di Giovanni NegriSOMMARIO: La cronaca della battaglia parlamentare per l'approvazione della legge dei sindaci contro lo sterminio per fame nel mondo.
(NOTIZIE RADICALI n. 8, 15 giugno 1982)
3 agosto, ore 10.20 della mattina. Con un comunicato stampa di poche righe il gruppo parlamentare radicale "chiude" una stagione.
Chiude? Vediamo un po': "Le proposte del governo contro lo sterminio per fame, sulla legge dei sindaci che chiede tre milioni di vivi, è la seguente: non una sola lira di danaro fresco per quest'anno (solo una partita di giro di 300 miliardi con gli altri fondi per lo sviluppo) e cifre irrisorie per il prossimo anno... Lo sdegno per questa provocazione dell'inintelligenza e dell'ottusità è tale che, subito, il PCI e il PDUP hanno dichiarato di non ritenere che esistano più le condizioni per il passaggio in sede legislativa... mentre il PSDI ha dissociato la sua posizione da quella del governo, preannunciando un voto contrario. La responsabilità di questa situazione va fatta risalire anche a quanti si erano illusi che questa fosse altro che una battaglia ideale e politica, cioè una delle solite avventure di regime".)
La risposta che il governo ha deciso di dare è quella di un governo ormai doppiamente incastrato. Incastrato dalla sua politica interna, perché i nodi tosto o tardi vengono al pettine: una manovra economica che ricorda Quintino Sella deve coprire le menzogne di mesi sul disavanzo pubblico, il "polo laico" mostra visibili segni di logoramento e frantumazione, la strategia socialista ha giocato in modo esasperato tutte le sue carte e deve ora affrontare quei momenti della verità che, per quanto si sia padroni della Rai, si presentano puntuali all'appuntamento di ogni politico. Incastrato poi dal tema specifico: da questa "lotta allo sterminio per fame" così noiosa, così ossessionante, così "poco sentita", così falsa nel suo raccogliere centinaia di firme "manipolate", così suicida politicamente per chi ha scelto di farne il proprio tema politico portante, così talmente "brutta", insomma, che ha sfondato, ha spaccato.
Ha spaccato il Parlamento, dove il grado di coscienza e di determinazione di moltissimi deputati si mostra sin dal mese di giugno sensibilmente cresciuto. Ha spaccato la Rai-Tv e i giornali, dove nelle redazioni si giocano confronti anche durissimi e dal mese di luglio gli affamati fanno bene o male capolino in prima o seconda pagina.
Ha spaccato i partiti, dove i Gerardo Bianco e gli Emilio Colombo debbono scoprirsi e fare i conti con diverse linee e disponibilità espresse dalla segreteria del partito o dal presidente del Senato; o dove il PSI rivela il suo carattere ormai preoccupantemente leninista, trasformandosi in 48 ore da partito disponibile (visti i titoli del suo giornale e le dichiarazioni di vicesegretari e capogruppo) a partito killer della proposta di legge dei sindaci ("Oltre a firmare ora dovranno staccare assegni"). La lotta allo sterminio è entrata per la porta di servizio del governo attraverso dieci dichiarazioni di altrettanti ministri. E' - come non mai - penetrata nel mondo cattolico. Le parole del Papa lasciano interdetto il mondo politico (molti di noi inclusi) per la loro strabiliante nettezza e fermezza, per il modo e il tempo nei quali sono state pronunciate.
E' in questo quadro che una classe politica dirigente (cresciuta molto male alla scuola della politica-spettacolo, che giura a Ottawa sulla sua leadership nella lotta contro la fame per rafforzare un'immagine dell'Italia ben presto esauritasi in commemorazioni garibaldine e nella stazza del presidente del consiglio avvolta nel tricolore del Mundial) viene obbligata a rispondere.
Anche molto al di fuori del Palazzo appare ormai chiarissima l'alternativa: nuova volontà politica e conseguenti atti per la "salvezza" di esseri umani o vecchie "buone parole" per meglio continuare a far da spettatori dinnanzi a milioni di uomini ammazzati come mosche. La risposta si fa tardare fra rinvii imbarazzati, promesse ai radicali di 3.000 miliardi, sottosegretari partiti da Palazzo Ghigi e mai arrivati a Montecitorio, dissensi nella maggioranza (ma come, persino la direzione socialista non aveva detto 3.000 miliardi di qui alla fine della legislatura?). Poi finalmente giunge, in tutta la sua plastica bellezza: espressione pura non dei consumati quarantennali gestori del potere, ma forma compiuta della miseria umana e politica di questi "novi" laici al potere.
No all'alto commissariato, quindi ad una struttura autonoma che - unica - può gestire un grande intervento di questo genere. No all'indicazione del numero di minacciati dalla morte ai quali garantire possibilità di vivere, il solo parametro serio per misurare nei fatti la reale volontà politica. Non all'indicazione dei tempi entro i quali realizzare gli interventi. Uno stanziamento, senza alcun "denaro fresco", che fa arrossire di vergogna i deputati della maggioranza (devoluto peraltro al famoso dipartimento per la cooperazione e lo sviluppo, dichiarato fallimentare dalla stessa direzione socialista e autoproclamatosi incapace di spendere nuovi quattrini). Ricostruire quelle ore è tecnicamente difficile, come la moviola di ogni spezzone di film comico. I radicali chiedono che il ministero degli Esteri si presenti in aula a render conto dell'operato e a rispondere degli impegni che aveva assunto in decine di sedi nazionali e internazionali. Palazzo Chigi non fa a tempo a "rammaricarsi" per l'asprezza dei ton
i, garantendo una sollecita risposta, che il Financial Times di Londra pubblica la notizia della fornitura italiana di armi alla Somalia. Si assiste al doloroso inseguimento del ministro Andreatta, trattenuto per la giacchetta da un implorante e supplichevole relatore della legge, l'onorevole Bonalumi.
L'onorevole Garavaglia invece si sta già arrampicando sugli specchi per conto dell'"Avvenire" con tre tesi di fondo: i radicali dicono di lottare per la vita ma sono i veri abortisti; siamo noi i veri interpreti della parola del Papa; la fame è un problema strutturale e bisogna stare attenti a come si interviene nei paesi del quarto mondo, perché la demagogia radicale altro non riproporrebbe che il vecchio taglio coloniale, quello del non rispetto delle identità popolari dei paesi sottosviluppati. Accanto al suo articolo ne compare un altro del più avvertito Nanetti, che in sintesi (prese le debite centinaia di chilometri di distanza dai radicali) lancia un monito di questo tenore: "Attenzione, anche rispetto alla pubblica opinione è stato posto il problema del salvare delle vite umane. E' su questo terreno che ormai ci si misura". Dopo il primo comunicato nel pomeriggio del 3 agosto il gruppo parlamentare radicale in sostanza prende atto che il governo ha spazzato via un equivoco, liquidando il minimalismo
dei cosiddetti "esperti" e dei loro comprimari, ai quali i partiti di maggioranza (colti di sorpresa dall'attualità di un tema che avevano voluto accantonare definitivamente) si erano affidati visto lo stato di necessità: "Sulla legge contro lo sterminio per fame la maggioranza è in evidente difficoltà. La così detta "bozza Bonalumi" ha voluto opporre alla legge dei Sindaci una proposta "sensata" che si facesse carico di una correzione di fondo dell'attuale politica dello sviluppo. La maggioranza l'ha esaltata in contrapposizione alla linea radicale. Ora il governo l'ha derisa dimostrando apertamente, con le sue indicazioni, di preferire l'attuale gestione della politica per lo sviluppo. Non solo, di conseguenza, i socialdemocratici, la cui posizione in favore della legge dei Sindaci era nota, hanno notificato senza reticenze il loro aperto disappunto di fronte alla comunicazione del Governo, ma lo hanno notificato anche, esplicitamente e ufficialmente, i socialisti, mentre gli stessi democristiani e i repub
blicani non hanno potuto fare a meno di invitare il Governo ad un ripensamento".
Niente commissione legislativa, dunque, e arrivederci a settembre per il confronto decisivo. Ognuno alle sue occupazioni. I radicali a moltiplicare le adesioni per una grande e nuova decisione politica, al di fuori della quale c'è solo omissione, c'è solo complicità. I sindaci, a centinaia insieme agli intellettuali con un nuovo e fermo appello, certi di interpretare l'opinione pubblica ("plagiati" anche questa volta?). Craxi al safari anti-sindaco (con sgridate telefoniche personalizzate a quelli socialisti), all'attacco delle "demagogie esibizionistiche" (sembra l'Unità dell'epoca dell'ammucchiata) e ad indicare che la zona degli interventi deve essere comunque l'Ogaden (così come su altra materia a Labriola, su questa bisogna pure pagare uno scotto a Lagorio). Il governo ridotto a chiedere in Tv, per bocca del sottosegretario Costa: "Ma i Nobel... i Nobel li tirano fuori i loro soldi?". Il presidente del consiglio a inserire la fame come decimo punto del governo del paese, che come tutti avranno notato è
nuovo di zecca grazie alla poderosa iniziativa agostana del PSI. La televisione obbligata, poverina, a mostrarci l'abbronzato Colombo in Angola a dirci che una fondamentale iniziativa italiana salverà dalla fame molti disgraziati del Sahel con un favoloso stanziamento di 700 miliardi in 6 anni.
Lo scontro sulla fame è intatto, nell'integrità delle reciproche chiarezze teoriche, nella completezza dei suoi schieramenti, nella sua sempre maggiore attualità e pertinenza e forza. Nell'opinione pubblica incomincia a filtrare la convinzione che se un qualsiasi partito della Repubblica avesse "dato" ciò che abbiamo dato noi per questa battaglia, i salvati dalla fame già sarebbero centinaia di migliaia. Abbiamo il pregio di chiamarci radicali, e il dovere di rialzare al più presto tutte le nostre bandiere (questa e altre) dinnanzi ad una classe politica dirigente della quale siamo gli unici seri antagonisti.
Pannella dice che costoro sono dei curiosi Re Mida e riescono a ridurre in merda tutto quello che toccano. Viene da chiedersi cosa non abbiano ancora toccato, ma sarebbe idiota scoraggiarsi. Il paese è una grande miniera di pulizia, tocca a noi scavare in fretta.