Marco PannellaSOMMARIO: Invitato nella sede di Metropoli, Marco Pannella si impegna ad accertare la verità nel processo del "7 aprile". Una vicenda nella quale molti dei magistrati coinvolti si muovono in un atteggiamento persecutorio da "angeli sterminatori", sempre più "al di fuori della cultura giuridica repubblicana, laica, civile, costituzionale", a danno della giustizia e della democrazia del paese. I presunti colpevoli sono stati letteralmente linciati, e tra questi ci si è accaniti soprattutto contro Toni Negri: per questo l'autore, allora Segretario del partito radicale, afferma l'intenzione di volerlo candidare, per farlo eleggere, alle prossime competizioni elettorali per il rinnovo del Parlamento italiano. Lo "scandalo" dell'elezione di Tony Negri costringerà la Giustizia, dopo cinque anni di detenzione "preventiva", a celebrare finalmente il processo a Tony Negri e agli altri imputati del "7 aprile", costringerà il Parlamento a ridurre i termini della detenzione preventiva portandoli ai livelli della civiltà
europea.
(Notizie Radicali n.33 del 3 settembre 1982)
L'8 aprile 1979, invitato nella sede di Metropoli, volli che fossimo in due; andai con Adelaide Aglietta, già segretaria del Partito, già giurata - nelle condizioni che ricordiamo - del primo processo contro le BR a Torino. In quella occasione, con parole molto chiare, assunsi un impegno: la verità processuale ed effettiva doveva esser perseguita nel rispetto pieno delle regole del gioco, dei codici e della Costituzione. Precisavo ad alta voce, fra tanti venuti con convinzioni assolute, che per quanto mi e ci riguardava, questo accertamento della verità, e solo questo, ci avrebbe visto impegnati.
Nei giorni successivi incontrai Pertini. Poiché da anni l'episodio (sul quale mai sarei tornato come non sono mai tornato finora) è stato reso pubblico dall'allora addetto stampa del Presidente della Repubblica, ricordo che non appena - e con la stima, la fiducia, il rispetto che contraddistinguevano allora i nostri rapporti con lui - gli ebbi esposto il mio sbigottimento per il suo telegramma di felicitazioni al giudice Calogero, il Presidente della Repubblica si dichiarò addolorato per l'errore commesso, fino a dichiararci che intendeva, su questo, presentare le sue dimissioni...
Da allora, in molte occasioni ci siamo silenziosamente occupati di intervenire secondo le promesse e gli impegni di quell'8 aprile. Da Scalzone a Piperno, da Pace a tanti altri, numerosi sono i testimoni.
Personalmente ho la piena consapevolezza, anche, di averlo fatto non soltanto tenendo d'occhio la presunzione costituzionale di non-colpevolezza (l'onere della prova è a carico dell'accusa, ed il giudizio sulla prova a carico del Tribunale) ma anche le condizioni difficili, non solo psicologicamente, umanamente, ma anche culturalmente di magistrati costretti ad operare sotto la cascata di leggi stupide, sbagliate ed infami, tecnicamente peggiori di quelle fasciste. E sotto il tiro assassino e criminale dell'eversione organizzata, comunque motivata.
Ma ora, e già da gran tempo, è troppo... Nella loro cultura stessa, nelle loro scelte politiche (e non mi riferisco necessariamente a quelle partitiche), nella loro deontologia, nel loro uso delle leggi e dei regolamenti, dei loro poteri discrezionali, molti dei magistrati coinvolti nella vicenda del "7 aprile" hanno ampiamente dimostrato di muoversi con sempre maggior accanimento al di fuori della cultura giuridica repubblicana, laica, civile, costituzionale. Il loro operato rappresenta quanto meno un grave pericolo ed è responsabile di un grave danno per la giustizia, la democrazia, il paese.
L'accanimento persecutorio li ha portati, Calogero per primo, a costituirsi quasi in arcangeli sterminatori dell'immonda bestia, con storia interiore e pratica non dissimile, culturalmente e umanamente parlando, dal cammino percorso da alcuni leader storici delle BR di matrice catto-comunista.
Il linciaggio dell'immagine dei presunti...colpevoli è stato ignobile: l'uso dei mass media per distruggerli in nome della verità che si presumeva o voleva fosse affermata è stato irresponsabile e cattivo. L'accanimento contro Toni Negri, in particolare, ha esposto non solamente la loro umanità ma la nostra e loro "giustizia" a figure grottesche e barbare.
I rapporti di forza processuali, fondamento dei codici di procedura penale civili, sono stati massacrati. La funzione di giustizia della difesa è stata violentemente impedita. Il diritto ad esser giudicati s'è mutato nell'obbligo all'espiazione anticipata delle peggiori pene.
Noi che assistemmo non inerti alla vergognosa complicità non solo della cultura, della borghesia, ma anche dello Stato e della sua amministrazione, con la violenza post-sessantottarda nei momenti ed ai vari livelli cui dilagava; noi che denunciavamo la verità oggi evidente dell'alleanza non sempre solamente oggettiva dello Stato della P2 con la società della P38, noi che pagammo con l'isolamento e il linciaggio da ogni parte il rigore e la forza della nostra posizione legittimista-costituzionale, repubblicana, antifascista e delle nostre convinzioni e pratiche nonviolente; noi che abbiamo compreso e in qualche misura quasi coperto per un certo periodo anche il turbamento umanissimo di certi giudici e ci siamo trovati a non condannarli pubblicamente nella speranza di trovarci di fronte solamente a un momentaneo riflesso di debolezza da parte loro, diciamo ora: basta!
E non a chiacchiere, a lamento, ma anche ad articoli. Il sistema processuale democratico, civile, lo abbiamo già detto costituisce l'organizzazione che mira alla contraddittoria ma comune ricerca della verità fra la forza della difesa di imputati dalla presunta non colpevolezza e la forza dell'accusa di una amministrazione statuale con presunzione di imparzialità.
Questo rapporto di forze è stato massacrato, le regole del gioco truccate, il diritto-dovere ad essere giudicato ed a giudicare irriso.
E' per questo che ho già in passato pubblicamente affermato, ed ora ribadisco quale Segretario del partito, che quando dovessimo concorrere ad elezioni politiche proporrò che Toni Negri sia eletto deputato (e non solamente designato candidato) per quanto sta alle responsabilità del partito stesso. Questo fatto, nella sua puntualità ma anche nel suo significato e nello scandalo di riflessioni che sicuramente comporterà, costituirà un elemento di reintegrazione della Giustizia. (Ma ora aggiungo: ad ogni nuovo colpo violento, sostanzialmente fascista al diritto civile e democratico, risponderemo aumentando il numero delle vittime che diventeranno, per quanto sta in noi, al nostro posto se necessario, deputati a rappresentare la nazione, a legiferare, a controllare e indirizzare i poteri dello Stato).