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Pannella Marco - 20 agosto 1982
L'autunno del regime
di Marco Pannella

SOMMARIO: Cronaca di due giornate radicali, tra crisi del regime e "crisi del Partito". L'uccisione del giudice D'Urso doveva essere il detonatore di una sorta di colpo di Stato di stampo piduista. L'azione del partito radicale riuscì ad impedirlo. Ci riprova oggi De Benedetti usando Rino Formica che opera per lo scioglimento delle Camere. Cosa farà Sandro Pertini? Accetterà di stare al gioco avallando una crisi non solo extraparlamentare ma perfino extrapartitica ed extragovernativa?. Questo scontro ha echi anche nel Pr con la fuoriuscita dal Pr di Rippa, Jannuzzi e De Cataldo. Qualcosa di oscuro si muove dietro tutti questi avvenimenti.

(NOTIZIE RADICALI N. 31, 5 agosto 1982)

Ho il dovere di esser chiaro, con i compagni: anche e soprattutto se mi sembra chiaro che qualcosa di oscuro, almeno per me, sta dietro gli avvenimenti di queste settimane e di questi giorni.

I compagni ricorderanno che, nel pieno del caso D'Urso, ci sembrò di scorgere in quella vicenda il detonatore per una sorta di colpo di Stato. Denunciammo la convinzione che si cercava in ogni modo di ottenere dalle BR il cadavere del magistrato, per insediare quell'annunciato governo "alla Visentini" che "Il Corriere della Sera" e l'intera catena Rizzoli-Tassan Din, il senatore a vita Valiani, alcuni comunisti e "La Repubblica", davano per certo e necessario. Tutta Roma conosceva l'elenco dei ministri possibili, fra i quali alcuni generali e alcuni esponenti della sinistra tradizionale. Questa operazione era sostenuta e ufficialmente annunciata in sede internazionale, in particolare negli ambienti NATO. Governo di salute pubblica, nuove elezioni, riforme costituzionali, governo forte, unità nazionale...

La P2 fu sul punto di vincere. Prevalse invece la nostra politica. D'Urso fu salvo. Sull'onda di quella mancata "svolta", dello sconcerto e delle paure conseguenti, la presenza di un Commissario radicale nella Commissione Sindona consentì che il caso P2 scoppiasse in modo clamoroso e inarrestabile, invece d'esser "trattato" come al solito fra le forze di maggioranza e di "opposizione" comunista.

L'Italia scoprì, d'un tratto, che la dura, vecchia denuncia radicale: "La P2 è forse più pericolosa della P38", lanciata subito dopo l'assassinio di Stato di Giorgiana Masi, trovava il corrispettivo clamoroso, ancora una volta, nei fatti: dal Vice Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura Zilletti, alle più alte e prestigiose autorità militari del Consiglio Nazionale della Difesa, a ministri, segretari di partiti, presidenti di gruppi parlamentari, a massimi esponenti del mondo della finanza, tutti erano coinvolti nelle meno criminali, letteralmente mafiose, golpiste, connesse a governi neo-nazisti o neo-fascisti, di Licio Gelli.

Un Congresso del Partito, ricordiamolo, rischiò di determinare una incredibile spaccatura fra "garantisti" e... pannelliani. Radio Radicale e Teleroma 56 furono testimonianza di una sensibilità molto diversa da quelle del Partito, e mia personale. Lino Jannuzzi, Franco De Cataldo, Geppi Rippa si mobilitarono contro... Massimo Teodori, accusato di non avere fino in fondo compreso e operato la vicenda Sindona, e quindi quella P2!

In quel polverone, certo, ci trovammo in molti frastornati: "pannelliani", "teodoriani", "garantisti" che fossimo, fummo forse in molti a non comprendere o non voler comprendere che occorreva affondare il bisturi, per meglio capire fatti e risvolti. Ma una volta di più il Partito riuscì ad esser saggio: e, per onor del vero, molto lo aiutò Franco De Cataldo, in extremis, deludendo Jannuzzi, Rippa stesso, rifiutandosi di andare fino in fondo in un'operazione che avrebbe portato ad una spaccatura che, con il suo senso di prudenza, comprendeva non esser poi sostenibile nel tempo.

Ma da quel Congresso del Tendone, a Roma, molta acqua sporca è passata sotto i ponti del Tevere, e del Tamigi. Per il Partito, per il paese.

Veniamo a queste ore. Al malessere, al "deja vu", al già vissuto che avverto.

Tutti dichiarano che è in corso, da agosto, una sorta di gioco al massacro, nella maggioranza e nel governo, con una posizione di imbarazzata paralisi del maggior partito di "opposizione", il PCI.

Se le uscite di un Formica sono davvero messe nel conto della pochezza politica dell'individuo, si dà una spiegazione ovvia, ma sostanzialmente superficiale e insostenibile. Che davvero questo socialista barese possa avere la forza sia pur negativa di porre in crisi, più che i governi, le istituzioni è scempiaggine. Si dice che tutto dipende dal fatto che, contrariamente a Craxi, egli vuole le elezioni a qualsiasi costo. Concesso. Ma per conto di chi? Due settimane dopo la formazione dello Spadolini-bis, un noto esponente industriale, De Benedetti, guarda caso socio di Visentini, già socio per un mattino di Calvi, guarda caso interessantissimo al "Corriere della Sera", guarda caso candidato per molti al Ministero del "Dopo-D'Urso", in una esplicita intervista a "Repubblica" affermava: a) che nel mondo, ed in Italia in particolare siamo giunti ad un punto di non ritorno di una gravissima crisi economica, finanziaria e politica, che governi democratici non potranno assolutamente superare, poiché le misure per

uscirne non sono alla loro portata; b) che nel 1983 questa crisi sarà superata e le misure necessarie prese; c) che subito verranno "il management" e "lo sviluppo".

Il Partito (ed io stesso quale Segretario sia pur dimissionario) cerco di aprire un dibattito su questa intervista e sulle analisi e le previsioni di De Benedetti. Per mio conto sostenni a più riprese che in quel testo v'era ben più di una previsione, v'erano - sicuramente - "informazione e informazioni".

Intanto si mandano in giro per il mondo, con gran fracasso e in pompa magna televisiva, bersaglieri, marò, parà. Il Libano ne è il pretesto: non importa se si dà un ultimo colpo al prestigio dell'ONU. Si cominciano a rifornire di danaro, di armi e di commesse militari dittatori africani. Il Ministro della Difesa si muove con una flotta nei mari caldi, per parate e passerelle industriali-militari. Si ricomincia a parlare di missione italiana nel mondo, naturalmente di pace e di civiltà. Sembra di sentir le note, non solo le parole, di "Faccetta nera bell'abbissina", l'inno popolare della "Grande Proletaria" (l'Italia, secondo il Capo del governo, Mussolini) con cui si accompagnò la conquista dell'Etiopia.

Ma soprattutto riprese il gioco al massacro in Italia. Come nei paesi dei colonnelli e delle giunte militari, si costituiscano una sorta di "Comitato per la riforma della Costituzione". Si massacrano i regolamenti e le prerogative della Camera. Se assegnano centinaia freneticamente centinaia e centinaia di miliardi di tangenti "ufficiali" per vendite e acquisti militari (c'è un sottosegretario che fiuta il fuoco, o satollo di dimette dall'organismo italiano addetto al settore), in un giro vorticoso di committenti, mediatori e ditte che ricorda i migliori periodi di Calvi, Ortolani, Gelli.

Intanto alle Commissioni P2 si mena il can per l'aia. I veri problemi vengono appena evocati. Vi sono alcune buone sceneggiate, senza seguito. Si arriva semplicemente a capire, ogni tanto, che non molti hanno comprensibilmente sete vera di sapere. Anche perché già sanno: Pecchioli, tanto per non far nomi, quale vice presidente di quella commissione di vigilanza sui servizi segreti che aveva a lungo e amorevolmente collaborato con generali tutti piduisti, sapeva da tempo che Licio Gelli era una sorta di pubblico ufficiale, di dipendente e collaboratore di Stato per affari sud americani e connesse meno filo-terroristiche. Si scava incredibilmente poco, di nuovo, sulle storie che possono portare (di nuovo!) all'assassinio ed alle attività di Pecorelli.

I "creditori" di regime sono messi sotto chiave, o sotto ponte. Sindona, Clavi, Carboni. Si danno pieni poteri, negati a Dalla Chiesa, al questore De Francesco, ora massimo capo dei servizi segreti, ieri noto tutore di via Gradoli e dintorni, messo a San Vitale dopo gli strascichi pericolosi della vicenda cossighiana dell'assassinio di Giorgiana Masi.

Invano noi premiamo su Franco De Cataldo, in tutti i modi ed in tutti i toni. Non gli riesce di far nulla, quando fa qualcosa. Fino agli ultimi giorni, nei quali, forse per protestare contro le gravi violenze subite nel Partito, è assente agli interrogatori di Andreotti e di D'Amato. Ora si dirà che perseguitiamo un dissidente, eroico e stalinizzato: ma tutti sanno che per mesi la sua partecipazione sia all'Ufficio di Presidenza di Nilde Jotti, sia e sopratutto in commissione P2, per tacere dell'altra silente attività nella Commissione Giustizia, dopo quella nella Giunta del Regolamento, è sicuramente alla base ed all'origine dei "dissensi" attuali e ufficiali. Verranno i Salvatore Sechi e i Paolo Flores D'Arcais, difensori dei poveri radicali oppressi, a documentarlo e denunciarlo.

Intanto il Ministro Lagorio viaggia molto. A Bruxelles, non solamente a Mogadiscio: ma ancora più negli USA. Ci si trova mentre in Italia il possente Formica riscatena la crisi (per conto di chi? ripetiamo). Persino lo zuzzerellone Spadolini s'accorge che qualcosa di strano c'è. A TG1 dichiara, ma nessuno lo nota nel senso giusto, che qualcuno gli ha sparato alla schiena mentre era impegnato nel salvataggio della patria con il suo massimo amico Reagan.

E ricomincia l'assedio al Quirinale che ci spaventò nel gennaio 1981, durante il caso D'Urso, quando tutti scrivevano quel che il Presidente aveva fatto, aveva disfatto, il cestino dove aveva lanciato uno scritto ignoto a tutti, quel che avrebbe fatto l'indomani, che stava in ascolto dei dibattiti parlamentari, quando avrebbe nominato Visentini, quali generali godessero la sua fiducia. Quando fummo certi che si tentava in ogni modo di impedirgli di esser messo sull'avviso di nostre, e altrui, preoccupazioni per lui; sull'esistenza di quella tentacolare congiura che dopo poche settimane doveva esplodere agli occhi di tutti, e della quale poco mancava che fossimo ritenuti noi responsabili, poiché dalle colonne di Rizzoli-Gelli autori prestigiosi ce ne accusavano.

Per cinque giorni, infatti, tutti sono d'accordo, negli ambienti politici e in quelli giornalistici, a dare per fatta la crisi delle comari. La più illustre delle quali (mi perdoni Edda Billi!), Presidente della Camera, sembra precedere desideri dei nuovi sfascisti, chissà dei nuovi golpisti.

Lo sfascio del Parlamento che essa asseconda trova rossi di imbarazzo e di vergogna compagni comunisti dei quali giustamente Mellini dice che non sono poi delle mammolette della nostra democrazia...

Ma Pertini? Noi ci affanniamo a chiedere. Ma come poter pensare, proprio ora, dopo la mezza topica di agosto che sicuramente i suoi collaboratori hanno in buona parte sulla coscienza, che accetterà una crisi così vilmente torbida extra parlamentare, perfino extrapartitica e extragovernativa, visto che tutt'al più si sviluppava nel cortile dei mass-media, di quegli stessi del caso D'Urso, tranne i rizzoliani in cassa integrazione? E quella importanza data da "Repubblica" a Formica, quelle ripetute interviste, erano "sensazionali" perché meritavano d'esserlo il personaggio e le sue entità, o perché appunto "lanciate" dal paludato signore di Piazza Indipendenza? Lo dichiarano ad alta voce. Silenzio. Dal "Secolo d'Italia" all'"Unità", passando per "Il Messaggero" e il "Corriere della Sera", a tutti gli altri. Torniamo a chiederlo, mentre dilaga sempre più ogni sorta di ipotesi, tranne una: che Pertini difenda la Costituzione, che difenda per un minimo di dignità della stessa vicenda politica italiana.

Nulla. Riesco, alle 23 di sera, dopo la censura totale dei telegiornali, in primo luogo del Tg1, a raccontarlo in televisione, alla tribuna politica sperimentale, intervistato da Gianni Letta. L'indomani, ancora nulla: eppure i giornali avevano il testo del mio intervento sin dalle 17.

Memore di quel gennaio dove ci salvammo tutti, a cominciare da Pertini, in extremis, grazie alla vita conquistata di D'Urso, ma memore anche del fatto che sicuramente si era allora riusciti a impedire al Presidente Pertini di conoscere bene e di vagliare le nostre convinzioni, questa volta, non ho risparmiato telex, telegrammi, motociclisti.

Mi sembra quanto meno possibile che questi messaggi, diretti o indiretti, siano questa volta arrivati. Certamente a confortare una opinione tenuta fortunatamente nascosta, per meglio difenderla (e non da Maccanico, signor Presidente!) e, alla fine, affermarla.

Non so, compagni, cosa accadrà in questi giorni. Scrivo in fretta questi appunti prima di partire per il Congresso dei Gruen, i Verdi tedeschi, e per la sessione del Parlamento europeo.

Quanto meno abbiamo guadagnato dei giorni, per la democrazia nel nostro paese, e lo sconcerto delle ancora oscure forze che si stanno muovendo nella direzione di sempre.

In questa situazione, in questa Italia, in queste ore, in "questo sterminio" (l'epicentro è questo: il Congresso, il preambolo hanno avuto ragione), questo o quel dissidente massacrati da mio stalinismo discutevano tra loro se fosse possibile ripetere fino in fondo la vicenda della scissione di Democrazia Nazionale: costruire un Gruppo autonomo alla Camera, avere la metà o una parte del finanziamento pubblico del Partito, e tutto il resto. Semplice prova di imbecillità, fino a prova del contrario. Speranza durata lo spazio di un mattino, certo, ma titillata e accarezzata, con ricerca di documenti da interrogare, non si sa mai... mentre non si trovava il tempo di correre nemmeno un istante all'interrogatorio di D'Amato o a quello di Andreotti nella Commissione P2.

Dimenticavo: una delle ipotesi di Transatlantico, per la crisi che doveva scoppiare questo pomeriggio, e che Pertini ha fatto scoppiare nelle mani di chi l'aveva innescata, solo per amore di Costituzione e di giustizia, era la seguente: Forlani presidente, Lagorio vice presidente del Consiglio e ministro degli Esteri: o, ancora, Colombo Presidente e... Lagorio vice presidente, e ministro degli Esteri. Alla difesa? Boh: un democristiano, probabilmente. De Mita sa che la DC ha da riacquistare terreno solamente su questo fronte. Forlani? Era il Presidente del Consiglio dell'unità nazionale, quello del periodo aureo dei desaparecidos, dei Gelli e Ortolani in colloquio con gli Andreotti e i Piccoli, dei De Francesco, delle Via Gradoli, delle Giorgiana Masi e degli Aldo Moro...

Ma non ho altro tempo per quest'incubo di fine autunno.

P.S. Preciso: se e quando avessi delle accuse da fare rispetto a chiunque, le peggiori, non essendo un lanciatore di merda, le farò con l'indicativo, ed assumendone piena responsabilità. Se, in quel che ho scritto, rispetto a compagni fino a ieri ed ancor oggi iscritti al Partito, v'è accusa, per ora e spero per sempre non è che di irresponsabilità, incapacità e leggerezza. Spero con tutto il cuore che non vi si abbia alcun problema di buona fede; voglio esser certo che non vi sia, e ne sono certo. Se non di buona fede carpita, al massimo. Se così fosse, al di là del danno, nulla da temere.

 
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