SOMMARIO: La lotta radicale contro le mafie e' incessante, testarda, tenace, ciononostante trascurata dalla stampa asservita. La ricostruzione dell'iniziativa radicale nelle ultime settimane, attraverso le vicende dell'assassinio di Dalla Chiesa, il riesplodere del caso Gelli, le collusioni tra i partiti e i gruppi di Calvi e di Rizzoli. 3 settembre: i radicali denunciano il "diritto di furto" per i partiti sancito dai criteri elaborati dalla Presidenza della Camera circa i bilanci, criteri che escludono la necessita' di presentare lo stato patrimoniale e la situazione finanziaria effettiva. Omicidio di Dalla Chiesa: Rutelli richiama quanto dichiarato da Dalla Chiesa: "la forza della mafia consiste nell'abdicazione dello Stato". Emma Bonino: "la stessa sicurezza del paese e' minacciata da un'organizzazione internazionale che puo' contare su un bilancio paragonabile a quello dello Stato". La posizione dei radicali circa la proposta di nuove leggi d'emergenza. I legami tra ambienti piduisti italiani e il traff
ico delle armi (in particolare verso la Somalia): dichiarazione di Giovanni Negri. 6 settembre: le interrogazioni radicali sull'omicidio del generale Dalla Chiesa. La lettera di Marcello Crivellini ai commissari liquidatori del Banco Ambrosiano. Gianfranco Spadaccia: cinque punti cardine per la lotta antimafia. Emma Bonino: "l'equazione mafia - terrorismo è errata, imperdonabile leggerezza portare nella lotta alla mafia gli stessi metodi usati contro il terrorismo". Il Parlamento approva l'ennesima leggina "antimafia". 11 settembre: Rizzoli, invitato dai liquidatori del Banco Ambrosiano a saldare venti miliardi di debito, chiede a tre partiti di governo di fare altrettanto. Il Parlamento non discute. 13 settembre: Franco Roccella propone lo scioglimento dell'Assemblea regionale siciliana e un serrato confronto di campagna elettorale. Nella sera dello stesso giorno, arriva la notizia dell'arresto di Gelli: l'intero regime è percorso da diversi brividi.
(NOTIZIE RADICALI N. 10, 15 luglio 1982)
Solo una stampa disattenta (colpevolmente disattenta) o asservita può ormai trascurare, per depotenziarla, la tenace, costante, testarda azione radicale nella lotta contro le mafie. Forse non è un caso: quale partito, quale gruppo politico, quale schieramento parlamentare diventa più "temibile", più "pericoloso" nel momento in cui la vita della Repubblica è infangata da un regime occupato e attraversato da una vera e propria spirale di sangue e di ricatto?
Nessuna forza politica può avere tanta credibilità ed efficacia di azione quanto il partito del caso Lockheed, della cacciata di Leone, del referendum sul finanziamento pubblico ai partiti-lobbies, dell'abolizione dell'inquirente... Non la può avere né chi ha sempre propugnato una politica di "larghe intese" con i partiti del regime-mafia, né chi è adesso obbligato a difendere le dichiarazioni "pulite" della segreteria democristiana perché scandalo chiama scandalo, e alla conta dei mafiosi in un partito corrisponderebbe magari la conta dei piduisti in un altro. Un serio elemento di riflessione, questo sulle grandi responsabilità dei radicali verso il paese, particolarmente in questo momento. Perciò vogliamo ripercorrere, in questo numero di NR, il quotidiano fluire dell'iniziativa radicale attraverso le vicende dell'assassinio di Dalla Chiesa, il riesplodere del Caso Gelli, le collusioni fra partiti e gruppi Calvi e Rizzoli, con le relative coperture istituzionali. Giorno dopo giorno, l'azione si sta infitte
ndo. Mentre il regime continua a imputridire.
"3 settembre. Con Marcello Crivellini ed Emma Bonino i radicali denunciano la vera e propria truffa istituzionale che deve sancire una sorta di "diritto al furto" per i partiti". "La Presidente della Camera - si legge in un comunicato congiunto del Gruppo Parlamentare e del Partito Radicale -, infatti, cui la legge delega la definizione del modello del bilancio dei partiti, ha deciso di omettere lo stato patrimoniale e la situazione finanziaria effettiva. In questo modo continuerà senza controlli e conoscenza alcuna la politica di corruzione, di fondi neri, di finanziamento illecito da enti e Banche pubbliche e di inquinamento delle decisioni politiche e di governo. Il Partito Radicale, che ha già rinunciato a nominare suoi revisori dei conti delegando invece l'Ordine Nazionale dei Dottori Commercialisti a farlo, presenterà comunque il suo stato patrimoniale anche contro le attuali decisioni della Presidente della Camera. Il Gruppo Parlamentare Radicale e il Partito Radicale chiedono alla Presidente della Ca
mera di cambiare le sue decisioni in merito".
"Lo stesso giorno, a poche ore dall'eccidio di Palermo, intervengono la segreteria ed il vicepresidente del PR Francesco Rutelli": "A questo punto è immediatamente necessario sapere se il Gen. Dalla Chiesa viaggiasse o no su una macchina blindata. Se, come potrebbe sembrare dalle prime notizie, la macchina non lo era occorre immediatamente far sapere all'opinione pubblica come mai questo sia accaduto, essendo noto che il Generale aveva dimostrato sempre, anche su questo piano, il massimo senso di responsabilità e di prudenza".
"Ricordo ciò che il Prefetto Dalla Chiesa aveva affermato recentemente: che la forza della mafia consiste nell'abdicazione dello Stato, cui il potere criminale si sostituisce nel rapporto con i cittadini. Questo è l'insegnamento che le istituzioni e le forze politiche devono cogliere per estirpare il cancro della mafia e della camorra, per restituire certezza democratica ai cittadini, per onorare la memoria di tanti servitori della Repubblica assassinati da poteri occulti che con terribile frequenza hanno intessuto rapporti con settori cruciali del potere politico e di quello statale".
"Il 4 settembre, Emma Bonino riassume la posizione del gruppo radicale avanzando precise richieste": "E' la stessa sicurezza del Paese che viene minacciata da una organizzazione internazionale che può contare su un "bilancio" paragonabile a quello dello Stato, su migliaia di uomini disseminati nei maggiori centri di potere, sulla stessa natura clientelare e parassitaria dell'Amministrazione dello Stato e degli Enti locali. Per queste ragioni è innanzitutto necessario che il Paese, le forze politiche e il Governo percepiscano esattamente l'entità della minaccia e prendano coscienza che le possibilità di vittoria sulla mafia sono subordinate all'entità degli stanziamenti, alla qualità e quantità dei mezzi, alla natura degli strumenti normativi resi disponibili per questa lotta.
Siamo quindi impegnati ad impedire che con il corpo di Dalla Chiesa si voglia seppellire definitivamente ogni serio impegno di lotta a questa potente organizzazione eversiva e, nel contempo, l'accertamento delle responsabilità connesse all'assassinio del prefetto di Palermo...
I partiti dovranno rispondere davanti al paese sulle loro responsabilità in ordine al processo di espropriazione dei poteri e delle stesse funzioni dell'Amministrazione dello Stato, degli Enti locali e dei centri economici e finanziari pubblici. Sulle strutture clientelari e parassitarie imposte dalla partitocrazia si è infatti affermata e consolidata la mafia. E' del resto urgente riformare ed aprire alla partecipazione di tutte le componenti politiche quel comitato sui servizi di sicurezza che ha dimostrato l'assoluta incapacità di vigilare sulla correttezza e sulla efficienza dei servizi di sicurezza.
"Sull'agenzia Notizie Radicali compare invece una nota in risposta alle prime, prevedibili richieste di leggi speciali e provvedimenti d'emergenza. E' il più scontato (ma non per questo meno pericoloso) meccanismo istintivo di quelle forze e quei personaggi che tentano in tal modo di scaricare le proprie responsabilità e colmare la loro impotenza": "Questa volta è troppo. E' troppo davvero. Non è possibile sopportare le grida sciagurate, impotenti, irresponsabili di coloro che traendo spunto dall'uccisione di Carlo Alberto Dalla Chiesa chiedono già oggi nuove leggi e provvedimenti speciali.
In prima fila, tanto per cambiare, vi si trovano Valiani e il valianesimo, un'ideologia ormai apertamente pericolosa ed eversiva. Questa ideologia, un'ideologia che oggi suggerisce fra l'altro l'introduzione di un fermo di polizia per sei giorni, ha largamente influenzato negli anni passati le scelte politiche di coloro che si sono alternati al Governo del Paese in materia di ordine pubblico. La loro ideologia di morte è nemica della Repubblica. In quanto tale, essa va posta in liquidazione. Padre della Repubblica o meno, Leo Valiani deve andare a sfogare altrove le sue fobie forcaiole e consumare in altra sede i suoi fallimenti.
Quella che con l'eccidio di Palermo è virtualmente sotto processo è infatti la dissennata gestione dell'ordine pubblico che è figlia della demenzialità dei Valiani e di coloro che accanto a questi personaggi si sono schierati.
Con in mano le leggi del duce del fascismo, Benito Mussolini, e del suo guardasigilli Rocco, i padroni del vapore non hanno saputo, né potuto, né spesso voluto affrontare la delinquenza organizzata, comune o politica. Terrorismo, mafia, camorra, collusioni con i poteri dello Stato sono fioriti e hanno imperversato. Lo Stato-mafia, lo Stato-P2, lo stato delle stragi si è potuto affiancare e ha potuto colpire il lento lavoro degli uomini che in prima fila tentavano di edificare lo Stato democratico, la Repubblica della Costituzione.
Non contenti delle leggi che avevano a disposizione e di fronte alla loro inettitudine, costoro hanno esposto il nostro diritto positivo in una china di degradazione sul piano dei principi e di inefficacia sul piano del contenuto l'Italia è così diventato il Paese rifornito di uno dei bagagli legislativi più autoritari delle democrazie occidentali. Ebbene, nel giro di pochi anni, è infuriata la strage, di magistrati, di agenti delle forze dell'ordine, di giornalisti, di cittadini, di agenti di custodia. Le loro leggi hanno prodotto la morte di oltre cento cittadini assassinati dall'"errore" o dai "fatali incidenti".
Con queste leggi in vigore, nel marzo del 1978, mentre si insediava il Governo Andreotti, veniva rapito l'uomo più potente del regime e Presidente del più grosso partito italiano. Oggi, nel settembre del 1982, mentre si insedia il Governo Spadolini, viene assassinato il generale di ferro, l'uomo che più di ogni altro rappresenta per l'italiano il cuore dello Stato sul fronte delle forze dell'ordine. A questo quadro possiamo aggiungere che solo due uomini sono usciti vivi dai carceri del popolo dei macellai delle Brigate Rosse. Il Giudice D'Urso, grazie non alle forze del regime bensì ad una lotta durissima condotta proprio sul filo del confronto fra uno schieramento civile e democratico e i fautori della falsa "fermezza" affiancati dal piduismo di Stato. Il generale americano Dozier è quindi in sostanza l'unico uomo che la politica di governo in materia di ordine pubblico ha ricondotto vivo alla famiglia. Oggi come allora, oggi più di allora c'è da chiedersi perché ciò si avvenuto solo con il generale della
NATO, e non con Peci, non con Taliercio, non con gli altri.
Basta, dunque, con i pubblici delirii e con le invocazioni dello Stato-fortissimo.
Costoro sanno perfettamente che dal punto di vista legislativo questo Stato è - secondo la loro stessa concezione di forza - fortissimo. Chiunque oggi chieda lo Stato più forte ancora, senza pronunciare chiare parole sullo Stato più forte ancora, senza pronunciare sullo Stato marcio, sullo Stato-mafia, sullo Stato-P2, sullo Stato-strage, sullo Stato dei Sindona, sullo Stato dei Calvi, sullo Stato di certi settori dei servizi segreti, sullo Stato-ladro, sullo Stato-clientela che innanzitutto opprime, offende, umilia le popolazioni meridionali impedendo il loro riscatto, non può che essere o incapace o un mentitore o un incapace o un mentitore. In ogni caso, pericoloso. E' semplicemente vergognoso che Valiani ancora abbia il coraggio di rivolgere prediche simili alle menzogne e agli insulti dei tempi del caso D'Urso, quando contro di noi faceva il portatore d'acqua di Gelli dalle colonne del giornale di Tassan Din. Sostituire questa ideologia e questo personale politico al Governo non è più un diritto ma un do
vere di servizio alla Repubblica, prima che prendano corpo le previsioni di Pasolini, per il quale o gli uomini di autentico senso dello Stato avrebbe celebrato il processo al "Palazzo", oppure gli uomini del "Palazzo" avrebbero trascinato insieme a loro, nel fango in cui precipitavano la Repubblica e gli italiani.
Se Dalla Chiesa è stato colpito, è perché qualcuno aveva la certezza che le sue spalle erano meno coperte, che al potere politico romano alla sede della prefettura di Palermo le distanze si erano allungate.
E' caduto a Palermo il deputato Pio La torre. E' caduto a Palermo il generale Dalla Chiesa. Ma ha ragione quel Direttore di giornale (per fortuna ancora ve ne sono) che oggi denuncia coma Milano o a Roma, in questo Stato, non vi sia meno aria di mafia che in Sicilia. E aggiungeva che sono inutili tutti i tentativi di lotta alla mafia da parte di un sistema che pretende di combattere gli stessi nemici che tollera e protegge e di cui al volte si fa forte. Queste sono le uniche voci utili, le uniche voci della ragione. Quelle dei Valiani e dell'ideologia di morte, della quale sono protagonisti i grandi guastatori dello Stato, hanno solo provocato degenerazioni nel diritto e hanno totalmente fallito. Se ancora vogliono mandare alla forca qualcuno, ci vadano loro.
"Nel frattempo, a causa dell'ovvio rilievo dato dai mezzi di comunicazione di massa ai fatti di Palermo, passa praticamente sotto silenzio l'incredibile episodio del Tribunale di Bologna. Degli "sconosciuti" sono potuti penetrare nel palazzo di giustizia, visionare documenti riservati sulle indagini e fotocopiarli. Traffico internazionale delle armi, vicenda Calvi, stragi, incominciano ad essere fenomeni collegati. Sin dal 28 agosto viene avanzata una richiesta di chiarimenti, viste le numerose indiscrezioni della stampa. La dichiarazione è del vicesegretario Giovanni Negri":
"Alcune notizie pubblicate da quotidiani italiani non fanno che confermare i torbidi legami fa gli ambienti piduisti italiani e il traffico internazionale delle armi.
Calvi raggiunse Londra con un aereo messo a disposizione dagli svizzeri fratelli Kunz, trafficanti internazionali d'armi, con i quali si incontrò prima di sparire per realizzare una transazione di mezzo miliardo di dollari che avrebbe avuto il placet dell'Unione banche svizzere, sigla ricorrente nella vicenda Calvi-P2. A questo proposito non si può non ricordare che il ministro della Difesa da mesi rifiuta sistematicamente di affrontare queto tema in Parlamento, pur essendo il nostro Paese uno dei primi esportatori mondiali di armi.
Altresì appare curioso il costante disinteresse della stampa italiana per la connessione sempre più profonda fra settori del potere politico e tale fiorente commercio, visto che è dal Financial Times di Londra che si è potuto per esempio apprendere della fornitura italiana di armi alla Somalia. Eppure ci sembra sempre più evidente che diversi capitoli di storia italiana ancora oscuri potrebbero proprio essere scritti a partire da queste allegre brigate e dai loro affari".
"Ma chiarimenti non vi saranno, né su questo né sui documenti di Dalla Chiesa dei quali tanto di parla, a sostegno della tesi che dipinge l'assassinio del prefetto come causato dalla forza dello Stato, uno Stato che era "sul punto di assestare dei colpi mortali alla mafia". Il 6 settembre, l'agenzia NR pubblica una nota, intitolata "Da Palermo a Bologna, il governo parli subito"":
"Potrà forse far dispiacere all'onorevole Piccoli, ma in queste ore non possono più continuare le indecenze dei giorni del rapimento Moro, quando un ristretto circolo di potentati di partito impedì alle assemblee parlamentari di dibattere per un solo minuto. Non bastano i comunicati di tre righe della Guardia di Finanza. Il Governo è moralmente e politicamente obbligato a fare immediata e pubblica luce sulle inquietanti notizie di queste ultime ore, perché il Paese ha il pieno diritto di poter conoscere e giudicare. In particolare deve chiarire:
1) Se è vero che Dalla Chiesa disponeva di tre precisi elenchi. Cioè la mappa degli appalti fornita dai sindaci della Provincia di Palermo, un dossier sui finanziamenti alle imprese forniti dalla Regione Sicilia, oltre al dossier di schede elaborate dalla finanza sul potere economico mafioso.
2) Qualora la notizia risulti autentica, quali documenti non siano più stati reperiti e come abbiano potuto essere sottratti.
3) Quali ragionevoli giustificazioni vengono addotte dinnanzi al fatto che al Tribunale di Bologna alcuni documenti riservati relativi all'indagine sulla strage della stazione, abbiano potuto essere visionati e riprodotti.
Non è lecito che non se ne discuta nelle istituzioni e che un'opinione pubblica già sconcertata sia in balia di indiscrezioni. Mentre l'episodio di Bologna è rivelatorio del complessivo degrado al quale si è giunti non si devono lasciar crescere gli equivoci attorno ai documenti di Palermo per un minuto di più. Se non c'erano, la si pianti con le proclamazioni di supposti imminenti successi di questo o di quel corpo dello Stato contro la mafia. Se c'erano, si dica di che cosa trattavano e che fine hanno fatto".
"Banco Ambrosiano e partiti, proposte di lotta alla mafia. Con lettere e dichiarazioni il 6 settembre i radicali tentano di correggere le risposte disorganiche e totalmente inefficaci del governo. Marcello Crivellini si rivolge ai commissari liquidatori del Banco Ambrosiano, scrivendo fra l'altro:
"Tra i crediti di cui la stampa ha dato ampia notizia, ve ne sono alcuni direttamente o indirettamente relativi a partiti politici ed, in particolare, ve ne è uno del PSI di cui è possibile e doveroso pretendere la restituzione. Si fanno a questo proposito le cifre di 7, 14 o 20 miliardi: quale che sia la cifra comprensiva di capitale e di interessi, noi ci permettiamo di proporvi le seguenti azioni":
1) rendere pubblici entità, tempi, modalità, interessi, restituzioni o mancate restituzioni da parte di partiti o di altre operazioni finanziarie effettuate da partiti, dal momento che in un modo o nell'altro il contribuente sarà chiamato a pagare in tutto o in parte gli allegri finanziamenti dell'Ambrosiano;
2) Chiedere a tutti partiti la restituzione del denaro dovuto, fra cui quello accertato da parte del PSI, e dal parte del PCI per "Paese Sera", come è stato fatto per l'accettazione bancaria della Rizzoli e con le stesse modalità ed eventuali conseguenze;
3) cautelarsi da eventuali dichiarazioni di insolvibilità chiedendo il blocco della quota annuale di rimborso elettorale che i partiti riscuoteranno il 1· Ottobre 1982 e soprattutto, il finanziamento pubblico che sarà riscosso nel febbraio 1983 (dell'ordine di 8 miliardi per il PSI)".
"Gianfranco Spadaccia, anticipando un suo intervento al Senato (e non sarà facile ottenerne la convocazione tempestiva), indica 5 punti-cardine per la lotta alla mafia":
"1. immediata ricostituzione degli organici carenti e loro rafforzamento nella magistratura, nella polizia, nei carabinieri; ricostituzione della reta ormai dissestata delle stazioni di carabinieri periferiche, rafforzamento dei commissariati e loro decentramento nel territorio delle città;
2. indagare sugli illeciti arricchimenti e colpirli penalmente se necessario con la severità di nuovi provvedimenti legislativi;
3. intervenire nel sistema degli appalti, con procedure straordinarie e del tutto nuove che prevedano, se necessario l'intervento diretto dello Stato come imprenditore;
4. un piano nazionale per affrontare i problemi economici e sociali della Sicilia, a cominciare da quelli dell'occupazione, dell'acqua, dei trasporti con stanziamenti adeguati e con progetti e obiettivi adeguati;
5. recidere i gangli mafiosi nell'amministrazione e nei partiti".
"Emma Bonino critica invece le decisioni che sono state prese dal consiglio dei ministri (in una riunione contrastata, dove è a stento prevalsa una linea di mediazione)":
"L'equazione mafia-terrorismo è errata ed è stata ed è una imperdonabile e colpevole leggerezza quella di tentare di portare in Sicilia, nella lotta alla mafia, gli stessi metodi adottati nella lotta al terrorismo, addirittura nominando nei mesi scorsi, a prefetto di Palermo un generale dei Carabinieri. Così come oggi si appalesa estremamente grave e foriero di risultati non esaltanti la confusione nella stessa persona del compito di Alto Commissario nella lotta alla mafia e di Prefetto di Palermo. Prefetto di Palermo doveva essere nominata una personalità cui potessero guardare con fiducia le popolazioni siciliane per quello che avrebbe significato nella realtà isolana chi, rappresentando il Governo, non presentasse dello stesso il volto repressivo e poliziesco ma quello civile e costituzionale".
"I telegiornali intanto strombazzano la scontatissima legge "antimafia" che in poche ore il Parlamento è chiamato ad approvare. Sono i giorni nei quali Spadolini proclama l'impotenza sua, del governo, del sistema di potere che provvisoriamente rappresenta: "Bisogna stroncare mafia, camorra, P2". Quella P2 alla quale si era risposto con una "legge speciale", speciale nella sua inadeguatezza quanto quella ora sottoposta all'esame del legislativo, chiamata "antimafia". La classe politica dirigente rifiuta, evidentemente, di prendere il toro per le corna. Anche perché dovrebbe prendere innanzitutto se stessa. Il 7 settembre, Franco Roccella prima e poi i deputati delle commissioni giustizia e interni, Franco De Cataldo e Geppi Rippa prendono posizione":
"Questa società politica, debole e cinica nel caso Moro, debole e cinica nel caso D'Urso, debole e cinica di fronte al terrorismo, è più che mai debole e cinica di fronte alla mafia. Incapace di forza morale e politica, tanto ai livelli della normalità quanto ai livelli della eccezionalità, crede di rifarsi con la "forza" delle misure speciali, le procedure d'emergenza, i pieni poteri, ricorrendo a interventi tanto inutili agli effetti che si prefigge quanto rischiosi per la democrazia: ieri i decreti Cossiga, oggi la commistione delle cariche accumulate da De Francesco".
"Il nostro voto contrario a questa nuova legge antimafia nasce dalla convinzione che non è con le leggi "eccezionali", "speciali" che una classe politica cinica e debole, incapace di forza morale e politica, coinvolta nell'intreccio sotterraneo tra poteri occulti e mafiosi e intrallazzi di sottogoverno, possa recuperare una credibilità alla lotta a questo cancro della nostra società. Non è con interventi autoritari che si batte la mafia o il terrorismo, ma facendo funzionare la democrazia che questa classe politica ha reso esangue e inesistente. Non si può essere contemporaneamente complici e vindici".
"Franco Roccella torna poi sull'argomento, e sul dibattito politico (tristemente rituale) che attorno ad esso si sviluppa con due comunicati stampa del 9 e dell'11 settembre":
"Così come hanno fatto alla Camera, i radicali si opporranno con forza al Senato alla così detta legge antimafia ritenendola analoga al decreto antiterrorismo Cossiga, un provvedimento, cioè, inutile e pericoloso.
Si tratta infatti di una legge speciale che, per la parte accettabile non può avere altro effetto che quello di indurre chi di dovere ad applicare le leggi ordinarie già esistenti ma paradossalmente inerti, e per la parte innovativa sconvolge i principi democratici più elementari del nostro diritto conferendo il potere di violarli ad una classe dirigente compromessa oltre i limiti del compatibile, priva di forza e di onestà politica, oltre che morale, incapace di far valere e far funzionare la democrazia con le sue regole e le sue garanzie di libertà".
"La proposta del Partito Comunista Italiano, di un governo in Sicilia svincolato dagli schieramenti precostituiti e connotato da una esplicita volontà di combattere la mafia, può essere degnissima di considerazione se di eliminano con estrema chiarezza e puntualità i riecheggiamenti del milazzismo e si contesta senza riserve quella "sicilianità" che è inclusa nell'idoleggiamento della autonomia regionale.
Il che equivale, nella situazione data, a proporsi una revisione di fondo dello statuto della regione siciliana e a sostituire la lotta politica, la più leale e limpida in termini costituzionali e di responsabilità democratica, al feticcio di una autonomia che è servita sin qui a coprire una contrattazione di potere sostanzialmente unanimistica".
"Sempre nelle stesse ore, riprende attualità l'affare Sindona e i partiti si affannano a lanciare anatemi antimafiosi, giurando e spergiurando sulle future "inflessibilità". Ma già si incaricano di fare i portatori d'acqua della DC e del suo segretario (dopo l'intervista di Nando Dalla Chiesa) i liberali, i socialdemocratici e il segretario del PSI con una intervista "elogiativa" al TG1. Su mafia e partiti Marcello Crivellini dichiara":
"I partiti di governo in Italia sono vissuti e vivono economicamente come delle cosche mafiose. Hanno preso tangenti su petrolio, tabacchi, commesse militari e non, ed ogni altro genere commerciabile. Sono vissuti di ricatti reciproci e di furti comuni. Taglieggiano dite ed aziende sui maggiori appalti pubblici, statali, comunali e regionali. Saccheggiano la finanza pubblica e privata facendosi "prestare" somme che mai restituiscono. Quali le differenze, dunque, con la mafia? Poche e tutte a vantaggio della mafia. La mafia non gode dell'immunità parlamentare per i suoi cassieri. Gli amministratori dei partiti (si vedi soprattutto democristiani e socialisti). Rubare per la mafia è reato: rubare per il proprio partito no, almeno secondo quanto deciso recentemente dal Parlamento assolvendo gli amministratori della DC, PSI, PRI e PSDI rei di furto e truffa in favore dei propri partiti. La mafia traffica con la droga. I partiti hanno da trent'anni "trafficato" con la Cassa del Mezzogiorno saccheggiando e sperpera
ndo decine di migliaia di miliardi. In Sicilia ci sono fortune nate dal nulla? E perché non si fanno delle indagine serie anche sui patrimoni reali di alcuni politici italiani? Craxi, Andreotti e soci cosa e quanto possiedono realmente? Basta con l'ipocrisia. Ho più rispetto di un ladro con il piede di porco che di un ladro in auto blindata con autista pagato dallo Stato".
"Membro della commissione Sindona Massimo Teodori ritorna su questa vicenda":
"La legge del contrappasso sembra inverarsi nella vicenda Sindona. Quando Sindona era libero negli USA e incriminato in Italia, la battaglia contro l'estradizione costituì uno dei cardini dell'azione della `banda Sindona" che impedì dal 1974 al 1979 il rientro del bancarottiere in manette in Italia. Condannato a 25 anni in USA, imprigionato e con in vista altri pesanti processi, il già `salvatore della lira' vuole oggi essere estradato in Italia.
Al di là di questo balletto, sarebbe forse opportuno che finalmente il bancarottiere parlasse sulle reali connivenze politiche, massoniche clerical-vaticane e mafiose della sua avventura finita nel crimine.
La commissione parlamentare d'inchiesta cercò di interrogare direttamente Sindona ma egli si oppose. Oggi, più che mai, dopo Calvi, Marcinkus, Gelli e Dalla Chiesa, è l'ora di ricercare le radici degli intrecci fra potere e criminalità, e Sindona potrebbe dirne molte".
"11 settembre. Il marcio non dà tregua. Tra un cadavere eccellenze e l'esplodere di scandali, il rischio è davvero quello della rassegnazione. Rizzoli, sollecitato dai liquidatori dell'Ambrosiano a saldare venti miliardi di debito, chiama a sua volta tre partiti di governo a saldare un debito di circa 15 miliardi di lire. E' possibile che in Parlamento non se ne parli immediatamente, che queste operazioni restino "Cosa nostra". Evidentemente sì. Emma Bonino presenta comunque a nome del gruppo radicale un'interpellanza per sapere":
"1. se risponde a verità che i partiti Democrazia Cristiana, Partito Socialista Italiano e Partito Socialdemocratico Italiano sono debitori, rispettivamente, di 15, 3 e 1 miliardo nei confronti della Rizzoli Editore, e che questi debiti sono da tempo già giunti in scadenza, e la Rizzoli ha quindi il diritto di chiederne il saldo immediato;
2. se risponde a verità che il prestito al PSI sia stato negoziato e garantito da Nerio Nesi, esponente socialista e Presidente della Banca Nazionale del Lavoro, una delle componenti del pool che ha rilevato la gestione del Banco Ambrosiano; se sia dunque corretto che questo stato di cose possa continuare a lungo;
3. se le cifre in questione risultano essere mai state iscritte nei bilanci dei partiti in questione, e se ciò sia ritenuto corretto ai sensi della legge sul finanziamento pubblico dei partiti".
"E Marcello Crivellini può adesso denunciare a chiare lettere quali siano i numerosi motivi per i quali la presidenza della Camera ha predisposto un determinato modello di bilancio per i partiti":
"La Presidenza della Camera, secondo quanto previsto dalla legge sul finanziamento pubblico dei partiti, ha deciso in agosto di adottare un particolare modello di Bilancio per i partiti: da esso è completamente assente la situazione debitoria e le partecipazioni a società.
In molti ci siamo chiesti se ci fosse stato un motivo particolare.
Oggi sappiamo che di motivi ce ne erano più di uno; per la precisione 19 miliardi di motivi: tanti sono infatti i soldi che DC, PSI e PSDI devono alla Rizzoli tramite loro società e che grazie alle recenti decisioni della Presidenza della Camera non compariranno mai sui bilanci di quei partiti.
In un Paese dove tutti parlano di questione morale e di moralizzazione si arriva invece a questa situazione paradossale: per conoscere parte dei debiti di alcuni partiti bisogna affidarsi non alla Presidenza della Camera ma ai ricatti reciproci tra Rizzoli, Ambrosiano e partiti di governo".
"Il 13 settembre Franco Roccella ritorna sulla opportunità di una ferma iniziativa politica (poiché è con la politica, attraverso la politica, che è indispensabile agire) in Sicilia, proponendo lo scioglimento della assemblea regionale siciliana ed un serrato confronto attraverso una campagna elettorale, capace di imprimere una svolta nella lotta per la pulizia":
"Con tutta la buona volontà di questo mondo è difficile credere e dar credito a questa improvvisa ed eroica disposizione della vecchia classe di potere siciliana a combattere senza quartiere la mafia.
Molte, troppe volte si è unita sotto il segno ambiguo della autonomia per consumare la sua perizia gattopardesca e creare le condizioni migliori per un regime di accorte e unanimi spartizioni.
E' ormai un dato di cultura, sorretto da un consolidato di interessi e di strutture, che non muta per il solo fatto che si cambia gabbana.
E mi riferisco non solo, anche se principalmente, alla DC, per il fatto semplicissimo e storicizzato che essa ha trovato validissimi collaboratori nei suoi partners di governo e perfino in carissimi antagonisti. Le gestioni del credito, degli enti regionali (ente minerario e ESPI in testa), dei piani regolatori e dell'edilizia, dei vari programmi di intervento, delle sovvenzioni regionali ecc. ecc. ne sono una testimonianza di scandalosa evidenza.
Se si vuole fare sul serio, per un impresa di questa portata si vada alle elezioni regionali anticipate. Simboli, liste, nomi, volti, storie individuali e progetti si espongano al confronto, il più leale e spietato, della lotta politica e al giudizio dell'elettorato, notificando l'azzeramento della situazione. E dalla lotta politica rigenerata, che ridefinisca per prima cosa l'istituto e la politica dell'autonomia regionale, nascano convergenze e schieramenti.
I compagni comunisti ci pensino: non sciupino occasioni ed opportunità che hanno il privilegio di poter cogliere; formulino e sostengano la loro proposta in termini di lotta politica.
"Il 13 sera piomba su Roma la notizia della "cattura" di Licio Gelli. Il regime è percorso senza dubbio da diversi brividi. Prima preoccupazione di chi cerca la verità è garantire che la famosa "fogna" stia il più possibile alla larga. Con questa parola, fin dai primissimi anni '70, i radicali avevano descritto e qualificato la procura di Roma (con diversi titoli, fra l'altro, sul quotidiano Liberazione, e senza mai ricevere una sola querela dai diretti interessati, anche quando sollecitati). Massimo Teodori rilascia la seguente dichiarazione":
"Ci rallegriamo dell'arresto di Gelli. Ora non si dia inizio al balletto della magistrature e, soprattutto, si impedisca che in grandi insabbiatori della Procura di Roma entrino in azione.
Molti tremeranno. Gelli ha fra le sue maggiori specialità quella del ricatto. Troppi piduisti sono rimasti in circolazione nei partiti, nelle istituzioni dello Stato e in altri ruoli di alta responsabilità pubblica. Solo facendo in modo che Gelli non resti o non torni in contatto con piduisti pentiti o no, si può evitare che il ricatto penda sulla Repubblica".
"La mattina seguente la notizia dell'arresto in Svizzera di Licio Gelli Radio Radicale ha infine intervistato Franco De Cataldo, membro della commissione parlamentare d'inchiesta sulla loggia P2.
Alla luce delle notizie di stampa e di agenzia disponibili De Cataldo ha Manifestato la sua perplessità sulle modalità dell'arresto di Gelli.
Questa la sintesi del suo intervento":
"La possibilità di protrarre la latitanza doveva per Gelli essere certo più che ampia.
Il caso del generale Lo Prete, latitante dai tempi dello scandalo dei petroli, è in questo senso significativo: non è stato ancora preso eppure le sue "coperture" sono sicuramente minori.
Ritengo dunque possibile che Gelli, più che essere catturato, si sia consegnato ai poliziotti svizzeri.
Le modalità dell'arresto sono infatti singolari: la riscossione di un conto di quelle dimensioni non usa certo farsi di persona allo sportello di banca.
Soprattutto però va posto l'accento sul rapporto fra quel deposito bancario e l'affare Calvi, ovvero i mille miliardi e forse più, stornati dai fondi dell'Ambrosiano con il concorso di Carboni, di alcuni banchieri svizzeri e di un collaboratore di Andreatta, il dott. Binetti. Nome, quest'ultimo, che per la prima volta ho fatto nell'intervento alla Camera lo scorso luglio in replica al Ministro del Tesoro, che rispondeva ad una interrogazione sul caso Calvi.
I miliardi che Gelli si apprestava a ritirare sono dunque la sua quota per l'affare Ambrosiano. A questo proposito sono sempre più convinto che Calvi sia stato ucciso; forse c'è chi punta a mettere le mani sui depositi creati dietro società anonime di comodo.
Ho chiesto che la Commissione P2 sia messa nelle condizioni di poter interrogare al più presto Gelli in Svizzera.
Vi è ora la possibilità che ai reati addebitati a Gelli dal P.M. Sica si aggiunga un mandato di cattura spiccato dal giudice bolognese Gentile, che lo accusa di essere uno dei mandanti della strage della stazione.
Su questo non sono convinto del modo di procedere del giudice istruttore di Bologna.
Perché ritenere che il testimone volontario Ciolini dica la verità su Gelli e Delle Chiaie, e il falso su Ciampi, Monti e Agnelli, pure chiamati in causa? E quale ruolo ha avuto Palladino, estremista di destra che ora sarebbe inquisito nella strage se non fosse stato ucciso in carcere da Concutelli? E cosa voleva raccontare Palladino a Pannella e a me, coi quali aveva chiesto di parlare prima di essere ucciso? E chi è veramente questo Concutelli che nelle carceri ha questo ruolo di "giustiziere"? E questa Loggia di Montecarlo non è forse nata in contrapposizione al potere di Gelli?
E, tornando all'arresto di Gelli, che ne è di Ortolani, che pure è in Svizzera, dove risiede tranquillamente pur essendo ricercato dalla giustizia italiana?
Su tutto questo torbido intreccio Magistratura e Commissione P2 devono operare alla ricerca della verità".