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Bandinelli Angiolo - 1 giugno 1982
La storia, la si può solo narrare
di Angiolo Bandinelli

SOMMARIO. Secondo l'a. la storia rappresenta, sul suo palcoscenico, "ambiguità": "tutta la serie delle endiadi, delle contraddizioni e delle aporie sulle quali si affatica il farsi della storia e della società civile". Oggi la politica pretende ad una "autonomia" assunta a sinonimo di "assolutezza". Il rischio è che valori e fini (e dunque confronti e contraddizioni) cerchino di svincolarsi dall'accadere e a "irrigidirsi nella fissità del rito e del mito": siamo, qui, nello "spettacolo", nella pura e semplice "rappresentazione" della storia, non più nella storia...

Sempre, quando ciò è accaduto, la storia ha ceduto il posto al teatro, dove, appunto, il concreto dramma storico viene solo "rappresentato", fino allo scioglimento finale e alla catarsi. Questi, però, non possono sostituire la storia e il dramma autentico che in essa ha luogo. Compito, delicato, della narrazione storica è rendere questa effettualità dell'accadere, senza farne mito o rito.

(UNA "INUTILE STRAGE"?, Pironti editore, 1982 - Ripubblicato in "IL RADICALE IMPUNITO - Diritti civili, Nonviolenza, Europa", Stampa Alternativa, 1990)

Sul proscenio della storia l'ambiguità è di casa. Qui l'uomo ha da sempre collocato, a fronteggiarsi, il bene e il male, il vero e l'utile, il rigoroso dovere (o l'assoluto della purezza) e l'esigenza della moralità, il machiavello e l'autentico, la necessità storica e le pretese della libertà; tutta la serie delle endiadi, delle contraddizioni ed aporie sulle quali si affatica il farsi della storia e della società civile.

Quando si parla, oggi, di autonomia del politico, si intende parlare di questo accadere sul proscenio della storia come di una recita per la quale sono poste regole e leggi altre da quelle che vigono nel quotidiano. L'autonomia è assunta a sinonimo di assolutezza. Ora, è vero che l'autonomia del politico, della storia, è il "luogo" dove accadono e si intrecciano gli unici avvenimenti portatori di valori e di fini universali; e che in nessun altro "luogo" valori e fini si pongono e si svolgono. Ma il rischio è che valori e fini cerchino di svincolarsi dal farsi e dall'accadere (o, all'opposto, questi da quelli, per irrigidirsi nella fissità del rito e del mito. In questo caso l'accadere cede il posto allo spettacolo, cioè alla rappresentazione della storia; che a differenza della storia degli accadimenti veri può ripetersi, essere ripetuta, quindi "giocata" e resa inoffensiva; quindi in qualche modo fatta accessibile, rispetto alla drammaticità unica e irripetibile dell'accadere storico. Se della storia, dell

a politica, può essere fatta solo narrazione, quando la narrazione non è più sufficiente si ritorna - si è ritornati - allo spettacolo, al teatro, come modellistica dei valori che consenta di riprodurli in maniera conclusiva e probante, fino alla catarsi che spiega e purifica. Nel teatro - nello spettacolo - lo svolgimento dei conflitti etici giunge ad una risoluzione. Laddove la scienza non riesce ad arrivare se non per frazioni e settori, vanamente anelanti a una pretesa di totalità (nell'ovvia impossibilità di fare ricorso ad un metalinguaggio che consenta di accertare "scientificamente" il totale dell'accadere) il teatro riesce a organizzare simboli adeguatamente esplicativi. Solo che si tratta di simboli, di riti e - come ci hanno insegnato i greci presso la cui rivoluzionaria cultura nascono, assieme, la politica, la storiografia e il teatro - di miti.

Nella storia, dunque, gli avvenimenti possono essere solo narrati; la possibilità che ha l'uomo di comprenderli è solo nella capacità che ha di narrarli, raccontarli e, nel raccontarli, di giudicarli, cioè riempirli della sua moralità. Ma gli è impossibile spiegarli, collocarli entro schemi semplificatori. Qui c'è in agguato, appunto, il mito, il rito.

 
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