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Notizie Radicali - 3 settembre 1982
`Movimento pacifista': punto per punto il nostro dissenso

SOMMARIO: I dieci motivi su cui l'antimilitarismo radicale si contrappone al pacifismo del Pci.

(Suppl. a NOTIZIE RADICALI n. 33, 3 settembre 1982)

"Cosa pensiamo e facciamo contro il militarismo sovietico"

Noi radicali siamo anti-sovietici. Denunciamo cioè il pericolo crescente della politica espansionista e militarista dell'URSS. La nostra opposizione a questa politica è chiara e costante: abbiamo svolto nella primavera '82 manifestazioni nonviolente contro lo sterminio per fame e per il disarmo nelle capitali dell'Est europeo (Mosca, Praga, Berlino Est, Budapest, Sofia, Bucarest), dove i militanti nonviolenti sono stati fermati, arrestati ed espulsi suscitando una notevole eco sui mezzi di informazione internazionali.

Siamo mobilitati, in Parlamento e nel paese (recente è la costituzione in area radicale del Comitato per i Diritti Umani nei Paesi dell'Est, che svolgono una significativa attività e pubblica una rivista mensile: "Confronto con l'Est") per assicurare l'attuazione degli Accordi di Helsinki e l'affermazione dei diritti fondamentali nei paesi comunisti. Ci battiamo costante mente perché l'azione "pacifista" non sia antiamericana ed a senso unico, ma mirata per un'azione che affermi i valori propri delle democrazie occidentali: di vita e non di morte, di promozione umana e non di militarizzazione; in questo senso, siamo convinti che il confronto con i regimi di comunismo reale non possa essere impostato sulla forsennata spirale riarmista, "che rafforza le peggiori tendenze di potere ad Ovest e ad Est", ma su una competizione serrata sui diritti umani. Proprio perché siamo contro ogni cedimento di "realpolitik" nei confronti di Mosca, noi riteniamo che compito delle democrazie sia quello di favorire con i mezzi l

egali sanciti dagli Accordi di Helsinki la liberalizzazione dei sistemi dell'Est europeo. Gli altri, insomma, vogliono molti missili e niente Solidarnosc; noi vogliamo rafforzare Solidarnosc e cominciare a smantellare i missili.

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"Cosa trovano i radicali che non va nel "movimento per la pace"? Forse "l'unilateralismo" che denunciano i socialisti? Oppure una sorta di "usurpazione" di un solitario ed incontrastato monopolio del pacifismo italiano? Né l'uno, né l'altro. Noi rimproveriamo, anzi, il contrario di queste cose al PCI, egemone di questo "movimento", e alle altre forze subalterne che fanno codazzo e a quelle che non hanno la forza di promuovere neppure la più timida delle alternative. Questo "movimento" non ha infatti né l'incisività di battersi contro il militarismo nostrano (come non si batte contro quello moscovita), né la capacità di aggregare un'unità di diversi che affianchi o anche sostituisca (la cosa non ci spaventerebbe affatto) il ruolo (pur minoritario) di unica forza antimilitarista rivestito dal Partito Radicale per venti anni in Italia. Nel "movimento per la pace" italiano non ci piacciono le seguenti cose: 1) Non è affatto un movimento, bensì la diretta e immediata emanazione dei partiti. Si riduce ad essere,

nella peggiore delle tradizioni della sinistra, una specie di "intergruppi" che si arroga il diritto di rappresentare "la gente" mentre proprio questa invadenza e lo stretto controllo partitico drenano ogni possibile apporto di cittadini.

2) Non esistono obiettivi di lotta. Si è genericamente "per la pace", si è incapaci di promuovere al di là delle inutili adunate oceaniche specifiche campagne o iniziative di lotta. Se per caso queste vengono deliberate, la sapiente regia comunista le stempera pian piano riconducendole al "più generale impegno per la pace".

3) Si è dolosamente mancata la contrapposizione al raddoppio (in due anni) delle spese militari italiane. La manifestazione convocata per il 31 marzo '82 dal Comitato (unitario) 24 ottobre è stata dapprima sabotata e poi formalmente abbandonata dal PCI e a rimorchio dalla FGCI e dall'ARCI. Tutto ciò a copertura della non presentazione da parte comunista di emendamenti per la riduzione delle spese militari. Pace sì, ma gli operai dell'industria bellica (ed anche i padroni, di cui il PCI mira ad essere un interlocutore primario) debbono continuare ad esportare le armi al Sudafrica, all'Argentina, all'Iraq e chi più ne ha più ne metta.

4) Si dà un colpo al cerchio e uno alla botte. Finché ogni ipocrisia ha diritto di cittadinanza (esempio: dichiarare "inopportuna" e non "sbagliata" la scelta di installare gli euromissili a Comiso, e non presentare emendamenti in Parlamento per tagliare i fondi destinati ad infrastrutture NATO, tra cui quelle di Comiso, mentre in Sicilia ci si impegna a mostrare la faccia cattiva") il PCI può contemporaneamente tacitare il filosovietismo di buona parte della base con le grida di piazza, ed avallare al vertice la politica di riarmo NATO.

5) La riaffermazione di una inaccettabile visione "distensionista" delle relazioni internazionali che non tiene in nessun conto il pericolo gravissimo rappresentato dalla politica militarista dell'Unione Sovietica, e non sa vedere quindi nel pacifismo dell'Europa Occidentale un prezioso strumento di iniziativa contro questa politica, sulla base di Helsinki, e non di Yalta.

6) L'incapacità di passare dal pacifismo all'antimilitarismo: se non c'è un'analisi rigorosa del ruolo degli strumenti dell'organizzazione militare nell'epoca contemporanea, non ci può essere risposta adeguata a Jaruzelski (e le piazze sono andate deserte dal 13 dicembre in poi), né alla follia bellicista e nazionalista che si sta diffondendo (e le piazze sono rimaste silenziose, allo scoppiare delle nuove guerre).

7) La mancanza di un rigore laico, di una capacità di divulgazione adeguata circa i fatti della guerra e della pace, della volontà di disintossicare l'opinione pubblica dei veleni delle propagande dominanti.

8) Si è ancora pienamente in balia della concezione "trattativistica", delle sirene del "disarmo" generale, mondiale, universale o niente. Nonostante talune importanti aperture concettuali, l'idea dell'unilateralismo abbracciata ormai persino da parte dei più tenaci ex-assertori dell'arms control, di cui hanno constato l'implausibilità - resta una sorta di peccato inconfessabile.

9) La diffidenza verso l'arsenale delle coscienze, verso le forme organizzate della disobbedienza. Verso l'obiezione di coscienza individuale e collettiva alle pratiche della morte.

10) La miope visione, infine e soprattutto, di un pacifismo inchiodato ad una dimensione eurocentrica, incapace di cogliere la priorità incalzante degli assetti Nord-Sud, incapace di identificare nello sterminio per fame e malnutrizione la prima e la più terrificante delle guerre".

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Il terribile processo internazionale di riarmo

La corsa al riarmo quantitativo e qualitativo non ha freni. E' stato inoppugnabilmente dimostrato, che la spinta di formidabili interessi di potere e finanziari sta conducendo la comunità umana su una strada senza ritorno, in un processo che diviene via via pressoché incontrollabile.

I capitoli principali di questo processo sono: una spesa militare mondiale giunta alle soglie del milione di miliardi di lire l'anno; l'accumulazione di circa 60.000 testate nucleari, pari ad un potenziale distruttivo ben superiore ad un milione di volte l'atomica di Hiroshima; la diffusione e l'espansione senza precedenti della produzione e del commercio di armamenti; l'acquisizione da parte di numerosi paesi (prevalentemente del Terzo Mondo, ed a regime dittatoriale o autoritario) della tecnologia e del materiale necessario a disporre della bomba atomica; il peso crescente e decisivo dei centri di potere e delle strutture militari e militari-industriali in ogni parte del mondo.

La gravità di questo processo è accresciuta da fenomeni troppo spesso ignorati o sottovalutati: dal fatto che le dottrine militari e le scelte politico-strategiche sono sempre più determinate dalla sperimentazione e lo sviluppo di nuovi sistemi d'arma, e non viceversa; che la complicazione sterminata delle strutture militari e nucleari esistenti sta allargando, anziché riducendo, la plausibilità di guerre scatenate per errore, o per una percezione sbagliata delle intenzioni avversarie; che stanno scendendo in campo generazioni di armi di natura tale da rendere impossibile ogni verifica o controllo; che, in particolare, da molte parti si confezionano scenari ed ipotesi militari che danno per scontata l'accettabilità di una, guerra atomica e la possibilità per l'una o l'altra parte di una "vittoria" anche al termine di uno scambio nucleare generalizzato.

La distrazione, di immense risorse finanziarie, tecnico-scientifiche, ambientali ed umane da attività di progresso, a tutela della vita e della qualità della vita, ed il loro impiego nella realizzazione di strumenti di morte stanno creando le condizioni per l'inevitabile esplosione di conflitti armati di una tragicità finora sconosciuta all'uomo, e consentono e favoriscono l'olocausto di centinaia di milioni di persone per fame e malnutrizione.

 
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