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Sciascia Leonardo - 25 agosto 1982
I nipoti di Don Vito
di Leonardo Sciascia

SOMMARIO: Il magistrato Michele Margiotta, "morto quest'anno a Palermo", aveva indagato nel 1933 sulla morte dello scrittore francese Raymond Roussel, di cui anche Sciascia si era occupato [scrivendo un racconto sulla vicenda, n.d.r.]. Il Margiotta aveva scritto un libro di ricordi sulla mafia e sull'"allora potente capo: don Vito Cascio-Ferro", l'uomo che si diceva avesse ammazzato il "celebre poliziotto italo-americano Petrosino". Divenuto capo della mafia palermitana, Vito Cascio-Ferro aveva posto il veto a che Margiotta potesse avere "incarichi di difesa in corte d'assise". Questo era "un capomafia fino ai nostri anni cinquanta". Nel 1957, Sciascia aveva scritto di temere che la mafia potesse uscire dalle campagne e a "infiltrarsi nel processo d'industrializzazione". Purtroppo, è' avvenuto anche di peggio, con l'arrivo di " droga e del traffico delle armi"

(CORRIERE DELLA SERA, 25 agosto 1982)

Il dottor Michele Margiotta, nato a Bisacquino nel 1901 (concittadino, dunque, e coetaneo di Frank Capra) e morto quest'anno a Palermo, ha scritto poco prima di morire, e privatamente pubblicato, un libretto di ricordi. Bisogna dire che nella sua vita attraversò tre professioni: avvocato, magistrato e infine, e più lungamente, notaio. Come magistrato, si trovò ad indagare, nell'estate del 1933, sulla morte di Raymond Roussel all'Hotel des Palmes di Palermo: e poiché anch'io, circa quarant'anni dopo, mi sono trovato a indagare su quella morte, ecco la ragione per cui il suo libretto di ricordi mi è pervenuto.

Un breve capitolo del libretto è dedicato alla mafia e al suo allora potente capo: don Vito Cascio Ferro. Racconta il dottor Margiotta che dopo il "giovanile errore" di una tentata estorsione, per cui fu denunciato e arrestato, don Vito emigrò negli Stati Uniti, dove entrò a far parte della mafia, che allora si chiamava Mano nera. "Si dice ricevesse l'incarico di seguire nel viaggio a Palermo il celebre poliziotto italo americano Petrosino e di ucciderlo, cosa che avrebbe fatto personalmente, ammazzandolo a piazza Marina. Questo fatto, non legalmente provato, diede prestigio a don Vito e gli permise di assumere con mano sicura la direzione della mafia per tutto il territorio della provincia di Palermo... I grossi affari di terre e case, a Palermo, passavano per le sue mani, ma era moderato nel chiedere la percentuale e non provocava ritorsioni... A Bisacquino, don Vito gestiva dall'alto le aziende agricole dell'onorevole Domenico De Michele Ferrantelli, con sede a Guiglia, e l'azienda di Santa Maria del Bosc

o di Nenè Inglese... Io facevo l'avvocato ed egli mise il veto affinché non ricevessi incarichi di difesa in corte d'assise. Ciò veniva a limitare il mio lavoro al tribunale e alla corte d'appello. Per questo motivo fui indotto ad entrare in magistratura... Debbo però confessare che per il resto don Vito fu sempre corretto. Sono certo che si mantenne estraneo alle rapine subite da mio padre ed a mio giudizio era innocente dell'omicidio di Gioacchino Lo Voi, per il quale fu però condannato all'ergastolo."

E pare che all'ingiusta sentenza don Vito riconoscesse una certa giustizia con la frase, lanciata ai giudici, che per i tanti omicidi che aveva commesso non erano riusciti a condannarlo e per quello che non aveva commesso lo condannavano.

Questo era un capomafia fino ai nostri anni cinquanta; e questi erano gli interessi della mafia. Scrivendone nel 1957, mi pareva che una mafia siffatta, e con siffatti interessi, fosse in via d'estinzione. Ma così concludevo: "Se dal latifondo riuscirà a migrare e consolidarsi nella città, se riuscirà ad accagliarsi intorno alla burocrazia regionale, se riuscirà ad infiltrarsi nel processo d'industrializzazione dell'isola, ci sarà ancora da parlare, e per molti anni, di questo enorme problema." Facile e persino ottimistica previsione.

La mafia è andata al di là: è diventata fenomeno più vasto, indefinibile e visibilissima nei suoi molteplici effetti invisibile nella sua gestione, nei suoi capi, nei suoi legami, nelle sue connivenze e protezioni. Si conosceva una mafia siculo americana e si parlava di una certa penetrazione specialmente in ordine agli abigeati nelle colonie francesi di Tunisia e Algeria; ma la droga e il traffico delle armi l'hanno fatta dilagare in ogni parte del mondo.

Lentamente stiamo arretrando a rimpiangere tutto, o quasi tutto, del passato. Saremo costretti a rimpiangere anche la mafia di don Vito Cascio Ferro?

 
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