di Giorgio GalliSOMMARIO: L'autore afferma che l'aver fatto della battaglia contro la "fame" nel sud del mondo il tema dominante e quasi unico dell'attività del Partito radicale è stato un fattore di crisi per i radicali e l'indice della difficile situazione in cui si dibatte la sinistra. Nell'Italia dei sindacati alle corde e dove il Movimento per la vita e il presidente della Dc contrastano la legge sull'aborto, rappresenta una semplificazione eccessiva pensare che la tradizione laica, libertaria e socialista possa essere riassunta dalla richiesta di 3 mila miliardi per salvare tre milioni di persone affamate.
(PANORAMA, 9 agosto 1982)
Il varo della legge finanziaria con riduzione dell'enorme deficit pubblico è contestuale all'apice dell'impegno del partito radicale per ottenere, in tale ambito, lo stanziamento di 3 mila miliardi per salvare tre milioni di persone nel quadro della campagna contro la fame nel mondo.
Tale concomitanza permette di puntualizzare la posizione dei radicali nella fase di attesa che caratterizza il nostro sistema politico e che ha indotto Pannella a chiedere l'anticipo delle elezioni a ottobre appunto per porre fine a tale fase.
Va rilevato che la messa in luce del problema della fame nei Paesi arretrati e dei suoi negativi riflessi anche nelle aree avanzate è un tipico apporto della cultura riformista occidentale. Infatti l'analisi di tale problema e iniziata coi rapporti di due commissioni che hanno preso nome da due classici rappresentanti di tale cultura: il rapporto Carter (ex presidente democratico degli Stati Uniti) e il rapporto Brandt (presidente dell'Internazionale socialista). Sono esperti incaricati dalla Casa Bianca e dall'organo di collegamento dei partiti socialdemocratici che hanno definito la questione nella sua drammaticità.
Che alla presa di coscienza culturale corrisponda, in Occidente, una capacita di intervento operativo, è da dimostrare. Ma che di tale presa di coscienza si siano fatti interpreti per primi, in Italia, i radicali, è in linea con la loro caratterizzazione di questi vent'anni. A loro infatti si deve l'introduzione nel nostro Paese di temi tipici della cultura progressista occidentale, quali la regolamentazione del divorzio e dell'aborto.
Ma, diversamente da tali temi, la questione della fame nel mondo non si presta a semplici soluzioni legislative e l'impegno italiano a più adeguati contributi, giustissimo, non investe la pubblica opinione in modo altrettanto diretto. Appunto per questo e pur in presenza delle campagne radicali contro le leggi eccezionali e il finanziamento pubblico ai partiti mi pare che l'aver fatto della "fame" il tema dominante e quasi unico della attività del partito nell'ultimo anno sia stato un fattore di crisi per i radicali è l'indice della difficile situazione in cui si dibatte senza apparente via d'uscita l'intera sinistra.
Sembra quasi che Pannella, spintosi sino allo sciopero della sete, impegnato come parlamentare europeo e non più italiano, reputi che nell'ambito nazionale i radicali abbiano fatto tutto quello che potevano per cui la loro attenzione si sposta sul piano planetario. Anche parte del vecchio spirito radicale traspare da proposte come quella dell'obiezione fiscale contro gli stanziamenti per le spese militari.
Tale impressione e avvalorata da quanto si sente dire tra alcuni radicali: che non si può più parlare, con Pertini al Quirinale e Spadolini a palazzo Chigi, di "regime democristiano"; che vi sono fermenti positivi nel mondo cattolico (da qui la valutazione positiva dell'attuale pontificato e la diffusione dell'appello dei vescovi contro la fame); che, insomma, i successi conseguiti nel modificare la realtà italiana giustificano la nuova proiezione internazionale.
La situazione pare a me del tutto diversa. La sinistra italiana non è vittoriosa, ma rassegnata. La popolarità di Pertini e quanto di meglio possa desiderare l'attuale classe politica, ma egli stesso rileva spesso che può lanciare ammonimenti, non prendere decisioni (e non può permettersi, più dei suoi predecessori, nelle crisi di governo, di affidare neanche un semplice mandato esplorativo a un rappresentante del secondo partito italiano). La politica interna di Spadolini è quella di Rognoni, la sua politica estera è quella di Colombo, la sua politica economica è quella di Andreatta: nell'ambito della quale i radicali devono lottare per la richiesta dei 3 mila miliardi, fatta propria dai 1300 sindaci che però vedono in pericolo i loro stessi bilanci.
L'ultima battaglia dei radicali in Parlamento contro la legge di riforma delle liquidazioni ha infine fatto di loro, da sempre accusati di non curarsi degli operai, i soli difensori a sinistra del diritto del lavoratori di pronunciarsi con un referendum: ma e stata una sconfitta non soltanto sul tema specifico, ma sull'utilizzazione di quell'istituto referendario che è il simbolo delle battaglie radicali di questo decennio.
L'Italia attraversa dunque un periodo di prevalenza di valori e di impostazioni conservatrici che, pur nella diversità del quadro globale, più drammatico, presenta analogie con gli anni Cinquanta. E i radicali hanno avuto voti alle elezioni del '79 e nel referendum sull'aborto dell'81 da una opinione pubblica progressista che cerca un punto di riferimento combattivo in quella tradizione laica, libertaria e socialista che i radicali affermano di rappresentare meglio dei partiti storici.
Nell'Italia dei sindacati alle corde e dove il Movimento per la vita e il presidente della Dc contrastano come troppo permissiva quella legge sull'aborto che i radicali osteggiano perché retrograda, che tale tradizione laica, libertaria e socialista possa essere riassunta dalla richiesta di 3 mila miliardi che l'astuzia dc riesce a far coincidere coi tagli alle spese per la sanità, pare a me semplificazione eccessiva. Anche se i conti si potranno fare a leggi approvate.