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Flores D'Arcais Paolo - 10 novembre 1982
Ma la "speranza radicale" rimane
di Paolo Flores D'Arcais

SOMMARIO: Aspra critica alle conclusioni e sopratutto alle modalità del congresso: Pannella ha "stravinto", ma in politica vincere non è "tutto", viene prima "lo stile". Quello di Pannella è una sorta di "bolscevismo all'italiana". Al congresso si presentavano due linee, una che "concepisce la geremiade contro la fame nel mondo come attività pressochè esaustiva dell'impegno radicale", l'altra, quella dei "dissidenti" che vogliono "articolare una polifonia riformatrice" per "incalzare" i partiti della sinistra. Ma Pannella impone che il congresso si svolga secondo procedure che privilegiano la fame nel mondo, poi copre di insulti i dissidenti bollandoli come "avversari del partito", promettendo poi a quanti si pentano "due posti nel gruppo dirigente". Insomma, al "centralismo democratico" si è sostituito il "centralismo carismatico": "Per la sinistra libertaria e riformatrice, certamente una sconfitta". [Replica di Massimo Teodori al testo n. 4215]

(IL MESSAGGERO, 10 novembre 1982)

L'on. Marco Pannella possiede un ottimo motivo per complimentarsi con se stesso: ha vinto, anzi stravinto, il congresso del Partito radicale e ne è uscito riconfermato segretario con una maggioranza da far invidia a Evita Peron.

Ma in politica, specie nella politica che si vuole laica e libertaria oltre che genericamente democratica, vincere non è tutto e nemmeno il più importante. Vengono prima lo stile e il modo di una vittoria (che può essere "di Piro") o di una sconfitta (che può costituire "vittoria morale").

Lo stile della vittoria pannelliana è, ahimè, uno scontatissimo "deja vu". Personalmente ha esperienza diretta di quel bolscevismo all'italiana che è stato l'integralismo del Pci e l'intolleranza dei suoi dirigenti per ogni dissenso. Come osservatore dei fatti culturali e politici (oltre che come militante della sinistra) quell'integralismo e quell'intolleranza ho constatato tante altre volte all'opera. E riprodursi perfino nei gruppi che di quei vizi erano stati vittime: il Pdup di Lucio Magri ha praticato spesso un'imitazione del bolscevismo all'italiana. Questa sgradevole tradizione ha infine trovato incarnazione nello stile della vittoria pannelliana al congresso radicale.

E valga il vero. In quel congresso si presentavano due linee. Quella del segretario dimissionario Pannella, che concepisce la geremiade contro la fame nel mondo come attività pressoché esaustiva dell'impegno radicale. E quella dei dissidenti che vogliono articolare una polifonia riformatrice, che valorizzi la tradizione dei diritti civili e che, sul terreno delle riforme (non delle "chiacchiere" sulle riforme) incalzi e magari "smascheri" gli altri partiti della sinistra. In un congresso democratico la base del partito decide "alla fine" del congresso, non in apertura. La maggioranza pannelliana, invece, impone che tutti i lavori si articolino per commissioni dedicate esclusivamente al problema "fame nel mondo". In un congresso democratico a tutti è concesso eguale tempo di parola. Un tema, questo del controllo della comunicazione, sul quale i radicali hanno sempre, e giustamente, insistito. Pubblicando le iniquità reiterate dalla Rai-Tv (e sistematicamente rilevate da gruppi di ascolto "ad hoc") per cui i s

egretari dei partiti di governo godono di tempi "multipli" rispetto ai loro avversari. E la democrazia vera, come è nota, è anche matematica. Ma da questo punto di vista il congresso radicale ha fatto impallidire ogni iniquità radiotelevisiva! Al microfono Pannella l'ha fatta da mattatore. Per dirla con la "Fattoria degli animali" di orwelliana memoria (meglio: smemorizzata): tutti i radicali sono eguali ma qualcuno è più eguale degli altri.

In questa sagra di "bolscevismo dei poveri" non sono mancati gli altri classici "topoi": gli avversari del segretario non sono, semplicemente, portatori di una opinione differente (e forse minoritaria). Sono avversari del partito, quasi che il partito fosse privata proprietà della maggioranza uscente. Essi vengono paternalisticamente divisi, poi, fra "antipartito" in buona e in cattiva fede. In malafede sono i capi del dissenso. Per gli altri se vi sarà pentimento, sono riservati due posti nel gruppo dirigente. "Deja' vu", anche questo. Un fedelissimo della linea (nell'occasione Gigi Melega), poiché oltre a una ribadita fedeltà si è permesso di avanzare anche qualche proposta organizzativa originale, viene trattato dal segretario uscente come bravo ragazzo ma un poco "minus habens". Per finire con l'immancabile ciliegina dell'insinuante "chi li paga?" (nella fattispecie, i "circoli Ernesto Rossi" promossi da Geppi Rippa). Allo squallore del centralismo "democratico" si è semplicemente sostituito quello del c

entralismo carismatico. Di democrazia, quella vera e senza aggettivi, nemmeno il profumo.

Non ci siamo, on. Pannella! Oggi esiste il partito radicale, ma esso non coincide più con la "speranza radicale". Esistono i fedelissimi del segretario, il "gregge" radicale che ha fatto inconsapevolmente sua la divisa di un ben altro integralismo, il "perinde ac cadaver" di gesuitica memoria. Esiste, oggi, un partito simile agli altri, con un segretario simile agli altri. Abile nella navigazione congressuale, nella polemica con gli altri partiti, nella lotta contro gli oppositori interni. Nella manipolazione del consenso e nello stritolamento del dissenso. C'era una volta la speranza radicale, una fervida speranza. Ad essa si è oggi sostituito un ennesimo patriottismo di partito. Per l'on. Pannella e per i suoi fedelissimi forse è una vittoria. Per la sinistra libertaria e riformatrice, certamente una sconfitta. Ma quella speranza viene messa, speriamo, solo fra parentesi.

 
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