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Teodori Massimo - 1 maggio 1982
La Banda Sindona (7) Appendice
Storia di un ricatto: Democrazia Cristiana, Vaticano, Bankitalia, P2, Mafia, Servizi Segreti

di Massimo Teodori

SOMMARIO: Questo libro sulla vicenda Sindona - il cui autore è stato membro della Commissione d'inchiesta parlamentare - offre una interpretazione complessiva - "tecnica" e politica - dell'intera vicenda basata sugli elementi raccolti dalla Commissione stessa.

1. Come, quando e perché si disvela la trama del sistema di potere sindoniano.

2. Perché Sindona ebbe una grande ascesa e quali furono i padrini e gli alleati; quale sistema di potere si è costituito intorno a Sindona.

8. Perché avviene il crack, e come il sistema di potere mostra le sue contraddizioni.

4. Quale azione il sistema Sindona mette in atto per contrastare la caduta, e quali ne sono i protagonisti.

5. Le connessioni del sistema Sindona con la Loggia massonica P2.

6. Il significato della "fuga" di Sindona in Sicilia, quali i ricatti posti in essere, e il ruolo della mafia, della massoneria e dei Servizi segreti.

Massimo Teodori (1938), militante del Partito radicale fin dalla fondazione, nel 1955, è attualmente deputato al Parlamento. Professore di Storia americana, è autore di numerosi libri tra cui "La nuova sinistra americana" (1969) e "Storia delle Nuove sinistre in Europa 1956-1976" (1977), e coautore di "I nuovi radicali" (1977) e "Radicali o qualunquisti?" (1979).

("La Banda Sindona", GAMMALIBRI, maggio 1982)

1. La proposta di legge

Il 12 luglio 1979 veniva assassinato il commissario liquidatore delle banche sindoniane, avvocato Giorgio Ambrosoli, che si era opposto a tutti i tentativi di soluzioni morbide delle bancarotte del banchiere siciliano messi in atto dal 1974. Dieci giorni dopo i deputati radicali presentavano alla Camera una proposta di legge per l'istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sui rapporti fra Sindona, pubblica amministrazione e ambienti politici. La VIII legislatura era iniziata da appena un mese, con 18 deputati eletti per le liste radicali. Ecco il testo della relazione che accompagnava la proposta di legge, datata 23 luglio 1979.

Il crack della Banca Privata Italiana, controllata dal finanziere Michele Sindona, è al di là di ogni ragionevole dubbio il più grosso scandalo bancario degli ultimi dieci anni. E non solo per l'entità delle cifre in gioco (lo sbilancio fra le attività e le passività sarebbe ancora oggi, dopo molti interventi risanatori, di oltre 250 miliardi di lire). In tutti questi anni la stampa ha segnalato con regolarità come lo "scandalo Sindona " sia uno dei nodi nei quali il contatto fra le attività finanziarie di tipo delittuoso e certi ambienti della politica nazionale e della Pubblica amministrazione è stato più stretto, più dannoso per l'interesse collettivo, più deviante rispetto alle norme di un corretto comportamento.

Le notizie di stampa di questi giorni fanno inoltre ritenere che tutto l'affare Sindona si sia svolto e concluso sotto il controllo di interessi mafiosi, con collegamenti in Italia e in USA e dotati di particolari legami con ambienti politici, massonici e giudiziari italiani.

La morte violenta dell'avvocato Giorgio Ambrosoli, nominato liquidatore della Banca Privata nel settembre del 1974, riporta in primo piano la necessità che sui fatti legati alla "gestione" dello "scandalo Sindona" da parte dei pubblici poteri si apra un'inchiesta al fine di accertare se e chi fece un uso troppo discrezionale del suo potere, se e chi mise in atto comportamenti che hanno arrecato un danno rilevante alla Pubblica amministrazione, se e chi ha ostacolato il corretto corso della giustizia.

A nostro avviso il campo di indagine di una simile inchiesta va necessariamente ristretto, in quanto non è interesse del Parlamento accertare le ragioni e i motivi per i quali la Banca Privata Italiana è stata portata al fallimento dai suoi proprietari. Tali ragioni sono da ascrivere a un'insufficienza istituzionale di controlli e verifiche sul comportamento delle banche, la cui rimozione può essere immaginata solo nel quadro di una profonda modifica della legge bancaria, cosa di cui è opportuno discutere in una sede diversa da una Commissione parlamentare.

Inoltre, vanno chiariti i rapporti intercorsi fra Michele Sindona e alcuni esponenti politici e del governo in carica in relazione alla progettata "operazione Finambro": mentre infatti il ministro del tesoro Ugo La Malfa mantenne nei confronti di una simile operazione un atteggiamento totalmente negativo, altri ne appoggiarono il corso o intrattennero comunque con Sindona rapporti particolari anche di carattere finanziario, dei quali non è mai stata chiarita la motivazione.

Ci sono, invece, fondati motivi per ritenere che nella "gestione'' dello "scandalo Sindona" parecchi uffici e persone della Pubblica amministrazione non si siano comportati nell'esclusivo interesse della collettività. In particolare, si ha motivo di ritenere che nei tre giorni che separano la decisione di mettere in liquidazione la Banca Privata Italiana e l'effettivo inizio di tale liquidazione siano stati illecitamente autorizzati rimborsi di crediti e depositi, spogliando così il patrimonio della Banca Privata di ingenti mezzi finanziari a esclusivo beneficio di pochi creditori e depositanti, per lo più esportatori illegali di valuta.

Infine, risulta da tutta una serie di atti giudiziari e da inchieste giornalistiche che, dopo la fuga di Michele Sindona dall'Italia, i magistrati milanesi incaricati di indagare sul caso abbiano incontrato ricorrenti e gravissime difficoltà nello svolgimento del loro lavoro, tendente ad assicurare alla giustizia un finanziere che è accusato di comportamenti delittuosi particolarmente gravi, soprattutto se si ha riguardo alla sfera particolarmente delicata nella quale sono maturati.

Sono ormai di pubblico dominio una serie di evidenze, e in particolare che:

a) vari settori della Pubblica amministrazione abbiano ostacolato, con azioni ripetute e consapevoli, l'estradizione di Michele Sindona dagli USA in Italia;

b) vari settori della Pubblica amministrazione abbiano difatto impedito al dottor Carlo Bordoni, detenuto in un carcere americano, di rendere testimonianza alla magistratura italiana circa la nascita e lo sviluppo della crisi dell'"impero" di Michele Sindona e i suoi retroscena finanziari e politici;

c) tre persone con responsabilità ministeriali (Giulio Andreotti, Franco Evangelisti, Gaetano Stammati), siano intervenute sulla Banca d'ltalia di persona e per iscritto, al di fuori di qualsiasi decisione collegiale del governo, per sollecitare una conclusione della vicenda favorevole a Michele Sindona e tale da eliminare il reato di bancarotta fraudolenta.

L'opinione pubblica, la stampa, il mondo professionale, bancario e imprenditoriale nonché gli ambienti politici non coinvolti in questa vicenda sono disorientati dalle ricorrenti voci e notizie circa i comportamenti della Pubblica amministrazione in relazione al caso Sindona.

Colleghi deputati! Un accertamento della verità si impone in tempi brevi, pena la degradazione della stessa democrazia e della vita civile e professionale e della fiducia che i cittadini ripongono nel Parlamento come organo essenziale del sistema politico non solo con funzioni legislative, ma anche di controllo.

2. La richiesta d'urgenza

Subito dopo la presentazione delle proposte di legge per la commissione parlamentare d'inchiesta, alla Camera i deputati radicali chiedevano la "procedura d'urgenza" per portare l'argomento in discussione e passare alla fase operativa. Quello che segue è il testo dell'intervento di Massimo Teodori nella seduta della Camera del 3 agosto 1979 per argomentare le urgenze.

Teodori - Signor Presidente, onorevoli colleghi, nel settembre 1974, allorché l'avvocato Michele Sindona stava precipitando sotto il cumulo delle sue delittuose attività finanziarie, un uomo che è tra i pochi di cui questo Paese in questo Parlamento possano andare fieri - Sandro Pertini - dal suo seggio di Presidente di questa Assemblea esclamava: »E' inconcepibile che il Parlamento sia stato tenuto fino ad ora all'oscuro di tutto; non è ammissibile che sull'affare Sindona il Governo stenda un velo pietoso .

Era inconcepibile nel 1974 e rimane inconcepibile cinque anni dopo. L'impero sindoniano è crollato, il "mago di Patti" è stato colpito da mandato di cattura in Italia e negli Stati Uniti incredibili vicende delittuose sul piano finanziario, sul piano politico e sul piano penale si sono compiute per un quinquennio e ancora quel richiamo di Sandro Pertini è rimasto inascoltato. Né in Parlamento si è mai discusso dell'affare Sindona, né i Governi che si sono succeduti in questi anni con la partecipazione di volta in volta di democristiani, repubblicani, di socialdemocratici, e con maggioranze che includevano anche i partiti di sinistra, hanno sentito il dovere di contribuire a togliere quel "velo pietoso" di cui Sandro Pertini parlava in questa aula cinque anni or sono.

Ma forse la spiegazione di tanto silenzio in quest'aula si deve cercare proprio in quello che descrivevano due giornalisti che hanno ricostruito la vicenda del crack Sindona: Panerai e De Luca. Ma neanche parole così dure, come quelle di Pertini, intimorirono Sindona: abituato sempre a rilanciare, tentò di capovolgere la sua posizione ormai disperata tentando di conquistarsi, con mosse paradossali e quasi patetiche, benemerenze verso l'Italia intera. Andò da Andreotti e Fanfani e presentò un incredibile piano capace - a suo dire - di risolvere tutti i problemi valutari nazionali.

»Li misi al corrente - racconta Sindona - che avevo trovato negli Stati Uniti un sistema per far ottenere all'ltalia un prestito di 5 miliardi di dollari a quindici anni con tassi bassissimi . E ha aggiunto che i due leaders democristiani, Andreotti e Fanfani, rimasero entusiasti del suo progetto misterioso e che Fanfani gli manifestò il proposito di mandare negli Stati Uniti qualche rappresentante del Governo a trattare l'operazione. In questo episodio, tra i tantissimi che sarebbe possibile citare, è tuttavia racchiusa la chiave di volta della questione sulla quale il gruppo radicale ha chiesto l'istituzione della Commissione parlamentare d'inchiesta, cioè la stretta interconnessione. . .

Presidente - Le ricordo, onorevole Teodori, che sta parlando a favore della urgenza, in questo momento, non sul merito della proposta di legge.

Teodori - E' di questo che sto trattando, signor Presidente, cioè della stretta interconnessione tra le attività delittuose "sindoniane" e alcuni ambienti politici che le hanno consentite se non incoraggiate e promosse. Allorché per primi noi radicali abbiamo chiesto l'istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta, eravamo ben consapevoli che non si trattava soltanto della necessità di affondare il bisturi in uno degli scandali di regime che trent'anni di dominio democristiano, dei suoi alleati subalterni e dei suoi sostenitori hanno regalato al Paese, anche se si tratta forse per entità, conseguenze e implicazioni, del maggiore degli scandali. Eravamo e siamo consapevoli che si tratta di qualcosa di ancor più grave e centrale per la nostra vita nazionale: il fatto che la vicenda Sindona è un prodotto del sistema politico dominante come una pura questione interna, di quel sistema politico cioè in cui per governare, o meglio per "sgovernare", forze...

Presidente - Onorevole Teodori, la prego di attenersi al tema. Deve parlare a favore della richiesta di urgenza, non entrare nel merito della sua proposta di legge.

Teodori - Sto argomentando i motivi dell'urgenza. Se mi consente di proseguire, cercherò di spiegarmi.

La vicenda Sindona, dicevo, è il prodotto del sistema politico dominante come una sua pura questione interna, di quel sistema politico cioè in cui per governare, o meglio per "sgovernare", forze, gruppi e clans politici concludono non già semplici alleanze con forze, gruppi e clans ad essi esterni e che li sostengono, ma hanno reso interno, come fattore costituente, l'intreccio tra cosche politiche, giudiziarie, finanziarie, burocratiche e in questo caso vaticane e massoniche. Siamo stati i primi, come radicali, a proporre l'istituzione di una Commissione d'inchiesta, seguiti in questo da altri gruppi parlamentari: un fatto di cui non possiamo che rallegrarci prima ancora di conoscere il merito delle altre proposte, perché da sempre abbiamo individuato in questo intreccio uno dei dati caratteristici della situazione italiana nella quale, in questo senso, la stessa funzione dirigente, che attua la politica nei sistemi a democrazia rappresentativa attraverso una sua élite specifica, viene esautorata e si finis

ce per non saper bene più chi è prigioniero e di chi. E siamo stati i primi, forse perché l'opposizione radicale è l'unica, o almeno quella che più liberamente rispetto a eventuali altre opposizioni, può denunciare gli intrecci mafiosi tra politica, finanza e giustizia, essendo estranea non solo all'intreccio di cui stiamo discutendo, ma anche agli altri intrecci contrapposti e concorrenti.

La nostra denuncia di ciò che ha rappresentato e rappresenta l'affare Sindona, la nostra volontà di andare qui in Parlamento a fondo degli aspetti che riguardano i rapporti fra Sindona, la pubblica amministrazione e gli ambienti politici, parallelamente a quanto ha fatto e può fare la magistratura, la nostra battaglia politica per svelare di che natura siano i nodi che si aggrovigliano in questa vicenda, la nostra aspirazione alla moralità e alla pulizia, non sono azioni intraprese in nome e per conto di altri sottosistemi politico-finanziari mafiosi vincenti o perdenti. La ricerca della verità, o meglio almeno di qualche verità, tra le tante necessarie, che noi, colleghi deputati, vi proponiamo, è rivolta, attraverso questa vicenda, a colpire tutte le altre vicende simili.

Perché di una cosa siamo convinti: che, fino a quando nel sistema politico esistono impunemente sottosistemi interni nei quali si possono produrre comportamenti delinquenziali in cui sono associate con un reciproco sostegno cosche politiche e cosche finanziarie, cosche giudiziarie e cosche burocratiche, magari al coperto di qualche ombrello massonico, fino a quando ciò avverrà saranno gli stessi meccanismi della democrazia, e in particolare della democrazia politica con le sue istituzioni, a farne irrimediabilmente le spese.

Se nel testo della nostra proposta di istituire la Commissione d'inchiesta abbiamo fatto i nomi di alcuni esponenti politici democristiani, come Giulio Andreotti, Franco Evangelisti...

Presidente - Onorevole Teodori, questo non mi interessa. Parli, per cortesia, sulla richiesta d'urgenza, altrimenti sarò costretto a toglierle la parola. Lei sta entrando nel merito della sua proposta d istituire una Commissione di inchiesta (Applausi al centro).

Teodori - Signor Presidente...

Presidente - Esponga le ragioni, che certamente esistono, della richiesta di urgenza e non ci parli del contenuto della sua proposta di legge.

Teodori - Signor Presidente, quello che sto argomentando...

Presidente - La prego, onorevole Teodori, di restare nell'argomento: non mi costringa a toglierle la parola.

Teodori - Ritengo di essere nell'argomento (Vive proteste).

Presidente - Questo lo lasci giudicare alla Presidenza. Le ripeto, lei sta uscendo dall'argomento nel momento in cui espone il contenuto della sua proposta di legge.

Teodori - Dovrò anche argomentare le ragioni che giustificano la richiesta dell'urgenza.

Presidente - La proposta di legge è stampata, distribuita e quindi conosciuta da tutti; pertanto, esponga le ragioni dell'urgenza e non entri nel merito della proposta di legge.

Teodori - E' quello che sto facendo, se posso proseguire e se me lo consente, signor Presidente.

Presidente - Brevemente, la prego.

Teodori - Ripeto, se nel testo della nostra proposta di istituire la Commissione d'inchiesta abbiamo fatto i nomi di alcuni esponenti politici democristiani, come Giulio Andreotti, Franco Evangelisti e Gaetano Stammati, associati, in riferimento a specifici fatti, a Sindona - e se volessimo allungare la lista potremmo aggiungere quegli uomini che un settimanale non certo rivoluzionario o radicale come Il Mondo chiama gli onorevoli del crack, cioè Onorio Cengarle, Massimo De Carolis, Amintore Fanfani, Mauro Leone, Filippo Micheli, Flavio Orlandi e Graziano Verzotto - non è perché riteniamo di dover parlare in nome di clans politico finanziari contrapposti - ricordiamo, ad esempio, quello che notoriamente fa capo a Enrico Cuccia - , ma perché questo e quello, con eventuali altri clans, sono elementi distruttivi della democrazia nel momento in cui si creano dei condizionamenti reciproci, con i finanzieri che pretendono di far politica, con i politici che si servono dei finanzieri e gli uni e gli altri che non p

ossono che dar vita a comportamenti delinquenziali.

Bianco Gerardo - Signor Presidente, mi pare che si stia esorbitando dalla richiesta d'urgenza.

Teodori - Gli antagonisti di Sindona, e valgano per tutti i nomi di Carli e di Cuccia, erano perfettamente compenetrati anch'essi nel regime economico finanziario manageriale democristiano e sono certamente dei protagonisti primari della grave situazione dell'economia italiana, della corruzione, e delle stesse regole del gioco di una società a democrazia liberale di tipo occidentale.

La Loggia - Signor Presidente, gli tolga la parola!

Teodori - La nostra proposta di legge, signor Presidente, colleghi deputati, che parte da queste premesse, ha tuttavia ben tenuto in conto i limiti, le possibilità e gli interessi che un corpo politico, quale il Parlamento, ha istituzionalmente nello specifico momento attuale in relazione al dispiegarsi delle questioni sollevate dalla vicenda Sindona. Diremo subito che noi non riteniamo possibile, utile e fattibile per una Commissione parlamentare d'inchiesta allargare il campo all'intera vicenda del crack Sindona, sia per motivi politici sia per motivi di efficacia...

Presidente - Onorevole Teodori, questo non ha nulla a che fare con la richiesta d'urgenza. Potrà esporre le sue motivazioni nel corso della discussione della proposta di legge, pertanto, la prego ancora una volta di attenersi all'argomento.

Una voce al centro - Non glielo consenta, signor Presidente. Basta!

Radi - Basta!

Bianco Gerardo - Anche perché siamo tutti d'accordo per la dichiarazione di urgenza.

Teodori - D'accordo, signor Presidente, concludo immediatamente. Ritengo tuttavia che la richiesta d'urgenza avrebbe richiesto una esposizione più vasta.

Su queste vicende, che sono ristrette a fatti specifici e circoscritti, noi riteniamo, colleghi deputati, che esistano le condizioni perché si decida di indagare al più presto.

Si potrebbero invocare i fatti di quest'ultimo periodo che, ancora una volta, hanno portato alla ribalta interrogativi gravi nei riguardi di Sindona: l'omicidio dell'avvocato Giorgio Ambrosoli rispetto al quale un giornale - e cito ancora Il Mondo - titola »Sindona, Sindona e la sua mafia, o la mafia da sola? ; le accuse che l'avvocato Melzi ha rivolto in relazione all'uccisione del dottor Arturo Lando, già presidente e amministratore delegato della Banca privata finanziaria; la questione dell'Amincor; le rivelazioni circa il presunto piano per attentare alla vita del governatore della Banca d'ltalia.

Di tutto ciò qui non voglio certamente discutere, perché a noi sembra che qualcosa di ancora più importante imponga che si giunga all'istituzione di una Commissione d'inchiesta. E' probabile che ancora oggi, in questa crisi interminabile di Governo e, magari, delle istituzioni, pesino le ombre di clans contrapposti le cui ragioni politiche non sono certamente né le uniche né, forse, le più importanti. Ancora oggi il fatto che i democristiani non vogliano passare la mano, che i repubblicani pongano veti, come hanno fatto negli ultimi giorni, è il prodotto...

Bianco Gerardo - Che c'entra tutto questo con la dichiarazione d'urgenza? Si rispetti il regolamento!

Teodori - E' il prodotto, dicevo, degli intrighi che bisogna continuare a scoprire nonché delle lotte di clans di potere cui la vicenda Sindona e i suoi rapporti con gli ambienti politici non sono estranei.

Noi radicali non siamo tra coloro che demonizzano Sindona, né tra quelli che l'hanno ritenuto come il benefattore della lira, ma non siamo neppure tra quanti hanno sostenuto che ci fosse una contrapposizione fra laici e cattolici sul terreno del potere finanziario.

Per tutte queste ragioni noi radicali chiediamo l'urgenza per questa proposta di legge e, in particolare, ci rivolgiamo ai colleghi della sinistra, ai colleghi comunisti, socialisti e della sinistra indipendente, nonché agli uomini di buona volontà di tutti gli altri gruppi, affinché attraverso l'istituzione di una Commissione d'inchiesta parlamentare, che inizi subito i propri lavori, sia data risposta a quell'appello che il Presidente Sandro Pertini, cinque anni fa, formulava in questa aula affinché si togliesse qualche velo da questa vicenda.

3. Per la nomina del Presidente della Commissione, contro l'ostruzionismo strisciante

L'istituzione della Commissione d'inchiesta ha tardato di oltre un anno dal momento della proposta radicale. Prima v'è stata l'approvazione da parte della Camera nel novembre 1979, poi con un ritardo di oltre sei mesi è venuto il voto del Senato. La legge istitutiva veniva pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 22 maggio 1980, dopodiché dovevano passare altri sei mesi prima che i due presidenti della Camera, Fanfani e Jotti, nominassero il presidente nella persona dell'on. Francesco De Martino. Ecco il testo di un intervento di sollecitazione svolto alla Camera il 3 settembre 1980 e una lettera inviata alla presidente della Camera, on. Jotti, il 15 settembre 1980.

Teodori - Signor Presidente, ho chiesto la parola per sollecitare al Presidente della Camera, congiuntamente al Presidente del Senato, la nomina del presidente della Commissione di indagine sui rapporti tra Michele Sindona e il mondo politico.

La legge per la istituzione di questa Commissione, approvata il 22 maggio 1980 e recante il numero 204, è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale il 3 giugno scorso. All'indomani della sua approvazione fu richiesta ai gruppi parlamentari della Camera e del Senato la designazione dei membri di tale Commissione, che mi risulta aver avuto luogo sollecitamente. Sono ormai passati tre mesi, ma né il Presidente della Camera, né il Presidente del Senato hanno nominato il presidente della Commissione di indagine. La legge istitutiva chiede che i risultati cui perverrà la Commissione medesima siano resi noti entro nove mesi dal suo insediamento; ciò significa che la mancata nomina del presidente ritarda il lavoro della Commissione medesima, proprio nel momento in cui vengono al pettine i nodi dei rapporti tra mafia, potere politico, traffico internazionale della droga, in cui il nome di Sindona ricorre sempre più spesso come una delle chiavi di volta del livello finanziario di questa struttura internazionale. Credo

pertanto che sarebbe un atto estremamente responsabile se i Presidenti di entrambi i rami del Parlamento compissero immediatamente questo loro dovere, senza rinviarlo come hanno fatto fino adesso.

Roma, 15. 9. 1980

On. Nilde Jotti

Presidente della

Camera dei Deputati

Signor Presidente

la legge istitutiva della commissione bicamerale d'indagine sui rapporti fra Sindona e ambienti politici è stata definitivamente approvata dal Senato il 22 maggio 1980.

Subito dopo i Gruppi parlamentari hanno designato, su richiesta, i propri rappresentanti nella commissione.

Ciò che manca ormai da oltre tre mesi è la nomina del presidente che deve essere fatta congiuntamente dai presidenti dei due rami del Parlamento.

Mi rivolgo a Lei per chiederLe di procedere nel più breve tempo possibile a compiere quello che è un atto dovuto rompendo gli indugi e i ritardi di cui solo le presidenze delle due Camere portano le responsabilità. Qualora vi fossero conflitti fra i due rami, Le chiedo di voler rendere note ai membri di queste Camere le ragioni delle mancate nomine.

Questa Camera assegnò l'approvazione della legge istitutiva (di cui ero stato fra i promotori già nel luglio 1979) in sede legislativa e con procedura d'urgenza alla commissione competente per significare la necessità di procedere all'inchiesta parlamentare in tempi brevi.

Sempre più urgente del resto appare oggi l'indagine approvata per l'emergenza di nuove connessioni fra il Sindona e il traffico internazionale della droga, la Mafia e le relative coperture politiche.

Ogni ritardo nell'insediare la commissione è una obiettiva manovra ostruzionistica e insabbiatrice. Perciò, Signor Presidente, mi auguro che Ella voglia al più presto la Commissione in grado di funzionare.

Con i migliori saluti, Massimo Teodori

4. La battaglia nella stampa e per l'opinione pubblica

Fin dall'inizio dei lavori della Commissione d'inchiesta, era chiara la necessità di far uscire fuori dal "Palazzo" le battaglie per fare opera di verità e di chiarezza. In questo quadro si collocano gli articoli, le interviste e i commenti pubblicati nel corso di un anno e mezzo di lavori della Commissione di cui alcuni sono riprodotti qui di seguito.

Intervista a "La Repubblica" del 17 febbraio 1981 sulla scoperta della "lista degli 89" esportatori di valuta tramite la sindoniana "Gemoes".

Roma - Massimo Teodori, 42 anni, deputato radicale, sabato scorso ha trasmesso alla Commissione Sindona di cui è membro, una serie di documenti riguardanti la "Edilcentro International", la "Edilsviluppo Services Spa" la "Gestioni Mobiliari Edilcentro Sviluppo Spa". Sulla base di queste rivelazioni, Teodori ha chiesto al presidente della Commissione, il socialista Francesco De Martino che già dalla prossima seduta venga posto all'ordine del giorno dei lavori il capitolo dei "finanziamenti al mondo politico".

Onorevole Teodori, lei ha consegnato alla Commissione Sindona un dossier che potrebbe rivelarsi "esplosivo'' per scoprire la rete di rapporti tra il finanziere siciliano e i politici. Di che si tratta?

»Il fatto nuovo è il capitolo Gemoes, la "Gestione Immobiliare, Mobiliare Edilcentro Sviluppo", il vero polmone finanziario italiano dell'impero di carta sindoniano. Ecco, presso la Gemoes, secondo i documenti da me consegnati alla Commissione, sarebbero esistiti 89 conti cifrati in valuta appartenenti ad altrettanti "speculatori eccellenti", attraverso i quali si esportavano capitali per centinaia di miliardi e si compivano spericolate operazioni finanziarie internazionali. Raffaello Scarpitti sarebbe stato uno di questi operatori. Dal dossier risulta che, in riferimento ai conti cifrati "5034 Scarpa" e "5035 Amincor", ad esso collegati, ci sarebbero altri conti in banche americane, svizzere e dei paradisi fiscali come Nassau. Questi servivano probabilmente anche per canalizzare sovvenzioni nere di Sindona ai beneficiari politici. Ora spetta alla Commissione accertare l'autenticità dei documenti, che secondo me sono veridici .

Chi è Scarpitti?

»Scarpitti era noto alla magistratura e alla Commissione come il canalizzatore verso la DC di molti miliardi attraverso libretti al portatore presso le banche sindoniane. Ora con questo nuovo materiale si apre uno spiraglio sulle colossali opere finanziarie fatte da Scarpitti, probabilmente per conto della DC nel quadro di manovre al rialzo del dollaro (per complessivi un miliardo di dollari alla Gemoes) e contro la lira. La Commissione si deve occupare dei rapporti tra Sindona e gli ambienti politici e i documenti consegnati potrebbero costituire il capitolo più importante del legame Sindona DC .

Questo significherebbe che tutte le carte della Geomes, passata nel '74 sotto il controllo del Banco di Roma, non sono state consegnate alla Commissione Sindona? Perché? Dove si trovano?

»Se, come è possibile, sono custodite in archivi segreti del Banco di Roma, devono subito venire fuori, cosa che ho chiesto alla Commissione di fare subito. Ho anche chiesto di svolgere una approfondita indagine finanziaria e valutaria su Scarpitti, personaggio chiave dei finanziamenti neri della DC .

Quale importanza può avere la lista degli "89" per la Commissione?

»La gravità di questa lista, tra cui c'è Scarpitti, è che mentre gli utili delle spericolate operazioni sono stati nel corso di un anno incassati dai titolari esportatori di denaro e speculatori a vario titolo, al momento del crack Sindona che coinvolge la Gemoes, con il denaro pubblico del Banco di Roma e Bankitalia, si sono riparati i buchi sindoniani, rimborsati gli speculatori eccellenti (così come è avvenuto per la "lista dei cinquecento") e occultate le operazioni relative al ritrovo .

Lei sa qualche cosa di più su questa vicenda?

»Per ora conosciamo l'esistenza della lista degli "89", sappiamo che molto probabilmente attraverso di essa operavano Scarpitti e la DC. Occorrerà trovare anche gli altri speculatori e ciò che essi rappresentavano nell'impero sindoniano, e questo spetta alla Commissione. Io però posso dire fin d'ora che mi adopererò per conoscere anche gli altri capitoli dell'intera storia già abbozzata nei documenti che ho consegnato .

Commento di Massimo Teodori apparso in "La Repubblica" del 19 marzo 1981

Quando proponemmo l'istituzione della Commissione d'indagine Sindona erano passati pochi mesi dall'assassinio del commissario liquidatore delle banche sindoniane, avvocato Ambrosoli. Eravamo consapevoli che la vicenda occupava un posto di primissima fila non solo nella scandalusia italiana ma nello stesso corrompimento della vita politica.

Negli ultimi decenni ci sono stati alcuni momenti in cui si sono intrecciati poteri aperti e occulti, forme legali di dominio e manovre illecite, normali affari e oscure trame. Sindona ha rappresentato uno di questi crocicchi, un vero e proprio "grande labirinto" nel quale sono rimasti coinvolti politici e sistema bancario, istituzioni dello Stato, servizi segreti e reti parallele di potere occulto. Nel labirinto sindoniano si ritrovano direttamente il Vaticano e i suoi affari, segretari ed esponenti della DC, la mafia siculo americana e la massoneria genere P2, la grande finanza interna e internazionale.

Oggi si cominciano a trovare le prove di quanto era giornalisticamente già noto. Lo si deve da una parte al lungo ed encomiabile impegno di magistrati milanesi come Urbisci e Viola, e dall'altra alla Commissione parlamentare presieduta da De Martino che lavora alacremente dall'ottobre 1980. I giudici devono individuare reati e mandare avanti processi che tutti si augurano si tengano presto. La Commissione, secondo i compiti istitutivi, deve individuare le responsabilità politiche, senza sostituirsi alla funzione che è propria della magistratura. Tra le due funzioni diverse e complementari si sta creando una cooperazione positiva in quanto risulta di reciproco stimolo.

Il primo capitolo del lavoro della commissione parlamentare, quello dei rapporti fra banche sindoniane, Banco di Roma e Banca d'ltalia, si è concluso con l'acquisizione di notevoli elementi sulle reciproche responsabilità, che sono stati trasmessi alla Procura di Roma.

In questi giorni si affronta in Commissione un altro capitolo, quello relativo ai rapporti fra il gruppo sindoniano e il mondo politico. La settimana scorsa i giudici milanesi hanno arrestato l'avvocato Scarpitti "consulente finanziario della DC", un portaquattrini ai politici che figura come l'operatore d'innumerevoli operazioni finanziarie, valutarie, societarie e borsistiche in Italia e all'estero. L'arresto, se i magistrati hanno individuato gli estremi di reato, costituisce certamente un fatto positivo in un Paese in cui difficilmente coloro che infrangono la legge per ragioni politiche varcano le soglie delle patrie galere. C'è tuttavia un rischio: che lo Scarpitti divenga il capro espiatorio di una situazione di commistione fra affari sindoniani e politica che è molto più complessa e profonda del singolo personaggio.

Quale sarà l'atteggiamento nei confronti del segretario amministrativo della DC, on. Filippo Micheli, se dovessero emergere fatti eguali o equivalenti a quelli di Scarpitti? Micheli è inamovibile nella sua carica da moltissimi anni e si va già vociferando che l'uomo è intoccabile perché sarebbe in grado di trascinare molti altri partiti che hanno fatto affari insieme in questo decennio. E che dire di Fanfani, alla cui ombra di segretario della DC sono avvenuti gli intrecci politico sindoniani negli anni fra il 1972 e il 1974? E come non pensare ad Andreotti che definì il bancarottiere "salvatore della lira" mentre poneva in essere colossali speculazioni internazionali contro la lira, e sotto la cui presidenza del Consiglio, fra il l976 e il 1978, non fu possibile estradare dagli Usa Sindona, mentre si cercavano ripetuti "salvataggi"?

La questione morale è all'ordine del giorno. Mentre 1'85 per cento dei cittadini mostra di non avere fiducia nella classe politica, al Senato i partiti tutti, con l'eccezione dei radicali, hanno raddoppiato, indicizzandolo, il finanziamento pubblico. Ancor più dell'epoca precedente quella sindoniana, i partiti sono diventati macchine per ingoiare soldi e per aumentare oltre ogni misura il proprio potere, quello degli apparati e dei clienti, e per assicurare impunità ai propri chierici.

Scandalo scaccia scandalo, facendo lievitare l'indifferenza. Questo diffuso sentimento affonda le radici anche nell'impossibilità di venire a capo della verità e di sradicare il marcio politico come un decennio documenta a sufficienza.

L'"affare Sindona" è oggi una occasione decisiva, forse ultimativa, d'invertire la tendenza per riguadagnare fiducia nelle istituzioni. Se per proprio conto la magistratura non disattenderà con lungaggini i suoi compiti, e se la Commissione parlamentare saprà superare le inerzie, le resistenze e gli intralci che pure in essa si stanno manifestando in misura crescente e preoccupante, si porterà con i fatti e non con le vuote enunciazioni un contributo alla soluzione della questione morale.

Intervista a "Il Manifesto" del 14 maggio 1981 sui rapporti fra sistema Sindona e sistema P2

Roma - E' arrivato un bastimento carico di... documenti sequestrati a Licio Gelli, il gran Maestro della Loggia segreta P2. E' arrivato (o sta per arrivare, questione di ore) alla Commissione parlamentare che indaga sullo scandalo Sindona. Massimo Teodori è stato ed è uno degli animatori di questa Commissione, e con il parlamentare radicale parliamo prima di tutto di questi documenti.

Quale è il legame tra i documenti Celli e la Commissione Sindona perché questo materiale viene giudicato così importante?

»La connessione principale è la fuga rapimento di Sindona che è stata preparata insieme con Gelli. Proprio dall'inchiesta sul finto rapimento sono partiti i magistrati milanesi. Nel "grumo" Sindona, del resto, compaiono uomini della P2 già dal '72, ai tempi della riunione del super SID. Poi, nel periodo dal '75 al '79, Gelli e Sindona restano in contatto continuo, come ho potuto verificare durante il mio ultimo soggiorno di alcune settimane negli Stati Uniti

I documenti che la Commissione ha chiesto ai magistrati milanesi sono così esplosivi da indurre la Procura di Roma ad uscire allo scoperto per l'ennesima operazione di insabbiamento o intorbidimento delle acque?

»Secondo me è materiale buono, molto buono, non esauriente ma illuminante. Non è l'archivio della P2, ma un insieme di documenti in transito. I magistrati avevano inviato subito tutte le carte alla presidenza del Consiglio, a quella della Repubblica e al minstro degli Esteri. Forlani ha dolosamente taciuto e contemporaneamente è intervenuta la Procura di Roma. Perché? E' lecito pensare, visti anche i precedenti di Gallucci, che l'iniziativa dei magistrati romani sia nata dietro suggerimento della stessa presidenza del Consiglio o della segreteria DC .

E lo stillicidio di nomi, di indiscrezioni sul materiale sequestrato, ha la stessa origine, cioè i corridoi di piazzale Clodio?

»Da dove vuoi che siano usciti, o dagli uffici della presidenza del Consiglio o dalla solita Procura romana o da qualche altro che chiameremo "i Servizi". Perché? Per fare il massimo polverone. Di sicuro le indiscrezioni non nascono a Milano e nessun altro aveva accesso ai documenti .

Quindi la Procura di Roma ancora una volta si muove per inquinare le prove?

»Sica nelle sue tre perquisizioni romane a Villa Medici, nel centro studi e a Palazzo Giustiniani non ha trovato nulla di importante. In mano non aveva nulla. Secondo te perché ha aperto un'inchiesta così clamorosa? Per fortuna con l'invio di tutto il materiale alla Commissione Sindona le possibilità di inquinamento sono nulle e questo è un punto positivo .

Già, la Commissione Sindona. Come e quando finirà i suoi lavori e che giudizio dai sul materiale fin qui raccolto?

»Per ora abbiamo sviluppato due capitoli, quello sui rapporti Banca d'Italia e Banco di Roma con Sindona e quello del finanziamento a uomini e partiti politici. La legge costitutiva della Commissione prevedeva che dopo nove mesi la Commissione presentasse una relazione al Parlamento, e la data di scadenza è il 31 giugno. Sarà però una relazione temporanea perché non sono stati affrontati i capitoli riguardanti la mafia, la massoneria, l'estradizione di Sindona, le proposte di sistemazione dello scandalo e il delitto Ambrosoli. E' certo che dopo il 31 giugno io proporrò il proseguimento dei lavori della Commissione anche perché fin qui è stato fatto un buon lavoro nonostante che, dei 40 commissari, siano quattro, massimo cinque quelli che si sono impegnati. Del resto basta pensare che la materia sulla quale indaga la Commissione è nota fin dal '75. In questo quinquennio perché tutto è stato lasciato in frigorifero?

Già, la Commissione Sindona, un crocevia dove incontriamo delitti, truffe per centinaia di miliardi, finanziamenti sporchi ai partiti, mafia, massoneria. Una serie di scatoloni tutti da scoperchiare.

Intervista a Massimo Teodori ("L'Espresso" del 6 aprile 1981)

Roma - Quando Filippo Micheli, segretario amministrativo della DC, allargando le braccia, ha detto ai commissari che indagano sullo scandalo Sindona che quei soldi del finanziere »servivano alla sopravvivenza del partito e che, in pratica, se non ci fossero stati, il sistema dei partiti sarebbe saltato, il primo a insorgere è stato Massimo Teodori, deputato radicale. Una giustificazione inaccettabile ha detto, per coprire gli sporchi affari della DC.

»Non mi pare , aggiunge Teodori, »che sia tanto importante che i miliardi dati da Sindona alla DC siano stati due, cinque o dieci. Quello che appare chiaro è che il partito di governo aveva stabilito un rapporto organico di richiesta di favori con piccole e grandi speculazioni borsistiche e finanziarie, con import export di capitali, con un "banchiere" già ampiamente noto negli Stati Uniti come il canalizzatore del denaro sporco della mafia. Il credito a Sindona lo dettero Forlani, segretario della DC quando furono costituite le società miste, Fanfani che chiese soldi e li ottenne, Colombo che da ministro del Tesoro coprì in Parlamento la montagna di illegalità e gli scandali già noti, e soprattutto Andreotti, amico e pubblico esaltatore dell'avvocato siciliano, e regista nell'ombra di tutti i tentativi di sostegno al bancarottiere .

Ma la DC si difende dicendo d'aver fatto operazioni legittime con un banchiere allora stimato anche dalla Banca d'Italia. »La Banca d'Italia , sostiene Teodori, »e quindi il ministro del Tesoro, conoscevano dal 1971 le gravi irregolarità commesse dalle banche sindoniane e tennero in vita questo sistema fraudolento per altri tre-quattro anni. Negli Stati Uniti le attività borsistiche di Sindona le due società e soprattutto la banca Franklin, erano sotto il mirino dell'inchiesta delle autorità monetarie borsistiche, anche per i rapporti sospetti con Cosa nostra. E la Banca d'Italia lo sapeva .

Articolo di Massimo Teodori apparso su "La Repubblica" in data 26.5.81

Molti s'interrogavano in questi giorni sul chi ha fatto scoppiare la vicenda P2 e perché. L'opinione pubblica, per l'inquinamento di questi anni, è indirizzata alla dietrologia e al "cui prodest". Le voci lievitano: Celli, agente legato ai Paesi dell'Est; il suo doppio gioco di repubblicano traditore... Sarebbe in atto una manovra destabilizzatrice provocata dallo stesso "maestro venerabile" che avrebbe fatto trovare le carte. Altri puntano il dito sui magistrati e sulle faide politiche che ne determinerebbero l'azione. Ancora ieri Forlani, a cui in piena Camera ho detto di vergognarsi per il comportamento reticente, tornò a parlare del »fumo intorno ai fatti che sono oggetto d'indagine perché questo può essere proprio l'interesse di chi ha mestato nel torbido .

Voglio qui testimoniare personalmente fatti ed elementi di verità per dimostrare che la strada per far luce sulla P2 è stata impervia, lunga e non senza ostacoli, e che il risultato non era assolutamente scontato.

Primo. Tutto nasce con l'affare Sindona. Che ci fossero relazioni fra il bancarottiere e la loggia era noto. Ma il lavoro di scavo si rimette in moto anche sotto l'impulso della Commissione parlamentare, e in concomitanza con il processo americano per la fuga in Sicilia (autunno 1979), a opera dei magistrati milanesi.

Questi scoprono che i rapporti fra Gelli e Sindona, fra Palermo e Arezzo, nel periodo della fuga sono intensissimi e passano per il mafioso e membro della P2 Joseph Miceli Crimi. Di qui ha origine la perquisizione di una serie di luoghi insospettabili nell'Aretino.

Si insinua che è strano che il furbissimo Gelli abbia potuto lasciare il materiale a portata di mano.

E se si fosse trattato, come è assai probabile, di una "soffiata" che ha permesso di bloccare del materiale in transito? Tutte le circostanze verbalizzate della perquisizione, comprese la modalità del blitz iniziato a destinazione ignota, depongono a favore del fattore sorpresa.

Secondo. Tutto il materiale sequestrato è stato trasmesso a Forlani il 23 marzo. Quale la ragione che ha fatto tener nascoste le carte per 2 mesi se non la speranza da parte del governo di preparare un'operazione di copertura? Fino a quel momento nulla poteva far pensare che una serie di azioni per la pubblicazione (è l'"incidente" della Commissione Sindona) avrebbero potuto sortire effetto. La inutile nomina dei tre saggi, che segue la pubblicazione delle prime voci, sta ancora a dimostrare la volontà di rinviare, coprire, insabbiare.

Terzo. Come membri (solo alcuni) della Sindona chiedemmo l'acquisizione del materiale sequestrato: le manovre e le resistenze sono state innumerevoli. Personalmente ho messo in atto ogni iniziativa possibile affinché tutto il materiale fosse acquisito in una sede parlamentare (cioè nell'unica possibile, la Commissione Sindona) al fine anche di stroncare le voci senza documenti, quelle sì pericolose e torbide.

Quarto. La Procura della Repubblica di Roma prende l'iniziativa di aprire un procedimento per "associazione a delinquere" senza avere nessun elemento in mano anche dopo le perquisizioni delle sedi massoniche romane. Perché si muove improvvisamente la Procura di Roma, certo non nota per la sua limpidezza e per l'autonomia dal potere politico? Nell'aria s'intravedono manovre di "avocazioni". Il governo è a questo punto ancora l'unico a essere a conoscenza del materiale.

Quinto. In Commissione Sindona la maggioranza decide di non richiedere esplicitamente tutto il materiale e viene quindi inviata una lettera generica ai magistrati milanesi. Personalmente rendo pubblica la mia posizione sulla necessità di usare la Commissione Sindona per assicurare a una sede istituzionale tutto il materiale, cosa che avrebbe impedito manovre di copertura e di insabbiamento. Il materiale arriva in commissione il 20 maggio. Si saprà poi che i magistrati milanesi hanno fatto la scelta corretta e positiva di inviare tutto il materiale riguardante nome e assetto della P2 proprio perché le connessioni con Sindona sono organiche e non solo relative a un episodio.

Sesto. In Commissione Sindona i plichi con il materiale scottante restano chiusi per una settimana nonostante le proteste di alcuni membri: nel frattempo passano i referendum. Nessuno ne conosce l'esatto contenuto. Il dibattito in aula della Camera (19 maggio) si svolge senza tener conto della proposta radicale di posporlo alla riunione della Commissione Sindona. Forlani tiene una linea generica, di rinvio e temporeggiamento. Evidentemente spera ancora di non scoperchiare il grumo di marcio o, almeno, di poter allungare i tempi.

Settimo. Il 20 maggio in Commissione Sindona altra battaglia contro chi ventila presunti segreti di Stato o tenta di limitare la conoscenza del materiale ai membri, restringendola al Presidente. Persiste la volontà di circoscrivere lo scandalo. Altrimenti come si spiegherebbe l'atteggiamento reticente di Forlani il giorno precedente alla Camera? Infine il 20 pomeriggio hanno la meglio coloro che da sempre chiedono la pubblicazione del materiale, dopo un'improvvisa conversione dei commissari democristiani, travolti dall'evidenza dei fatti. La Commissione decide di trasmettere il materiale al Parlamento. Colpo di scena finale: la sera del 20 maggio Forlani cambia rotta di 180 gradi; rinnegando tutti gli argomenti sostenuti in precedenza, distribuisce correttamente il materiale alla stampa. (Il segreto istruttorio invocato è argomento specioso perché fin dall'inizio non sussisteva per i nomi e perché poteva esser tolto, se lo si riteneva vincolante, in qualsiasi momento).

Questa testimonianza, necessariamente analitica, dimostra che probabilmente, senza un lungo e difficile impegno di alcuni, il bubbone P2 sarebbe potuto anche non scoppiare. Come il caso Sindona nel quale un solo uomo, l'avvocato Ambrosoli, si oppose per tre anni ai progetti di sistemazione inceppando un sistema di negoziati e quindi pagando di persona, anche il caso P2 probabilmente non sarebbe venuto allo scoperto senza l'azione di pochi uomini, dislocati in alcune istituzioni, che hanno agito per fare opera di pulizia e di chiarezza, rappresentando così una contraddizione del nostro regime impregnato di "ragion di Stato", "ragion di partito", "equilibri" e altre simili "ragioni" sempre superiori alla verità.

5. L'azione per il confronto Andreotti Guzzi

Il 25 novembre 1981, alla Commissione d'inchiesta veniva bloccata la possibilità di effettuare un confronto fra l'avvocato Rodolfo Guzzi e l'onorevole Giulio Andreotti, con una votazione finita alla pari. In seguito a quel voto, il commissario radicale rimetteva il suo mandato per provocare un ribaltamento della decisione. Ecco i documenti di quell'azione: a) lettera di Teodori al presidente De Martino; b) lettera aperta di Teodori ad Andreotti (apparsa integralmente in La Repubblica del 1 dicembre; c) lettera di De Martino a Teodori; d) lettera di Teodori a De Martino del 9/12/1981, e) opinione dopo il confronto Andreotti Guzzi, apparso in La Repubblica del 29 gennaio 1982.

26 novembre 1981

On. Francesco de Martino

Presidente

Commissione di indagine Sindona

Caro Presidente,

l'episodio accaduto ieri sera con l'ostinato e ingiustificato rifiuto da parte di alcuni membri della Commissione di passare al confronto fra l'on. Andreotti e l'avv. Guzzi, mi induce a prendere una grave decisione: rimettere nelle Sue mani la disponibilità del mandato di membro della Commissione di indagine.

Non c'è dubbio che numerose sono le circostanze contraddittorie risultanti agli atti della Commissione fra le ricostruzioni e le deposizioni rese dall'avv. Guzzi e la testimonianza dell'on. Andreotti. E' non c'è parimenti dubbio che per tutto quel che riguarda la vicenda sindoniana dal 1974 al 1980, in special modo nel rapporto fra sistema sindoniano ed esponenti politici, in atti indicati dalle testimonianze Guzzi nei riguardi dell'on. Andreotti rivestano un ruolo determinante nella ricerca della verità.

Senza la possibilità di effettuare il confronto Andreotti Guzzi si vanifica per la Commissione la facoltà di adempiere con completezza ai propri compiti istituzionali.

La Commissione fino a oggi, pur fra tanti ostacoli, ha assolto un ruolo importantissimo sia nelle istituzioni che per la pubblica opinione. La nostra Commissione ha rappresentato fino ad ora un esempio forse unico di indagine parlamentare i cui esiti non sono l'insabbiamento e l'oscuramento ma un processo per portare alla luce gravi vicende della vita nazionale.

Tutto ciò grazie anche allo stile e al prestigio della Sua Presidenza, che ha saputo guidare i lavori con grande senso di responsabilità.

La decisione non presa ieri di procedere al confronto rischia di vanificare tutto il comune patrimonio della Commissione, sia nella specifica vicenda Sindona, sia nell'aspetto esemplare per una Commissione di indagine.

Dovrebbe essere interesse innanzitutto dell'on. Andreotti e dei colleghi della sua parte politica proporre un confronto in cui sia possibile dissipare i molti dubbi e le molte ombre che risultano agli atti della Commissione per quanto riguarda le responsabilità politiche.

Per queste ragioni, dopo oltre un anno di intenso impegno in Commissione, non posso che mettere in atto un mezzo di protesta affidando alla Sua Presidenza la disponibilità del mio mandato di membro della Commissione al fine di evidenziare la gravità della decisione del rifiuto del confronto e per sollecitare innanzitutto Lei, e quindi tutta la Commissione, a voler prendere le necessarie decisioni affinché possano essere adempiuti senza omissioni i compiti istituzionali con la ricerca della verità.

Voglia gradire, signor Presidente, i miei più cordiali saluti.

Massimo Teodori

Lettera aperta a Giulio Andreotti

Signor presidente Andreotti,

Le indirizzo una pubblica lettera perché voglia Lei stesso chiedere volontariamente alla Commissione parlamentare di inchiesta sul caso Sindona di essere ascoltato in confronto con l'avv. Guzzi.

I risultati in commissione della votazione per il confronto si sono risolti in parità con sette voti a favore e sette contro. A opporsi al confronto sono stati esclusivamente i commissari della DC; a ritenerlo necessario gli altri sette presenti, con una massiccia assenza non solo dei rappresentanti degli altri gruppi e dei socialisti (4 su 4) ma anche dei comunisti (6 assenti su 10) che La sostennero nei governi di unità nazionale dal 1976 al 1979, donde sorge il dubbio che le assenze del PCI non siano state casuali e portino ancora il segno della riconoscenza di una vecchia "ragion di partito".

L'interrogatorio dell'avv. Guzzi costituisce il palinsesto della strategia giuridica e politica nonché criminale dell'azione di pressione dell'équipe sindoniana dal 1975 al 1980. Lei sa che dopo la sua audizione molte sono le contraddizioni che permangono fra la sua deposizione e le circostanze e i documenti forniti da Guzzi, e non solo da questi. Numerosi sono le ombre, i dubbi e gli interrogativi che restano nella valutazione di molti dei commissari e, quindi, nella opinione pubblica.

Lei viene chiamato ripetutamente in causa per i contatti diretti con l'ambiente sindoniano tenuti per cinque anni attraverso il defunto Fortunato Federici e poi con gli avvocati Guzzi e Agostino Cambino, nonché per i rapporti con Paul Rao Jr. e Philip Guarino definiti personaggi equivoci vicini alla mafia italo americana. Risultano documentati i rapporti incrociati o indiretti con Gelli, Ortolani, Memmo, Cenghini, Calvi, Belli e Magnoni, con gli esponenti di Democrazia Nazionale Delfino e Tedeschi e con il vertice del Banco di Roma: personaggi quasi tutti legati alla P2. Frequenti sono i riferimenti ai tanti memorandum sulla strategia di difesa e attacco sindoniani a lei consegnati, ai progetti di "sistemazione" delle malefatte finanziarie inclusi quelli riguardanti la Società Generale Immobiliare e poi agli interventi - si afferma per Suo conto - di Stammati e Evangelisti, nonché alle oscure vicende dell'estradizione trascinatasi senza esito dal 1974 al 1979. Insomma, dai tanti elementi agli atti, è ben fon

data l 'impressione che Lei sia stato il principale interlocutore del sistema sindoniano con tutte le responsabilità politiche che ne conseguono.

La mancanza del confronto con il principale testimone della vicenda, avvocato Guzzi, risulta quindi pregiudizievole per il completo accertamento della verità e quindi per l'espletamento degli stessi compiti istituzionali per cui la commissione è stata costituita. Perché, in virtù di una votazione di strettissima misura, Ella vuole dare l'impressione che ancora una volta il Palazzo cerca di difendersi di fronte a limpidi processi di chiarificazione? Perché vuole accreditare l'idea che verità e giustizia possano essere risolte a colpi di votazione nelle sedi politiche con gli uomini del proprio partito che pregiudizialmente ostacolano ciò che risulterebbe utile all'accertamento dei fatti? Perché vuole ulteriormente accreditare l'opinione che i politici usano tutti i mezzi per sottrarsi ai propri doveri? Perché vuole autorizzare a pensare che, non effettuandosi il confronto per l'atteggiamento negativo dei DC e di chi direttamente o indirettamente li avalla, le contraddizioni siano risolte nell'opinione comune

a suo danno?

Da più parti si invoca un Palazzo meno geloso dei propri vantaggi e immunità. Questa è una istanza scaturita anche dall'ultima assise del Suo partito, in cui, non sono state marginali le voci per un irrinunciabile processo di pulizia.

In questo momento Lei ha un'occasione unica per la Sua immagine di politico antico e autorevole e di rappresentante della classe dirigente del suo partito e del paese. Chieda spontaneamente alla commissione di poter disporre della sua testimonianza in tutti i confronti che si ritengono opportuni e necessari. Contro le logiche del Palazzo, di partito e di corrente, contro la crescente sfiducia nelle istituzioni, mettendosi a disposizione della commissione, non solo darà un contributo alla ricerca della verità, ma renderà un grande servizio alla democrazia.

Roma, 3 dicembre 1981

On. Massimo Teodori

Camera dei Deputati

Roma

Caro Teodori,

con la tua lettera del 26 novembre hai rimesso nelle mie mani il mandato di membro della Commissione, per sottolineare il tuo dissenso dal voto che non ha ammesso il confronto Andreotti Guzzi.

Ritengo utile per tutti che tu receda dalle dimissioni stesse e riprenda il tuo posto nella Commissione, continuando a dare ad essa il tuo contributo nel libero e democratico confronto con le opinioni di altri colleghi e gruppi politici.

Abbiamo importanti compiti nei prossimi mesi per giungere entro il termine previsto dalla legge alla conclusione dei lavori e vi è quindi bisogno dell'impegno di tutti.

Gradisci cordiali saluti.

Il Presidente della Commissione di Inchiesta sul caso Sindona

Francesco De Martino

Roma, 9.12.1981

On. Francesco De Martino

Presidente Commissione

d'inchiesta Sindona

e p.c. On. Nilde Jotti

Presidente della

Camera dei Deputi

Caro Presidente,

con la Tua lettera del 3 dicembre mi chiedi di recedere dalle dimissioni da membro della Commissione Sindona che ho dato rimettendo il mandato nelle Tue mani per sottolineare le difficoltà politiche insorte per la Commissione nell'adempiere i compiti istituzionali dopo il diniego del confronto Andreotti Guzzi.

Sono lieto di accettare il Tuo invito riprendendo oggi stesso il lavoro, in quanto si sono verificati fatti politici tali che consentono alla commissione tutta e a ciascuno dei suoi membri di poter andare avanti affrontando gli importanti compiti che ci sono di fronte secondo quanto dettato dalla legge istitutiva.

Fra questi fatti politici emersi nel corso della discussione dell'ultima seduta anche a seguito della mia lettera devo in particolare ricordare:

a) la convocazione di una serie di audizioni e confronti, in particolare degli uomini tra loro legati dal comune vincolo di appartenenza alla P2 e quindi facenti parte del sistema Sindona P2, che costituisce il centro delle indagini della nostra vicenda dal 1974 al 1980, nonché la imminente decisione di nuovi confronti e testimonianze;

b) la ribadita facoltà di interrogare i politici e procedere a eventuali ulteriori nuovi confronti in base alle risultanze istruttorie, e ciò a smentita del sospetto di uno speciale trattamento riservato ai politici, sospetto che il diniego del confronto Andreotti Guzzi aveva potuto far sorgere non solo nell'ambito della Commissione.

Nel frattempo mi auguro ancora che l'On. Andreotti, così frequentemente chiamato in causa dall'Avv. Guzzi, voglia spontaneamente presentarsi alla commissione per il confronto, come ho suggerito con una lettera aperta, proprio per non avallare l'impressione che il rifiuto di far chiarezza sulle contraddizioni agli atti si risolva automaticamente a suo danno.

Nel ringraziarTi, caro Presidente, dell'invito che mi hai rivolto, colgo l'occasione anche per esprimere il senso di conforto che ho avvertito per la solidarietà con il mio dissenso politico espresso da molti colleghi e da tutti i gruppi presenti in Commissione, a eccezione di quei rappresentanti della DC, che sono all'origine dell'ostruzionismo per il confronto Andreotti Guzzi.

Gradisci i miei migliori saluti.

Massimo Teodori

Andreotti e Sindona: un sistema di potere

Si è finalmente tenuto in Commissione Sindona il confronto fra l'avvocato Guzzi, "pivot" della strategia di difesa e di attacco del bancarottiere latitante in Usa dal 1974 al 1980, e l'onorevole Andreotti, principale interlocutore politico. Il confronto, ostacolato a lungo dai democristiani, anche se non ha sciolto contraddizioni di dettaglio, ha confermato l'accuratezza della ricostruzione del Guzzi, già rivelata al magistrato, sui rapporti con Andreotti, e ha ben dato il senso e la natura delle responsabilità politiche.

Ci sono state ben dieci riunioni e tre telefonate fra l'avvocato di Sindona e Andreotti dal luglio 1978 al maggio 1980, colloqui in parte ammessi in parte offuscati da discorsi vaghi da parte di Andreotti. E' stata confermata la funzione dell'ingegner Federici come ''portavoce" di Andreotti (cosi definito da Guzzi) nella vicenda e comunque come tramite fra l'allora presidente del Consiglio, Guzzi e Sindona in persona, nonché quale collegamento da una parte con il Banco di Roma e dall'altra con Gelli, Ortolani e Memmo.

Dal 1977 fino alla primavera 1979, quando convulsamente s'intensificano i contatti con il precipitare della situazione giudiziaria di Sindona anche negli Stati Uniti, vengono rimessi note lettere e memorandum al presidente del Consiglio, anche se questi afferma di averli solo in parte esaminati.

La sostanza della posizione di Andreotti non sta tuttavia nelle mezze ammissioni, nei discorsi vaghi e nelle marginali smentite. Si tratta, senza possibilità di equivoci, della sussistenza di un rapporto continuativo, organico, accettato come tale da parte di un presidente del Consiglio in carica, con un grande criminale finanziario, ricercato dalla giustizia, con questioni penali, amministrative e finanziarie aperte. Andreotti (che sia confermato o smentito questo o quel dettaglio poco importa) è non solo l'ammiratore e l'amico del banchiere di Patti quando questi era in auge, ma anche l'interlocutore del bancarottiere in fuga e della strenua difesa del suo impero di carta, intrecciato strettamente con lo IOR e alcune grandi banche italiane, oltre che con la finanza mafiosa siculo americana, dopo il crack del 1974 fino all'omicidio Ambrosoli del luglio '79.

Certo Andreotti si destreggia per oltre un quinquennio. Ascolta e parla poco, fa e non fa, o meglio fa fare ad altri (Stammati, Evangelisti, Federici, Barone...) più di quanto non agisca in proprio. Ma resta l'interrogativo di fondo: come è possibile che un capo del governo accetti, sia pure con la sua notevole capacità di prudenza, di contribuire a sistemazioni sindoniane indolori?

Gli anni tra il 1976 e il 1979 sono quelli dell'unità nazionale e contemporaneamente quelli della crescita della P2. Mentre in Parlamento si annulla qualsiasi controllo dell'opposizione e il PCI viene invischiato nella ragnatela andreottiana con l'eliminazione di ogni conflitto politico, il grande tessitore del compromesso come regola aurea della vita politica italiana si pone a baluardo di un sistema di potere che cresce dietro le quinte dell'unità nazionale. Altrimenti non si spiegherebbe l'ostinato (e imprudente) interessamento di Andreotti al salvataggio di Sindona se questi non fosse stato parte e non continuasse a essere parte del putrido sistema lievitato in quegli anni.

Sindona era strettamente intrecciato con la finanza cattolica; era e continuava a essere socio del Vaticano con l'IOR di Marcinkus, aveva fatto affari con Calvi che progressivamente ne assume l'eredità; era collegato, protetto e difeso fino al possibile dalla massoneria di Gelli; rappresentava un anello di collegamento con una certa finanza avventuristica americana. La P2 fra tutte le dimensioni che ha assunto, presenta anche quella d'essere cresciuta e sviluppata proprio intorno al ricatto che Sindona esercita nei confronti di quella classe politica italiana e di quei settori della pubblica amministrazione con i quali era stato in rapporto di reciproco sostegno prima del 1974.

I misfatti sindoniani sono stati portati alla luce dopo il 1979. Per l'azione coraggiosa della magistratura che ha ripreso vigore dalle iniziative parlamentari, e per la felice congiuntura di una Commissione parlamentare d'inchiesta, inizialmente proposta dai radicali, che ha lavorato a fondo pur tra mille difficoltà. Dai misfatti sindoniani in Parlamento è stato tirato fuori anche il fango della P2 quando nel maggio 1980 tramite la Commissione Sindona si decide di rendere pubblici gli elenchi gelliani.

Ora si può essere soddisfatti del lavoro di verità che è stato compiuto. Ma il Paese esige anche conseguenze politiche e penali adeguate affinché non si accresca il processo in corso di mitridatizzazione degli scandali. Se non vogliamo che gli uomini della P2, i percettori delle tangenti petrolifere, del traffico di armi, i lestofanti d'ogni risma, se la passino liscia attraverso queste bufere, occorre in primo luogo che si faccia il doveroso con i responsabili politici. La natura del rapporto Sindona Andreotti per un decennio appare ormai chiara: occorre che al più presto se ne traggano le conseguenze penali oltre che politiche, evitando qualsiasi credito di quella odiosa ''giustizia politica" che ammorba il Paese.

(La Repubblica 29/1/1982)

 
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