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Melman Seymour - 1 febbraio 1982
(3) Fabbriche di morte: è possibile convertirle?
di Seymour Melman

(b) Gli ostacoli alla conversione dell'industria militare in industria civile nei paesi ad economia di mercato, ad economia centralizzata ed in via di sviluppo

3.7. Conversione delle funzioni manageriali

I dirigenti delle imprese operanti nel settore militare hanno un rapporto speciale con l'economia militare. La loro posizione privilegiata conferisce loro potere e benefici particolari rispetto ai dirigenti dell'industria civile. I problemi degli approvvigionamenti di materie prime di ogni genere - che predominano nelle funzioni manageriali nell'URSS - sono affrontati con relativa facilità dai dirigenti dell'industria militare.

Tra gli studiosi in materia di direzione aziendale dell'URSS è apparentemente pacifico che nelle imprese militari i dirigenti riservino maggiore attenzione ai problemi tecnici che non a quelli degli approvvigionamenti. Questi ultimi possono esser risolti mercé l'intervento dei funzionari ministeriali, dei gerarchi del Partito, dei dirigenti delle aziende fornitrici e degli alti funzionari dello Stato, i quali sono tutti impegnati a far sì che le esigenze in fatto di approvvigionamenti siano soddisfatte con precedenza assoluta. Uno dei risultati di un tale trattamento preferenziale è l'esistenza, ad avviso di un consulente in materia di direzione aziendale, di una "reale differenza tra imprese militari e imprese civili, in quanto i dirigenti delle prime sono più interessati agli aspetti tecnici della produzione, mentre quelli delle seconde guardano più agli aspetti commerciali aziendali".

Alcuni teorici in seno alla società sovietica ritengono che tali osservazioni non abbiano una vera importanza ai fini della conversione economica e che i dirigenti dell'industria militare debbano semplicemente obbedire agli ordini delle superiori autorità ai fini del cambiamento delle merci prodotte. Occorre altresì notare che, malgrado i loro privilegi, i dirigenti dell'industria militare a volte invidiano i loro colleghi civili; i dirigenti militari sono relativamente sconosciuti al pubblico in genere, a causa della rigorosa rete di sicurezza che circonda loro e il loro lavoro. A titolo esemplificativo, si può citare il caso di due illustri accademici (non nominati), uno dei quali è noto in tutto il Paese mentre l'altro del proprio lavoro non può far cenno neanche in famiglia. Si deduce che questo anonimato è un importante fattore negativo ai fini dello status personale dei dirigenti civili e di quelli militari.

Tuttavia, mentre nel corso delle discussioni con persone che sono vicine o fanno parte delle reti operative della direzione industriale venivano trattate le questioni concernenti la convertibilità dei dirigenti dalle industrie alle occupazioni civili, è emerso un altro aspetto della questione. Si prenda il caso di un amministratore di un'impresa militare al quale il ministero comunichi che, entro sei mesi, dovrà occuparsi della creazione e, quindi, della gestione di una nuova grande azienda per la produzione di frigoriferi. A parte ogni altra considerazione, il dirigente in questione sa che la richiesta comporta un trasferimento da un'azienda industriale con alta priorità ad un'azienda con media priorità. Ciò provoca un'immediata preoccupazione per l'apparente retrocessione con conseguente perdita di potere e privilegi. Alcuni studiosi sovietici in materia di direzione aziendale nell'industria traggono la conclusione che i dirigenti dell'industria del settore militare sanno che, ove si verifichi la conversio

ne, i loro privilegi decadranno. Un tipo di risposta ad una simile situazione consiste nell'offrire incentivi ai singoli dirigenti. Vengono suggeriti diversi modi di fornire loro uno stimolo: a) economici, mediante aumenti di stipendio; b) amministrativi, dicendo loro: "Dovete andare, altrimenti perderete il posto al ministero" (ciò equivale a quel che fa la multinazionale negli Stati Uniti quando chiede ad un dirigente di trasferirsi da Chicago in Africa); c) amministrativi, attraverso l'aggiornamento professionale dei dirigenti, specie quelli intermedi, nel campo della routine amministrativa presso le aziende civili che sono necessariamente diverse rispetto alla loro esperienza specializzata nel campo dell'industria militare e in rapporto al Ministero della Difesa sovietico, d) amministrativi, ponendo fine all'anonimato dell'ex-dirigente dell'industria militare e dando pubblico riconoscimento ai suoi meriti personali; e) sociali e morali, facendo leva sul patriottismo.

Questi passi, mentre possono risultare efficaci nel caso del trasferimento di un sia pur numeroso stuolo di dirigenti singoli, non costituiscono necessariamente una risposta adeguata ad una situazione in cui la prospettiva di conversione economica sia tale da investire contemporaneamente un numero assai rilevante di dirigenti industriali. In tal caso entra in gioco un altro fattore e cioè la possibilità che venga esercitata una pressione collettiva da parte degli interessati per proteggere il proprio potere e i propri privilegi.

Nel corso di un'intervista con un alto dirigente di un ministero preposto alla produzione meccanica ho chiesto notizie circa l'esistenza di piani di conversione da un tipo di produzione ad un altro. La risposta è stata: "Cosa intende per conversione? Certo non penserà che noi ci si converta alla produzione di salsicce! (ilarità)". In realtà le "salsicce", cioè l'industrializzazione dei prodotti alimentari, ovvero la produzione di semplici articoli per la casa e l'attrezzatura per farli a regola d'arte e a basso costo, possono esser parti importanti di ciò di cui l'URSS ha bisogno in grande quantità per elevare sia il tenore di vita della popolazione sia il livello della produttività. Ma la produzione industriale delle "salsicce" è collegata con minori privilegi e minor potere. Di conseguenza, il divertito commento dell'altro funzionario riflette la posizione da lui occupata nella struttura del potere, e rivela ciò che egli "non" è disposto a fare allo scopo di conservare e migliorare la sua posizione manager

iale e la sua statura politica.

Si tratta di una questione di fondo, ai fini della gestione della conversione economica, che deve essere affrontata nel quadro della programmazione della conversione nell'URSS.

3.8. Conversione professionale

Non si dispone di dati riguardanti il numero di ingegneri e di scienziati sovietici che prestano la loro opera nelle aziende militari, rispetto a quelli che operano nell'industria civile. Tuttavia è prudente ipotizzare che il gruppo sia assai numeroso, come è agevole desumere dalle caratteristiche delle armi moderne e dalla struttura dell'occupazione nell'industria militare degli altri Paesi ove i tecnici spesso sono più numerosi degli operai.

Un alto dirigente dell'amministrazione di una importante istituzione di ricerca industriale di Mosca afferma: "Dai miei contatti con le imprese manifatturiere e di altro genere, ritengo che tutti gli attuali stabilimenti e raggruppamenti tecnici potrebbero facilmente aggiungere il 10% al loro personale direttivo. Sette od otto anni fa avremmo potuto incontrare difficoltà a causa della mancanza di posti di lavoro per gli operatori scientifici e per gli ingegneri. I nostri problemi attuali richiedono invece un aumento di tale personale. L'aumento del 10% può essere soddisfatto in un periodo che va da uno a cinque anni, quanto ne occorre cioè per la formazione. Si tratta, inoltre di fornire non solo le nuove strutture per il lavoro (come nel nostro istituto) ma anche le abitazioni per il personale".

La conversione professionale degli ingegneri dalle imprese del settore militare a quelle del settore civile deve tener conto della modifica delle qualifiche. Secondo l'esperienza sovietica, la tecnologia militare tende a sorvolare sui costi, sottolineando invece le prestazioni.

Un alto funzionario amministrativo nel settore della ricerca afferma che i tecnici sovietici qualificati in seno all'industria militare devono essere aggiornati in materia di progettazione, esser messi in grado di fornire prestazioni adeguate alle funzioni civili e devono poter far ciò ad un costo sopportabile. Nel contempo devono essere incoraggiati a trasferire le opportune tecnologie acquisite nella sfera militare ai compiti civili, come nel caso - ad esempio - della progettazione e dell'impiego degli elaboratori.

Una opinione qualificata nell'Unione Sovietica sostiene che è necessario circa un anno di aggiornamento e di adattamento prima che uno scienziato possa trasferirsi da una istituzione del settore militare ad altra del settore civile. Per gli ingegneri il compito appare alquanto più arduo. Si calcola che non sia possibile trasferire gli ingegneri direttamente dal lavoro per fini militari a quello per fini civili senza modificare taluni aspetti della tecnologia militare per l'applicazione all'impiego civile.

Nel contempo, osservava un ingegner/amministratore: "Non assegnerei ingegneri militari alle apparecchiature per il macchinario pesante. Essi renderebbero il prodotto talmente costoso da non permetterne l'acquisto. Io li assegnerei ai reparti di lavorazione di componenti".

Quanto tempo occorre per la riconversione di ingegneri e scienziati? Quale deve essere il contenuto della riconversione di ingegneri e scienziati? Quale deve essere il contenuto della riconversione e chi deve pagarla? Le ripetute esperienze nell'Unione Sovietica indicano che un periodo di riconversione da uno a due anni è il tempo ragionevole occorrente per completare la necessaria formazione specializzata (e per liberarsi delle nozioni precedenti).

La riconversione degli ingegneri può aver luogo in vario modo. Si potrebbero usare gli istituti tecnici che esistono presso le maggiori imprese. Il Ministero assegna dei fondi per la formazione della forza-lavoro nei casi in cui, ad esempio, una nuova azienda ha bisogno di aggiornare fino a 2.000 dipendenti. Talvolta varie aziende affini possono unirsi per creare una scuola a tal fine.

Un secondo metodo possibile consiste nell'inviare ingegneri e operai specializzati per l'addestramento sul lavoro in aziende che già fabbricano il nuovo prodotto. La rispondenza di questa forma di addestramento dipende dalla complessità del prodotto.

Una terza forma di addestramento tecnico consiste nel prendere in prestito ingegneri e operai da altre imprese e inviarli in quelle in via di riconversione perché servano da istruttori per la formazione sul lavoro. In tali casi, alle persone destinate a svolgere l'addestramento occorrerebbe concedere una qualche facilitazione per il reperimento di alloggi e un aumento della retribuzione, specie quando si tratti di elementi giovani e particolarmente capaci i quali incontrerebbero, altrimenti, difficoltà alla promozione e ad altri benefici in seno alle aziende già costituite.

I consulenti sovietici in materia di direzione aziendale fanno presente che vi sono tre sostanziali modelli o tipi di intervento per utilizzare gli ingegneri risultati in soprannumero a seguito del trasferimento dall'ingegneria militare:

a) libera scelta da parte dei singoli interessati di accesso ad industrie di vario tipo;

b) modifica dei compiti degli ingegneri nell'ambito dell'industria militare;

c) avvio di un preciso programma di aggiornamento.

Quest'ultimo tipo potrebbe essere attivato mediante un sistema di corsi di tipo avanzato per ingegneri e tecnici affini. L'attuale legge sovietica prescrive che sia l'ex-datore di lavoro a provvedere all'uopo. L'opinione di qualcuno è che debba essere il governo a sostenere l'onere della spesa; peraltro, non esiste attualmente una disposizione di legge né una previsione di bilancio in base a cui il governo possa incaricarsi di un tale aggiornamento su vasta scala.

Queste opinioni di dirigenti e analisti sovietici bene informati non riescono a risolvere i problemi che si porrebbero qualora una gran quantità di ingegneri e scienziati dovesse essere trasferita da imprese del settore militare ad aziende ed istituzioni del settore civile. In tal caso, infatti, subentrerebbero problemi non solo di aggiornamento e riqualificazione professionale ma anche di abitazioni e di strutture civiche. Ad esempio, la conversione delle aziende operanti nel settore dell'industria aero-spaziale in aziende del settore della produzione di carrozze ferroviarie liberebbe la maggioranza degli ingegneri interessati per l'impiego in altre attività lavorative, ma il trasferimento di migliaia di essi richiederebbe un'ampia programmazione e preparazione anticipata.

Ciò non vuol dire che nelle attuali condizioni dell'URSS non sussistano eventuali alternative al ricollocamento degli ingegneri e delle professioni affini. In ultima analisi, nessuna legge di natura impedisce il portare il lavoro - e cioè le strutture industriali e quelle accessorie - là dove si trovano le persone, anziché mettere in opera una trasmigrazione occupazionale verso gli impianti. Tuttavia, questa - come pure altre alternative - non sono state formulate dai funzionari sovietici nel corso dei vari colloqui. E' del tutto possibile che ciò sia avvenuto perché i problemi dell'occupazione sollevati dalla conversione dall'economia militare a quella civile non sono stati completamente esaminati nell'URSS.

3.9. Conclusioni

L'economia dell'Unione Sovietica possiede la capacità potenziale di programmare la conversione economica. Non esistono prove, tuttavia, di preparativi in corso per far fronte agli specifici problemi di ordine economico, tecnologico e organizzativo che la conversione dall'economia militare a quella civile comporta. Ciò vale tanto per la programmazione a livello globale quanto per quella a livello locale.

Nell'URSS la programmazione per la conversione occupazionale e organizzativa sia a livello di settore industriale sia a quello di singola azienda, deve tener conto della continua e diffusa esistenza di un sistema di obiettivi economici prioritari, in base al quale le imprese vengono classificate soprattutto in riferimento alle priorità di fatto di approvvigionamenti di ogni tipo. La classificazione prioritaria ha un notevole effetto sul potere, sui privilegi e sui metodi di gestione di dirigenti ed ingegneri tutti.

A parte ogni considerazione di fatto in materia economica e industriale, di cui si è qui trattato, esiste una questione di ordine strutturale istituzionale che vincola il potenziale di conversione economica sovietica.

All'atto della redazione della presente indagine, l'Unione Sovietica doveva ancora designare un gruppo di professionisti incaricati della definizione e della soluzione dei problemi della conversione industriale del Paese. Ciò significa che non esiste nell'URSS letteratura in materia di conversione; non sono state formulate alternative; non esiste discussione sulle alternative di indirizzo; vi è una limitata conoscenza di questi argomenti anche tra persone altrimenti serie ed altamente qualificate.

4. Paesi in via di sviluppo: Egitto, India, Israele

Ovunque un Paese in via di sviluppo gestisca una economia militare, le sue fabbriche sono isole di efficienza, di modernità, di attrezzature produttive sofisticate, con metodi di direzione aziendale che ricordano da vicino quelle delle economie pienamente industrializzate e, si noti, con i più alti salari e stipendi del Paese. Tutte queste caratteristiche delle imprese industriali militari appaiono in un ambiente circostante di sottosviluppo umano e materiale che comporta comunicazioni precarie, rifornimenti idrici inquinati e condizioni di produzione e di consumo al limite dell'indigenza.

L'industria militare in un Paese in via di sviluppo è considerata dal governo come area di priorità assoluta e non risente praticamente di alcuno dei problemi di approvvigionamento che affliggono i dirigenti dell'industria civile, affetta da una cronica carenza di capitali.

I dirigenti e gli ingegneri delle industrie militari nei Paesi in via di sviluppo non sono condizionati dall'esigenza di mercato che tende a ridurre al minimo i costi di progettazione e di produzione. Il prodotto militare è venduto prima che esca dalla fabbrica. Dal punto di vista della conversione economica, le economie militari dei Paesi in via di sviluppo rivelano una serie di caratteristiche peculiari: esse uniscono infatti il criterio della spinta verso il massimo dei prezzi e dei sussidi, tipica delle economie di mercato occidentali ed il potere e i privilegi derivanti dalla priorità negli approvvigionamenti che caratterizza l'economia militare dell'URSS.

4.1. Egitto, India, Israele

Alla stregua delle valutazioni consuete, Egitto e India chiaramente appartengono alla categoria dei Paesi sottosviluppati. L'economia di Israele costituisce un caso limite in quanto mostra alcune caratteristiche di sottosviluppo a fianco di indici di reddito che lo pongono a metà strada tra i Paesi poveri e quelli di medio benessere. Ai fini della presente indagine, i tre Paesi costituiscono motivo di ulteriore interesse in quanto rivelano una vasta gamma di differenze quanto alla densità di popolazione, all'estensione del territorio, a caratteristiche culturali ed a sistemi sociali. E' proprio questa varietà di circostanze ambientali che rende più sorprendente la possibilità di raffronto tra le economie militari.

In questi Paesi esistono dati limitati riguardo alla composizione dettagliata dei bilanci militari e le dimensioni delle forze armate sono probabilmente tenute al disotto della realtà nelle statistiche ufficiali.

In ciascuno dei tre Paesi, un ministero della produzione, che opera nell'ambito del Ministero della Difesa, esercita il controllo direttivo di vertice su una rete di imprese che producono armamenti di vario genere. Le imprese sono sempre ed ovunque di proprietà del governo e di questi finanziate. Le ditte private partecipano alle attività militari come fornitrici in subordine di articoli di uso comune, come gli utensili domestici, i tessuti e parte delle materie prime che entrano nella fabbricazione delle armi.

In ciascun Paese esiste un'amministrazione centrale con funzionari civili di grado elevato che gestiscono l'economia militare e conferiscono ai sistemi di gestione una continuità di indirizzo che prescinde da elezioni e da partiti politici.

In Egitto, la rete industriale militare occupa 40.000 persone sul totale dell'intera forza di lavoro che ammonta a circa un milione. In Israele le aziende industriali militari impiegano da 60 a 75 mila delle 300.000 unità lavorative del settore dell'industria manifatturiera. In India l'industria militare occupa 270.000 dei 7 milioni di addetti in tutte le fabbriche del Paese.

Ma l'importanza, dal punto di vista economico e da altri punti di vista, delle reti dell'economia militare in ciascun Paese deriva non solo dall'entità numerica, ma anche dalla qualità degli addetti e dalle strutture in cui essi operano. Si considerino, ad esempio, le macchine utensili computerizzate. Esse fanno parte di uno "stato dell'arte" avanzato nella produzione metalmeccanica in tutto il mondo. Ovunque i dirigenti industriali civili debbono fare i conti con i costi di produzione e con il prezzo del prodotto che ne condiziona la possibilità di smercio, sono state introdotte le macchine utensili controllate dall'elaboratore come elemento atto a neutralizzare il costo dei lavoratori dell'industria e di altri percettori di redditi elevati. Ovunque sussista una concentrazione di macchine utensili controllate dagli elaboratori nel settore dell'economia civile, essa si accompagna con i più alti salari attribuiti agli addetti alla produzione.

Nel caso della produzione militare in qualsiasi Paese, i criteri della minimizzazione dei costi sono costituiti da considerazioni relative ai tempi e alla quantità degli obiettivi di produzione e alla capacità di conservare agevolmente la produzione al livello qualitativo auspicabile dal punto di vista militare. Nei Paesi sottosviluppati, i dirigenti statali, che hanno accesso in linea prioritaria ai capitali stanziati dal governo, possono - come in realtà fanno - requisire le macchine utensili computerizzate per destinarle all'industria militare. Ciò provoca la straordinaria vista di fabbriche militari cariche delle più costose e sofisticate apparecchiature per la lavorazione dei metalli anche in aree in cui l'ordinario servizio telefonico civile non è affidabile ed è problematica la fornitura di energia elettrica.

La produzione militare è protetta dall'impatto pieno delle circostanti condizioni di sottosviluppo economico; dove le reti telefoniche civili funzionano male, la dirigenza dell'industria militare istalla sistemi di comunicazioni separate, a micro-onda. Laddove i trasporti pubblici sono ovviamente scadenti - con lunghe attese per autobus sovraffollati - la dirigenza dell'industria militare impiega interi servizi di autobus privati per il trasporto dei propri dipendenti da e per il posto di lavoro. Nei casi in cui le abitazioni scarseggiano e sono così care da non essere assolutamente alla portata dei normali addetti all'industria, la dirigenza industriale militare si giova dell'accesso prioritario agli stanziamenti per investirli nell'edilizia abitativa per i propri dipendenti.

4.2. Accesso alle informazioni

In Israele e in Egitto è stato possibile avere soddisfacenti contatti con i funzionari governativi, con i dirigenti di azienda e con le imprese industriali militari. Ho fatto visita agli stabilimenti militari più rappresentativi d'Egitto e di Israele e ho parlato con i funzionari addetti alla programmazione, con quelli del Ministero della Difesa e con altre persone competenti, di questioni inerenti allo stato dell'economia militare dei due Paesi. Purtroppo, in India è stato possibile ottenere solo un accesso limitato ai dati necessari. Gli alti funzionari non hanno consentito, infatti, che io mi incontrassi con i dirigenti delle imprese militari indiane e visitassi gli impianti. Malgrado queste limitazioni, a mio giudizio, data l'elevata qualità degli alti funzionari che hanno fornito i dati sia in Egitto e in Israele, sia in India, e grazie alla cooperazione offerta a tutti i livelli, è stato possibile ottenere una soddisfacente visione delle caratteristiche delle economie militari di ciascun Paese riguardo

al problema della conversione economica.

4.3. Programmazione dell'economia militare

L'Egitto, Israele e l'India hanno una caratteristica in comune rispetto alla programmazione dell'economia militare: in ciascun caso essa non è soggetta al sistema di controllo dell'economia civile sia privata sia governativa. Il Ministero per la Programmazione in Egitto, e la Commissione per la Programmazione in India osservano le norme imposte dai rispettivi Ministeri della Difesa in materia di programmazione economica. In Israele, dove non esiste un'autorità centrale preposta alla programmazione, la separazione funzionale della direzione dell'economia militare è stata attuata inserendo quest'ultima in seno al Ministero della Difesa. Un altro fattore serve a rafforzare la separazione della programmazione economica militare, cioè quello della compartimentazione delle informazioni. Il criterio delle limitazioni della "necessità di sapere", applicato a questi Paesi, contribuisce alla separazione dell'economia industriale militare. Essa è isolata e, quindi, automaticamente schermata nei confronti del pubblico.

4.4. Programmazione della conversione: generale e a livello di impresa

Nessuno dei Paesi in questione possiede un ente formale o informale preposto alla programmazione della conversione generale delle attività industriali e di altro tipo dal regime di economia militare a quello di economia civile. Inoltre, in questi Paesi in via di sviluppo una programmazione per un tale genere di conversione non esiste neanche a livello di impresa. In India non mi è stata data la possibilità di riscontrare alcuna variante locale a tali condizioni generali, non essendomi stato consentito di accedere alle persone o ai siti dell'industria militare.

In Egitto e in Israele, d'altro canto, è emerso un interessante modello votato a differenziare la posizione dei dirigenti statali di alto livello da quella dei dirigenti al livello aziendale per quanto concerne la conversione economica. In entrambi i Paesi, nel corso dell'anno passato, i dirigenti delle imprese industriali militari si sono trovati di fronte ad una serie di tagli di diversa portata delle ordinazioni di vari tipi di materiali militari da parte del Ministero della Difesa. Né Israele, né l'Egitto sono impegnati, da sei anni a questa parte, in operazioni militari su vasta scala. Di conseguenza, le rispettive fabbriche di cannoni hanno, ad un certo punto soddisfatto le esigenze di accumulo di scorte strategiche di vari tipi di armi, munizioni, etc. Anche se entrambi i Paesi esportano armi, persino l'intenso commercio di tal genere da parte di Israele (pari al 30% della produzione) non è stato sufficiente a sostenere la capacità produttiva delle aziende militari. Di conseguenza, numerosi dirigenti

di imprese industriali militari in Israele e in Egitto hanno dovuto far fronte alla prospettiva di una futura diminuzione di attività delle proprie aziende.

I dirigenti si sono perciò rivolti con interesse all'ipotesi della conversione di reparti e di personale delle aziende ad attività di produzione civile. In parecchie aziende di entrambi i Paesi ho trovato che i dirigenti avevano già fatto compiere studi preparatori destinati all'avvio di una parziale conversione economica.

Nel contempo, però, i più alti dirigenti dell'economia militare sia di Israele sia d'Egitto si dichiaravano esplicitamente contrari alla conversione economica. Essi preferivano decisamente di mantenere inalterata la capacità di produzione militare, senza dirottamenti verso la produzione civile. Per di più gli amministratori si mostravano favorevoli ad una più energica azione in fatto di esportazione di materiale militare non più richiesto dalle forze armate del Paese. Non è stato possibile reperire alcuna stima circa la fattibilità di quest'ultimo corso, ma esso solleva un certo scetticismo anche da parte di altri funzionari dei Ministeri della Difesa (non operanti nel settore industriale) di entrambi i Paesi.

4.5. Priorità nell'acquisizione di capitale ed altre risorse

In tutti e tre i Paesi in esame, alti funzionari dei Ministeri della Difesa hanno fatto presente di aver accesso agli stanziamenti e ad altre risorse, al di là dei limiti entro cui erano tenuti ad operare gli altri dicasteri governativi. In Egitto un funzionario addetto alla programmazione ha affermato che se il Ministero della Difesa avesse chiesto, poniamo, 100 milioni di sterline egiziane al di là e al disopra dei preventivi di spesa fissati dal Ministero della Programmazione, li avrebbe certo ottenuti. In India, un alto funzionario del Ministero della Produzione per la Difesa mi ha dichiarato che investimenti singoli di capitale dell'ordine di 100 milioni di dollari erano del tutto plausibili nel caso in cui fosse in ballo la produzione militare. In Israele, autorità di rango elevato hanno dichiarato che nuovi stanziamenti di capitale dell'ordine di centinaia di milioni di dollari erano ottenibili quando si trattava di articoli militari prioritari.

Così, Israele e India sono divenuti attivi fabbricanti di aeromobili a getto e di elicotteri militari, e le fabbriche del Ministero della Difesa egiziano sono perfettamente attrezzate per la produzione di armamento pesante e leggero, di grandi quantitativi di munizioni e di vari tipi di razzi di precisione a breve gittata. L'India produce ora un proprio carro armato pesante, impresa industriale immane e costosa per qualsiasi Paese, mentre Israele è a buon punto nella fase di creazione e di investimento industriale per un progetto di carro armato pesante

In questi tre Paesi l'assetto delle priorità è chiaro. Anche laddove esistono dicasteri preposti alla programmazione, questi non interferiscono con le proposte elaborate dal Ministero della Difesa. Qualunque cosa questo chieda lo ottiene. In India un alto funzionario della programmazione ha ripetutamente sottolineato, nel corso di un prolungato incontro, che né il suo dipartimento né alcun'altra divisione della Commissione per la programmazione possiedono informazioni né esercitano competenza veruna nei confronti del Ministero della Difesa o dell'Industria militare. Come è stato riferito da un addetto egiziano alla Programmazione, in condizioni di rilevante carenza e di fronte all'esigenza di mettersi in fila, il dirigente dell'industria militare in genere occupa il primo posto nella fila.

4.6. Elevazione massima dei costi

Gli alti dirigenti dell'industria militare in Egitto, in Israele e in India riferiscono che la lievitazione dei costi è un aspetto predominante della gestione interna delle rispettive aziende industriali militari. L'idea che un sistema di aumento dei costi per il pagamento dei prodotti dell'industria militare potrebbe indurre una continua escalation, evidentemente non è stata presa in considerazione dagli amministratori di grado elevato preposti alle reti dell'industria militare. In Israele, un economista del Ministero della Difesa aveva appena scoperto che, mentre le altre ditte dell'industria militare pagavano gli addetti sulla base di un prontuario di retribuzioni su scala nazionale, la ditta più grande aveva aumentato i costi per salari e stipendi di un dieci per cento in più rispetto al resto del Paese, quale conseguenza della generosa attribuzione di premi e di benefici supplementari. In India, relazioni ufficiose da parte di parecchie importanti imprese dell'industria militare fanno rilevare che impie

gati, officine e attrezzature vengono utilizzati molto al disotto della capacità di produzione. In tutti e tre i Paesi in questione, la debolezza delle infrastrutture, tra cui le carenze e i guasti in fatto di energia elettrica, fanno sì che la gestione risulti inferiore alla capacità produttiva e quindi, automaticamente, impediscono ad una costante politica di minimizzazione dei costi di imporsi in ogni settore dell'economia industriale. Per di più, i dati relativi all'Egitto, a Israele e all'India riflettono la tendenza ad un fantasioso sviluppo dei benefici supplementari, anche nel quadro di sistemi di salari e stipendi "fissi". Ed anche questo ha l'effetto di far lievitare i costi.

Di certo, la tendenza verso l'adozione di costi massimi, non va avanti indefinitamente. Essa trova un limite nella rigidità dello Stato nei confronti della concessione di sussidi. Perciò la spinta verso il massimo dei costi si muove con un ritmo accettabile da parte dei vertici dell'amministrazione pubblica in ciascun Paese. Un ulteriore freno alla lievitazione dei costi è dato dal raffronto che spesso viene fatto tra i prezzi dei prodotti militari in Egitto, Israele e India e quelli dei prodotti simili fabbricati in Europa e negli Stati Uniti.

Poiché i livelli dei salari e degli stipendi di questi Paesi in via di sviluppo sono molto al di sotto dei livelli europei e degli Stati Uniti, l'adozione di prezzi a livello dei Paesi industrializzati come punto di riferimento offre un largo margine entro cui può svilupparsi il processo di escalation dei costi.

I costi aumentano in Egitto, in Israele e in India anche perché le norme riguardanti la sicurezza del posto di lavoro vengono rispettate mentre sono trascurate le occasioni di conversione economica.

Egitto, Israele e India dispongono tutti di norme, aventi forza di legge, che garantiscono il posto di lavoro nelle aziende industriali militari una volta che il lavoratore assunto abbia superato il periodo di prova. Queste norme sono decisamente sostenute dalla politica governativa e dal consenso popolare: il governo assicura l'occupazione e la paga, ci sia o non ci sia lavoro. In Egitto e in India dove il numero dei disoccupati e dei sotto-occupati è assai rilevante, le pressioni per la conservazione del posto di lavoro sono particolarmente intense. Ciò è soprattutto vero nel caso della disoccupazione intellettuale dato che l'offerta supera di gran lunga la capacità dell'Egitto e dell'India di organizzare forme di lavoro produttivo adeguate in proposito. In tutti e tre i Paesi le imprese operanti in seno al settore dell'industria militare costituiscono "riserve" di gente con la speranza di poter loro fornire un impiego. Una conseguenza inevitabile è l'aumento delle spese generali delle ditte dell'industria

militare per la voce salari e stipendi quando tale speranza diviene realtà.

4.7. Processi decisionali in materia di produzione militare

Ogni decisione in merito alle lavorazioni da effettuare spetta senza possibilità di equivoco ai Ministeri della Difesa in tutti i Paesi anzidetti. Ciò vale tanto se gli stabilimenti provvedono agli approvvigionamenti per le forze armate, funzionando come dipartimenti governativi regolati dalle norme per gli impiegati civili dello Stato, quanto se si tratti di enti formalmente autonomi ma in prevalenza o totalmente di proprietà dello Stato.

4.8. Quantitativi

I dirigenti d'azienda in tutti i Paesi in questione devono far capo ai Ministeri della Difesa per quanto concerne il volume della produzione. In taluni casi, sembra che alle aziende militari israeliane venga concessa una qualche autonomia per quanto concerne la fabbricazione di un numero maggiore di prodotti rispetto agli specifici ordinativi del governo. Ciò avviene quando è prevedibile una possibilità di esportazione. La direzione dello stabilimento ha facoltà di tenere i prodotti in deposito in attesa di ordinazioni dall'estero. Ma anche questa discrezionalità marginale rientra nel quadro del completo controllo delle esportazioni militari da parte del governo.

4.9. Procedure produttive

Non ho trovato alcuna prova, in nessuno dei Paesi in questione, che faccia pensare che i Ministeri della Difesa indichino regolarmente e formalmente l'attrezzatura e i metodi produttivi da adottare per l'esecuzione delle commesse militari. In Israele la società di ricerche Raphael si avvicina a quel tipo di controllo dei nuovi prodotti che consegue all'attività di ricerca da essa svolta. Di solito i dettagli relativi alla produzione di articoli militari sono impliciti nelle specifiche del prodotto. Quindi, i requisiti di precisione, di efficacia, di affidabilità comprendono l'indicazione delle materie prime, delle caratteristiche dettagliate del prodotto, delle norme relative all'attrezzatura per la lavorazione e dei livelli del controllo della qualità e delle funzioni connesse. Di conseguenza, nei Paesi in via di sviluppo, così come altrove, la decisione circa il modo in cui deve essere effettuata la produzione militare dipende in larga misura dai requisiti del prodotto, e ciò anche in assenza di complete e

formali specifiche dei progetti esecutivi, come sovente avviene nell'economia centralizzata sovietica.

4.10. Prezzi

Nei tre Paesi in questione i prezzi dei prodotti militari sono per la maggior parte negoziati tra i funzionari del Ministero della Difesa e i dirigenti delle singole aziende. Spesso la contrattazione verte su questioni quali i tassi di deprezzamento, i criteri per la definizione delle varie voci delle spese generali, la determinazione di particolari categorie di costi nell'ambito dell'azienda, il tasso di utile, etc.; peraltro, nessuno di questi elementi influisce sulla considerazione di fondo e cioè la disponibilità da parte del governo a far fronte alla lievitazione dei costi quando si tratti di conservare o di ampliare la base dell'industria militare.

Altre considerazioni entrano in gioco quando si tratta di fissare i prezzi per l'esportazione dei materiali. Dai dirigenti dell'industria militare e dagli amministratori ai livelli politici ho appreso che la determinazione dei prezzi in materia è soprattutto frutto di preponderanti considerazioni di ordine politico. Da un canto il prezzo può esser tenuto basso per dare un'impressione favorevole all'acquirente. Dall'altro, poiché l'accesso a numerose categorie di materiali è, dal punto di vista politico, un grosso favore, il livello del prezzo è tenuto il più alto possibile. Quest'ultimo genere di affari è certamente quello che ha sollecitato i commenti, colti in parecchi Paesi, secondo cui la produzione di materiale militare per l'esportazione è l'attività più redditizia che sia dato concepire.

4.11. Distribuzione

La spedizione delle partite di materiali militari dalle varie fabbriche avviene secondo un calendario fissato dalle autorità militari. Altri enti governativi entrano in ballo solo quando si tratta di esportazioni. In Egitto, in Israele e in India, la spedizione all'estero di articoli militari è considerata una questione politica seria che richiede, a parte il Ministero della Difesa, la partecipazione e il benestare di alti funzionari del Ministero degli Esteri e di altre branche governative.

Da quanto precede si evince che le industrie militari d'Egitto, di Israele e dell'India sono chiaramente sotto il controllo governativo, qualunque possa essere il sistema organizzativo e la proprietà formale.

4.12. combinazione di produzione militare e civile

Nei Paesi in via di sviluppo la partecipazione delle aziende militari alla produzione civile è strettamente collegata al fatto storico secondo cui, in vari Paesi, le prime officine moderne per la produzione metalmeccanica sono state create per far fronte ad esigenze di natura militare. Ai fini della presente indagine, la percentuale di lavorazione per usi civili, da parte delle industrie militari, può costituire una misura della capacità di convertire sistemi di produzione e di addetti dall'attività militare a quella civile. E' certo che la presenza nell'ambito di un'azienda che produce articoli militari, di addetti che abbiano familiarità con le esigenze civili è destinata ad avere un qualche effetto sulla capacità di conversione dell'azienda. In realtà, peraltro, molto dipende dall'organizzazione dell'attività civile in rapporto all'attività militare.

Ho già fatto cenno, in precedenza, alla "diversificazione". Un'impresa produce vari articoli, ma l'organizzazione del lavoro è rigidamente suddivisa lungo le linee di produzione. Così, la medesima azienda può produrre armi leggere, utensili da cucina, e suppellettili. Se la produzione degli utensili e delle suppellettili è organizzata in reparti completamente separati da quelli che producono le armi leggere, la differenza in termini di capacità di conversione può essere minima o nulla.

Una situazione di raffronto, invece, si ha quando i prodotti per uso civile vengono sostanzialmente fabbricati sotto lo stesso capannone e sulle stesse linee di produzione, o su linee affini a quelle per la produzione militare. Questo tipo di organizzazione della produzione civile nel quadro delle attività delle aziende che operano nel settore militare facilita la conversione economica.

Tenendo presenti questi punti, è interessante prendere in esame le seguenti stime (le più attendibili di cui si dispone) della quota di produzione civile negli arsenali e nelle aziende militari dei tre Paesi in questione: Egitto 40%; Israele 40%; India 20%.

Per quanto concerne l'Egitto, il dato statistico è stato fornito da un funzionario del Ministero per la produzione bellica. Le stime relative ad Israele e all'India sono state da me desunte da dati pubblicato o inediti e da interviste.

Il fatto è che la presenza di produzione civile, ovvero della tradizione passata di produzione civile in una particolare azienda dell'industria militare, non costituisce garanzia di capacità di conversione economica. Una simile trasformazione richiede una programmazione precisa, ivi compresi i tempi lunghi per lo studio delle scelte alternative nonché degli innumerevoli problemi della produzione, della manodopera, della progettazione e delle vendite che essa comporta.

Se non ci si applica istituzionalmente e con attenzione alla vasta gamma di problemi di programmazione sollevati dalla conversione, non vi è garanzia di capacità di riuscita. Questa valutazione del problema è stata confermata da interviste e osservazioni al livello aziendale in Egitto e in Israele. Dati analoghi non è stato possibile ottenere per l'India.

E' ovvio che esiste una profonda incongruenza tra l'alta posta in gioco che i Paesi in via di sviluppo hanno nella conversione economica e la scarsa attenzione rivolta alla relativa programmazione, sia al livello nazionale sia a quello aziendale. I bilanci militari dell'India, d'Egitto e di Israele, così come quelli degli altri Paesi in via di sviluppo costituiscono il maggiore stanziamento di fondi di quei Paesi. La mancanza di programmazione per un loro impiego ai fini dello sviluppo economico produttivo costituisce una precisa limitazione delle prospettive di sviluppo dei Pesi stessi. Finché non sarà dato inizio a una programmazione del genere, si può esser tranquilli che il sottosviluppo economico non conoscerà soste.

Nel 1979 i Paesi in via di sviluppo in tutto il mondo hanno speso oltre 90 miliardi di dollari per le proprie forze armate. Nel gennaio del 1980, una Conferenza mondiale dell'Organizzazione per lo Sviluppo industriale delle Nazioni Unite, tenutasi a Nuova Delhi, ha chiamato a raccolta le energie dei rappresentanti di tutti i Paesi in via di sviluppo ed ha elaborato una relazione alla cui base è la richiesta che, dal 1980 alla fine del secolo, i Paesi industrializzati del mondo mettano a disposizione di quelli in via di sviluppo da 30 a 40 miliardi di dollari l'anno allo scopo di accelerare il processo di industrializzazione. Partendo dal presupposto che una simile cifra sia sufficiente, è ovvio che i Paesi in via di sviluppo investono nelle imprese militari capitali in misura di molto superiore a quelli richiesti per accelerare il proprio sviluppo economico.

5. Osservazioni sui rilevamenti

Rispetto alla conversione economica, le affinità tra i Paesi presi in esame sono di gran lunga superiori alle differenze. Qualunque sia la diversità in fatto di dimensioni, di ricchezza, di cultura, di geografia, di storia, di potenza, di struttura sociale ed economica, le autorità di governo degli Stati Uniti, del Regno Unito, della Germania federale, dell'URSS, dell'Egitto, dell'India e di Israele hanno in comune la mancanza di piani per la conversione economica delle prorpie economie militari. Diverse motivazioni ideologiche vengono avanzate per giustificare una decisione comune: non si fanno piani di carattere generale o al livello di azienda per la conversione economica. La decisione di non procedere alla programmazione per impieghi alternativi si accompagnano, presso ciascun governo, all'assenza di incarichi professionali responsabilmente affidati per l'elaborazione di piani attuabili per invertire la corsa agli armamenti.

In ciascuno di tali Paesi, l'economia industriale militare controlla il più vasto settore di produzione industriale dipendente da un unico centro direzionale. Si tratta di sistemi industriali che godono di sussidi generosi che vanno al di là di ogni speranza da parte del resto della società. La loro gestione interna è tipicamente libera dalle preoccupazioni di tenere i costi ad un livello minimo o di accrescere la produttività.

Per i gruppi dirigenti statali di ciascun Paese, la rete industriale militare è una base di dominio nei confronti di scienziati, ingegneri, dirigenti e lavoratori. L'abbondanza di capitali, che è tipica dell'industria militare fa di coloro che ne dispongono i titolari del potere decisionale ai vertici economici di ogni società. La posizione economico-militare sfocia rapidamente nel potere politico attraverso i particolari canali istituzionali di ciascun Paese.

Tutto ciò non vuol dire che non esistano differenze di ordine politico rispetto alla conversione economica. Ma esse vanno ricercate non tanto fra gli Stati, quanto all'interno di ciascuno di essi. I governi sono i portavoce ufficiali di ciascun Stato. Tuttavia, differenze palesi circa la politica di conversione emergono in seno agli Stati a mano a mano che una crescente serie di problemi interni ed internazionali, si palesa risolvibile solo a condizione che le risorse di capitali e tecnologiche di cui dispongono le economie militari siano convertite ad uso civile. Da questo crescente riconoscimento è lecito attendersi una ancor maggior spinta all'interno di ciascuna nazione ad occuparsi dei problemi della conversione. Un tale intervento non può essere negoziato tra gli Stati, esso deve essere formulato all'interno. Tuttavia, da un tale andamento si può prevedere un risultato di rilevanza internazionale. Infatti, come l'assenza di capacità di conversione costituisce una barriera persino nei confronti della fo

rmulazione di strategie di negoziato, per arrestare la corsa agli armamenti, anche il contrario può dimostrarsi vero. Nel periodo della grande corsa al riarmo che ha fatto seguito alla seconda guerra mondiale, il problema del destino dell'economia militare e, quindi, delle conversione, è stato omesso dall'ordine dei lavori di ogni riunione fra gli Stati, volta ad esaminare ogni aspetto della corsa al riarmo. Perciò, anche un inizio di capacità di conversione all'interno degli Stati sarà un avvio all'inversione della corsa agli armamenti.

Ecco perché è importante identificare gli ostacoli alla conversione economica e trovare il modo di superarli ovunque.

 
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