di Sebastiano TimpanaroSOMMARIO: Nel corso del 21· Congresso del Partito radicale del 1979 (29, 30, 31 marzo e 1, 2 aprile 1979 - Roma) Marco Pannella riprese uno degli argomenti da tempo messi nel mirino della polemica radicale con la sinistra italiana e in particolare col PCI, il tema di Via Rasella, il significato storico dell'episodio resistenziale, le sue connessioni, soprattutto, col terrorismo contemporaneo. Poco meno di un anno prima, la vicenda Moro aveva lacerato la sinistra, collocando il PCI nell'area della »fermezza mentre il PR (e, con altri accenti e sfumature, il PSI) sceglieva una linea di apertura di »dialogo che consentisse di esperire ogni via utile al salvataggio dello statista; rinunciando pregiudizialmente, comunque, ad ogni atteggiamento di omaggio verso uno Stato che venisse ipocritamente a proclamare le proprie intangibili prerogative proprio nel momento in cui più palesi e dolorosi erano i segni della sua impotenza e della sua crisi morale, politica e storica. Come non rilevare, in questo contesto di d
iscussione, che proprio all'inizio della recente storia comunista, oltreché partigiana e antifascista, si collocava in posizione persino centrale l'episodio di Via Rasella, l'attentato di quel lontano marzo 1944, quando un manipolo di partigiani, facendo saltare una carica di esplosivo nel cuore della vecchia Roma allora occupata dai tedeschi, falcidiava una colonna di SS altoatesine in una trappola micidiale? L'attentato - è noto - scatenava la rappresaglia dei tedeschi, che si abbatté su 335 detenuti di Regina Coeli, politici e comuni, massacrati a raffiche di mitragliatrice nel buio di certe cave di pozzolana abbandonate, lungo la allora campestre Via Ardeatina. L'episodio era, o no, un atto di terrorismo, di violenza, inevitabilmente »matrice del terrorismo e della violenza dilagante di nuovo, quaranta anni dopo, nel Paese?
Pannella fu inequivocabile. Se il terrorismo va denunciato e colpito, insieme al terrorismo di oggi dobbiamo denunciare, come corresponsabile, l'intera storia della violenza di »sinistra . Se Curcio è colpevole, l'azione di Via Rasella configura anche essa una forma, da condannare, di violenza omicida.
»Se barbari e assassini sono i ragazzi dell'azione cattolica - ammoniva Pannella - Curcio che, sulla base dell'iconografia dei S. Gabriele e S. Michele, con il piede schiaccia il demonio e diventa giustiziere contro il drago capitalista (...) allora anche Carla Capponi, la nostra Carla, medaglia d'oro della Resistenza per averla messa a Via Rasella, con Antonello, con Amendola e di altri debbono ricordare quella bomba. Dobbiamo dire che se abbiamo un rapporto di »intimità con la storia fascista, abbiamo (...) lo stesso rapporto con i torturatori peggiori, con i miei compagni Togliatti e Curdo... . La reazione comunista alla polemica fu rabbiosa. »L'Unità , il giorno dopo, titolava il resoconto dall'Università: »La linea Pannella: il PCI è il nemico, Curcio un fratello . La strategia radicale veniva definita globalmente »anticomunista . Preceduto da questo resoconto, quella stessa mattina - 1· aprile Pannella si recava al congresso del PCI. L'indignazione e la rabbia dei congressisti comunisti esplodeva, sca
tenata anche da durissimi attacchi di Amendola e Lama. »Il discorso fascista di Pannella è un'ignominia, qui ci sono le medaglie d'oro di Via Rasella era l'invettiva di Amendola; per Lama, »il partito delle brigate Matteotti, di Sandro Pertini e di Riccardo Lombardi non può confondersi con quello di Pannella . La platea fischiava a lungo il leader radicale apparso in sala vestito di scuro e con il loden blu sulle spalle, quasi un »vampiro o un »Nosferatu , come riportava, tra ostile, sbalordita e ironica, la stampa del giorno dopo.
In questo libro sono stati raccolte, oltre alle trascrizioni dei due interventi congressuali di Marco Pannella, le opinioni di coloro che intervennero nel dibattito su Via Rasella, la violenza e il terrorismo.
("UNA »INUTILE STRAGE ?" - Da via Rasella alle Fosse Ardeatine - a cura di Angiolo Bandinelli e Valter Vecellio - Tullio Pironti Editore, 1982, Napoli)
Invece sì, la violenza è liberatrice
di Sebastiano Timpanaro
Cari compagni,
sono davvero mortificato di aver lasciato arrivare la fine di settembre senza avere risposto alla vostra lettera così cordiale e senza avervi mandato in tempo utile l'intervento sulla violenza che mi chiedete che anche la cara amica Laura Fossetti mi aveva chiesto.
D'altra parte ho avuto timore di ripetere cose che altri avevano già detto e comunque cose che in altre occasioni già molti hanno detto. Io credo che, se si vuole e si può arrivare a un mondo senza oppressi e senza oppressori, la violenza sia inevitabile perché, anche se tu non la vuoi e fai di tutto per seguire una via pacifica, sono gli oppressori che, quando si vedono davvero minacciati nei loro privilegi, scatenato la violenza contro di te; e allora devi essere preparato a non farti schiacciare a non fare la fine di Allende. Comprendo bene che la »violenza liberatrice si trasforma con la massima facilità in violenza oppressiva: finora è accaduto così in tutte le rivoluzioni. Ma si può, per evitare il rischio di nuovi oppressori, tenersi i vecchi? Non credo. Credo piuttosto che si debbano evitare le »rivoluzioni di minoranza : l'unico modo di premunirsi contro il formarsi di una nuova classe o casta oppressiva è che la rivoluzione sia fatta dalla grande maggioranza, dalla quasi totalità degli oppressi, e
che poi subito gli oppressi non deleghino il potere ad alcuni, rivendichino il diritto di governare in prima persona, senza conferire deleghe o conferendo deleghe il più possibile temporanee, revocabili ad ogni istante, controllate continuamente dalla base. Ma, anche a svilupparle meglio che in questo breve accenno, non mi sembrano idee peregrine; e, ripeto, sono stato trattenuto dal timore di consumare inutilmente spazio della vostra rivista mentre altri potranno dire di più e meglio. Scusatemi, e un saluto cordiale.
("QR n. 10")