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Pannella Marco - 22 luglio 1982
Ancora tutti contro Moro
di Marco Pannella

SOMMARIO: Nello svolgimento del processo Moro, preoccupazione costante è quello di inficiare e passare sotto silenzio le testimonianze dei familiari di Moro, che dimostrano come, durante il rapimento, la sospensione e il sequestro dei diritti del Parlamento, degli organi elettivi dei partiti e in particolare della Dc, si accompagnasse al sequestro dei diritti degli stessi familiari del Presidente Moro. Il Parlamento non doveva conoscere il contenuto delle lettere di Moro che chiedeva la convocazione della Conferenza dei capigruppo, mentre ai massimi livelli dello Stato e dei servizi di sicurezza, uomini della P2 operavano per organizzare il depistaggio di ogni possibile indagine. "Ora anche per lui è meglio morire". Aldo Moro fu assassinato con il consenso del potere. Il caso D'Urso: il partito della fermezza cercava un nuovo cadavere. Se Moro vivesse, forse anche la campagna contro lo sterminio per fame sarebbe più vicina al successo.

(IL GLOBO, 22 luglio 1982)

("Dal segretario del partito radicale riceviamo e pubblichiamo il commento che segue sul processo Moro.")

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Il linciaggio cui è stata sottoposta da molte parti Eleonora Moro, e il governo accorto cui sono oggetto da parte di certa stampa le dichiarazioni dei suoi figli, non sono più oltre tollerabili. Nella vicenda Moro un fatto, in particolare, è incontrovertibile e va posto in piena luce: Governo Dc, Pci, Pri, la quasi unanimità delle forze politiche e parlamentari operarono per impedire che il Parlamento fosse investito dei suoi poteri, che furono sospesi, ed al quale fu a più riprese violentemente vietato di assolvere i suoi compiti; così come furono sospesi i diritti statuari nella Dc, sequestrati diritti-doveri della sua Direzione e del suo Consiglio Nazionale, di cui Moro era Presidente.

Aldo Moro chiese invano la convocazione sia della Camera, sia degli organi statutari della Dc. Dal Governo, il Ministro degli Interni, e lo Stato Maggiore del blocco di ``unità nazionale'', erano di fatto delegati a gestire la tragica vicenda. Parallelamente, si mobilitarono le forze di ogni tipo per linciare Moro, prigioniero e inerme. Se le Br furono responsabili infami del suo sequestro e dell'esecuzione del suo assassinio, altri lo torturavano, dal di fuori. Se Moro, com'è probabile, poteva leggere la stampa, non poté non constatare che ai suoi appelli, alle sue lettere, ai suoi moniti ed ai suoi insegnamenti si rispondeva negandogli ogni capacità di intendere e di volere, la forza morale che si presuppone in qualsiasi combattente prigioniero. Ogni dignità gli veniva ferocemente tolta, con scritti ignobili (basta pensare a alcuni del giornale in cui era uso esprimersi) e - a volte - dai suoi più fedeli e intimi seguaci. Moro fu da costoro innanzitutto ucciso nella sua immagine, nella sua identità. Invano

tentammo di opporci a questa valanga di fango omicida, invano ammonimmo che le Br avrebbero più facilmente assassinato un uomo cui ferocemente si toglieva rispetto e credibilità.

Eleonora Moro ed i suoi figli hanno ragione. Comincio a temere che l'hanno fino nel loro più gravi e non documentati sospetti specifici. Noi scrivemmo e gridammo queste cose, giorno dopo giorno, come potemmo, in aula di Montecitorio, a Radio Radicale, con dichiarazioni alle agenzie puntualmente censurate.

Ricordo lo smarrimento con cui appresi, come Presidente del Gruppo Radicale della Camera, dal Presidente Ingrao, che non ci avrebbe consentito la conoscenza della lettera di Moro, che chiedeva, anche lui, penso, quella convocazione straordinaria o quell'ampio dibattito che ad ogni seduta ed in ogni riunione della Conferenza dei Capi-Gruppo tentavamo di esigere. (E' troppo chiedere che quella lettera sia portata a conoscenza della Camera?)

Si lasciò in tal modo, deliberatamente, il monopolio dell'opera dello Stato e della democrazia italiana nelle mani del Ministro degli Interni Cossiga, dei Servizi Segreti dove si insediavano ai massimi livelli uomini della P2, o loro omologhi, ed a ambienti »sicuri della polizia. La vicenda di via Gradoli è al centro di interrogativi che tuttavia non appaiono nemmeno ora adeguatamente coraggiosi e consapevoli.

»Ora, anche per lui, è meglio morire . Fu questa la voce che - con crescendo rossiniano - soffiò come calunnia sin dall'arrivo della prima lettera del Presidente della Dc, a Montecitorio ed altrove. Ci si comportò, anche per questo, di conseguenza.

Aldo Moro, lo ripetiamo, fu assassinato con il concorso di coloro che assunsero in quelle settimane il potere, impedendo il funzionamento costituzionale dello Stato, e democratico-statutario dei Partiti. Queste responsabilità, anche costituzionali e giuridiche, dovranno essere pure, un giorno, con altre, ricercate e sanzionate anche da altre corti di giustizia.

Anni dopo, con il caso D'Urso si tentò di nuovo di ottenere un cadavere anziché una vita e una liberazione. Questa volta era pronto il Governo dei piduisti e dei sindoniani, oltre che degli ottusi e ciechi neo-giacobini di turno del partito della »fermezza .

Lo stesso partito che ha oggi istituzionalizzato non solo la trattativa, ma l'entità dei compensi e dei premi ai terroristi con l'infame legge ``sui pentiti''.

Con la vittoria che solitari riportammo, con l'aiuto di altrettanto solitari e emarginati giornalisti, con la liberazione di D'Urso, saltarono i piani già pronti, allora come ai tempi della prigionia di Aldo Moro, per colpire la Repubblica: invece del Governo di salute pubblica, ed al suo posto, avremmo l'esplodere della verità su Sindona, sulla P2. Sul regime.

Ancora più grande è il rammarico di non aver allora potuto salvare Aldo Moro, dalle Br e da costoro, come non riusciamo ancora a salvare milioni di persone, in corso di sterminio nel nuovo Olocausto per fame nel mondo.

Forse, se Moro fosse stato vivo, anche gli sterminandi per fame avrebbero potuto esser già salvi.

Così, non sappiamo.

 
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