La scelta è precisa: togliere ascolto agli spazi istituzionali per favorire le truffe dei telegiornalidi Marco Taradash
SOMMARIO: La controriforma delle Tribune Politiche fa da contrappunto alla disinformazione giornalistica. Dal 1975 disattese le indicazioni della legge: da due legislature, la Commissione Parlamentare impedisce il rilancio dell'informazione "non mediata" delle Tribune Politiche: vengono programmate su calendari provvisori che non tengono conto della situazione politica, campagne di stampa sapientemente guidate mettono in rilievo la loro indigeribilità, per esaltare di conseguenza la capacità di suggestione e indirizzo dei telegiornali. Il fair-play di regime. Nelle occasioni elettorali, è stata sempre necessaria la mobilitazione straordinaria e drammatica di militanti radicali per modificare il calendario delle Tribune. Per la Rai le Tribune Politiche sono un corpo estraneo e fastidioso, da circoscrivere e immiserire fino a renderlo del tutto inoffensivo.
(NOTIZIE RADICALI, febbraio 1982)
Ecco il rovescio della medaglia, l'altra faccia della luna occulta ma consustanziale alla vicenda pubblica del disservizio informativo: è la controriforma delle tribune politiche che fa da accompagnamento e contrappunto alla disinformazione giornalistica.
Le tribune nei loro vari aspetti (politiche, sindacali, della crisi e elettorali) dipendono "direttamente" - dice la legge - dalla Commissione parlamentare che ne stabilisce misura e natura. Esse offrono informazione politica "non mediata" e perciò svolgono una "funzione essenziale" diversa da quella del giornalismo politico della RAI - hanno sempre dichiarato tutti in Commissione: quale migliore banco di prova per saggiare l'onestà delle intenzioni e la volontà di tradurle in pratica per quei partiti che dal 1975 (quando fu varata la legge per la RAI) ad oggi si sono alternati nelle maggioranze di governo, che si riproducono all'interno della Commissione?
Al contrario per due intere legislature, dai governi di unità nazionale a quelli di centrosinistra ristretto o allargato, l'impegno fondamentale della maggioranza è stato soltanto quello di impedire che la riforma promessa, il "rilancio" delle tribune, venisse attuata.
Si dovevano rinnovare le formule, consentire interventi sull'attualità, favorire il dialogo diretto attraverso i faccia a faccia, organizzare trasmissioni speciali di informazione e approfondimento, aprire il più possibile questi spazi in modo da farne un'occasione di spettacolo, magari il grande spettacolo come soltanto il confronto e lo scontro di idee e prospettive sa offrire. Ma è stata proprio la miseria della loro proposta politica ad indurre i partiti di maggioranza ad affidarsi sempre più alle trasmissioni "giornalistiche" dei telegiornali che restituiscono nella lottizzazione delle notizie la lottizzazione degli organismi. Abbiamo subito per anni e anni un'opera costante, scientifica, di distruzione di ogni proposta di rinnovamento nel tentativo di spegnere via via l'interesse degli ascoltatori per questo tipo di trasmissioni, per poi utilizzare - al'interno di un ignobile circolo vizioso - l'argomento del diminuito interesse per una ulteriore limitazione e svalutazione del ciclo successivo, per neg
argli gli orari di massimo ascolto, per affossarne così definitivamente il carattere di servizio.
Perché accade questo? Possibile che partiti così avidi di "passaggi in video", che leaders così "presenzialisti" vogliano rinunciare all'occasione di rivolgersi a masse vastissime di elettori, in una sola sera tanti quanti la somma dei comizi di una vita non riuscirà mai a raccogliere?
Eppure nonostante ogni boicottaggio le tribune riescono a raccogliere tuttora milioni di ascoltatori, eppure la gente continua a cercare, nonostante le frustrazioni e delusioni, possibilità di conoscenza e partecipazione: gli indici d'ascolto dell'ultimo ciclo di conferenze stampa, pur falsati (tranne per quella di Craxi) dalla concorrenza del film del martedì parlano di 8 milioni di spettatori per Berlinguer, di 7 milioni per Piccoli, di 5 milioni per Zanone.
La spiegazione va allora ricercata proprio nei meccanismi attraverso cui opera l'informazione di regime e che ora appaiono chiari persino a coloro che - come i comunisti - per anni e anni hanno praticato, ai livelli più bassi (in tutti i sensi), la medesima regola degli altri: deprimere le tribune, renderle, anche attraverso le campagne di stampa sapientemente guidate, indigeste; ed esaltare di converso e di conseguenza la capacità di suggestione e di indirizzo dei telegiornali.
Svuotare di significato le tribune a forza di rafforzare calendari provvisori che non tengono conto della situazione politica e delle correnti di interesse che agiscono nell'opinione pubblica fa sì che il bisogno di informazione politica si trasferisca sulle uniche fonti che ampiamente ne producono.
Quanto questo faccia gioco ai signori della lottizzazione e della censura è chiaro. Meglio un ciclo di un qualche Ping-Pong in cui sono dosati con perizia presenze e temi, dove il democristiano, il socialista e - a seconda dei tempi - il comunista hanno la certezza di poter trasmettere quel determinato messaggio che gli preme senza essere messi in imbarazzo (perché oltretutto il fair-play è condizione necessaria per essere ammessi nel club privé della RAI); cento volte meglio del rischio di un faccia a faccia col pericoloso e violento radicale che urla di fronte al mondo, sgraziatamente, talvolta forse sguaiatamente, le sue verità e le offre alla riflessione comune con tutta la carica di indignazione e aggressività che la gente è stata abituata a soffocare dentro di sé. Il sonno della ragione genera mostri e mostre di vanità politica e personale; la ragione risvegliata, a forza di urli se necessario, è capace di dar corpo al miracolo della politica, del fare insieme agli altri per tutti, di trasformare le pl
atee disattente in comunità di cittadini che ritrovino l'orgoglio e la gioia di collaborare ad una diversa organizzazione della vita sociale.
Quale importanza bloccare questa potenzialità abbia nel disegno di regime è dimostrato dalla cura meticolosa rivolta al sabotaggio delle tribune specialmente in periodo elettorale. Le forze egemoni del governo e quelle egemoni dell'opposizione si sono sempre accordate su di un calendario di trasmissioni misero, riduttivo nelle formule più ancora che nei tempi, effettivamente antidemocratiche, perché strutturato in modo da favorire gli aspetti più trivialmente propagandistici e scoraggiare il confronto delle ragioni. E' stata necessaria ogni volta in occasione di elezioni politiche o consultazioni referendarie la mobilitazione drammatica di militanti e dirigenti radicali perché in qualche misura il calendario venisse modificato e un minimo adeguato ai bisogni di conoscenza dei cittadini chiamati a decidere sulla composizione del parlamento o su temi di eccezionale rilevanza per la vita di ognuno.
E sempre, di fronte alle azioni nonviolente di chi reclamava non maggiore spazio per sé ma più occasioni di confronto e approfondimento, se è alzato il muro del regime, il fuoco di sbarramento dei suoi partiti, fino a costringere allo scontro più duro coi digiuni totali della fame e della sete.
Riprova di questo interesse a soffocare le tribune si è avuta periodicamente in occasione delle crisi di governo, frequenti e di solito incomprensibili anche per il cittadino più attento: enormi tavolate di personaggi per lo più di secondo piano, così "pluraliste" da annullare ogni comunicazione tra i protagonisti stessi (figuriamoci con gli spettatori) sono il meglio che la Commissione è riuscita negli ultimi anni a produrre.
Non sarebbero spiegabili queste reticenze a mostrarsi, questo sacrificio antipropagandistico se non si avessero sotto gli occhi i dati nudi e crudi della spartizione di reti e testate il minutaggio diviso secondo i criteri meschini di parte, le statistiche grottesche sulla masticazione da parte dei Piccoli e dei Craxi di quella che è la polpa della RAI, i telegiornali.
Proprio nel rapporto RAI-Commissione avviane la definitiva chiusura del cerchio: come se non bastasse l'autonomo processo di evirazione del parlamento la RAI aziona ulteriori meccanismi di boicottaggio. Con una politica di palinsesto che tende a contrapporre, come nell'ultimo ciclo, alle tribune spettacoli di massimo ascolto garantito, con una scelta "tecnica" di oggettività visiva che si adatta perfettamente allo stile sussiegoso dei leaders che usano strumentalmente le tribune per rivolgersi agli altri leaders piuttosto che alla gente; con le continue pressioni rivolte ai membri della Commissione per il contenimento degli spazi e il loro trasferimento ad ore sempre più tarde. Ancora poche settimane fa il direttore della RAI si è rivolto alla commissione dichiarando che il calendario previsto per l'82 avrebbe sconvolto il piano di trasmissioni delle reti, proponendo la contemporanea tra film del lunedì (quasi 20 milioni di spettatori) e tribune sulla rete 2, tra film del martedì e tribune sulla rete 1, espr
imendo avversità agli interventi flash subito dopo i TG della sera, opponendosi per ragioni "tecniche" alla proposta radicale di brevi spazi autogestiti in chiusura di trasmissione.
Sono rilievi che hanno sempre trovato grande ascolto in Commissione. Né può essere diversamente: la RAI vive le tribune come gli è chiesto di fare, come un corpo estraneo e fastidioso da circoscrivere e immiserire fino a renderlo del tutto inoffensivo. Gli interessi di lottizzati e lottizzatori si saldano in una strategia complessiva della disinformazione cui unico ostacolo resta l'opposizione dei radicali e il loro richiamo tenace alle regole del gioco scritte nella costituzione e nelle leggi.