di Roberto CicciomessereSOMMARIO: Il nuovo "pensiero militare" è riuscito ad utilizzare le manifestazioni pacifiste degli ultimi due anni per sostenere il riarmo "convenzionale" dell'Europa. "Queste ultime manifestazioni di dissenso - afferma il capo di Stato Maggiore dell'esercito, gen. Cappuzzo - sono anche indice di un stato di disagio che la logica nucleare, nel suo immobilismo ormai più che trentennale, ha indotto nell'opinione pubblica mondiale". I 90.000 addetti all'industria bellica italiana, e i circa 200.000 militari di professione, anche semplicemente per difendere il loro posto di lavoro, devono garantire non solo il mantenimento, ma l'incremento costante del "fatturato" del complesso militare - industriale. Sta ai radicali di tentare di nutrire la volonta' di pace con concreti obiettivi che incidano sulle cause strutturali del militarismo: stretta connessione fra lotta per la sicurezza e lotta contro lo sterminio per fame; riduzione delle spese militari e conversione dell'industria bellica.
(NOTIZIE RADICALI N. 6, 28 maggio 1982)
Prendendo lo spunto dalla generica protesta antinucleare, Cappuzzo giunge perfino a mettere in discussione la famosa strategia della "risposta flessibile" e gli "anni dell'equilibrio del terrore che... si sono rivelati, a lungo termine, come anni di `impasse' senza prospettive". "Impasse, per la verità, impegnativa e costosa sotto il profilo delle risorse materiali, e ancor più nell'ambito concettuale; alla paralisi nucleare può fare riscontro, da un lato, una pericolosa forma di sclerosi intellettuale - intesa come rinuncia alla ricerca di vie d'uscita - dall'altro il logoramento morale delle pubbliche opinioni e delle organizzazioni militari".
Cappuzzo riprende integralmente le tesi di Robert Mc Namara, George Bundy, George Kennan e Gerard Smith che avevano auspicato la revisione dell'elemento centrale della dottrina militare della Nato, e cioè la volontà di usare per primi le armi nucleari tattiche per difendersi da una eventuale aggressione sovietica in Europa, proponendo una dichiarazione unilaterale di "no first use" dell'esplosivo atomico. La conseguenza obbligata di una nuova dottrina militare che preveda esclusivamente la marginalizzazione dell'arma nucleare - ferma restando l'equazione: equilibrio delle armi = sicurezza e pace - resiste allo spasmodico rafforzamento della componente militare convenzionale con la quale "far fronte" alla indiscutibile superiorità sovietica in questo settore.
L'assenza nel cosiddetto "movimento pacifista" sia di una chiara denuncia dell'equazione sull'equilibrio delle armi, sia dell'entità dei condizionamenti del complesso militare industriale sulle scelte strategiche, sia della preminenza del confronto nord-sud del mondo fra le diverse minacce alla sicurezza, consente e dilata queste pericolose evoluzioni del nuovo "pensiero militare"
IL BERSAGLIO E' IL TERZO MONDO
Non vorrei essere considerato un filonucleare: lo stesso Mc Namara ci avverte dei limiti della sua tesi, quando riconosce che "non c'è nessuno, da nessuna delle due parti, che potrebbe garantire con il massimo della sicurezza che nel caso di un conflitto convenzionale di vaste proporzioni, effettivamente non verrebbe fatto ricorso alle armi nucleari". Dal punto di vista strettamente strategico-militare quindi non si allontanerebbe il pericolo di un conflitto nucleare "limitato" con probabile "escalation" verso l'impiego delle armi strategiche. D'altro canto questa dottrina stimolerebbe, come abbiamo già visto, un processo irrefrenabile di riarmo convenzionale e la incentivazione di quelle spinte che ipotizzano il superamento dell'"impasse" neclauswitzianei (di cui ha parlato Cappuzzo) con la continuazione della politica attraverso guerre "limitate" che, come abbiamo visto nel caso delle Falkland e del Libano, sono praticabili nel sud del mondo. I paesi sottosviluppati, produttori di petrolio e di materie pri
me sono i soggetti candidati dal nuovo pensiero militare a subire quasi integralmente il costo umano della guerra.
La novità e la positività della proposta di Mc Namara risiede tutta nella procedura unilaterale prospettata. Si afferma infatti che, al di là del significato tecnico delle "tesi", iniziative unilaterali della Nato provocherebbero immense conseguenze in Urss e nei paesi "socialisti", mettendo in crisi quel "cemento" che garantisce la solidarietà dei cittadini con il regime e la sua politica di riarmo e di espansionismo militare: il complesso dell'accerchiamento militare da parte dei paesi "capitalistici".
Si afferma quindi la priorità delle considerazioni politiche su quelle tecnico-militari nell'analisi e nella prospettazione di procedure non fallimentari di disarmo. Purtroppo questo aspetto delle tesi dell'ex segretario alla difesa americano viene completamente rimosso dai militari; questi tentano di saldare l'esigenza di dare un "contentino" ai movimenti che si basano essenzialmente sulla paura emotiva dell'olocausto nucleare con quella di rafforzare, d'accordo con gli industriali della guerra, la componente convenzionale delle FF.AA. Tutto ciò nella prospettiva di poterla non solo "esibire" all'interno della strategia statica della deterrenza, ma anche possibilmente usare, naturalmente per difendere gli interessi vitali dell'occidente nel Sud del mondo.
INTERESSI INDUSTRIALI E OPERAI
Il motore di questa "rivoluzione" del pensiero militare europeo è costituito dagli interessi solidali degli industriali della guerra e di una larga fetta della classe operaia, condizionati assieme dall'esigenza di allargare la domanda interna e internazionale di sistemi d'arma convenzionale.
I 90.000 addetti all'industria bellica italiana, i circa 200.000 militari professionisti devono, anche semplicemente per difendere il loro posto di lavoro, garantire non solo il mantenimento ma in incremento costante del "fatturato" del complesso militare-industriale. Il fabbisogno monetario del programma di riarmo finalizzato da Lagorio ad assicurare un volume della domanda interna di armi adeguata alle dimensioni di questo complesso industriale è, a prezzi 1982, di circa 22.000 miliardi, mentre proiettato nel 1986 raggiunge la somma di circa 70.000 miliardi di lire. Difficilmente, nelle attuali condizioni politiche, il bilancio ordinario dello Stato potrà far fronte a queste cambiali. Solo eventi eccezionali capaci di sollecitare "l'orgoglio nazionale" potrebbero convincere gli italiani a stringere ulteriormente la cinghia.
Per trovare un esempio convincente dei meccanismi che potrebbero autorizzare un tale sforzo economico italiano dobbiamo rivolgerci alla Gran Bretagna che, nel giro di un mese, è riuscita a mobilitare risorse aggiuntive per circa tremila miliardi di lire e ipotecare i bilanci militari dei prossimi anni per cifre ancora superiori, grazie al consenso per la guerra di riconquista delle Falkland.
Il nuovo "pensiero militare" prepara un simile sbocco alle spinte militariste così solidamente ancorate ai bisogni di settori rilevanti del mondo del lavoro e della produzione. Il vecchio pensiero pacifista invece non è neppure in grado di percepire gli sbocchi perversi della sua generica azione politica così priva di obiettivi non strumentalizzabili dalle "colombe" della casta militare.
Sta quindi a noi tentare di nutrire la volontà di pace pur diffusa nel nostro paese con concreti obiettivi che incidano sulle cause strutturali del militarismo: stretta connessione fra lotta per la sicurezza e quella contro lo sterminio e sfruttamento degli abitanti del sud del mondo; riduzione delle spese militari e contestuale proposizione di piani di conversione dell'industria bellica.
Senza questi obiettivi il "movimento" risulterà non solo disarmato e impotente di fronte alla tendenza prevalente di dare voce ai cannoni per risolvere i conflitti internazionali, è facilmente strumentalizzabile da coloro che parlano di pace ogni giorno operano per il rafforzamento degli strumenti di guerra.