessuna rilevanza ai fini civili. Ad esempio, l'attrezzatura militare deve poter resistere agli strapazzi, ai frequenti spostamenti, a variazioni di temperatura e di altre condizioni climatiche conservando pur sempre un alto livello di affidabilità.

Nulla di tutto ciò sta ad indicare che la presente indagine abbia scoperto nella progettazione dei prodotti militari sovietici un equivalente della "patina d'oro" dei prodotti militari, riscontrabile nelle economie occidentali dedite all'elevazione al massimo del livello dei costi (per "patina d'oro" si intendono le prestazioni che vanno molto al di là delle effettive esigenze: impiego di materiali costosi ma spesso funzionalmente superflui, eccessiva - e costosa - rifinitura del disegno e attenzione alle apparenze non funzionali). Parecchie prove dimostrano come i modelli militari sovietici, limitati dalle generali ristrettezze, seguono una tradizione di maggiore austerità.

La situazione generale dell'approvvigionamento con i suoi problemi in un'economia deficitaria mantiene basso il plafond dei sussidi, al di sotto dei quali deve mantenersi la lievitazione massima dei costi.

La conversione dall'economia militare a quella civile necessariamente comporta modifiche dell'attrezzatura industriale, ma non sono disponibili dati precisi circa le caratteristiche delle attrezzature per la produzione nel settore dell'industria militare sovietica. Ai fini della presente indagine, non si è potuto disporre neanche di un campione di tali dati. Possiamo solo arguire che una parte, forse preponderante, dell'attrezzatura industriale militare è di "tipo speciale" e perciò dovrebbe essere scartata o in larga parte ricondizionata ad uso della produzione civile.

L'organizzazione della produzione civile nelle imprese che servono i militari è un altro elemento tecnico che ha il suo peso sulla capacità di conversione dall'economia militare a quella civile. In un indirizzo rivolto in occasione del 25· Congresso del Partito comunista dell'URSS nel 1971, Leonid Breznev dichiarava che il 41% della produzione dell'industria militare consisteva di prodotti per uso civile. Non sono stati forniti ulteriori dettagli, né all'epoca né successivamente, riguardo agli aspetti della dichiarata combinazione tra produzione militare e civile. (Qual è la definizione dell'entità al servizio dei militari? E' il ministero o un'unità produttiva con una sua dirigenza ed un proprio bilancio? L'industria al servizio dei militari include le ditte che producono acciaio, alluminio, pneumatici, cemento, parte della cui produzione rifornisce l'industria civile?, e così via). Una combinazione di produzione militare e civile da parte di un'impresa, sotto la guida del medesimo vertice dirigenziale è un

a caratteristica dell'industria militare di ogni Paese preso in esame ai fini della presente indagine.

Dal punto di vista della conversione economica è essenziale conoscere come funziona l'organizzazione della produzione secondaria per usi civili. Quale proporzione di tale produzione ha luogo presso le industrie che svolgono attività nel settore militare? La produzione civile impiega attrezzature analoghe a quelle della linea di produzione militare, con la semplice differenziazione della forma degli utensili speciali, così che il lavoro civile sia convertibile in un tempo relativamente breve ad una più elevata capacità di produzione per fini militari? E', viceversa, la linea di produzione militare può essere convertita per impieghi civili? (Ciò dipende dal rapporto tra l'impiego di attrezzatura specializzata e quello di attrezzatura per fini generali, sia nell'attività militare sia in quella civile). Ovvero: la produzione civile si svolge in un reparto dell'impresa che è separato sia dal punto di vista organizzativo, sia - quanto alla ubicazione - dall'attività per fini militari, con una dirigenza separata? E

così via. Diversi osservatori hanno riferito che entrambi i tipi di organizzazione si trovano nelle imprese militari/civili sovietiche, ma i dati in materia sono frammentari.

Può essere significativo che alcuni programmatori sovietici sottolineino l'auspicabilità della conversione secondo il modello in uso presso le aziende statunitensi. Ciò di solito comporta una diversificazione sul piano finanziario, accompagnata da un'organizzazione e da una gestione separata della produzione civile. In questo caso le attività finanziarie della ditta sono "diversificate" ma, come si è detto dianzi, ciò non influisce necessariamente sul problema della conversione delle risorse per la produzione dall'attività militare a quella civile. Un consulente sovietico in materia di direzione aziendale riferisce che esistono due tipi di impresa militare/civile: a) il tipo in cui i prodotti militari e civili sono tecnicamente identici, come nel caso dell'alluminio impiegato per gli aeromobili e per gli utensili da cucina; b) il tipo in cui una data produzione civile viene assegnata all'impresa militare indipendentemente da eventuali connessioni di ordine tecnico.

Ad esempio, qualche anno addietro, a causa delle condizioni meteorologiche e della carenza di attrezzature, vi era urgente bisogno di macchine per asciugare il fieno; l'ordinazione speciale di macchinario venne affidata alla fabbrica di autocarri Kama River Truk Factory (si noti che il problema si sarebbe potuto prontamente risolvere mediante l'impiego di attrezzature "per tutti gli usi" che certamente formano parte del macchinario a disposizione di qualsiasi grande industria).

Secondo il surricordato consulente per la la direzione aziendale, la situazione di tipo b) è più rappresentativa del problema della conversione dall'attività militare a quella civile, dato che quella di tipo a) è assai semplice.

Un rilevante aspetto tecnico della programmazione e della capacità di conversione economica risiede nell'assegnazione di tempi adeguati per la progettazione e l'attuazione delle maggiori trasformazioni industriali.

Gli attuali tempi richiesti a tal fine costituiscono un aspetto tecnico importante della programmazione della gestione industriale di qualsiasi economia, ma tendono ad essere meno compresi dai funzionari politici sovietici e dai programmatori in sede di macro-economia.

I dirigenti delle industrie sovietiche produttrici di macchinari d'altro canto, appaiono bene edotti circa i requisiti di tempo e relativi problemi in situazioni di conversione di produzione. Si pensa, ad esempio, la possibilità di conversione di generatori con turbina a vapore in generatori a turbina idraulica. Ciò che occorre è un piano preliminare. La sua attuazione richiederebbe l'intervento del ministero, poiché questi ha il potere decisionale in materia di investimento di capitali e di attrezzature. Più importante di tutto, sarebbe necessario modificare il piano di produzione dell'azienda e tener conto del tempo intercorrente e di "fornire i capitali di esercizio" per la trasformazione.

Secondo alcuni funzionari dell'industria, il tempo necessario per effettuare un'importante conversione potrebbe essere illustrato dall'esempio della trasformazione da corrente alternata in corrente continua dei motori prodotti da una certa ditta. Per una simile trasformazione (in un caso come questo, strettamente correlato) sarebbe necessario un periodo di programmazione di circa sei mesi. Per l'attuazione del piano di produzione dei nuovi prodotti ci vuole fino ad un anno e mezzo; entro tale periodo si deve procedere alla trasformazione dello stabilimento ed all'inizio della produzione parziale. Sempre entro il suddetto periodo, è compresa la riconversione degli ingegneri, dei dirigenti e degli addetti alla produzione.

Mentre le considerazioni di cui sopra sono ovviamente e necessariamente chiare ai dirigenti industriali sovietici, il ruolo dei tempi di avvio non appare altrettanto evidente a tutti gli economisti e ai dirigenti politici sovietici. Ciò crea un'importante soluzione di continuo tra classe politica e realtà della produzione industriale che da quella dipende. Ciò rappresenta una limitazione della capacità dell'economia sovietica di procedere alla programmazione ed all'attuazione della conversione.

 
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