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Bandinelli Angiolo - 1 giugno 1982
Stato-Nazione e riti di sangue
di Angiolo Bandinelli

SOMMARIO. Lo Stato nazionale si afferma e si regge su "un rito di sangue", un rituale che interessa ugualmente i paesi democratici come la Germania hitleriana, "modello stilizzato ed emblematico dello Stato moderno". Il Milite Ignoto assolve a tale compito, con l'obiettivo di "rafforzare e motivare" il consenso delle masse contadine alla guerra della nazione. Il fascismo "replica" il rito con i miti della Rivoluzione, e infine la Resistenza inventa Via Rasella.

"Da quando il trono e l'altare si sono separati...il Politico ha avuto bisogno di ritualizzarsi e sacralizzarsi". Il problema investe lo Stato moderno in tutte le sue forme e lo costringe anche ad orrendi eccessi, sollecitando di volta in volta risposte come il processo di Norimberga o l'esecuzione dei "torturatori dell'Olocausto", anche quando costoro "appaiono essere figure inadeguate" rispetto al loro stesso delitto e al dramma che li investe. Inadeguato infatti appare essere Rosario Bentivegna, uno dei responsabili di Via Rasella, che tuttavia ha trascorso un'intera vita "impigliato nella rete delle accuse e dei processi".

(UNA "INUTILE STRAGE"?, Pironti Editore, 1982 - Ripubblicato in "IL RADICALE IMPUNITO - Diritti civili, Nonviolenza, Europa", Stampa Alternativa, 1990)

Lo Stato nazionale è in larga misura ancora un problema per la storia e la politica. E difficile trovare analisi soddisfacenti del suo nascere, del nascere di questo complicato fenomeno. La "nazione" che gli dà il nome e il corpo è prodotto culturale, che si sovrappone a processi di vario carattere, e li copre perfino malamente. Proprio in questi ultimi due decenni, attraverso il processo di formazione degli Stati nazionali nei territori già coloniali, ci avvediamo di questa artificiosità. Lo Stato-nazione, per lo più, si afferma sul massacro di nazioni etnicamente, culturalmente e linguisticamente molto ben individuate, sviluppate e percepibili; come quelle che, nell'affievolirsi della forma-Stato, affiorano di nuovo oggi in tutta Europa, attraverso movimenti e persino conati di rivolta. Lo Stato nazionale è un fatto esso stesso di colonialismo, nel quale il momento culturale è fortissimo, determinante.

Momento culturale del formarsi dello Stato-nazione è un rito di sangue. Schmitt ha ragione quando individua nel "sangue" rituale un cemento storico dello Stato-nazione, e non è affatto un reazionario quando riconosce nello Stato hitleriano un modello stilizzato ed emblematico dello Stato moderno in una sua essenza ineliminabile. Questo rituale del sangue ha bisogno di rinnovarsi periodicamente. In Italia c'è quindi Vittorio Veneto e c'è il Milite Ignoto; e c'è il suo equivalente in tutti i paesi d'Europa, quando in ciascuno di essi ci si rende conto che occorre rafforzare e motivare il consenso presso le immense masse contadine portate al macello di una guerra che esse non hanno capito e non hanno voluto, e nella quale sono state trascinate dalle moderne tecnologie del Progresso. Queste plebi hanno vissuto il massacro come cataclisma e maledizione: quando Papa Benedetto XIV definisce la Grande Guerra come una "inutile strage" può farlo con la forza che gli viene dalla secolare, intima esperienza della Chiesa

in fatto di sentimenti e di valori plebei e contadini. Per piegare la sorda resistenza di questi valori, che non accettano di essere sconvolti e massacrati in nome della Storia, occorre immergere ritualmente quelle plebi in un lavacro di sangue purificatore.

Il fascismo replica tale rito, coi suoi eroi e martiri assurti più o meno credibilmente nella simbologia nazionale. L'operazione riesce comunque bene perché il processo di sviluppo dello Stato è da noi appena iniziato. Così lo Stato fascista è il primo compiuto realizzarsi dello Stato-nazione Italiano. Tra Vittorio Veneto e la Rivoluzione fascista vi è continuità nella cesura: un risultato che, nel mondo dei riti, è possibile e neppure troppo raro. A sua volta Via Rasella, nel momento in cui apre al nuovo, ribadisce la piena continuità col vecchio, il vecchio Stato, di cui assorbe e perpetua i valori. O cerca di farlo; ma è lo stesso. Via Rasella fu dunque davvero un atto necessario, una "tragica necessità".

Il fatto politico chiede oggi una interpretazione simbolica, non si contenta di essere spiegato nell'ambito del razionale. Non si contenta di essere, insomma, "narrato" e giudicato. Da quando il trono e l'altare si sono separati, e l'investitura non è più per grazia di Dio, il Politico ha avuto bisogno di ritualizzarsi e di sacralizzarsi esso stesso nei suoi valori e processi. Storicità e rito coesistono. L'intellettuale laico, se non è stato coinvolto e non ha secondato, ha guardato con smarrimento e ha condannato; allora l'uomo politico lo ha respinto, e molto spesso lo ha liquidato con la violenza, per impedirgli di gridare la sua sgomenta protesta. La storia contemporanea è piena di questi assassini, nei quali però l'omicida può accampare, a propria difesa, i diritti della "Storia", la "dura necessità", quella stessa che oggi è invocata per giustificare Via Rasella. Mussolini assassino di Matteotti viene assassinato con le identiche sue giustificazioni etiche e politiche.

La follia è il lato oscuro della ragione, in questo teatro bifronte e ineluttabile della storia, ma è equamente divisa: Lussu ha descritto come un pazzo il generale che visita l'avamposto, ma chi non capisce le supreme ragioni dello Stato rappresentato da questo pazzo è egli stesso un pazzo, e sia fucilato; nelle retrovie del Piave o in un castello rococò di retrovia, come ci hanno raccontato Hemingway o Kubrick. Da questo groviglio, l'opposto scontrarsi del giudicare e del punire. L'etica non è mediabile: è sempre, comunque, rischio.

Lo Stato moderno è la Storia moderna. E per questo è impossibile giudicarlo e punirlo. Norimberga è un dramma di questo equivoco. Le stesse potenze, gli stessi poteri che impongono quel processo, pochi anni più tardi lasciano assassinare Dag Hammarskjoeld che si sforza di trarne conseguenze operative. E bagnata di sangue è la ricerca, ossessiva, da parte dello Stato ebraico, dei torturatori dell'Olocausto; i quali, quando vengono scovati e sono processati, appaiono essere figure del tutto inadeguate a sopportare la giustizia che li condanna in nome di ineccepibili e razionali logiche giuridiche e norme etiche. E poche cose sono penose a concepire quanto la vita di Rosario Bentivegna, da quaranta anni impigliato nella rete delle accuse e dei processi, delle ingenerosità e dei tormenti, delle carte bollate e delle giustificazioni a posteriori, nella ricerca capziosa del più insignificante scarto ermeneutico che consenta una più favorevole lettura e interpretazione del gesto che lo vide protagonista, e che cert

o venne compiuto nel più assoluto rigore delle scelte etiche personali. Per quanto possa sforzarsi, Bentivegna non riuscirà mai a fare chiarezza attorno al proprio gesto. Ma sarebbe ingeneroso chiedergliela, come si fa da destra, un settore culturale dove certi procedimenti e riti sono di casa e se ne conosce, strumentalmente, tutte le molle segrete.

 
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