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Teodori Massimo - 1 maggio 1982
La Banda Sindona (5) Sindona e il sistema P2
Storia di un ricatto: Democrazia Cristiana, Vaticano, Bankitalia, P2, Mafia, Servizi Segreti

di Massimo Teodori

SOMMARIO: Questo libro sulla vicenda Sindona - il cui autore è stato membro della Commissione d'inchiesta parlamentare - offre una interpretazione complessiva - "tecnica" e politica - dell'intera vicenda basata sugli elementi raccolti dalla Commissione stessa.

1. Come, quando e perché si disvela la trama del sistema di potere sindoniano.

2. Perché Sindona ebbe una grande ascesa e quali furono i padrini e gli alleati; quale sistema di potere si è costituito intorno a Sindona.

8. Perché avviene il crack, e come il sistema di potere mostra le sue contraddizioni.

4. Quale azione il sistema Sindona mette in atto per contrastare la caduta, e quali ne sono i protagonisti.

5. Le connessioni del sistema Sindona con la Loggia massonica P2.

6. Il significato della "fuga" di Sindona in Sicilia, quali i ricatti posti in essere, e il ruolo della mafia, della massoneria e dei Servizi segreti.

Massimo Teodori (1938), militante del Partito radicale fin dalla fondazione, nel 1955, è attualmente deputato al Parlamento. Professore di Storia americana, è autore di numerosi libri tra cui "La nuova sinistra americana" (1969) e "Storia delle Nuove sinistre in Europa 1956-1976" (1977), e coautore di "I nuovi radicali" (1977) e "Radicali o qualunquisti?" (1979).

("La Banda Sindona", GAMMALIBRI, maggio 1982)

5.1. Il coinvolgimento dei piduisti e la cogestione del ricatto.

Con l'avvio dei procedimenti giudiziari messi in moto dal crack del settembre 1974, Sindona esplica la sua azione per la salvaguardia degli interessi del gruppo e, soprattutto, di se stesso. In questa azione impiega tutti i mezzi disponibili e tenta tutti i possibili coinvolgimenti, fra i quali in prima linea quelli dei politici "amici" che, a suo avviso, avrebbero potuto avere la forza di ribaltare la situazione, usando magari il potere contro il diritto. Il banchiere usa alternativamente il bastone e la carota.

Nell'opera progressiva di coinvolgimento e di ricerca di alleanze, il bancarottiere va tuttavia al di là del semplice fronte politico per avvalersi di una gamma di uomini, inseriti per lo più in strutture di potere operanti in margine ad esse. Vengono in una maniera o nell'altra coinvolti banchieri e magistrati, uomini degli apparati dello Stato e brasseurs d'affaires, militari e mediatori di professione. Loro, per lo più, non sono passibili di minacce o di ricatti, ma possono essere mobilitati grazie a connivenze, a promesse, o semplicemente perché fanno parte del medesimo ambiente che in questo caso non può essere definito altrimenti che come "sistema di potere". Molti dei personaggi coinvolti possono servire a Sindona come loro si erano serviti di Sindona ai tempi d'oro, magari semplicemente partecipando a piccoli o grandi traffici affaristici attraverso il sistema bancario e finanziario sindoniano.

A posteriori, con la documentazione oggi disponibile, è

possibile affermare che la maggior parte di coloro che accettarono di venire in soccorso di Sindona nel periodo 1974 1979 erano collegati fra loro, coscientemente o no, in una rete che coincide con quella della loggia massonica P2. Per Sindona i piduisti certamente si mobilitarono individualmente e, talvolta, in gruppo per la prima e unica volta ufficialmente, come nel caso della promozione degli affidavit.

E tutto ciò un puro caso? Non è azzardato rispondere che così non sia stato. Anzi si può andare al di là della pura constatazione dei fatti e delle coincidenze riguardanti un certo numero di piduisti sostenendo, come noi facciamo, che la dinamica, i modi, la qualità e gli obiettivi dell'azione di queste persone si collocano nell'ambito di un medesimo sistema di potere che non a caso aveva trovato nel sindonismo della prima metà degli anni Settanta una delle forme di esplicazione. Intorno alla mobilitazione in difesa di Sindona accade qualcosa di più di una semplice accanita gestione di interessi da proteggere magari con l'omertà e l'uso della forza: si rafforza e si espande il potere del sistema P2, che collega e unifica tanti personaggi operanti in diverse collocazioni, sia per via di un rinsaldamento della coesione interna fatta di complicità e di connivenze, sia nei riguardi degli esterni, estranei o avversari. Questa è la logica di quello che si è chiamato il potere occulto, che taglia attraverso gli sch

ieramenti e le istituzioni ufficiali e che, nel caso dell'azione sindoniana del postcrack, sembra avere operato con forme tanto sfuggenti quanto tipiche.

Occorre poi notare che nella fase finale dell'azione sindoniana, nel 1974, quando questa si era fatta sempre più disperata, è plausibile ipotizzare che il ricatto nei confronti di una parte della classe dominante, su cui ormai puntava il bancarottiere per invertire il corso degli eventi, sia stato in parte cogestito dagli uomini della P2 in connessione con la mafia. Non altro sembrava che Sindona potesse offrire, a quel punto, ai centri di potere che lo supportavano se non l'arma dei dossiers, dei ricatti e delle informazioni riservate; anche se, con un giudizio a posteriori, anche quell'arma si è rivelata poco efficace e quindi spuntata.

5.2. Gli "affidavit"

Al centro della strategia sindoniana c'era la necessità di dimostrare la validità della tesi del "complotto". Se congiura c'era stata per far fallire Sindona e determinare il crollo del suo impero, anche successivamente perdurava un atteggiamento "persecutorio", da parte di gruppi politici e di magistrati ad essi collegati, per portare il banchiere in Italia con l'estradizione e processarlo senza nessuna garanzia. Tale è l'impostazione che viene data alla linea di difesa e di offesa: screditare il sistema della giustizia italiana, mostrare l'Italia in preda alle sinistre, sottolineare i pericoli che, per "uomini liberi", si correva nelle aule dei tribunali e nelle carceri e, quindi, appellarsi alle garanzie che il sistema americano offriva opponendosi alla estradizione.

Per questo era necessaria una presa di posizione di importanti personalità che certificassero i vari aspetti delle tesi sindoniane e lanciassero pubblicamente una positiva immagine del banchiere negli Stati Uniti. Cosa c'era di meglio che mobilitare quella Massoneria che godeva di una notevole udienza negli Stati Uniti (dove anche il neo presidente succeduto a Nixon, Gerald Ford, era un "33" massone dichiarato) e, tradizionalmente, costituiva un canale di cordiali rapporti tra importanti segmenti della società e delle istituzioni americane e l'Italia?

Mentre individualmente l'équipe sindoniana tentò di rinsaldare rapporti con uomini politici e banchieri italiani, la Massoneria o un'importante sua parte viene coinvolta come istituzione. La promozione di dichiarazioni giurate (affidavit) a favore di Sindona, è il primo segnale di un'alleanza con un sistema di potere e con una rete di persone collocate in posizioni influenti che si muovono collettivamente. Motore di questa operazione è Licio Gelli, che per la prima volta appare nella vicenda sindoniana non più come singolo operatore, ma come venerabile e potente "maestro" dell'istituzione massonica.

Alla fine del 1976, quando già sono stati effettuati alcuni tentativi di sistemazione coinvolgenti Andreotti, oltre che "fratelli" massoni alla testa di società ed enti (Belli, Genghini, Loris Corbi...), per arrestare l'estradizione pendente, si riunisce lo stato maggiore sindonian massonico e viene dato il via alla operazione affidavit.

Carmelo Spagnuolo, allora presidente di sezione della Corte di Cassazione, rende direttamente a New York una dichiarazione giurata di questo tono: »Non solo le accuse contro Sindona non sono fondate, ma la loro stessa affrettata formulazione conferma ciò che molti in Italia sanno, e cioè che Michele Sindona è stato accanitamente perseguitato soprattutto per le sue idee politiche. Egli, secondo l'indagine della commissione massonica, è stato accusato di reati che non ha commesso e di cui non può ritenersi in alcun modo colpevole . L'estradizione non deve essere concessa: »Data la tensione che oggi regna, sono indotto a pensare che Michele Sindona, tornando in Italia, potrebbe correre seri rischi per la sua incolumità personale .

Altri potenti massoni pubblicamente scendono in campo: Francesco Bellantonio, ex gran maestro di Piazza del Gesù, che conferma le dichiarazioni di Spagnuolo sulla base dei documenti riservati della massoneria; Edgardo Sogno, che testimonia sulla probabilità che Sindona, una volta incarcerato in Italia, correrebbe il rischio di essere assassinato; Flavio Orlandi, ex segretario nazionale del PSDI; John Mc Caffery, già membro dei Servizi segreti britannici, consigliere d'amministrazione della BPF fino al 1974, che attacca la magistratura: »Qualsiasi tentativo di Sindona di difendersi dalle accuse in Italia sarebbe inutile perché Sindona, contrariamente ai vari responsabili, è già stato processato e condannato nelle menti dei magistrati italiani ; e, infine, oltre agli italo americani Stefano Gullo e Philip Guarino, un ex prete piduista dell'apparato del partito repubblicano di Washington, a Anna Bonomi, che aveva intrecciato affari e compiuto scorrerie in borsa con il finanziere quando questi era in auge, esce

allo scoperto anche Licio Gelli.

Presso un notaio americano, il capo della P2 così dichiara: »In Italia l'influenza dei comunisti è già giunta in certe aree del governo, particolarmente nel ministero della Giustizia, dove durante gli ultimi cinque anni c'è stato uno spostamento dal centro verso l'estrema sinistra. Io, nella mia qualità di uomo d'affari, sono conosciuto come anticomunista e sono al corrente degli attacchi dei comunisti contro Sindona...

Se Michele Sindona dovesse rientrare in Italia non avrebbe un equo processo e la sua stessa vita sarebbe in pericolo .

Sindona, come egli stesso scrive in un memoriale, era diventato massone per iniziativa di Gelli, che aveva conosciuto nel maggio giugno 1974. Ma l'esposizione in prima persona e pubblicamente di un gruppo così importante di massoni, e in particolare di Gelli, stava a significare l'importanza del sistema di potere che con Sindona si intendeva difendere, ben al di là della normale "protezione" che le congreghe massoniche accordano a un "fratello" in difficoltà. Affinché si muovesse Gelli e portasse con sé un numero di così autorevoli massoni, causando anche la fine di Spagnuolo come alto magistrato, doveva esserci una importante rete di interessi collegati di cui Sindona aveva costituito un pilastro, ora messo in pericolo con ripercussioni in tutta la rete.

5.3. Licio Gelli.

Dopo la conoscenza fra Licio Gelli e Michele Sindona nel momento della crisi dell'impero finanziario del 1974, il capo della P2 segue fedelmente l'itinerario dell'attacco sindoniano fino alla fine, dapprima come mediatore di affari non solo fra "fratelli", poi come l'uomo che può "tenere contatti e trovare i consensi dei politici", quindi per realizzare la linea di pressione sugli organismi dello Stato, e infine come cogestore del ricatto.

Il primo progetto di sistemazione interdipendente BPI-SGI viene trasmesso a Gelli con un memorandum del settembre 1976, in quanto esso doveva realizzarsi con la partecipazione e l'accordo di entità finanziarie e bancarie tutte controllate dagli ambienti massonici e piduisti: questa ipotesi di salvataggio infatti può essere definita interna alla Massoneria.

Infatti Gelli viene indirizzato nel luglio 1976 da Sindona all'avvocato Rodolfo Guzzi, che è il coordinatore della strategia, affinché cooperi strettamente al lavoro degli avvocati, sia per quanto riguarda la sistemazione che la estradizione.

Da allora in avanti il contatto Guzzi Gelli è a dir poco settimanale, e Gelli finisce per assumere a pieno titolo il ruolo di membro della direzione strategica sindoniana. Alla testa della Immobiliare c'è il massone Arcangelo Belli, e il massone Mario Genghini ha concluso insieme con gli altri palazzinari romani l'affare dell'acquisto della SGI dal Banco di Roma, dove sedevano i piduisti Guidi e Alessandrini a fianco dei democristiani Ventriglia e Barone. Compito di Gelli, che opera in tandem con l'altro capo piduista, Umberto Ortolani, è rimuovere gli ostacoli e le difficoltà frapposte da Belli e Genghini, componendo i diversi interessi all'interno della congrega di "Via Condotti" (dove ha sede la P2). Alla questione si interessa attivamente anche Andreotti e, in un secondo momento, viene proposta una variante a quella soluzione di sistemazione con l'entrata in scena del presidente delle Condotte, il piduista Loris Corbi, a sua volta elemento andreottiano delle Partecipazioni statali.

Contemporaneamente al fronte interno, Gelli dà prova della sua influenza creando il proprio fronte pubblico di sostegno a Sindona con l'organizzazione e la raccolta degli affidavit.

Ma l'influenza di Gelli non si ferma qui. Quando c'è da procedere a sistemazioni extragiudiziarie di affari non proprio cristallini, entra ancora in scena il "maestro venerabile". Egli è l'artefice della chiusura di una vertenza per molte decine di milioni di dollari fra la holding sindoniana, la FASCO AG, la Edilcentro della Immobiliare e una finanziaria americana, Amdapco, di tale Daniel Porco, uomo d'affari nella "comunità" italo americana di New York, già investigato come sospetto trafficante di stupefacenti. Ancora, in un'altra soluzione raccomandata come prioritaria da Sindona in uno dei suoi promemoria, entra anche Roberto Calvi attraverso una finanziaria estera, la Cisalpine, creditrice della Edilcentro. Con il presidente dell'Ambrosiano, Gelli è di casa: mantiene i contatti quando c'è da coinvolgerlo nei progetti di sistemazione e, dopo un periodo di raffreddamento e di rottura, promuove il riavvicinamento con Sindona superando, con una mediazione in denaro, il ricatto posto in essere tramite l"'Age

nzia A", pubblicata da Luigi Cavallo.

L'intervento e la pressione sull'amministrazione dello Stato e sui politici rappresentano l'altra faccia dell'attività gelliana. Un memorandum del luglio 1977, espressamente indirizzato a Gelli, metteva a fuoco le operazioni da compiere.

»Il commissario liquidatore e i giudici penali , affermava il documento, »continuano a trovare ampio spazio per perseguire sotto ogni profilo accertamenti indiscriminati e unilaterali tendenti solo a colpire la persona di Michele Sindona . Occorre un intervento politico in extremis teso ad allentare la pressione sulla estradizione e a ottenere la revoca della liquidazione coatta. A tale scopo era necessario: »a) un intervento presso la Corte d'Appello di Milano per modificare il giudizio negativo; b) un intervento politico diplomatico per bloccare le pressioni che inquinano il processo di estradizione; c) un intervento per le soluzioni tecniche, attraverso la necessaria autorizzazione della Banca d'Italia, del ministero del Tesoro e dell'lRI, la cui urgenza è strettamente collegata con le possibilità di successo dell'intervento di cui al punto b) .

Per l'estradizione e la relativa campagna di immagine di Sindona, Gelli concorda il da farsi con gli italo americani Paul Rao Jr. e Philip Guarino, a Roma, per patrocinare la causa sindoniana con il presidente del Consiglio Andreotti, che incontrano immediatamente prima della riunione con Gelli. Per bloccare la "pericolosa" attività della liquidazione, occorre screditare Ambrosoli e tagliargli l'erba sotto i piedi: in tal senso Gelli è incaricato di parlare con il generale Donato Lo Prete, piduista, comandante della Guardia di Finanza, affinché faccia trasferire il maresciallo Novembre, che dal giorno della liquidazione si è insediato nelle banche sindoniane e svolge un'accurata e approfondita opera di ricostruzione dei misteriosi imbrogli finanziari transitati attraverso la BPF e la BU. Per l'intervento sulla magistratura, in merito al ricorso in Cassazione, si fa ricorso, via Gelli e Memmo, a Carmelo Spagnuolo, al "fratello" piduista Domenico Pone e al magistrato Angelo Jannuzzi.

Quando poi si tratta di dare una spallata affinché si trovino consensi all'ennesimo progetto di sistemazione (con la

FASCO, le due BIN e il Banco di Roma) patrocinato da Andreotti e da Evangelisti presso la Banca d'Italia, Gelli fa credere a Guzzi, non sappiamo se a torto o a ragione, di avere interposto i suoi buoni uffici con il "fratello" e amico ministro Stammati, incaricato dal presidente del Consiglio di esaminare il progetto, e di avere la possibilità di influire sulla Banca d'Italia, per scavalcare l'atteggiamento negativo di

Sarcinelli.

Con la primavera del 1979 diviene sempre più effimera la prospettiva di risolvere tranquillamente, con l'aiuto dei potenti, la situazione di Sindona arrestato negli Stati Uniti. La sparizione dagli USA dell'agosto 1979, con la permanenza in Sicilia fino all'ottobre successivo, rappresenta l'ultimo disperato tentativo di mettere in atto un ricatto nei confronti della classe politica dominante in Italia. Sindona è accompagnato dagli uomini della mafia e della massoneria, fra cui ha il ruolo principale Joseph Miceli Crimi.

Con una lettera a Guzzi, il finto sequestrato chiede una serie di documenti che dovrebbero servire appunto a concretare l'estremo ricatto verso i partners e gli alleati di ieri: essi riguardano partiti e personalità politiche, società importanti e Vaticano .

Durante la permanenza in Sicilia partono numerose telefonate a Gelli, e Joseph Miceli Crimi va a incontrare più volte il maestro venerabile ad Arezzo. Per quanto se ne sa delle ambigue testimonianze del Crimi, Gelli era tra i pochissimi informati dell'avventura, e partecipava dall'esterno al segreto tentativo sindoniano, intessuto di supposti rapporti con ambienti dei servizi americani e fortemente intrecciato con ambienti massonici americani e soprattutto siciliani. Miceli Crimi riferisce che Gelli gli dice di aver fatto qualcosa per Sindona, per tirarlo fuori dalla posizione in cui si trova, e che gli effetti dei suoi interventi si sarebbero visti nell'immediato futuro.

Dunque, dalla ricostruzione dei fatti e dagli indizi venuti alla luce, Gelli è implicato nell'avventura siciliana sotto un duplice aspetto. A contatto continuo con Sindona, un rapporto intensificatosi a mano a mano che le cose peggioravano (»Ho spesso telefonato a Gelli da New York afferma Sindona »per esporgli la mia situazione e per pregarlo di intervenire a chiarire i fatti e ottenere giustizia ), Gelli è partecipe di quei misteriosi progetti di destabilizzazione golpista di una parte della massoneria americana e italiana a loro volta in rapporto con i Servizi segreti: progetti nei quali in parte si ascrive anche il viaggio di Sindona in Sicilia.

Oltre a ciò è assai probabile che l'intenzione di usare i dossier per ottenere quello che non aveva ottenuto con le pressioni, sia stata concordata da Sindona anche con Gelli, il quale suggerisce e consiglia il da farsi a Miceli Crimi, che a sua volta riferisce al bancarottiere in Sicilia, caduto nel frattempo completamente nelle mani della mafia che lo aveva coadiuvato nell'organizzazione e nella realizzazione del finto rapimento. L'ipotesi di una attiva partecipazione alla cogestione del ricatto sembra rafforzata dalle ulteriori conoscenze dell'attività di Gelli, nell'ambito delle vicende che hanno portato alla scoperta della loggia P2 e che lo hanno connotato come un raccoglitore di dossier, al fine di usarli per accrescere il proprio potere di ricatto.

5.4. Roberto Calvi.

Il banchiere Roberto Calvi, presidente del Banco Ambrosiano, viene coinvolto nella serie dei tentativi di salvataggio in ragione del suo passato sodalizio con Michele Sindona e come parte finanziariamente importante della P2. La sua mobilitazione è invocata direttamente da Sindona ed è operativamente realizzata da Gelli.

Calvi aveva intrecciato strettamente i suoi affari e quelli di Sindona e, secondo la tesi di quest'ultimo, doveva gran parte delle sue fortune proprio agli inseguimenti del "maestro" Sindona. »Subito dopo la nomina a direttore generale dell'Ambrosiano nel febbraio 1977 - scrive l'"Agenzia A" pubblicata, a scopo ricattatorio, da Luigi Cavallo - Calvi costituisce nelle Bahamas, con l'aiuto di Sindona, la Cisalpine Overseas Bank. Seguendo sempre le istruzioni di Sindona, Calvi crea un vero capolavoro di collegamenti intrecciati, di passaggi intermedi, di prestanomi, di finanziarie fantasma che sono la base delle sue fortune... Con i fondi dell'Ambrosiano (che non figurò mai) e in pool con Sindona e Hambro, Calvi partecipò così alle operazioni OPA Bastogi e Centrale... .

Nel momento della disgrazia, Sindona vuole che Calvi corra in suo ausilio, e le intraprese del passato sono un argomento sufficiente per costringere il presidente dell'Ambrosiano a intervenire, sebbene non lo faccia mai con grande slancio. A chiamarlo in soccorso interviene specialmente il "maestro" Gelli, cui Calvi è legato e personalmente riconoscente per i comuni affari effettuati all'ombra della P2. La transizione tra Amdapco ed Edilcentro si fa con l'intervento della Cisalpine di Calvi, sollecitato da Gelli. Le trattative intorno al primo progetto di sistemazione (BPI SGI interdipendente) sono condotte da Memmo, Federici, Corbi e Calvi.

Un altro tentativo, condotto nell'aprile maggio 1977, nel quale entra Corbi per le Condotte e per il quale c'è l'interessamento di Andreotti, vede ancora Calvi come interlocutore. Del resto i memorandum, vera mappa delle vicende sindoniane, sia per le intenzioni che per le realizzazioni, chiamano ripetutamente in causa il capo dell'Ambrosiano. Nella risoluzione della direzione strategica sindoniana, tenutasi a New York nel luglio 1977, è scritto infine quasi a suggello e riassunto delle mosse da effettuare: »Sorgendo difficoltà sull'intervento del Banco di Roma, si potrebbe convocare il dottor Roberto Calvi per impegnarlo nell'operazione di salvataggio della BPI, anche con eventuale accordo con il Banco di Roma .

Non materializzandosi il salvataggio, peggiorando la situazione complessiva e non mostrandosi Calvi troppo attivo, fra la fine del 1977 e i primi mesi del 1978 Sindona passa al ricatto del suo compare, procedendo una volta di più secondo la tecnica di minacciare e mettere alle strette coloro che erano stati i suoi alleati nella fase precedente. Il provocatore Luigi Cavallo, al servizio di Sindona, pubblica alcuni numeri di una "Agenzia A" che attacca Calvi, rivela i suoi imbrogli finanziari internazionali e le operazioni condotte insieme a Sindona fino al 1974, oltre ai numeri di conti correnti svizzeri intestati personalmente al banchiere e ai suoi familiari.

La tesi sostenuta è quella della società di fatto fra Calvi e Sindona, una società di cui tutti i benefici erano andati a Calvi e tutte le passività a Sindona. »Michele Sindona ideò il meccanismo operativo finanziario atto a conquistare, in tandem con Roberto Calvi - scrive l'"Agenzia A" - il controllo effettivo del Banco Ambrosiano. Sindona e Calvi divennero così soci di fatto e, in tale veste, Calvi condusse a termine innumerevoli operazioni finanziarie. Per decollare, aveva capito Calvi, v'era un solo rapidissimo sistema: impiantare finanziarie all'estero, al riparo dai controlli del fisco e della Banca d'Italia, e tradire e defraudare il socio di fatto Michele Sindona .

La minaccia sindoniana tramite Cavallo, che tirava in ballo le operazioni Ambrosiano, Centrale e specialmente Zitropo Pacchetti, insieme con alcune azioni di intimidazione diretta compiute nella sede dell'Ambrosiano da parte di un altro esecutore sindoniano, Walter Navarra, convincono Calvi a saldare il conto, probabilmente con 500.000 dollari in contanti, mascherati dietro un'operazione fantomatica di presunta vendita di una villa ad Arosio. Una volta di più l'artefice della transazione è Gelli, che alimenta i suoi dossier e stringe ancor più il sodalizio con Calvi, da cui riceve carta bianca per sistemare gli affari più ambigui.

5.5. Roberto Memmo.

Se si tentasse di definire la ragione per la quale l'avvocato Roberto Memmo opera in prima fila nella vicenda Sindona nel triennio 1975 1978 non si troverebbe una concisa ed esauriente risposta. Eppure egli figura nella direzione strategica sindoniana, pur senza un preciso ruolo e una specifica funzione.

Italo americano, partito da piccoli affari in Puglie, autodefinitosi imprenditore edile ma in realtà intermediatore finanziario nell'attività edilizia, Memmo partecipa a tutti i più importanti momenti delle iniziative prosindoniane dopo il crack. Dichiaratosi amico di Fortunato Federici, e certamente in simbiosi con Gelli, si incontra il Memmo fra i mediatori del primo progetto di salvataggio (interdipendente) e come trait d'union con i palazzinari romani con i quali aveva trattato l'affare Pantanella. Memmo afferma anche di essere stato sollecitato da Pier Sandro Magnoni a intervenire sul Banco di Roma, ma non si capisce a quale titolo, disponendo i sindoniani del consigliere d'amministrazione Federici. E ancora nella casa romana del Memmo, in Largo Goldoni, che si riuniscono i sindoniani piduisti per realizzare le loro iniziative, prima fra tutte l'apprestamento degli affidavit nell'autunno 1976 e quindi la strategia della pressione a proposito del ricorso in Cassazione (incontro di Memmo, Spagnuolo, Pone

e Guzzi); è sempre Memmo a proporre o a intervenire per una operazione riguardante le Condotte di Corbi e un gruppo americano, a tenere i contatti insieme a Gelli con Calvi, del quale deve assicurare la permanenza dell'apporto; e ancora, secondo Guzzi, è proprio il finanziere italo americano ad assicurare che Cuccia, all'inizio del 1978, collabori per la sistemazione.

L'episodio più singolare che vede implicato il personaggio è la missione affidata dai maggiorenti del Banco di Roma, e in special modo da Barone, al Memmo perché recuperi in Svizzera la lista nominativa dei "500", dietro compenso di 100.000 dollari. Perché mai un tale incarico al Memmo? Perché l'italo americano è così intimo fra i dirigenti del Banco di Roma? Quali le conoscenze speciali che egli ha e quali le connessioni nazionali e internazionali?

I fatti in gran parte sono oggi noti, ma le risposte agli interrogativi intorno al personaggio Memmo e al suo ruolo nella direzione strategica sindoniana non possono essere esaurientemente date, a eccezione della sua appartenenza in funzione non marginale allo stato maggiore della P2, e quindi, come tale, mobilitatosi per Sindona.

5.6. Gaetano Stammati.

L'allora ministro dei Lavori Pubblici viene investito di un progetto di sistemazione (FASCO, due BIN, Banco di Roma) approntato nell'estate 1978, dopo che in una riunione della direzione strategica sindoniana a New York era stato deciso d'intensificare l'azione di pressione sui politici, per arrivare a ottenere il benestare da parte dell'lRI, del ministero del Tesoro e della Banca d'Italia, dando per scontata la disponibilità del Banco di Roma.

Inspiegabilmente Andreotti, che riceve dai sindoniani il progetto, affida a Gaetano Stammati il compito di seguirlo, dopo un incontro di questi con l'avvocato Guzzi. Inspiegabilmente perché, da una parte, Stammati non era il ministro competente, e quindi non si trattava di un incarico ufficiale, e dall'altra, era pur sempre un ministro, per di più investito dalla fiducia particolare del presidente del Consiglio, che poteva adoperare la sua posizione e influenza per esercitare pressioni. Stammati propone e sottopone il progetto a Francesco Cingano, amministratore delegato della Banca Commerciale, che doveva partecipare come una delle banche pubbliche d'interesse nazionale al salvataggio, e alla Banca d'Italia tramite l'allora direttore generale Azelio Ciampi.

Da Cingano, Stammati riceve un parere negativo; dalla Banca d'Italia sembrerebbero arrivare in un primo momento Secondo Guzzi, segnali di disponibilità di Ciampi, poi smentiti in seguito a una riunione tenuta dal commissario Ambrosoli insieme con il capo della vigilanza Sarcinelli.

L'agitazione e gli interventi intorno a questo progetto l'ultimo tentativo di salvataggio in ordine di tempo, presentano quindi un tratto di significativa peculiarità. In primo luogo è singolare che un presidente del Consiglio si interessi di un progetto di difesa di un bancarottiere latitante, investendo non ufficialmente ma, per cos dire, privatamente, un suo ministro, il quale si incontra con il legale del bancarottiere mentre, contemporaneamente, viene anche mobilitato il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Evangelisti. In secondo luogo, dal contesto dei fatti risulta chiaro un clima di pressioni sulla Banca d'Italia esercitate in forme allusive, ambigue e magari dirette (ma di ciò poco sappiamo e molto possiamo intuire)

Evangelisti convoca Sarcinelli a Palazzo Chigi e non gli consegna neppure copia del progetto di salvataggio sul quale doveva dare un parere. Al diniego di Sarcinelli a Evangelisti, Stammati, anch'esso su incarico di Andreotti, si rivolge al direttore generale della Banca d'Italia, Ciampi, in parallelo ma posteriormente al parere negativo già espresso dal responsabile istituzionale della questione, il capo della Vigilanza, Sarcinelli, quasi non fosse abbastanza nota la posizione dell'Istituto centrale. Di più: un ministro in carica, Stammati, in missione esplorativa privata ufficiosa, prega il direttore della Banca d'Italia di ricevere il legale del bancarottiere, la cui visita era stata rifiutata dal Sarcinelli sulla corretta base del diniego di contatti fra un imputato e l'organo che lo aveva imputato .

In terzo luogo la persona incaricata non già di esaminare il progetto ma per inoltrarlo, come afferma lo stesso Stammati, a Cingano e alla Banca d'Italia, è un ministro in stretta relazione con Gelli, membro della P2 e garante di tante domande di adesione alla loggia, proprio mentre Gelli fa sapere a Guzzi che vi sono disponibilità della Banca d'Italia, nonostante l'atteggiamento di Sarcinelli.

Questo tentativo di salvataggio, compiuto fra l'autunno 1978 e l'inizio 1979, è l'ultimo messo in atto dalla banda sindoniana. Per esso, più che per quelli degli anni precedenti, sono usati tutti gli strumenti di intervento e di pressione che fanno capo alle due centrali di protezione per Sindona, quella andreottiana con Evangelisti, e quella P2 con Gelli. In mezzo c'è il ruolo di Stammati, punto di incontro e di saldatura fra i due gruppi.

Dopo il fallimento di questo tentativo, che rappresenta l'ultima sponda, anche per il fermo diniego di Ambrosoli e di Sarcinelli, che tengono una riunione a proposito in Banca d'Italia, appaiono con sempre maggiore evidenza forme più criminali di pressione, in una nuova fase dell'azione sindoniana che pur mantiene continuità con quella precedente. Sarcinelli sarà incarcerato su mandato della Procura della Repubblica di Roma (giudice Alibrandi) per reati insussistenti; Ambrosoli sarà sottoposto a minacce e avvertimenti, quindi assassinato il 12 luglio 1979.

5.7. Piduisti a schiere.

Che il sistema sindoniano facesse parte con un suo ruolo di snodo finanziario di un più ampio sistema di potere occulto, se ne ha conferma dal tipo di persone che in una maniera o nell'altra sono coinvolte nell'affaire dopo il crack. E che questo più ampio potere occulto operante nell'Italia degli anni Settanta avesse una dimensione nella massoneria piduista, è altrettanto verificato, non solo per la diretta mobilitazione gelliana, ma anche per i rapporti, quasi sempre non chiari fino in fondo, che molti massoni ebbero con la direzione strategica e con le operazioni sindoniane. I rapporti furono di varia natura: di alleanza, di sostegno, di connivenza, di semplice accettazione in una attiva partecipazione come interlocutore ai progetti sindoniani, fino alla diretta gestione degli interventi, delle minacce e dei ricatti.

Abbiamo già parlato di Calvi, Memmo e Stammati, tutti piduisti di prima fila. L'italo americano Philip Guarino, definito come un personaggio legato ai Servizi segreti del Pentagono e a Cosa Nostra, organizzazione di una rete in sostegno a Sindona negli Stati Uniti, oltre che di iniziative politiche di destra come l'Americans for a Democratic Italy, figura anch'egli nelle liste di Gelli, con il quale intrattiene una cordiale corrispondenza.

L'8 aprile 1980 così recita una lettera inviata da Arezzo a Washington: »Quello che tu sai bene è che tutto l'aiuto che potevo dare a Michele l'ho dato, e da questo lato sono più che tranquillo: quanto gli è accaduto mi è dispiaciuto moltissimo, ma, forse, è meglio per lui che le cose siano andate come sono andate [incarcerato in America], perché se veniva in Italia avrebbe dovuto sopportare umiliazioni assai più gravi: perciò è preferibile che resti in codesto paese in attesa che qui le cose si possano chiarire e cambiare... .

Anche moltissimi dei dirigenti degli enti e delle società che sono chiamati a partecipare al salvataggio fanno parte della grande e potente famiglia massonica. Così l'andreottiano Loris Corbi, presidente delle Condotte, che entra in causa per più di un progetto di sistemazione; mentre il fanfaniano Ettore Bernabei, a capo dell'Italstat, a nome del quale un altro massone, l'avvocato Martino Giuffrida, si presenta a trattare l'estradizione al consolato italiano di New York, è indicato (nel libro "I massoni in Italia" di Roberto Fabiani) come appartenente alla loggia "Giustizia e Libertà", sebbene non ve ne siano elementi di conferma; così in bella evidenza nelle liste di Gelli, compaiono Arcangelo Belli e Francesco Cosentino, membri del consiglio di amministrazione della Generale Immobiliare .

Di quest'ultimo le agende e la testimonianza dell'avvocato Guzzi dicono che partecipò anche a una riunione, insieme con Mario Barone, Fortunato Federici, il banchiere Piovano e l'avvocato Bucciante, per dirimere i contrasti della DC rispetto alla questione Sindona, tra linea fanfaniana e linea andreottiana. Anche ai vertici delle banche interessate alla vicenda Sindona figurano ancora esponenti che compaiono nelle liste di Gelli: Giovanni Guidi e Alessandro Alessandrini al Banco di Roma; Alberto Ferrari alla testa della Banca Nazionale del Lavoro, la cui fiduciaria estera "Servizio Italia", a sua volta diretta dal piduista Gianfranco Graziadei, fece molte operazioni intrecciate con il sistema sindoniano.

Il collegamento di "ambiente" fra coloro che operavano all'interno o nei dintorni del sistema Sindona, poi rivelatosi anche nella dimensione di loggia massonica, aveva un'origine lontana proprio ai tempi d'oro dell'ascesa sindoniana. Alcuni degli enti pubblici e parapubblici che depositarono ingenti somme di denaro nelle banche sindoniane, con la percezione di interessi extra o neri, avevano massoni piduisti in posti chiave di responsabilità: Giuseppe Arcaini all'Italcasse, Maurizio Parasassi al Consorzio Nazionale per il Credito Agrario, Enzo Badioli e Giancarlo Buscarini all' ICCREA, Renato Marmetto alla SOFID.

Fra i percettori di tangenti, già dalla fine degli anni Sessanta figura in prima linea il leader piduista Umberto Ortolani, sul cui libretto "Orlando", alla BPF, confluivano interessi neri dai depositi effettuati dall'ltalcasse del clerico piduista Giuseppe Arcaini e dall'ICIPU CREDIOP. Altri piduisti, come Bruno Tassan Din, Angelo Rizzoli e Giorgio Zicari, occupano un posto rilevante con molte voci in una lista di (88) titolari di conti cifrati presso la Cemoes SGI collegata con le finanziarie estere in Lussemburgo, nelle isole Cayman e a Nassau, attraverso cui passavano operazioni speculative finanziarie. Per non parlare poi dei nominativi che sono stati fatti a proposito dell'altra lista, quella dei "500", che non nominiamo perché non convalidati, ma anch'essi in buona misura dell'allegra compagnia gelliana.

Per la Guardia di Finanza si è già detto di un memorandum della direzione strategica che chiedeva di far intervenire il piduista generale Donato Lo Prete, comandante dell'Arma, affinché rimuovesse lo scomodo maresciallo Novembre, troppo diligente nell'indagare fra i segreti della Banca Privata Italiana.

Nella magistratura, oltre alla mobilitazione dei piduisti Spagnuolo e Pone, si riscontra che il giudice Lilli Di Prima - il quale nel gennaio 1977 emette in Corte d'Appello di Milano una sentenza che cancella buona parte degli addebiti mossi a Sindona, secondo quanto auspicato dalla difesa sindoniana - è indicato dal libro "I massoni in Italia" come appartenente alla loggia massonica "Pontida" di Bergamo.

Anche alcuni dei giornalisti che vengono interessati alla questione sono piduisti. Fra questi ha un posto di rilievo Mario Tedeschi, esponente del Movimento Sociale e poi di Democrazia Nazionale, il quale intrattiene rapporti con Andreotti nel periodo della presidenza di unità nazionale, e pubblica una serie di servizi su Il Borghese in difesa di Sindona, soprattutto dopo che in una riunione a New York del luglio 1977 era stata indicata la necessità di promuovere campagne di stampa per influenzare la pubblica opinione e, a tal fine, si era tenuta una riunione fra lo stesso Tedeschi, accompagnato dall'onorevole Raffaele Delfino, e l'avvocato Guzzi.

5.8. Massimo De Carolis.

Un posto a sé fra gli interlocutori di Sindona che figurano anche nella lista della P2 occupa il deputato Massimo De Carolis. Dell'esponente democristiano sono documentati una serie di incontri a New York con Sindona e i rapporti con Gelli, oltre che con il difensore, avvocato Guzzi. L'interesse che legava De Carolis e Sindona, al di là di quello professionale dichiarato in favore dei piccoli azionisti (ma, in una riunione della direzione strategica sindoniana, si indica la necessità di alimentare la campagna dei piccoli azionisti per premere per il salvataggio), probabilmente era di colleganza nell'ambito dello stesso orientamento politico e quindi di difesa dei medesimi interessi.

De Carolis ha bisogno di sostegno nella comunità italo-americana di New York, e Sindona lo aiuta a penetrare fra i gruppi di destra, organizzati nell'Americans for a Democratic Italy, presieduta da Paul Rao Jr., che organizzano fra il 1975 e il 1976 una campagna per influenzare le vicende politiche in Italia, avendo come referente Andreotti, il missino Luigi Turchi, e lo stesso De Carolis, per il quale sono organizzati dei giri in America.

Nel 1977 De Carolis viene insignito del "premio di americanismo" da parte dell'American Legion, che l'anno precedente aveva premiato Sindona, poi nominato co presidente. In cambio delle entrature americane, con la colleganza Sindona (P2), De Carolis (P2), Guarino (P2), Rao, Biaggi, l'esponente democristiano si interessa del futuro di Sindona in Italia, ne parla spesso con Andreotti, che si mostra ben informato di tutto, e prende partito pubblicamente sposando la tesi del complotto ai danni del bancarottiere siciliano e dello scontro di potere di cui Sindona sarebbe rimasto vittima.

In un'intervista a Il Mondo (settembre 1979) De Carolis sostiene che »l'affare del finanziere siciliano è la storia di uno scontro gigantesco fra due fazioni diverse che non hanno ancora deposto le armi. E fra le quali Sindona è rimasto schiacciato ; e, più avanti: »Quel che è certo è che su un punto Sindona ha ragione: in un certo momento fu deciso a freddo e a tavolino di far saltare il suo impero finanziario, che in quel momento poteva essergli tolto senza essere disturbato... . Nella stessa intervista De Carolis, che parlava a due mesi dall'assassinio di Ambrosoli, mentre Sindona era scomparso da New York e nessuno sapeva quel che stesse accadendo, coglie nel segno di quel che si andava agitando dietro la vicenda Sindona e che egli stesso, amico del bancarottiere, iscritto negli elenchi di Gelli e frequentatore degli angoli remoti del potere occulto, poteva ben individuare e descrivere: »Non penso che vi sia un singolo uomo politico che ordina l'assassinio. Ma vedo che è stato costruito in Italia un sist

ema articolato su feudi organizzati, ciascuno dotato di proprie strutture, giornali, banche, legami con i Servizi segreti, rapporti internazionali e così via. A tal punto che la loro logica di funzionamento non è più quella dell'individuo. Hanno una moralità diversa, quella di Macchiavelli, altre procedure, altre possibilità di azione. E la posta in gioco è troppo grande perché arretrino di fronte all'omicidio. E al rapimento .

De Carolis aveva in mente anche la P2 nella quale era entrato e, a ragione, inquadrava anche la nuova vicenda sindoniana (fuga o rapimento) nell'ambito di quel sistema di governo invisibile.

 
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