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Bandinelli Angiolo - 30 giugno 1982
L'unica alternativa possibile
Sono ancora vive le autentiche ragioni della nascita del Partito Radicale?

di Angiolo Bandinelli

SOMMARIO: Far deperire le radici dello Stato ereditato dal fascismo; far deperire il "Potere" che si arrocca in questo Stato assistenziale, autoalimentandosi delle proprie prerogative, e che fa, così, terra bruciata di ogni altro intorno a sé: in primo luogo delle speranze e della vita della gente, cioè dello Stato dei cittadini. Oggi, mentre i partiti, nel vuoto dei loro valori, pretendono di essere "tutto", di occupare tutto lo spazio possibile che perdono nella loro interiorità, noi continuiamo ad essere "parte", valore altro, speranza, non disperazione.

(NOTIZIE RADICALI N. 9, 30 giugno 1982)

Il voto che ha provvisoriamente concluso in Parlamento, poche settimane fa, la battaglia iniziata l'estate scorsa con il lancio del "Manifesto" dei Nobel ha messo in chiaro molte cose. Ma una ci pare di assoluto rilievo, nella sua insperata evidenza. E' impossibile oggi - cioè proprio dopo quel voto che avrebbe dovuto segnarne la sconfitta irreparabile e l'affossamento inevitabile - accantonare e riporre nel cassetto, tra le occasioni perdute, la lotta contro lo sterminio. Questa campagna, questa battaglia è stata solo un punto di partenza. Proprio durante il lungo decorso di quest'anno se ne è acquisita la certezza: il congresso di novembre è stato fondamentale. La lotta contro l'olocausto si impone oggi ancora, con sconvolgente attualità politica, come il cardine di ogni serio confronto con il regime.

Non c'è persona con un minimo di consapevolezza e di informazione che non avverta - come fatto positivo o negativo, non importa - la irriducibilità della lotta contro lo sterminio ad alcuno dei parametri che fanno connotare, nelle sue orrende fattezze, il regime dei partiti, il cerchio della violenza. Questa consapevolezza, questa certezza, diffusa, accettata o respinta, persino irritante, è il più grande patrimonio che il Partito Radicale abbia consegnato al paese, e sarebbe follia disperderlo o farlo deperire: anche solo col sospetto che lo si voglia accantonare, episodio tra gli episodi, relegato alla propria storia, alla cronaca degli accadimenti di quest'anno. Non possiamo permetterci questa degradazione. Sarebbe un errore, un errore politico prima ancora che un delitto.

Con la campagna contro lo sterminio abbiamo quest'anno cominciato ad individuare e fare emergere nel paese la "parte" alternativa, che è venuta prendendo posizione su un impegno di assoluto rigore morale che oggi rivela anche tutta la sua valenza politica. Non fu una trovata giornalistica il titolo con il quale  "Notizie Radicali" pubblicava, l'estate scorsa, il documento dei Nobel: "Un Manifesto per gli anni '80". Quel Manifesto tracciava una linea ideale e di iniziativa profonda, che separava il regime e la "parte" sua antagonista nel governo delle cose, del paese. Oggi c'è solo un compito da assolvere: quello di fare sì che questa "parte" alternativa divenga in modo adeguato la protagonista dello scontro politico, con tutta la forza del proprio rigore. Non dimentichiamolo: è ancora aperto a irrisolto quello che è stato il tema giustificativo della nascita, il filo conduttore delle ventennali iniziative del Partito Radicale: far deperire le radici dello "Stato" ereditato dal fascismo, far deperire il "Po

tere" che si arrocca in questo Stato assistenziale, si autoalimenta delle proprie prerogative e in questa pretesa fa attorno a sé terra bruciata d'ogni altro: in primo luogo delle speranze e della vita della gente, cioè dello Stato dei cittadini. Se questa continuità si interrompe, si ha la fine del Partito Radicale, quale che sia la fetta di "presenza" politica che si sarà costituita.

Ciò che fa dei partiti di oggi strumenti di mero potere, vuoti di valori, è la loro incapacità di farsi "parte". Essi pretendono di essere "tutto" e di occupare "tutto", tutto lo spazio possibile della città. In questa corsa al potere essi di puntellano e di legittimano l'uno con l'altro, ben sapendo che la caduta di uno comporterebbe la caduta dell'intero sistema. Ciò che abbiamo cercato di fare, anche quest'anno con lo scontro sulla fame nel mondo, è stato di aver reso invece percepibile, ancora una volta, la presenza di una "parte" che vuole porsi come tale, valore altro, non assimilabile al sistema. Speranza contro disperazione, vita contro morte.

Il regime, i partiti hanno avuto paura della nostra campagna. Non hanno difeso i tremila miliardi, hanno difeso se stessi, la loro concessione del potere e della società. Per questo, alla stretta finale, hanno calpestato l'ultimo residuo di ipocrisia; mostrando nella sua orridezza il loro volto cinico e mortifero. Tutti i partiti, ma in primo luogo quelli che nei mesi precedenti si erano più dati da fare nell'assalto e nella presunta conquista, nell'occupazione dello "spazio" radicale, di ogni pur minimo frammento di quella "società radicale" che essi ritenevano fosse l'unico retaggio importante, l'unico valore spendibile, delle battaglie e dei successi radicali. Questi partiti sono stati talmente cinici da aver fatto strame della "società radicale", della società del cambiamento, riducendo anch'essa ai parametri delle loro esigenze. Né un Nicolini è stato sufficiente a giustificare e rendere credibili, non strumentali, i valori sbandierati, né questi partiti sono stati infine in grado di tenere in vita quan

to di vero e di creativo c'era, con un suo innegabile rigoglio, anche nel vitalismo dell'effimero nicoliniano. Essi hanno avuto paura persino dell'ipotesi che il gioioso scoppio di laicità e di disponibilità nicoliniana potesse divenire credibile, come bene autentico di tutti e non come loro possesso ed elargizione.

I partiti della politica dello spettacolo hanno impedito che la società pretendesse, come era giusto, di porre se stessa e i suoi valori, quale spettacolo della verità, del mutamento, della vita. Essi hanno ucciso lo spettacolo come fonte della politica, per imporre la loro "politika" come spettacolo: l'orrido, il macabro. Di fronte all'orrido e al macabro, bisogna che la parte antagonista si faccia protagonista, sulla ribalta di quella politica dove solo si verifica l'eticità di ogni scelta.

Lunga è ormai la tradizione radicale di iniziative e di lotte. Alcune di esse appaiono ormai appannate, sbiadite, consegnate alla memoria storica; altre pretendono invece di poter accampare diritti sul presente e sul domani. Pannella ha detto che il partito non può lasciar cadere alcun frammento della sua memoria storica. Altri, invece prestano ogni attenzione e cura per mantenere, per coagulare in struttura e forma-partito il perimetro della attuale presenza, di patrimonio delle lotte militanti, la droga, le lotte referendarie o altre più o meno storicamente vicine.

No, il partito non ha bisogno di musei, ma neppure arroccarsi nel sindacalismo di se stesso e del passato. Il solo perimetro valido, per un partito che ha gli obiettivi radicali, è quello costituito da quanti partecipano al quotidiano farsi e rinnovarsi delle sue battaglie, l'unica realtà che possa confrontarsi con il regime sfuggendo ai suoi ricatti e condizionamenti, alle sue insidie ed allettamenti. Vi è del rischio in questa scelta, e chi scrive ne è perfettamente consapevole. Vi saranno dei profittatori, su questa strada, lo sappiamo. Ma resta il fatto che il Partito Radicale deve ancora una volta, come sempre nel passato, essere capace di collocarsi là dove potrà essere, e quindi dovrà essere, la parte antagonista ala modello di regime. Il partito dei "diritti civili" di ieri deve essere oggi il partito della vita, il valore che si contrappone alla politica di morte in cui si sostanzia il regime. Solo su questo terreno potrà formarsi una classe dirigente alternativa, il governo delle cose e dei valori,

del possibile continuamente inventato e creato.

No, quindi, alle "compatibilità". Abbiamo respinto l'appello alle "compatibilità" con le quali il regime ha cercato di liquidare, sotto l'asprezza della ragionevolezza, la lotta contro l'olocausto. No, abbiamo detto, alla compatibilità tra l'impegno alla salvezza dei milioni condannati e la strage di risorse su cui si regge l'edificio della politica del regime, di questa classe dirigente. L'unica accettabile sia quella - abbiamo detto - delle urgenze messe in luce dal dramma della strage per fame.

Ma allora, "no" anche alle compatibilità con le "realtà", o presunte tali, all'interno del partito. No alle compatibilità con l'esistente. E non v'è dubbio che anche noi abbiamo avuto, su questo terreno, gravi contraddizioni tra ciò che esprimevamo e ciò che eravamo, o comunque abbiamo reso visibile alla gente. Non è sicuro che abbiamo sempre, tutti, ben amministrato il patrimonio che ci era stato affidato. Abbiamo per questo rischiato la sconfitta, certo abbiamo perso battaglie. La campagna contro lo sterminio di offre oggi, con l'immenso potenziale che ha messo in luce, con le indicazioni che ha offerto, la possibilità di fare chiarezza. Le presunte compatibilità nascondono del resto un falso storico; mai il Partito Radicale è stato in un altro posto che nelle sue iniziative, nelle sue lotte. Null'altro esso ha avuto, alcun altro patrimonio reale, da "gestire".

Rivendichiamo oggi la religiosità dell'impegno politico, e la politicità del valore religioso. Non è rivendicazione di oggi, delle Marce di Pasqua 1979, 1980, 1982, né rievocazione di un partito che pure si è definito partito "dei credenti e non credenti" (pur se è giusto richiamare alla memoria di molti queste cose).

No, noi semplicemente rivendichiamo insieme i valori di Rossi e Capitini. E non soltanto, allora, possiamo chiedere conto ai partiti dell'ostracismo imposto ai vescovi e a Woytila. Possiamo e dobbiamo chiedere loro conto della fede affidata dai tanti. Al PCI chiediamo conto del "dialogo" con i cattolici, delle speranze dei cattolici che si chiamarono del "dissenso" per dolore ed angoscia, e furono tratti al peccato di superbia e di disperazione. Chiediamo conto del patrimonio delle ipotesi ingraiane, in quanto non mistificavano e non erano mistificate. Al PSI chiediamo conto della volgarità in cui ha impantanato la questione cattolica. E chiediamo conto ai nonviolenti del neocattolicesimo integralista della corrispondenza tra la loro autosufficienza organizzativistica e le antiche speranze evangeliche della distribuzione alle genti, e quindi anche al peccatore, del pane e dei pesci. E infine chiediamo conto al Potere del rischio cui vengono esposti, gettati, i parroci del palermitano lasciati soli dinanzi al

la mafia, così come della viltà e della paura cui sono da sempre condannati i parroci delle calabrie e del napoletano, vittime, nelle loro coscienze innanzitutto, della rete impunita delle camorre locali. Possiamo farlo.

Mi sono interrogato, quest'anno, su quello che è accaduto nel partito. Ho accettato incarichi di cui scorgevo la precarietà e la fragilità per poter rendermi conto dello spessore delle speranze radicali. Ho molte volte cambiato opinione, giudizi, ipotesi e previsioni, sempre insoddisfatto con me stesso innanzitutto, spesso impossibilitato a esprimere possibilità e magari errori (ed esprimere, in politica, è tutto). Ma alla fine, oggi, a conclusione, o quasi, di un altro anno, ritengo di poter serenamente affermare che quello di cui ho parlato è l'unico partito radicale possibile. E, comunque, è l'unico che mi interessa.

 
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