di Angiolo BandinelliSOMMARIO. Attraverso la morte di Aldo Moro, le Brigate Rosse hanno tentato di destabilizzare l'edificio statuale: parallelamente, le forze politiche del partito della "fermezza" hanno fatto in modo di "sollevare la nuova vittima sacrificale a insperato fondamento e simbolo di una ritrovata unità nazionale...capace di ridare forza ad una gestione del Politico screditata e...agonizzante". Ma nelle lettere di Moro sentiamo il "rifiuto di una sentenza cui lui, l'uomo del Palazzo, non riconosceva fondamento di credibilità". Moro si rendeva conto della "insostenibilità delle pretese dello Stato etico" e respinse la tesi "del fine che giustifica il mezzo".
(UNA "INUTILE STRAGE"?, Pironti editore, 1982 - Ripubblicato in "IL RADICALE IMPUNITO - Diritti civili, Nonviolenza, Europa", Stampa Alternativa, 1990)
Se è vero che le Brigate Rosse hanno cercato, attraverso la morte di Aldo Moro, di destabilizzare (morte contro morte) l'edificio statuale, come non vedere nella filigrana dei gesti e delle mosse compiute in quei cinquantacinque giorni dalle forze politiche strettesi nel partito detto della "fermezza" - o magari soprattutto nei loro silenzi, nelle loro inerzie ed omissioni - il calcolo di sollevare la nuova vittima sacrificale a insperato fondamento e simbolo di una ritrovata "unità" nazionale, di un patto di consenso capace di ridare forza ad una gestione del Politico screditata e da tutti data per agonizzante? In uno scambio insospettabile, da diverse sponde, furono molti coloro che intesero offrire ia morte di Moro, come una "tragica necessità", alla Storia o al calcolo eretto sulla Storia.
E, d'altra parte, come non scorgere, nei suoi tentativi sempre più lucidamente incalzanti per salvarsi, nel dialogo da lui disperatamente chiesto alle forze politiche e ai suoi rapitori, agli uomini "forti" della vicenda, proprio la accorata consapevolezza - in Aldo Moro - di questo inganno, della morsa che attorno a lui e alla sua vita si stava ineluttabilmente stringendo? E quindi il rifiuto di una sentenza alla quale proprio lui, l'uomo del Potere e del Palazzo, non riconosceva alcun fondamento di credibilità e di validità. Moro - e non solo da cattolico - si rese conto forse in quei momenti della insostenibilità delle pretese dello Stato forte, dello Stato etico, ad arrogarsi un diritto di vita e di morte in ragione dei propri fini. Moro respinse la tesi del fine che giustifica il mezzo, perché sapeva che nelle condizioni storiche moderne lo Stato non può più sostenere quel ruolo - essere quel "fine" - che forze pur grandi e progressiste gli assegnarono per farne una tappa necessaria nel cammino di libe
razione dell'uomo.
Così il cattolico Moro, che riprende il vecchio e disprezzato grido dell"'inutile strage", ci riporta su uno spartiacque che si fa ogni giorno più attuale ed urgente. Il ritorno dei nazionalismi, le chiusure degli Stati e delle forze politiche (persino di quelle più legate ad antiche speranze internazionaliste) nei loro nuovi nazionalsocialismi, lo squillare trionfante delle trombe della guerra che magari torna, tutto ciò chiede ormai qualcosa di più che la denuncia o il rifiuto.