di Angiolo BandinelliSOMMARIO. La nonviolenza, se non vuole essere espediente solo "tecnico", deve fare appello a valori universali, etico-politici. Ecco perché deve essere svincolata da strumentalizzazioni di partito. In un momento di crisi dei partiti ideologici, di massa, l'appello alla nonviolenza, a questo modello di nonviolenza, "rappresenta una rifondazione dello scontro politico" ad un livello alto. Non certo un "arretramento", insomma, quanto piuttosto una "aggiunta di valore". Anche le lotte per la qualità della vita debbono farsi forti del metodo nonviolento. Il valore della "vita" è "sconvolgente", spezza la ferrea logica dello scambio su cui si fonda la politica di oggi. Ma una autentica "politica della vita" deve guardare al di sopra degli interessi immediati e rivolgersi potenzialmente dovunque, "sotto diverse forme" essa "è posta a repentaglio".
(DIRITTO DI RESISTENZA E NONVIOLENZA, Giornate di studio di Critica Liberale, Lavinio, dicembre 1982, Atti - Ripubblicato in "IL RADICALE IMPUNITO - Diritti civili, Nonviolenza, Europa", Stampa Alternativa, 1990)
E stato osservato che una caratteristica della lotta nonviolenta è di essere svincolata dalle strutture partitiche, di essere forma di presenza civile peculiare a forme aggregative altre rispetto ai tradizionali canali partitici. L'osservazione è vera, ma occorre darne un'interpretazione diversa da quella corrente. La lotta nonviolenta può sperare di sfuggire alla banalizzaz:ione e al tritume dell'episodio "tecnico" solo se riesce a conquistare un consenso potenzialmente universale, rispetto sia agli obiettivi che si propone che allo strumento e all'occasione in cui essa si esercita. Questo credo sia molto importante. Ma perché obiettivi e mezzi acquistino tale rilevanza universale è evidente che debbano essere letti in chiave esclusivamente etica (etico-politica), svincolati da ipotesi o sospetti di strumentalismo. Dunque, occorre che il confronto che essi impongono sia centrato su valori, e che i mezzi puntino, anche essi, su valori. Ecco l'essenzialità della personalizzazione di questo tipo di confronto p
olitico. Ecco perché esso non può essere mero strumento di partito.
Ma questo non è difetto, privazione. Il fatto che i partiti siano tolti di mezzo non va letto nell'ottica della politologia, che ha l'occhio solo ai partiti quali protagonisti della lotta politica. E non possiamo dimenticare che l'esistenza stessa dei partiti esige prioritariamente - in termini logico-teorici, ovviamente - l'esistenza di una "parte", che si contrappone ad un'altra su una scelta di valori. Lo spessore e la grandezza storica dei partiti di massa, d'altronde, riposa sull'aver essi rappresentato valori, prefigurazioni universalizzanti di società ideali, giuste: questo vale per il socialismo e il comunismo o per la dottrina politica dei cattolici. Nell'odierna, lamentata incapacità dei partiti ad esprimere valori, il confronto nonviolento impostato sui grandi temi di principio rappresenta una rifondazione dello scontro politico, non un arretramento. E in questa aggiunta di valore che la lotta nonviolenta, l'obiezione di coscienza, il diritto di resistenza, l'azione diretta, sfuggono al rischio de
ll'iconografia e dell'agiografia carismatica.
In definitiva la lotta nonviolenta, nella sua ricchezza e complessità, può rappresentare una uscita di sicurezza rispetto all'impasse etico-politico in cui ci dibattiamo. Personalmente, ritengo che le lotte per la qualità della vita possano trovare il loro fondamento alternativo reale, sconvolgente e rivoluzionario, solo se saranno capaci di dare la forza al secondo dei due sostantivi che le definiscono. E' in pericolo la "qualità della vita" perché è in pericolo, essenzialmente, la "vita". Il valore "non politico" (che viene a sconvolgere il terreno della politica, fino a ieri abituato alla sola logica dello scambio, che si esercita solo su ciò che è scambiabile) è quello della vita, come contrapposta alla politica della morte che ovunque imperversa. Ciò di cui oggi la gente ha fame è il valore della vita, su cui costituirsi in parte e, successivamente, in partito, per realizzare una alternativa adeguata alla crisi, politica ma non solo politica, del nostro tempo.
Almeno questo dovrebbe risultare chiaro: che, cioè, una politica per la vita (e quindi per la qualità della vita) è una politica indivisibile, che postula il diritto e il dovere di intervento là dove la vita è più minacciata; sotto pena di scadere a politica di egoistico interesse per la mia soggettiva e "particulare" vita, edificata sulla morte dell'altro, la "tua" morte: magari per omissione. Una politica della vita, nonviolenta, tale da riverberare la sua potenza e la sua credibilità sulle lotte anche per la qualità della mia, della nostra vita, è una politica che dilata i suoi obiettivi, oggi e subito, all'Est e nel Sahel, dovunque sotto diverse forme la vita, nella sua universalità di valore, è posta a repentaglio e rischia di essere negata e travolta.