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Spadaccia Gianfranco - 15 luglio 1982
Psi: ma dove vai?
Contro ogni rassegnazione, confrontarsi

di Gianfranco Spadaccia

SOMMARIO: Nel discorso alla Camera sulla fiducia al governo - bis di Spadolini, Craxi ripropone la prospettiva dell'alternativa come possibile e attuale; ma in realta', la evoca per meglio escluderla. Il leader socialista rimprovera al Pci una politica di complotto antisocialista, in funzione di un nuovo compromesso con la Dc, e di voler esercitare nei confronti del Psi il ruolo egemonico della passata politica frontista. E' ora il Pci, secondo Craxi, a dover seguire il Psi, e non viceversa. Pur nei limiti della sua strumentalita', i radicali possono cogliere in questo discorso l'occasione per un dialogo con il Psi. Il problema dell'alternativa non puo' essere ridotto ad un problema di schieramento, ma nemmeno essere liquidato con l"affermazione che quella del Pci non e' vera alternativa.

(NOTIZIE RADICALI N. 10, 15 luglio 1982)

C'è stato un momento, nel suo rissoso discorso pronunciato alla Camera sulla fiducia allo Spadolini-bis, in cui Bettino Craxi è sembrato voler riproporre la prospettiva della alternativa come prospettiva possibile e attuale. E' stato quando il Segretario socialista ha detto che il PSI ha davanti a sé due strade: da una parte quelle di un nuovo centro-sinistra, che non ripeta le caratteristiche del passato, dall'altra quella di una alternativa politica alla DC libera da ipoteche frontiste.

Il tema dell'alternativa scoperto dal PSI di De Martino dopo la vittoria laica del divorzio nel 1975, riproposto al Congresso di Torino dopo il cambio della Midas, e poi subito abbandonato sull'altare del ritorno al Governo, è sembrato così per un momento tornare a far parte dell'orizzonte delle possibili scelte socialiste. E' stata però speranza di un solo momento, evocata per poterla meglio liquidare ed escludere. Il leader socialista ha infatti rimproverato al PCI di non voler una vera alternativa: di servirsi al contrario della cosiddetta politica della alternativa democratica per meglio mascherare la sua disponibilità a nuovi compromessi con la DC. Craxi, che poco prima aveva accusato DC e PCI di un complotto antisocialista, si è servito dell'immagine di Sciascia, di un PCI in attesa, quasi come un questuante, fuori della porta della DC. Il segretario del PSI ha infine rimproverato al PCI di voler continuare ad esercitare, nei confronti del PSI e dell'intera sinistra, il ruolo egemonico della passata po

litica frontista, ed ha orgogliosamente rovesciato i termini della subalternità socialista in quella politica: è mia convinzione - ha detto - che siete voi ora a doverci seguire, a dover seguire al nostra politica.

Ritengo che, respingendo come sempre ogni tentazione settaria, i radicali debbano cogliere proprio da questo discorso, nonostante il limite evidente della sua strumentalità, l'occasione per un dialogo con il PSI. La strumentalità della sua evocazione, così come contraddizioni della politica comunista dopo la scelta berlingueriana della alternativa democratica, sono infatti la dimostrazione che questa prospettiva non può essere espulsa dall'orizzonte della sinistra, e quindi dall'orizzonte del PCI e del PSI. Una sinistra senza alternativa è una sinistra senza futuro; peggio è una sinistra che rinuncia al proprio futuro, che rinuncia ad essere se stessa.

Il problema dell'alternativa non può certo ridursi ad un problema di schieramento: se fosse così l'alternativa laica e di sinistra sarebbe già cosa fatta dal 1975. Ma il problema non può essere neppure liquidato con l'affermazione che quella del PCI non è una vera alternativa, così come non si possono evitare i pericoli del frontismo ipotizzandone un semplice rovesciamento, con il PSI al posto del PCI nel ruolo di "partito guida" e con i comunisti e tutta la sinistra invitati a "seguire il PSI". Ma seguirli dove? Dietro quale politica? Su quali contenuti programmatici, su quali scelte ideali, su quali proposte alternative? Verso quali obiettivi o prospettive? Una forza politica, che pretende di essere protagonista della politica del cambiamento, che si candida alla direzione del governo del Paese, non può limitarsi a rimproverare ai radicali di essere divenuti antisocialisti o ai comunisti di rimanere ancorati tenacemente ad una concezione non solo egemonica ma addirittura prevaricatrice del loro ruolo. Deve

rispondere a queste domande. E se ha fiducia nella sua politica, deve avere la forza di proporla non solo alle altre forze politiche ma al Paese; e soprattutto deve avere la forza di saperla costruire anche, se è necessario, fuori del perimetro del potere.

Non ripeterò qui le polemiche che negli ultimi due anni ci hanno diviso dai socialisti, cancellando e facendo dimenticare momenti di feconda unità, per entrambi, e per il Paese: sull'atteggiamento tenuto dai socialisti nei referendum dell'81, in particolare su quello dell'aborto, quando scelsero la subalternità alla politica dei diritti civili del Partito Comunista, una subalternità che era stata invece rifiutata da gran parte dell'elettorato e della stessa classe dirigente socialista nei referendum del '78; sulle scelte di politica riarmista di Lagorio; sulla questione morale (dalla P2 al caso Calvi); sulla politica di lottizzazione sfrenatamente perseguita con miope ottica di potere soprattutto nel campo dell'informazione; e da ultimo sulla proposta di cui proprio di sindaci socialisti avevano assunto la leadership, di una precisa iniziativa italiana contro lo sterminio per fame nel mondo.

Ma sono sicuri i compagni socialisti che proprio in queste scelte, e nelle conseguenti polemiche e divisioni con i radicali, tenacemente ricercate e costruite, non si trovi la spiegazione della recente debolezza dimostrata dal PSI all'interno del Governo nella sua conflittualità con la DC o dell'atteggiamento difensivo che è stato costretto ad assumere perfino nei confronti di un PCI incerto ed esitante? E' possibile che sia bastato un De Mita a mettere in crisi la grinta di Craxi? E' possibile che sia bastato la ipotetica minaccia di un improbabile complotto DC-PCI a far abbandonare precipitosamente la politica della crisi di governo e di legislatura e a far tornare precipitosamente i ministri socialisti sui banchi del Governo? Se complotto c'era, l'unico modo serio ed efficace di sventarlo non era forse quello di farlo realizzare e di opporvisi a viso aperto nel parlamento e nel paese? Che forza, che respiro, che autonomia ha una politica che può svilupparsi soltanto nell'area del Governo e del sottogovern

o e quindi nell'area del potere? E' il PSI che in questa maniera si candida al potere o non c'è forse il rischio che il potere si sia già impossessato del PSI?

Il problema della governabilità per il PSI da tempo non è più il problema della governabilità del Paese con maggioranze finalmente omogenee (negli schieramenti parlamentari e soprattutto nella società) ai programmi di riforma; non è neppure più il problema della governabilità delle istituzioni, corrotte da una quarantennale politica di regime, occupate da logge massoniche e da cosche mafiose e camorristiche, travolte da continue stragi di Stato e di legalità, divise da corpi separati, servizi segreti, polizie parallele, feudi partitocratici e corporativi; nella strategia del PSI anche questo problema su cui i passati governi di centro-sinistra avevano pure giocato un ruolo positivo, suscitando contraddizioni vitali e democratiche, sembra ormai ridursi a un puro semplice problema di governabilità del Parlamento, mettendone in riga le opposizioni.

Il PSI non ha commesso l'errore di confondere la politica di governo con questa governabilità? I dirigenti del PSI non si sono illusi si sostituire la politica con la tattica quotidiana e i progetti di riforma con la "grinta" che qualche volta poi diventa rancore (e i rancori non fanno politica)? Non hanno sostituito i discorsi sul riformismo alla capacità riformatrice, e quelli vaghi e imprecisi sule riforme istituzionali alle idee forza necessarie per una riforma anche istituzionale. E' su questo che il PSI vuole costruire le sue fortune elettorali? Se è solo con questo, sarebbe un'altra "occasione mancata" per la democrazia italiana. Perché è dubbio che su questo possano costruirsi delle fortune elettorali. Ma, se anche una ventata favorevole si determinasse per la crisi dei due maggiori partiti, sarebbe presto seguita dalla disillusione e dal fallimento. Esattamente come avvenne alla politica comunista dopo i grandi successi elettorali del '75 e del '76.

L'accenno di Craxi non è caduto del tutto nel vuoto. Sembrano oggi riprenderlo e volerlo sviluppare proprio gli uomini di quella corrente socialista non ufficiale ma esistente, che più hanno spinto per le elezioni anticipate, i ministri Formica De Michelis. Il rischio è che tutto si esaurisca in un nuovo momentaneo e illusorio tatticismo. Ma anche questo dimostra che il problema dell'alternativa si pone oggi con più forza che nel passato.

Non esistono oggi le condizioni perché PSI, PCI e Partito Radicale possono sedersi intorno ad uno stesso tavolo. Ma al PCI e al PSI diciamo che dovrebbe essere finito il tempo delle pregiudiziali e venuto il tempo del confronto, senza ipocrisie, ma anche senza settarismi, sulle rispettive proposte e sulle rispettive diversità. Per parte nostra riproponiamo quella prospettiva di "alternativa, unità e rinnovamento della sinistra" (unità nella diversità e nel rinnovamento) che ha sempre costituito la nostra bussola di orientamento, il nostro ancoraggio ad una politica democratica di classe, anche nei momenti più duri dello scontro a sinistra. Ci è servita a reggere il confronto e lo scontro con i comunisti. Ci servirà a maggior ragione nei rapporti con i socialisti non foss'altro per il patrimonio comune di ideali e di speranze che non può bastare una stagione di divisioni e di polemiche a cancellare.

 
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