SOMMARIO: Privatizzazione dei profitti e pubblicizzazione dei costi alla base di massicce esportazioni di armi. - Le nostre forze armate si dotano di armi e mezzi, spesso per loro inservibili, essendo questa una delle maggiori condizioni per le vendite all'estero. - Inoltre, sempre per incentivare le esportazioni, facciamo da istruttori a cileni, iracheni, etiopici, somali, turchi, venezuelani, e così via. - Per perseguire l'obiettivo dell'autosufficienza, che resta fuori delle nostre portate, trasferiamo all'industria bellica enormi risorse finanziarie, umane e scientifiche. - Si ha così lo straordinario ampliamento del potere politico dei »padroni della guerra , che infatti dispongono di numerosi strumenti per condizionare le scelte dei sistemi di difesa da parte del governo e delle forze politiche. - La pretestuosità dell'obiettivo dell'autosufficienza dimostrata dal fatto che le nostre produzioni utilizzano in massima parte licenze e tecnologie straniere. - I politici italiani da una parte si genufletton
o all'alleato americano, dall'altra armano paesi autoritari come la Libia. - Anche i partiti della sinistra si sono piegati alla logica del profitto. - I maggiori mercati di espansione italiana sono paesi del terzo mondo con regimi »compromessi , spesso colpiti da embargo per il materiale strategico da parte delle grandi potenze, come nel caso della Libia e del Sud Africa. - L'ltalia oggi è quarto esportatore di armi del mondo, con una quota pari al 4% del totale, e nel periodo 1977-80 ha ricavato dalle vendite 2273 milioni di dollari, pari a circa 3000 miliardi di lire agli attuali valori di cambio. - Tuttavia molti paesi si attrezzano per la produzione autonoma, e questo fa prevedere il forte ridimensionamento delle nostre esportazioni per il futuro. - Comunque alla base dei nostri successi nell'esportazione di armi sono le violazioni palesi delle delibere delle Nazioni Unite. - Ciò comporta anche il sistematico ricorso alla menzogna da parte dei nostri governi, soprattutto da parte del ministero della Dif
esa. - Lagorio smentito sulla presunta cessazione di forniture militari alla Libia. - Le ragioni del successo dell'Augusta. - Il sistema delle »bustarelle : tangenti oscillanti dal 13 al 15 per cento, che finiscono su conti esteri, dei quali sono beneficiari anche alcune forze politiche. Nel 1981 i »compensi d'intermediazione , ossia le bustarelle, sono stati di 260 miliardi. - Per tutti diventa un affare »la difesa della patria . - Misteriosissimo Comitato per il rilascio dette autorizzazioni alle esportazioni. La sua composizione, come la sua attività, sono segreti di Stato, e questo, ancora una volta, mette fuori causa il Parlamento".
("L'ITALIA ARMATA" - Rapporto sul ministero della guerra - di Roberto Cicciomessere - Gammalibri, Milano, luglio 1982)
Privatizzazione dei profitti e pubblicizzazione dei costi
Nel caso dell'esportazione di sistemi d'arma prodotti dall'Italia, ci troviamo di fronte alla classica situazione della privatizzazione dei profitti e della pubblicizzazione dei costi.
Sicuramente il primo prezzo per questa attività lucrosa è stato pagato dai nove militari che, nel 1980, perirono a bordo dell'elicottero italiano CH 47 C che precipito ad Abu Dhabi, nel corso di una prova dimostrativa condotta, per conto della Agusta, al fine di convincere gli Emiri ad acquistare gli elicotteri prodotti in Italia.
Ma si potrebbe anche quantificare il costo delle missioni militari, delle »crociere - come quella, lunghissima, della fregata »Lupo al termine della quale è stata annunciata la megacommessa irakena - dell'addestramento nelle accademie e scuole militari italiane del personale straniero, delle consulenze tecniche, espressamente finalizzati alla propaganda dei sistemi d'arma prodotti in Italia, se il Ministero della difesa fornisse al Parlamento gli elementi dettagliati di bilancio indispensabili.
Ma oltre all'attività di »rappresentanti commerciali , i nostri militari svolgono una più »utile funzione a sostegno dell'esportazione delle armi, acquisendo ogni tipo di prodotto dell'industria militare, a prescindere dalla sua »utilità , al solo fine di »omologarlo . E' noto infatti che nessun sistema d'arma può essere venduto all'estero senza la garanzia della sua avvenuta acquisizione da parte delle nostre FF.AA.
L'esempio più grave di quanto abbiamo affermato è fornito dalla vicenda dell'addestratore della Siai Marchetti S. 211.
Questo addestratore viene progettato nonostante il fatto che l'Aeronautica utilizzi il »trainer della Aermacchi MB 339. Bisogna notare che questo ultimo velivolo copre tutta la fase addestrativa che va dal pilotaggio degli aerei ad elica all'F 104.
L'S 211 invece è meno sofisticato e, quindi, coprirebbe solo una fase più limitata dell'addestramento dei piloti, che, prima di passare ai velivoli da combattimento, dovrebbero ultimare l'addestramento sullo stesso MB 339.
Nonostante tutto ciò, poiché la Siai Marchetti ha bisogno, per riuscire ad esportare l'aereo, della sua omologazione e acquisizione da parte dell'Aeronautica militare italiana, il Ministro Lagorio ha pensato bene di fare un altro favore a questi industriali acquistando due aerei S 211 che rimarranno completamente inutilizzati o, al massimo, serviranno per le prove dimostrative presso i clienti stranieri.
Abbiamo parlato di »un altro favore perché già il CIPI, con circa 20 miliardi aveva finanziato il costo di ricerca e sviluppo dell'S 211.
Sempre al fine di incentivare l'esportazione dei sistemi d'arma italiani all'estero, le FF.AA. ospitano, presso scuole e istituti delle varie Armi, personale militare di paesi stranieri, senza troppo sottilizzare sui rispettivi regimi politici. E' il caso del personale cileno, iracheno, etiopico, somalo, turco, venezuelano, zairota che, secondo l'Annuario dell'ISTRID (allegato n. 9.1) avrebbe frequentato corsi dell'Aeronautica. Alcuni di questi militari sono anche deceduti nel corso delle esercitazioni in Italia.
E' evidente che questi militari sono istruiti su mezzi bellici di produzione italiana e quindi si realizza un oggettivo incentivo, per i paesi di provenienza, ad acquistare le armi con le quali si sono addestrati i propri ufficiali. Ma l'assistenza tecnica si estende alla consulenza per la progettazione di navi da guerra, da parte del personale specializzato del genio navale, all'addestramento, presso i nostri cantieri delle centinaia di persone che successivamente dovranno tentare di mantenere in efficienza le sofisticate fregate o corvette prodotte in Italia. Centinaia di tecnici e militari libici, iracheni, venezuelani, etc. frequentano normalmente gli arsenali di La Spezia, Riva Trigoso, Monfalcone, etc.
Il punto di vista del Governo a questo proposito fu espresso, nel corso del dibattito tenutosi alla Camera il 15 settembre del 1980, dall'allora sottosegretario alla presidenza del Consiglio Bressani che indicò con esattezza le supposte ragioni economiche dell'esportazione di armi italiane: »come il ministro della Difesa ha già avuto occasione di precisare nella relazione alle Commissioni parlamentari permanenti per la difesa, lo sviluppo del settore industriale dei prodotti militari è indispensabile se ci si vuole affrancare dalla dipendenza dall'estero. Ma sviluppare le industrie nazionali di materiale militare per soddisfare esclusivamente le esigenze delle nostre forze armate non è possibile, in considerazione delle dimensioni degli investimenti che sono necessari. L'industria nazionale ha quindi bisogno di allargare il suo mercato per poter ammortizzare gli ingenti investimenti ed utilizzare al massimo tutte le tecnologie, sia quelle proprie, sia quelle che con notevoli e pesanti oneri finanziari ottien
e da paesi stranieri .
Questo ragionamento - sicuramente condiviso dagli industriali del settore - non è nuovo. Viene ripetuto da tempo in tutti quei paesi - pochi in verità (Usa, Francia e Gran Bretagna) - che dispongono di un complesso militare-industriale di vaste dimensioni.
Tali paesi sono largamente autosufficienti nel campo delle produzioni militari e, nel contempo, sono tra i primi esportatori di armi. A prescindere da ogni altra considerazione di carattere politico, in casi del genere l'esportazione sostiene un apparato industriale effettivamente in grado di far fronte autonomamente alla domanda di mezzi delle forze armate nazionali.
Per quanto riguarda l'Italia, invece, l'obiettivo dell'autosufficienza - ammesso che si tratti di un obiettivo opportuno - non solo non è stato raggiunto, ma è largamente al di fuori della nostra portata.
Conseguenze economiche dell'autosufficienza bellica
Ma prima di dimostrare quest'ultima affermazione verifichiamo le conseguenze strettamente economiche dell'autosufficienza.
Questo obiettivo militare comporta infatti la creazione di una struttura industriale che condiziona pesantemente le scelte di politica interna ed estera. Il mantenimento dei livelli occupazionali e produttivi dell'industria bellica viene pagato dal paese innanzitutto con un notevole trasferimento di risorse a questo settore.
Si tratta delle migliori risorse umane e scientifiche che vengono drenate da aziende che, del resto, beneficiano di rilevanti sovvenzioni governative e sono »garantite dalla continuità della domanda militare interna come poche altre industrie. L'alta concentrazione di questa attività nelle mani di pochi gruppi economici (il 58% dell'occupazione è ripartito nelle aziende a partecipazione statale) trasferisce inoltre ai »padroni della guerra un enorme potere politico in ordine alla determinazione dei livelli di spesa interna e dei processi di disarmo.
Queste aziende hanno, infatti, strumenti convincenti per spingere il Governo e le forze politiche ad adottare modelli di difesa perfettamente funzionali alla esigenze aziendali. Si è, del resto, realizzato uno stretto intreccio tra industria militare e amministrazione della difesa, anche a livello dirigenziale attraverso l'esodo di alti ufficiali nelle strutture commerciali delle aziende belliche. Ma basta il cosiddetto »ricatto occupazionale per determinare l'esigenza di una domanda costante, da parte della Difesa, di sempre nuovi sistemi d'arma. E' questa la conseguenza più grave della »autosufficienza bellica, perché incide in modo strutturale nel tessuto economico e sociale del paese.
Novantamila operai, impiegati, tecnici la cui esistenza e possibilità di percepire un salario è strettamente ed oggettivamente legata al processo continuo di riarmo del nostro paese e al successo dell'esportazione dei loro »prodotti costituiscono, infatti, un fattore »canceroso destinato ad aggravarsi ed estendersi sulla base delle ferree leggi della produzione e dello sviluppo.
Ogni ipotesi di riduzione delle spese militari, di »svuotamento degli arsenali , si scontra obiettivamente con i solidi interessi di un settore operaio che il meccanismo perverso della difesa militare ha trasformato in difensori delle politiche di riarmo e di penetrazione nei paesi del terzo mondo.
Anche se solo in una ipotesi astratta, sarebbe decisamente più vantaggiosa la completa dipendenza dall'estero in questo settore, la importazione tout court di tutti i sistemi d'arma adottati dalle nostre FF.AA.
Si tratterebbe, infatti, di operazioni »commerciali che potrebbero essere sempre ridotte o annullate senza danni per i livelli occupazionali e produttivi interni.
Ci rendiamo conto evidentemente che, in questo caso, i condizionamenti per il processo di riarmo permarrebbero sotto diverse forme. Ma perlomeno non coinvolgerebbero la struttura produttiva italiana, la classe operaia e quindi, probabilmente, sarebbe più facile aggredirli, trovando, in questa azione, la disponibilità di ampi schieramenti politici che, invece, oggi sono estremamente condizionati dal problema occupazionale.
Non è un caso che sulla vicenda dei C 130 della Lockheed si formò una maggioranza parlamentare e una mobilitazione pubblica capaci di portare davanti alla Corte Costituzionale alcuni Ministri e di »destituire un presidente della Repubblica.
Oggi una simile situazione sarebbe semplicemente impensabile. E' sufficiente far riferimento alla »santa alleanza fra forze padronali e organizzazioni sindacali nella vicenda del ponte sul Magra che l'Intermarine vuole »aprire per far passare le sue dragamine. In assoluta minoranza sono coloro che si oppongono, non solo alla devastazione dell'ambiente, ma anche alle truffe perpetrate, ai danni dello Stato, da questi mercanti della guerra. Perfino il segretario generale della Uil è sceso in campo per difendere i »sacrosanti diritti degli operai dell'Intermarine: »in caso contrario (non apertura del ponte) sarebbero in predicato 360 lavoratori assunti dall'azienda ed altrettanti dell'indotto, senza considerare la perdita di tecnologia e di prospettive, soprattutto per la possibile ricaduta sul civile . Per ora la sola ricaduta, realisticamente prevedibile, è quella delle bombe che le motovedette dell'Intermarine vendute alla Nigeria o all'Indonesia possono lanciare sui malcapitati (*).
(*) Per fortuna non tutti gli operai condividono i »valori espressi da Benvenuto: è il caso di Maurizio Saggioro, attrezzista della fonderia di Baranzate, che ha anteposto la sua umanità agli interessi corporativi, rifiutando di prestare la sua opera nella produzione di materiale bellico. Ma isolato nel sindacato è rimasto il suo gesto, così come isolata nello schieramento parlamentare è rimasta la proposta di legge per il riconoscimento dell'obiezione di coscienza alla produzione bellica (allegato n. 9.10).
La nostra dipendenza dall'estero
Ma tornando alla presunta autosufficienza dell'Italia per l'equipaggiamento delle sue FF.AA., basta consultare gli annuari del SIPRI (Stockholm International Peace Research Institute - Sipri Yearbook 1979, p. 69) per rilevare che l'Italia è il primo importatore al mondo di licenze di produzione di »maggiori sistemi d'arma (aerei, elicotteri, navi, missili e veicoli corazzati) anche se, nella stessa classifica, figura sesta per quanto riguarda l'esportazione. Queste »licenze si riferiscono a mezzi di non secondaria importanza come il principale carro da battaglia dell'Esercito, il Leopard (licenziataria la tedesca Krauss-Maffei), il cingolato da trasporto truppe M 113, prodotto come il Leopard dalla Oto-Melara ma su licenza Usa.
Tutti gli elicotteri italiani in produzione, con la sola eccezione dell'Augusta A-109, riproducono del resto modelli delle statunitensi Bell, Boeing, Hughes e Sikorsky, così come il caccia F-104 che l'Aeritalia e la Fiat costruivano su licenza Lockeed.
Le enormi risorse destinate alla produzione bellica non sono del resto neppure riuscite a sanare una delle debolezze strutturali dell'industria nazionale: il settore della motoristica d'avanguardia. Tutti i velivoli di concezione nazionale - elicotteri compresi - montano propulsori prodotti su licenza. L'industria italiana non è riuscita a realizzare un solo motore di propria concezione, ad esclusione della piccola turbina AR-310 dell'Alfa Romeo, che è ancora in fase di collaudo.
Questa debolezza produce grossi problemi e condizionamenti in relazione alle esportazioni di sistemi d'arma nazionali in paesi »ostili all'occidente o semplicemente agli Usa. E' il caso della fornitura alla Libia del biturboelica da trasporto G. 222 dell'Aeritalia. Equipaggiato in origine con motori della General Electric (Usa), monta adesso - su richiesta - le turbine Tyne della britannica Rolls-Royce, che, al pari delle industrie italiane, non sottilizza troppo con i clienti con cui fare gli affari.
Anche se, a quanto sembra, l'aereo ha migliorato le sue prestazioni, il motivo del cambiamento è, a tutta evidenza, tutt'altro che tecnico: si trattava di aggirare l'embargo decretato dall'amministrazione americana nei confronti di Gheddafi.
E' questo un esempio della »coerente politica dei ministri italiani che, se da una parte si genuflettono fedelmente all'alleato americano, dall'altra armano un paese autoritario come la Libia che, con un arsenale militare superiore a quello nazionale, conduce una politica minacciosa e destabilizzante in tutta l'area mediterranea.
Non è escluso poi che agli inglesi debbano ricorrere anche i Cantieri Navali Riuniti, le cui fregate ordinate dall'Iraq montano anch'esse turbine General Electric prodotte in Italia, dalla Fiat, su licenza. In relazione al conflitto in atto fra quel paese e l'kan, infatti, gli Stati Uniti hanno manifestato più volte la intenzione di porre il veto sull'esportazione delle fregate italiane.
Anche in questo caso ci troviamo di fronte alla assoluta prevalenza delle ragioni commerciali su quelle politiche e alla complicità di tutte le forze politiche con l'irresponsabile attività delle industrie belliche nazionali. Nessun partito, infatti, fatta eccezione di quello radicale, ha protestato, non tanto e non solo per il fatto che il Governo italiano autorizza l'esportazione di armi sia all'Iran che all'Iraq, quanto per il fatto che i due paesi belligeranti, con assoluta certezza, impiegheranno le armi prodotte dai nostri operai, per uccidersi. E' l'esempio più drammatico dell'effetto devastante prodotto dalla produzione bellica fra i partiti storici della sinistra che, cinicamente, hanno rimosso ogni caposaldo internazionalista e socialista, per piegarsi alla logica del profitto, perfino di quello prodotto dalle fabbriche di morte.
Un altro grosso »limite della produzione militare italiana, che smentisce la nostra supposta autosufficienza, è quello dell'elettronica. La dipendenza dall'estero in questo settore non si manifesta tanto nei prodotti finiti (radar, centrali di tiro, contromisure, etc.) quanto piuttosto nei componenti di questi prodotti, che importiamo nella loro quasi totalità.
Quasi sempre, quindi, un sistema d'arma realizzato in Italia incorpora tecnologia straniera, sia per quanto riguarda le parti del sistema direttamente acquistate all'estero, sia per quanto riguarda le produzioni su licenza.
Si tenga presente a questo proposito che le royalties si aggirano attorno al 10% del valore del manufatto. Per esempio un aereo »tutto italiano come l'MB-339, monta componenti importate per un valore pari al 30% circa di ciascun esemplare.
Lo stesso Ministro Lagorio ha del resto dichiarato, in una recente intervista su »Il Messaggero che l'importazione diretta è pari al 30% della spesa in armamenti della Difesa.
Quindi, per tornare alla dichiarazione del sottosegretario Bressani, aver sviluppato il settore industriale militare non è neppure servito ad affrancarsi dalla dipendenza dall'estero.
Paghiamo, in poche parole, sia il costo di un apparato industriale che vincola rigidamente gli stanziamenti di bilancio e la stessa politica estera del nostro paese, sia quello derivante da un così rilevante trasferimento di risorse monetarie all'estero per l'acquisizione di tecnologia.
Il paese coinvolto in una spirale riarmista
Ma c'è di più. Difatti il peso delle royalties e dell'importazione di componenti da un lato ridimensiona fortemente il valore delle esportazioni, dall'altro introduce notevoli fattori di rigidità sul piano dei costi. Quest'ultimo fenomeno pregiudica infatti fortemente la possibilità, per le FF.AA. italiane, di pagare prezzi »convenienti e competitivi per i sistemi d'arma prodotti dall'industria nazionale.
Questo effetto dovrebbe infatti prodursi quando, grazie all'esportazione, le aziende possono ammortizzare, su un numero superiore a quello corrispondente alla domanda interna, i costi di ricerca e produzione dei sistemi d'arma.
In effetti, invece, i sistemi d'arma realizzati in Italia, non sono affatto convenienti per l'amministrazione della difesa. Vale l'esempio del missile anticarro Milan che, se sarà prodotto su licenza in Italia, verrà a costare il 60% in più rispetto a quanto dovremmo sborsare per acquisirlo direttamente dall'estero. In realtà il vero »ammortizzatore dei costi dell'industria bellica italiana è il contribuente che è costretto, sotto varie minacce e ricatti, a pagare prezzi non competitivi per gli strumenti di »difesa .
Le uniche beneficiarie della vendita di sistema d'arma italiani a Paesi terzi sono le industrie produttrici. Il falso presupposto dei »benefici influssi dell'esportazione di armi - circa il 2% del volume complessivo dell'export italiano - ha però messo in piedi una rete di interessi che si rafforzano a vicenda, coinvolgendo il Paese in una spirale riarmista mossa, congiuntamente, dagli interessi »legittimi della produzione e da quelli della politica »muscolosa .
Restano da spiegare, in relazione al solo problema dei prezzi, le ragioni del relativo successo di vendita delle armi »italiane all'estero. Dobbiamo precisare a questo proposito che la competitività dei sistemi d'arma sul mercato internazionale è legata a fattori politici complessi, che, diversamente da quanto accade per l'esportazione degli altri prodotti, sono prevalenti rispetto a quelli esclusivamente legati al prezzo.
Innanzitutto l'industria bellica nazionale si è ritagliata un mercato particolare, costituito prevalentemente da pesi del Terzo Mondo con regimi »compromessi nei confronti dei quali le super-potenze si muovono con estrema prudenza o addirittura hanno imposto l'embargo per il materiale strategico. E' il caso della Libia e del Sud-Africa.
In ogni caso, anche per governi parzialmente allineati, l'acquisizione di sistemi d'arma da un paese, come l'Italia, che non ha la forza di condizionare politicamente l'acquirente dei suoi prodotti, consente una qualche forma di »autonomia da uno dei due »imperi .
Ma il veicolo più consistente della vendita di armi italiane all'estero è costituito dal petrolio. Fu lo stesso Andreotti che chiari la natura »compensativa dell'esportazione di sistemi d'arma. I paesi dell'Opec esigono infatti espressamente, come compenso per la fornitura di idrocarburi, quei sistemi d'arma che non riescono ad ottenere, nella misura richiesta, per esempio dagli USA, in relazione alla forte opposizione delle componenti ebraiche americane (e indicativa a questo l'Arabia Saudita) E' poi particolarmente vantaggioso »pagare in petrolio piuttosto che in dollari.
L'ultimo strumento di penetrazione nel mercato internazionale è naturalmente quello delle »bustarelle , che affronteremo alla fine del capitolo in modo dettagliato. In ogni caso la possibilità di utilizzare, come elemento di convincimento, »compensi di intermediazione del 17 per cento sul valore del sistema d'arma, è un vantaggio di cui nessuna azienda degli altri comparti produttivi può disporre.
Andamento dell'export negli ultimi 10 anni
Analizziamo adesso, secondo le stime disponibili, l'andamento dell'export militare, negli ultimi dieci anni.
Sul totale del fatturato dell'industria bellica italiana, il peso dell'esportazione è andato crescendo con gli anni: in un arco di dieci anni, dal 1972 al 1981, il fatturato generale globale è più che sestuplicato, mentre l'export è aumentato di circa 16 volte.
-----
TABELLA N. 39
In miliardi di lire correnti:
Fatturato Esportazione
1972 500 100
1973 700 150
1974 800 200
1975 900 300
1976 1.300 500
1977 1.600 800
1978 1.800 900
1979 2.200 1.100
1980 2.600 1.300
1981 3.200 1.600
-----
Trattandosi di stime è necessario indicare con precisione le fonti e i meccanismi di valutazione del fatturato e dell'export contenuti nella tabella.
Per gli anni dal 1972 al 1977 ci siamo avvalsi delle stime di Gianluca Devoto (»Il complesso militare-industriale in Italia , Torino, Rosemberg Sellier, 1979, pp. 11-16); dell'Annuario dello IAI (»l'Italia nella politica internazionale , vari anni, Milano, ed. Comunità); M. Baccianini - M. De Andreis (Armi italiane nel mondo, Mondoperaio n. 3 1980, pp. 40-51).
Per gli anni dal 1978 al 1981 abbiamo effettuato una elaborazione basata sui seguenti criteri ed ipotesi:
a) la quota dell'export è andata gradatamente stabilizzandosi attorno al 50 per cento del fatturato;
b) il fatturato indicato è stato determinato dalla domanda interna, a cui sono state aggiunte le esportazioni e detratte le importazioni di componenti estere;
c) la domanda interna è stata ricavata dai rendiconti della spesa dello Stato e dai dati forniti dalla Ragioneria Centrale, per i capitoli relativi agli armamenti, con i criteri di selezione precedentemente indicati (vedi pag. );
d) le importazioni sono state calcolate al 30 per cento della spesa per gli anni '80 e 81 e al 20 per cento per l'anno 1979, e circa al 15 per cento per l'anno 1978. Esse infatti sono andate gradatamente aumentando con il progredire della spesa per le leggi promozionali.
In definitiva tutti i valori indicati nella tabella precedente debbono essere considerati come indicativi e cioè con un margine d'errore, in eccesso o in difetto, del 10 per cento circa.
Il relatore di minoranza, a questo punto, spinto da un eccesso di ottimismo, ritiene doveroso giustificare davanti al supposto lettore degli atti parlamentari di nazionalità di uno dei paesi aderenti alla NATO, i motivi per cui, invece di riportare i dati rilevati dagli Istituti pubblici ha preferito seguire la strada delle stime.
La spiegazione non deve essere ricercata nell'intenzione del relatore di contestare, a partire dalle proprie fonti di informazione, i dati governativi. Più banalmente il relatore di minoranza deve confessare che in Italia il Parlamento non dispone di alcun elemento informativo ufficiale, sulla consistenza dell'export militare, diversamente da quanto accade nei paesi civili e rispettosi delle prerogative parlamentari.
E' sicuramente possibile presumere che il Governo possieda o possa raccogliere questi elementi statistici, ma rimane il fatto indiscutibile che, quando è chiamato a rispondere sui documenti del Sindacato Ispettivo vertenti su questi temi, ha citato solo quei dati forniti dagli Istituti internazionali.
Questo comportamento che, in particolare, è stato seguito dal citato Sottosegretario Bressani, appare sicuramente più corretto di quello praticato da altri rappresentanti del Governo che, invece, hanno preferito, al silenzio le menzogne.
E' accaduto con il »libro bianco della difesa del 1977, nel quale si afferma che »prendendo a riferimento l'anno 1975, il valore degli affari trattati con l'estero da parte delle industrie italiane operanti nel settore è risultato di un ordine di grandezza non molto inferiore all'intero bilancio della Difesa: 2.300 miliardi contro 2.950 miliardi, ed è pari a circa 7 volte la somma stanziata dal Ministero della Difesa per l'ammodernamento ed il potenziamento delle Forze Armate .
Anche il Ministro Lagorio si è cimentato in questa attività di pensiero del resto molto praticata anche dagli altri Ministri italiani e cioè nel »dare i numeri . Intervistato dal »Il Messaggero , il Ministro della Difesa ha fatto riferimento a 2.500 miliardi di »commesse straniere per l'industria bellica italiana. E' un mistero comprendere il significato di queste parole: sono ordini ricevuti, prodotti consegnati nel corso dell'anno, oppure rappresentano »il valore delle trattative , come nel »libro bianco della difesa? Quali sono poi i criteri e le fonti da cui Lagorio trae quelle cifre?
Impossibile saperlo, tanto più che queste dichiarazioni vengono rese al di fuori delle aule parlamentari.
Ai parlamentari viene del resto, sempre, opposto il segreto di Stato. Perché poi siano segrete le notizie sul volume dell'export bellico, è anche esso un mistero.
Vale la pena raccontare un piccolo episodio che testimonia come gli stessi uomini del Governo non comprendono le ragioni di questa »riservatezza , anche se, poi, la subiscono passivamente.
Il relatore di minoranza aveva infatti chiesto al Sottosegretario per il Commercio con l'Estero, il socialdemocratico Rizzi, notizie ufficiali sul volume dell'esportazione di sistemi d'arma italiani. Il rappresentante del Governo aveva, all'atto della richiesta, condiviso pienamente la valutazione sul carattere pubblico di queste notizie essenziali per ogni deputato o ricercatore che voglia seriamente occuparsi della politica di difesa. L'Amministrazione si è invece dimostrata meno disponibile a queste »pericolose deroghe nei confronti dei deputati »curiosi , opponendo allo stesso Sottosegretario un netto rifiuto per la concessione di queste informazioni, che evidentemente sono strettamente connesse alla stessa sicurezza dello Stato.
In assenza di questi dati elementari, diviene praticamente impossibile realizzare il controllo su aspetti così importanti delle scelte di politica economica, industriale, estera e militare. Tutto ciò è ancor meno giustificato se si tiene conto che le più importanti industrie italiane del comparto militare sono a partecipazione statale.
Ricapitolando, lo stato delle conoscenze sull'industria bellica si basa sulle stime ardue e approssimate - ma affidabili - degli studiosi prima citati, sulla »propaganda della Difesa e delle aziende del settore, sui dati degli Istituti internazionali.
Vediamo ora cosa affermano gli Istituti, e in particolare il più autorevole tra questi, lo Stockolm International Peace Reaserch Institute (Sipri).
Apprendiamo prima di tutto che il mercato dove di preferenza si rivolgono i produttori italiani di sistemi d'arma è quello del terzo mondo.
Si tratta di un mercato »interessante per i nostri industriali, per due buoni motivi. Innanzitutto e un mercato in continua espansione: elaborando dati contenuti nel »SIPRI Yearbook 1981 , si scopre che la spesa militare dei paesi del terzo mondo, sul totale mondiale, è passata dal 9% del 1971 al 18,3% del 1980. Ciò significa, sempre nel 1980, 83 miliardi di dollari USA su 455 - ai prezzi e ai corsi di cambio del 1978.
Inoltre è il mercato adatto - quello dei paesi in via di sviluppo - per le caratteristiche di non eccessiva complessità dei nostri prodotti.
A parte il caso delle armi leggere - troppo leggere per poter essere seguite nei loro numerosi spostamenti e, spesso nel loro ritorno in patria, fra le mani dei terroristi - siamo di fronte a realizzazioni con un contenuto tecnologico non particolarmente sofisticato. Sono però sistemi d'arma »affidabili perché ampiamente collaudati. Salvo rarissime eccezioni, infatti, si tratta di sistemi d'arma già adottati dalle FF.AA. italiane le cui esigenze, se non coincidono propriamente con quelle degli eserciti del terzo mondo, certo non arrivano a toccare la raffinatezza degli arsenali delle grandi potenze.
Tornando ai dati del SIPRI, tentiamo di vedere cosa è accaduto nell'ultimo decennio. Negli anni compresi tra il 1972 e il 1979, il valore delle esportazioni italiane, ai paesi in via di sviluppo, dei »maggiori sistemi di arma (aerei, elicotteri, missili, navi e veicoli corazzati) è stato pari a 1.868 milioni di dollari - prezzi e corsi di cambio del 1975 - ovvero il 3.1% del totale. Più di noi hanno venduto, nell'ordine, Stati Uniti, Unione Sovietica, Francia e G. Bretagna.
Per quanto riguarda USA, URSS e Francia il valore delle rispettive esportazioni al terzo mondo ha superato nel periodo citato, da 3 a 10 volte quello dell'Italia. Diverso è il discorso per la G. Bretagna, che ha subito un progressivo ridimensionamento dell'export su questi mercati. Difatti, prendendo a riferimento un periodo più recente, ecco come muta la precedente »classifica .
-----
TABELLA N. 40
Quote dell'esportazione mondiale di maggiori sistemi d'arma negli anni 1977-80, per Paese:
USA 43,3%
URSS 27,4%
FRANCIA 10,8%
ITALIA 4,0%
GRAN BRETAGNA 3,7%
REPUBBLICA FEDERALE TEDESCA 3,0%
TERZO MONDO 2,2%
ALTRI 5,6%
Totale 100,0%
-----
Questa tabella, tratta dal SIPRI Yearbook 1981, considera qualsiasi tipo di esportazione di sistemi d'arma - non solo quella destinata ai paesi del terzo mondo. E' però evidente che, a parte il caso di USA e URSS - capifila di alleanze che annoverano numerosi paesi industrializzati - tutti gli altri esportatori si rivolgono di preferenza proprio ai mercati dei paesi in via di sviluppo. In ogni caso il dato certo è il seguente: l'Italia è oggi il quarto esportatore di armi al mondo, con una quota pari al 4% del totale. Tradotto in valore, ciò significa che nel periodo 1977-1980 abbiamo ricavato dalla vendita di »maggiori sistemi di arma ben 2.273 milioni di dollari (a prezzi costanti 1975): 500 milioni di dollari costanti in più del periodo 1972-1979.
Inutile dire che questo profluvio di mezzi di distruzione va a concentrarsi proprio là dove sarebbe, viceversa, necessario il massimo sforzo per disinnescare le tensioni.
Analizziamo adesso le quote della importazione mondiale di maggiori sistemi d'arma nel periodo 1977-1980, per regioni:
MEDIO ORIENTE 32,0%
ESTREMO ORIENTE 10,4%
NORD AFRICA 7,4%
AFRICA SUB-SAHARIANA 7,3%
SUD AMERICA 6,0%
ASIA MERIDIONALE 4,9%
AMERICA CENTRALE 1,0%
PAESI INDUSTRIALIZZATI 31,0%
Totale 100,0%
Risulta con evidenza che i produttori di petrolio sono i maggiori acquirenti di sistemi d'arma. Ma il dato più preoccupante si riferisce al valore dell'import dell'Africa sub-sahariana che è pari a quello dell'Africa del Nord. Teniamo conto che in questa regione africana si rileva il maggior tasso di mortalità infantile. E' però noto che nella stessa regione si registra la maggiore conflittualità militare.
Fino a quando sarà possibile »vendere a tutti e a tutti i costi ?
Prima di analizzare quali sono, all'interno dei paesi in via di sviluppo, i clienti più assidui dell'industria italiana, proponiamo alcune riflessioni sulla scelta di mercato delle aziende nazionali.
Dobbiamo rilevare pregiudizialmente che vendere armi ai paesi in via di sviluppo vuol dire condividere la responsabilità morale e politica dello sterminio per fame di milioni di uomini in atto in quelle regioni. Poco convincente è la giustificazione connessa alle esigenze produttive ed occupazionali del nostro paese, così come l'affermazione »in ogni caso le armi sarebbero vendute da altri paesi . Facciamo osservare al proposito, che il comando della Guardia di Finanza ha comunicato che in Italia gli occupati nell'attività di importazione, raffinazione, commercio della droga sono circa 20 mila. Non per questo, ci sembra, le autorità politiche giustificano questa attività economica.
La scelta di vendere ai paesi del terzo mondo è, in ogni caso, perdente anche sulla base di considerazioni puramente economiche.
E' perdente perché foriera di crisi. Ciò accadrà sia nel caso che una adeguata azione internazionale riesca a comporre le tensioni (cosa farà l'industria bellica se »scoppia la pace ?), sia nel caso che queste perdurino. Infatti, nella seconda eventualità, dobbiamo tener conto del processo di industrializzazione militare in atto in questi paesi. Un nutrito gruppo di paesi in via di sviluppo si sta dotando dei mezzi per produrre, in proprio, i sistemi d'arma, ricorrendo alle produzioni su licenza per i sistemi più sofisticati. Tutto ciò eroderà lo spazio di tecnologia intermedia sinora occupato dal nostro paese. Ma vediamo i dati relativi a questo processo. Dal 1945 ad oggi i paesi del terzo mondo che hanno prodotto armi sono 44, oltre alla Cina. La produzione è estremamente varia: 25 paesi hanno costruito navi; 14 paesi sono in grado di produrre aerei e 10 gli elicotteri; 6 paesi fabbricano veicoli blindati e 7 paesi hanno realizzato missili o equipaggiamenti elettronici. Tutti, o quasi, producono armi legge
re. Si stima che il valore complessivo della produzione militare del terzo mondo (Cina esclusa) sia passato da meno di un miliardo di dollari nel '70 ad oltre 5 miliardi nel '79. Nel contempo questi paesi sono andati acquisendo quote di mercato significative: nel loro assieme hanno totalizzato il 2,2% dell'export mondiale di maggiori sistemi d'arma, nel periodo '77-80, e hanno esportato ad altri paesi in via di sviluppo, ad esempio nel 1979 per un valore pari a quello dell'Italia o della G. Bretagna.
E' prevedibile quindi che la strategia di mercato dell'industria bellica italiana durerà probabilmente ancora per poco. Nel futuro non sarà più possibile »vendere a tutti e a tutti i costi , riempendo qualsiasi interstizio della domanda mondiale lasciato scoperto dai concorrenti.
Bugia del governo e violazione delle delibere ONU
Bisogna rilevare inoltre che il »successo dei prodotti della industria bellica nel mondo è dovuto, almeno in parte, alla violazione delle delibere approvate dalle Nazioni Unite. E' il caso delle esportazioni al governo razzista del Sud Africa.
Recentemente, il 14 aprile 1981, il ministro della Difesa Lagorio, ha affermato, davanti alla Commissione Difesa della Camera, che »A partire dal 1972, in ossequio a raccomandazioni dell'ONU, furono adottati criteri sempre più restrittivi nel rilascio di autorizzazioni all'esportazione verso il Sud Africa; successivamente alla risoluzione n. 418 dell'ONU sull'embargo obbligatorio sono state respinte domande di licenza di esportazione per varie decine di miliardi . Cose analoghe erano già state dette dall'allora sottosegretario agli esteri Luciano Radi, nel dicembre '77, e dal sottosegretario Bressani nel già citato dibattito in Aula del settembre '80. Quest'ultimo, per rispondere ad interrogazioni che richiedevano l'ammontare dell'esportazione di armamenti italiani, si avvalse, come già detto, di dati del SIPRI. Evidentemente, quindi, il Governo considera attendibile questa fonte. Ed è proprio il SIPRI ad affermare che nel periodo '70-76, l'Italia ha venduto »maggiori sistemi d'arma al Sud Africa, per un im
porto complessivo di 150 milioni di dollari: l'Italia, con il 19%, si situa così al secondo posto dopo la Francia, tra i venditori d'armi al Governo di Pretoria (SIPRI Yearbook 1978, pagg. 226, 232-233). Sempre secondo il SIPRI, nel periodo, assai più recente, 1977-80, Il Sud Africa è stato il primo importatore di »maggiori sistemi d'armi italiani (SIPRI Yearbook 1981, tab. 7.3, p. 188). La risoluzione n. 418 del Consiglio di Sicurezza dell'ONU - embargo di materiale militare obbligatorio per tutti gli stati aderenti, contro il Sud Africa - risale al 4 novembre 1977. Ma vediamo i dati sul commercio estero forniti dall'ISTAT: l'Italia ha esportato in Sud Africa parti di ricambio di motori d'aereo per 3 miliardi e mezzo nel '78, un miliardo nel '79, 2,8 miliardi nei primi 8 mesi dell'80. Dei 2,8 miliardi dell'80, 2,5 sono costituiti da »parti e pezzi staccati di propulsori a reazione o turbopropulsori .
Si tratta sicuramente di parti dei motori a reazione per l'MB-326 dell'Aermacchi, costruito su licenza italiana in Sud Africa e impiegato non per l'addestramento - come afferma il Governo italiano - ma per missioni di controguerriglia. D'altra parte la ditta sudafricana Atlas, che produce su licenza l'MB-326 ha un ufficio di rappresentanza a Varese, dove ha sede l'Aermacchi.
Un ufficio del genere (che le ditte brasiliane e australiane che producono su licenza lo stesso aereo non ritengono necessario avere) ha lo scopo probabile di garantire all'Atlas quelle parti del velivolo di cui non è stata concessa la licenza di produzione: il tettuccio e i piloni sub-alari tra le altre.
E' evidente, quindi, che o il Governo mente - sostenendo di non aver più rilasciato licenze di esportazione dopo il '77 - oppure si guarda bene dal richiedere ai paesi per i quali invece la licenza viene rilasciata, il certificato di uso finale - quello che dovrebbe garantire contro la riesportazione a terzi. Tanto è vero che lo stesso Lagorio pur ammettendo - ad esempio - che »Risultano fra le altre armi in dotazione alla marina sudafricana, cannoni navali 76/62 prodotti dalla Oto-Melara insiste nel sostenere che »ciò non inficia la certezza della circostanza, già riferita, che alla Oto-Melara non è stata concessa autorizzazione dagli organi competenti, ad esportare il suddetto tipo di cannone in Sud Africa . Ciò significa, se è vero, che non è stato richiesto il certificato di »end-use ad Israele, che ha appunto fornito al Sud Africa le corvette equipaggiate con cannoni italiani.
Inutile dire che nelle sedi internazionali il comportamento dell'Italia viene continuamente chiamato in causa, quando non apertamente censurato. Poco convincente è il sottosegretario Bressani quando afferma che le accuse di violazioni dell'embargo contro il Sud Africa »Non erano né potevano essere provate e sono state prontamente smentite dalla nostra rappresentanza a New York con comunicazioni ufficiali di cui le Nazioni Unite hanno preso atto . In una nota italiana - presentata il 29 giugno '79 in risposta a una interrogazione del comitato del Consiglio di sicurezza dell'ONU per il rispetto dell'embargo contro il Sud Africa - si leggono pietose bugie e scuse, delle quali le Nazioni Unite possono forse »prendere atto , ma non certamente prestare fede. Si afferma ad esempio che »Malgrado la fornitura di assistenza tecnica e di parti di ricambio per l'MB-326 e per il motore Rolls-Royce siano state interrotte dal '72, il ritiro unilaterale delle licenze a questo stadio non ha per nulla coinvolto la produzione,
risolvendosi in un netto vantaggio per il Sud Africa . I dati dell'ISTAT prima citati dimostrano invece che la fornitura di parti di ricambio per l'MB-326 non è mai stata interrotta e che quindi la nota del Governo italiano contiene notizie false sulla presunta interruzione dell'assistenza militare al governo di Pretoria.
Sempre nell'aprile dell'81, il ministro Lagorio ha negato l'esistenza di un collegamento fra esportazioni di armi e importazione di idrocarburi, smentendo così le affermazioni, prima riportate, di Giulio Andreotti.
Così a proposito dell'esportazione di aerei SF-260 della Siai Marchetti alla Libia, il ministro Lagorio ha affermato che »Si tratta di monomotori da addestramento, come tali venduti alla Libia . Probabilmente questi velivoli sono stati utilizzati nelle missioni nel Ciad, però, afferma sempre Lagorio »Nessun controllo può il paese esportatore esercitare sugli eventuali mutamenti di impiego dei mezzi venduti, decisi autonomamente dal Governo del paese importatore . Questo tentativo di fornire alibi all'attività di esportazione di mezzi di morte negli altri paesi è assolutamente risibile: ognuno deve sapere con certezza, ed assumersi le conseguenti responsabilità, che i prodotti dell'industria bellica italiana saranno utilizzati per il fine per il quale sono stati prodotti.
Sempre alla Libia, oltre agli SF-260, l'Italia ha venduto 20 aerei da trasporto G. 222 dell'Aeritalia, elicotteri dell'Augusta, 4 corvette classe WADI dei Cantieri Navali Riuniti, per citare solo gli accordi più importanti. A proposito di queste ultime - delle quali due sono state già consegnate - è interessante notare che il Comitato che deve autorizzare i compensi di intermediazione per l'esportazione, costituito presso il ministero del Commercio con l'Estero, ha esaminato la congruità delle tangenti pagate per l'aggiudicazione della commessa, solo il 24 febbraio 1982. Sette anni dopo la conclusione dell'accordo, il cui valore è di 117 miliardi. Un record di tempestività. Da anni, infine, negli annuari del SIPRI e dell'IISS si fa riferimento ad una vendita di carri armati derivati dal Leopard alla Libia, denominati Lion. Questa notizia è sempre stata smentita dal Governo, anche nella recente comunicazione del Ministro Lagorio alla commissione Difesa della Camera, nell'aprile del 1981. E' singolare, tuttavi
a che in quel frangente il ministro della difesa abbia fatto riferimento al nuovo carro della OTO-Melara OF-40 (OTO-Melara, FIAT), per il quale è stata concessa licenza di esportazione nei confronti del Dubai. E' ormai ampiamente confermata, infatti, la notizia di una prossima fornitura alla Libia di diverse centinaia di obici semoventi da 155 mm. »Palmaria della Oto-Melara: la relazione di bilancio 1979 della ditta spezzina faceva riferimento a 200 esemplari. Secondo fonti sindacali questi obici destinati alla Libia sarebbero invece 300, al prezzo di un miliardo l'uno, mentre alcune riviste specializzate hanno parlato di circa 400 unità. Ora, il Palmaria, è realizzato sullo scafo dell'OF-40, e non è escluso che l'ordine della Libia riguardi entrambi i modelli - il carro e l'obice. Ciò spiegherebbe l'attendibile notizia relativa alla fornitura al Governo di Tripoli dei cosiddetti Lion che non sarebbero altri che gli OF-40, a loro volta derivati dal Leopard. E' inoltre piuttosto improbabile che l'Oto-Melara
abbia sostenuto le spese di sviluppo di un mezzo del genere in base a un ordine di soli venti esemplari da parte degli Emirati Arabi Uniti.
Queste notizie smentiscono del resto le affermazioni rese dal Ministro socialista Lagorio davanti al Parlamento sulla presunta cessazione di forniture militari alla Libia.
Nella tabella che segue abbiamo tentato di fotografare, sulla base dei dati in nostro possesso, il livello di penetrazione dell'industria bellica italiana nel mondo. Sono elencati tutti i paesi in possesso di »maggiori sistemi d'arma (aerei, elicotteri, missili, navi e veicoli corazzati) italiani. Non possono essere fatte distinzioni tra sistemi semplicemente ordinati e sistemi già in linea.
L'esclusione di tutti gli altri tipi di armi e sistemi d'arma è dovuta a diversi motivi: le notizie relative a vendite di armi leggere sono scarse e difficilmente controllabili; numerosi sistemi italiani sono prodotti su licenza, pertanto non è possibile stabilire in molti casi se si tratta di una esportazione di armi costruite nel nostro paese o direttamente del paese licenziatario; molti apparati - specie elettronici - non sono rintracciabili negli annuari perché questi manuali riportano soltanto il sistema d'arma straniero che li impiega; per quanto riguarda i cannoni navali, gli annuari indicano semplicemente il calibro dei pezzi imbarcati, e alcuni di questi - 127/54, 40/70 - non vengono prodotti solo dall'Italia.
Bisogna quindi tenere presente che con il criterio prima indicato non sono incluse le seguenti armi: gran parte della produzione elettronica, ovvero radar, centrali di tiro, contromisure, etc.; l'imponente numero di bocche da fuoco terrestri e navali - l'obice da 105/14 dell'Oto-Melara è stato venduto in migliaia di esemplari, i cannoni navali della stessa Oto-Melara di calibro 127/54 e 76/62, come pure il 40/70 Breda/Bofors, equipaggiano centinaia di unità; gli equipaggiamenti navali di vario genere (siluri, mezzi di intrusione subacquea, motori diesel, etc.); parte della produzione aeronautica (velivoli teleguidati); armi leggere; il munizionamento, i razzi, le mine e gli altri prodotti del settore chimico. A questo proposito, a solo titolo d'esempio, alleghiamo una interrogazione sull'export italiano all'Argentina, con l'indicazione di alcuni sistemi d'arma non contenuti nell'elenco che segue (Allegato n. 9.9).
D'altro canto l'inclusione di quanto prima ricordato avrebbe comportato la proposizione di un elenco parziale - oltre che sterminato.
Le fonti utilizzate per la realizzazione della tabella
n. 41 sono le seguenti:
- Istituto idrografico della Marina, »Almanacco navale 1981-82 , Genova 1981;
- Istituto Affari Internazionali, »L'Italia nella politica internazionale , Milano, Edizioni di Comunità, vari anni;
- International Institute for Strategic Studies, »The Military Balance 1980-1981 , London, 1980;
- Stockholm International Peace Research Institute, »Yearbook 1981 , London, 1981.
-----
TABELLA N. 41
Paese Nome sistema Tipo sistema Casa costruttrice Quantità
ALGERIA - Motovedetta (44 ton.) Cantieri Baglietto 10
- Motovedetta (85 ton.) Cantieri Baglietto 6
ANGOLA G-91R Aereo Fiat 3
ARABIA SAUDITA AB-206 Elicottero Agusta 13
AB-205 Elicottero Agusta 12
AB-212 Elicottero Agusta 10
AS-61A Elicottero Agusta 2
ARGENTINA Albatros/Aspide LMS/missili Selenia/Elsag 4/x
G-222 Aereo Aeritalia 3
A-109 Elicottero Agusta 9
EMB-326GB Aereo Embraer (a) 7
MB-339 Aereo Aermacchi 12
AUSTRALIA MB-326 Aereo Aermacchi (b) 78
AUSTRIA AB-204B Elicottero Agusta 21
AB-206A Elicottero Agusta 25
AB-212 Elicottero Agusta 24
BELGIO SF-260 Aereo SIAI-Marchetti 33
BOLIVIA SF-260 Aereo SIAI-Marchetti 6
EMB-326GB Aereo Embraer (a) 18
BRASILE AT-26 Aereo Embraer (a) 152
AB-206 Elicottero Agusta 24
AMX Aereo Embraer (c) 100
? Sauro (d) Sottomarino (1450 ton.) Italcantieri 3
? - Corvetta CNR 12
BURMA SF-260 Aereo SIAI-Marchetti 20
CEYLON AB-206 Elicottero Agusta 6
CILE AB-206 Elicottero Agusta 6
COLOMBIA - Sottomarino (70 ton.) Cosmos 2
COREA DEL SUD 6614 Veicolo corazzato Oto-Melara/Fiat (a) 170
DANIMARCA - Corvetta (950 ton.) CNR 2
EGITTO Otomat LMS/missili Oto-Melara 36/x
CH-47C Elicottero Agusta 15
ECUADOR Esmeraldas Corvetta (670 ton.) CNR 6
Albatros/Aspide LMS/missili Selenia/Elsag 6/x
SF-260 Aereo SIAI-Marchetti 12
A-109 Elicottero Agusta 4
EMIRATI A. U. OF-40 Carro armato Oto-Melara/Fiat 20
MB-326 Aereo Aermacchi 10
SF-260WD Aereo SIAI-Marchetti 1
G-222 Aereo Aeritalia 1
AB-205 Elicottero Agusta 4
AB-206 Elicottero Agusta 6
AB-212 Elicottero Agusta 3
ETIOPIA AB-204 Elicottero Agusta 6
FILIPPINE - Aliscafo (28 ton.) - 2
SF-260WP/MP Aereo SIAI-Marchetti 46
GABON - Motovedetta (88 ton.) Intermarine 3
GERMANIA (RF) G-91R Aereo Fiat 126
GHANA MB-326F/K Aereo Aermacchi 12
GRECIA Aspide Missile Elsag x
M-113 Cingolato trasp. truppe Oto-Melara x
AB-204/AB-205 Elicotteri Agusta 62
AB-206 Elicottero Agusta 15
AB-212 Elicottero Agusta 6
CH-47C Elicottero Agusta 10
GUATEMALA SF-260 Aereo SIAI-Marchetti 6
INDONESIA - Corvetta (1200 ton.) Ansaldo 1
IRAK Lupo (d) Fregata (2500 ton.) CNR 4
Wadi (d) Corvetta (650 ton ) CNR 6
Stromboli (d) Nave riforn. (8700 ton.) CNR 1
AB-212 Elicottero Agusta 8
AS-61TS Elicottero Agusta 6
IRAN - Nave cister. (1700 ton.) Navalmeccanica 1
Sea-KillerMK2 LMS/missili Elsag 4/x
CH-47C Elicottero Agusta 32
AB-206 Elicottero Agusta 44
SH-3D Elicottero Agusta 20
AB-205 Elicottero Agusta 54
AB-212 Elicottero Agusta 11
IRLANDA SF-260WU Aereo SIAI-Marchetti 10
JUGOSLAVIA AB-205 Elicottero Agusta 5
A-109 Elicottero Agusta 4
LIBANO - Motovedetta (5,2 ton.) Crestitalia 6
AB-212 Elicottero Agusta 11
LIBIA Otomat LMS/missili Oto-Melara 60/x
Albatros/Aspide LMS/missili Selenia/Elsag 1/x
Wadi (d) Corvetta (630 ton.) CNR 4
6614 Blindato trasp. truppe Oto-Melara/Fiat x
M113 Corazzato trasp. truppe Oto-Melara x
Palmaria Obice semovente Oto-Melara/Fiat 300-400
AB-47 Elicottero Agusta 6
AB-206 Elicottero Agusta 5
A-109 Elicottero Agusta 2
AB-212 Elicottero Agusta 2
CH-47C Elicottero Agusta 20
AS-61A Elicottero Agusta 1
SF-260 Aereo SIAI-Marchetti 260
G-222 Aereo Aeritalia 20
MALAYSIA Lerici (d) Cacciamine (500 ton.) Intermarine 4
MAROCCO A-109 Elicottero Agusta 6
AB-205A Elicottero Agusta 40
AB-206 Elicottero Agusta 8
AB-212 Elicottero Agusta 5
CH-47C Elicottero Agusta 6
SF-260M Aereo SIAI-Marchetti 28
MALTA AB-206 Elicottero Agusta 1
AB-47G Elicottero Agusta 4
NIGERIA Otomat LMS/missili Oto-Melara 16/x
Albatros/Aspide LMS/missili Selenia/Elsag 1/x
- Motovedetta Intermarine 19
CH-47C Elicottero Agusta 6
OMAN AB-214B Elicottero Agusta 5
AB-212 Elicottero Agusta 1
AB-205 Elicottero Agusta 20
AB-206 Elicottero Agusta 6
PAKISTAN - Sottomarino (70 ton.) Cosmos 6
- Motovedetta (16,5 m) Crestitalia 2
- Rimorchiatore - 2
- Nave cisterna - 2
PARAGUAY EMB-326 Aereo Embraer (a) 12
PERU' 6614 Blindato trasp. truppe Oto-Melara/Fiat 10
6616 Veicolo corazzato Oto-Melara/Fiat 15
AB-212ASW Elicottero Agusta 6
MB-339 Aereo Aermacchi 14
Lupo (d) Fregata (2500 ton.) CNR 4
Otomat LMS/missili Oto-Melara 16/x
- Motovedetta (37 ton.) - 3
Albatros/Aspide LMS/missili Selenia/Elsag 1/x
PORTOGALLO G-91R Aereo Fiat 34
G-91T Aereo Fiat 6
A-109 Elicottero Agusta 12
RUANDA AM-3C Aereo Aermacchi/Aeritalia 3
SINGAPORE SF-260W Aereo SIAI-Marchetti 12
AB-212 Elicottero Agusta 3
SF-260M Aereo SIAI-Marchetti 8
AB-212 Elicottero Agusta 18
SOMALIA 6614 Blindato trasp. truppe Oto-Melara/Fiat x
SF-260W Aereo SIAI-Marchetti 12
G-222 Aereo Aeritalia 4
P-166DL Aereo Piaggio 4
AB-204 Elicottero Agusta 1
SM-1019 Aereo SIAI-Marchetti 6
SPAGNA CH-47C Elicottero Agusta 3
AB-205/AB-206 Elicotteri Agusta 18
AB-47 Elicottero Agusta 34
AB-212 Elicottero Agusta 20
SUD AFRICA P-166L Aereo Piaggio 18
AB-205A Elicottero Agusta 25
AM-C3 Aereo Aermacchi/Aeritalia (b) 20
C-4M Aereo Aermacchi (b) 30
MB-326K/M Aereo Aermacchi (b) 100
TAILANDIA Ratcharit (d) Corvetta (270 ton.) Cant. nav. Breda 3
- Corvetta (450 ton.) Cant. nav. Breda 2
- Posamine (408 ton.) - 2
SF-260MT Aereo SIAI-Marchetti 12
TAIWAN - Sottomarino (70 ton.) Cosmos varie dec.
TANZANIA CH-47C Elicottero Agusta 2
TOGO EMB-326MB Aereo Embraer (a) 6
TUNISIA 6614 Blindato trasp. truppe Oto/Melara/Fiat 120
AB-205 Elicottero Agusta 18
MB-326M/K Aereo Aermacchi 14
SF-260W Aereo SIAI/Marchetti 18
TURCHIA M-113 Cingolato trasp. truppe Oto/Melara x
AB-204 Elicottero Agusta 3
AB-205/AB-206 Elicotteri Agusta 100
AB-212 Elicottero Agusta 16
F-104S Aereo Aeritalia/Fiat 40
G-91 Aereo Fiat 12
UGANDA AB-205 Elicottero Agusta 10
AB-206 Elicottero Agusta 6
VENEZUELA Lupo (d) Fregata (2500 ton.) CNR 6
- Fregata (1550 ton.) - 2
Otomat LMS/missili Oto/Melara 32/x
Albatros/Aspide LMS/missili Selenia/Elsag 6
AB-212ASW Elicottero Agusta 6
A-109 Elicottero Agusta 8
YEMEN NORD AB-206 Elicottero Agusta 6
AB-212 Elicottero Agusta 6
ZAIRE MB-326K/GB Aereo Aermacchi 21
SF-260MC Aereo SIAI/Marchetti 12
ZAMBIA SF-260 Aereo SIAI/Marchetti 8
MB-326GB Aereo Aermacchi 13
AB-205 Elicottero Agusta 12
AB-206 Elicottero Agusta 5
AB-212 Elicottero Agusta 1
ZIMBABWE SF-260W Aereo SIAI/Marchetti 17
AM-3C Aereo Aeritalia/Aermacchi 43
AB-205A Elicottero Agusta 10
LEGENDA
(a): Ditta brasiliana: su licenza Aermacchi
(b): Prodotto in loco su licenza italiana
(c): In coproduzione con Aeritalia e Aermacchi
(d): Nome dell'unità capoclasse
LMS: Lanciamissili
CNR: Cantieri Navali Riuniti
?: incerto
x: numero imprecisato
-----
La tabella precedente mostra una penetrazione diffusa dei sistemi d'arma prodotti in Italia nei paesi del »terzo mondo , con una leadership nell'esportazione del gruppo Augusta.
Questo gruppo (compresa la Siai-Marchetti), il cui pacchetto azionario di maggioranza è detenuto dall'Efim, esporta infatti l'80% del suo fatturato (nel 1980 e stato di circa 450 miliardi).
Questo invidiabile »successo è strettamente connesso alla quasi assoluta dipendenza tecnologica dell'Agusta dagli Usa: l'industria elicotteristica statunitense preferisce che quote marginali del mercato siano occupate da una azienda europea che produca su licenza piuttosto che consentire la creazione di una industria aeronautica europea concorrente sui mercati »ricchi dei paesi industrializzati. Per queste ragioni gli americani hanno consentito l'espansione di questa azienda su mercati, come l'Iran dello Scià, che avrebbe potuto occupare interamente.
Ma il successo dell'Agusta è anche collegato alla spregiudicata politica del conte Corrado Agusta che fornisce, oltre agli elicotteri, anche gli istruttori militari. L'Agusta International, con sede a Bruxelles, appalta infatti i suoi compiti di »assistenza tecnica alla società E.H.E. (European Helicopter Establishement), con sede a Triesen (Lichtenstein) diretta dal maggior azionista di minoranza dell'Agusta S.p.a., il conte Corrado Agusta. La E.H.E. a sua volta assume piloti e tecnici, veterani del Vietnam, attraverso la società INTERCON, con sede a Wilmington Delaware, Usa.
»Bustarelle per centinaia di miliardi
Valutiamo adesso i »benefici interni alla classe politica connessi alla esportazione di armi. Calcoliamo cioè le »bustarelle (in termini tecnici sono indicate come compensi di intermediazione) pagate dall'industria della Difesa per l'esportazione dei suoi prodotti. Questi compensi di mediazione sono »verificati da un Comitato, che ha sede presso il Ministero per il commercio con l'estero, istituito dall'ex Presidente del Consiglio Cossiga.
Dall'allegato n. 9.2 risulta che le aziende pagano, in media, il 13 per cento del valore dei sistemi d'arma in »bustarelle per l'esportazione dei loro prodotti. Se quindi il totale dell'export, nel 1981, è stato di circa 2.000 miliardi (calcolando anche le componenti di produzione estera), circa 260 miliardi sono stati pagati per »compensi di intermediazione .
Nel 1982 questa percentuale è ancora aumentata. Infatti nella seduta del 24/2/1982 del citato Comitato, sono state discusse le richieste per il trasferimento presso banche estere di compensi di intermediazione per un importo di 98.476 milioni, e relativi all'esportazione di sistemi d'arma per un valore di circa 634 miliardi. Le bustarelle, in questo caso, sono state del 15,4%.
E' difficile quantificare quale parte di queste »bustarelle è tornata in Patria per sostenere le forze politiche di governo, quale parte di queste somme è stata invece semplicemente trasferita in banche estere.
Sono domande a cui può dare risposta solo la Magistratura o i beneficiati, anche se appare quasi indiscutibile che i »benefici ai partiti politici conseguenti all'attività difensiva della Patria sono rilevantissimi. A questo proposito sarebbe necessario indagare sulle società di intermediazione costituite a Zurigo o nel Vaduz a cui sono destinati, almeno formalmente, i compensi di intermediazione prima citati.
La difesa della Patria è, insomma, un buon affare per molti. Il contribuente è invece doppiamente truffato sia per i sacrifici a cui è costretto per fare fronte agli oneri della difesa, sia per i valori aggiunti determinati dai »profitti di regime .
A questo proposito rileviamo solo che nella seduta del 15 settembre 1980, il sottosegretario Bressani, rispondendo ad interpellanze inerenti l'esportazione di materiale bellico, affermo che:
»Per quanto, poi, concerne il problema del pagamento di compensi di mediazione da parte degli operatori economici nazionali a favore di intermediari stranieri - problema che, è bene sottolinearlo, non riguarda in modo particolare il commercio del materiale in questione ma ogni genere di operazioni commerciali con l'estero - va detto che recentemente sono state dal Governo emanate dettagliate direttive al fine di rendere uniformi i controlli cui sono sottoposte le relative richieste di autorizzazione al trasferimento di valute.
Le direttive, emanate sulla scorta degli studi compiuti da apposita commissione amministrativa, sono finalizzate ad eliminare il rischio che operazioni del genere possano occultare illeciti valutari, senza però trascurare, nello stesso tempo, l'esigenza di un corretto e spedito funzionamento del commercio con l'estero, con particolare riferimento alla "par condicio" dei nostri operatori economici nei confronti degli operatori appartenenti a paesi esteri che in materia non attuano particolari controlli. Innanzi tutto si è stabilito che il trasferimento di valuta per il pagamento di compensi a mediatori stranieri deve essere autorizzato solo in quanto il compenso costituisca strumento necessario od utile per la conclusione di una operazione conforme agli interessi nazionali.
Una minuziosa disciplina è stata poi dettata per quei compensi che si discostino dagli usi commerciali internazionali, prescrivendo in tali casi che siano valutate, fra l'altro, l'adeguatezza del prezzo della operazione principale a quello corrente sul mercato internazionale e la compatibilità dei compensi di mediazione con l'equilibrio generale del contratto. Sulla base delle indicate disposizioni, che vengono rigorosamente applicate, deve escludersi che possano essere autorizzati pagamenti che non trovino causa in un lecito rapporto di mediazione.
Il Governo esclude inoltre che forniture di materiale militare siano utilizzate in pagamento di contropartite o tangenti per la vendita di petrolio. Certo i paesi produttori e fornitori di petrolio non sono esclusi dal novero di quelli cui possono essere vendute apparecchiature militari - e non si vede perché mai dovrebbe essere operata questa discriminazione - ma è fuori di dubbio che non vi è alcun rapporto tra le operazioni commerciali aventi ad oggetto materiale strategico e quelle relative al petrolio .
E' difficile credere che compensi che superano il 15% del valore della merce esportata siano »compatibili con »l'equilibrio generale del contratto e, invece, non »trovino causa in un illecito »rapporto di mediazione .
Tutto ciò trova conferma dalle reiterate e vibrate proteste del presidente del Comitato che dovrebbe verificare la legittimità del trasferimento di valuta all'estero, il sottosegretario Armato.
La stampa ha più volte riportato indiscrezioni sulle riserve espresse da questo rappresentante del Governo in relazione alla legittimità delle »bustarelle per l'export bellico, alle modalità di funzionamento del Comitato e alla sua stessa natura.
Appare infatti poco credibile che compensi d'intermediazione così alti possano trovare una loro giustificazione esclusivamente commerciale e non rappresentino almeno in parte, il costo delle »bustarelle pagate presso banche estere, ai partiti che hanno facilitato e autorizzato gli »affari . E' del resto una pura finzione pretendere che il Comitato possa accertare la »compatibilità del compenso in assenza di poteri d'indagine e sulla base di una normativa che gli attribuisce solo il compito di certificare che i destinatari dei compensi siano enti o cittadini esteri, residenti all'estero. Questa »verifica viene compiuta esclusivamente sulla base della dichiarazione dell'istituto bancario che provvede al trasferimento di valuta. Il presidente del Comitato dovrebbe inoltre concentrare in sé la duplice funzione di controllore e di controllato dovendo, lo stesso rappresentante del governo, verificare - in sede di comitato - la legittimità delle autorizzazioni di esportazione di valuta che egli - come responsabi
le delegato del Ministro per il commercio con l'estero - autorizza e firma.
Proprio in questi giorni il Comitato si è praticamente sciolto, e il funzionario che al suo interno aveva le maggiori responsabilità »tecniche di verifica della »compatibilità delle richieste avanzate dalle industrie belliche, il dott. Attolico sarà promosso, nei prossimi giorni, addetto diplomatico al Quirinale.
Ma prima del definitivo scioglimento molti autorevoli uomini di governo vorrebbero che il Comitato autorizzasse una enorme bustarella per il più grosso affare stipulato dall'industria bellica italiana: circa 130 miliardi di tangenti quale »premio per la vendita all'Iraq di 4 fregate classe Lupo, 6 corvette del tipo Wadi, 1 nave rifornimento della classe Stromboli e un bacino di carenaggio per un valore complessivo, a prezzi 1982, di circa 2.000 miliardi.
Può essere interessante rilevare che il »vice di Giacomo Attolico alla direzione affari economici del Ministero degli esteri - il dott. Alberto Indelicato - è proprio il presidente dell'altro Comitato, di cui parleremo, che deve esprimere il parere »politico sulle richieste di esportazione dei sistemi d'arma. Attolico, come effettivo, Indelicato, come sostituto, sono ancora insieme, in rappresentanza del Ministero degli esteri, nel Comitato di gestione della Sace e cioè dell'Ente che si occupa dell'assicurazione dei crediti all'esportazione.
Questi due diplomatici dipendono poi dal segretario generale della Farnesina, il »socialista Malfatti, il cui nome è indicato nell'elenco degli affiliati alla P 2, trovato nella villa di Gelli, con il numero di tessera 2099. Un sottile filo sembra congiungere i personaggi maggiormente coinvolti nella vendita ed esportazione delle armi.
Per penetrare negli angoli oscuri di questo »affare bisognerebbe far luce sui destinatari dei »compensi di mediazione per l'export delle armi italiane, fra cui, per esempio, il sig. Edward Keller di Zurigo, la Investidosa Angolana S.A. presso la Banca Commercio di Mosca, la società Interkomerc di Belgrado, l'Iberica di Madrid, la CPM - Trading Company establishement - di Vaduz, il sig. J.F. Fabbri di Buenos Aires.
A questo proposito sarebbe utile la collaborazione del Ministro per il commercio con l'estero, il socialista Capria, del Ministro per le partecipazioni statali, il socialista De Michelis, che controlla il 50% delle industrie esportatrici di armi, e del Ministro degli esteri, il democristiano Colombo.
Questi rappresentanti del Governo si ostinano invece ad eludere i problemi e le domande sollevate con numerose interrogazioni.
In assenza di queste risposte il relatore di minoranza è stato costretto a presentare alla Procura della Repubblica una dettagliata denuncia (allegato n. 9.11) sugli illeciti e sugli episodi di corruzione che sembrano sovraintendere l'attività di esportazione delle armi, nella speranza che la magistratura voglia approfondire, attraverso i propri organi giudiziari, i collegamenti fra il trasferimento di centinaia di miliardi per bustarelle all'estero e i partiti italiani.
Per quanto riguarda le procedure per il rilascio delle autorizzazioni all'esportazione, il decreto del Presidente della Repubblica del 23 gennaio 1973, n. 43, prevede, all'articolo 221, che la concessione della licenza per l'esportazione di materiale bellico è subordinata all'espressione del parere da parte di un apposito Comitato. Questo parere deve essere espresso all'unanimità.
A questo proposito bisogna rilevare che il decreto 20 marzo 1975, n. 5044, che disciplina gli aspetti organizzativi e procedurali dell'attività del Comitato non è stato mai pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale.
Il sottosegretario Bressani, rispondendo ad una interpellanza del gruppo radicale che chiedeva di conoscere il testo del citato decreto e i nomi dei componenti del Comitato (allegato n. 9.7), affermava, nella seduta del 15 settembre 1980, »di non poter rendere pubblico il decreto di nomina dei componenti il comitato stesso per ragioni attinenti alla tutela della loro personale attività .
In poche parole il Governo intendeva difendere questi funzionari dalle »pressioni delle industrie interessate. Si dà però il caso che questo Comitato è »affiancato da due »esperti nominati uno dal Presidente del Comitato su designazione del CNEN e l'altro dal Ministero dell'industria. Si tratta sostanzialmente di rappresentanti delle industrie esportatrici di armi, che all'interno dell'organismo stesso difendono gli interessi delle aziende. A tutti i dirigenti dell'industria bellica sono poi noti i componenti del Comitato, al Parlamento invece deve essere opposto questo »segreto di pulcinella . Ad ogni buon conto riportiamo, per legittimo diritto d'informazione dei colleghi, l'attuale composizione di questo misteriosissimo Comitato:
"Presidente":
Ministero affari esteri - Ministro plenip. Dr. Indelicato
"Componenti":
Ministero interni - Pubblica Sicurezza Dr. Celauro
Ministero Finanze - D. G. Dogane Prof. Vitelli
Ministero Finanze - Lab. Chim. Centrale Dr. Bausone
Ministero Difesa - Servizio Informazioni Col. Vigliozzi
Ministero Difesa - Stato Magg. Difesa Col. Pagani
Ministero Industria Comm. Artigianato Ing. Monaco
Ministero Commercio Estero - D.G.I.E. Dr. Castelli
Ministero Comm. Estero - D.G. Valute Dr. Lenti
Il dott. Alberto Indelicato è sicuramente un funzionario particolarmente »competente nel settore delle armi. E' stato infatti membro del COCOM, il comitato che controlla l'esportazione di materiale strategico, di armi nei paesi dell'est concedendo gli eventuali nulla osta, che ha sede a Parigi.
La sua particolare »vicinanza ai servizi segreti lo rende inoltre particolarmente »indicato e »affidabile per ricoprire il delicato all'interno del citato Comitato. Non conosciamo invece i »meriti degli altri funzionari.
Non conosciamo inoltre l'identità dei due »esperti che, senza diritto di voto, partecipano alle riunioni del Comitato.