Regime e democrazia consociativa sono dinnanzi a una scadenza decisivadi Franco Roccella
SOMMARIO: Crescono le "mille crisi" e la partitocrazia si avvita su sé stessa. La politica perde disastrosamente di idealità e di forza. Alla sinistra italiana offriamo la sola prospettiva possibile: creare le convergenze su un processo di civilizzazione marcato dai valori, non dal potere.
(NOTIZIE RADICALI N. 1, 10 gennaio 1983)
No, NON E' il bisogno di recuperare il vuoto lasciato dai nostri compagni che hanno abbandonato il Congresso attribuendosi, per debolezza, una posizione di stranieri all'interno del Partito radicale per ritrovarsi inevitabilmente fuori dal Partito, in una condizione di stranieri in cerca di mediocri o compromissorie cittadinanze. Non è questo. A determinare questa offensiva radicale, che comporta un richiamo di convinzioni, di chiarezza, di forza, è la straordinaria spinta delle cose degli eventi. Il processo di regime è giunto ad una scadenza forse ultimativa, comunque incisiva. La Partitocrazia si sta avvitando su se stessa
aggrovigliando le trame della crisi, che assorbe e brucia gli "episodi" di intervento procedendo a marce forzate verso lo "sfascio" del Paese. Ed è logico. Una società politica che ha sostituito al governo dei Cittadini il governo dei poteri e delle egemonie di potere, che ha occupato lo Stato ed espropriato l'autonomia delle istituzioni, che ha saldato le sue politiche agli interessi corporativi, che ha strutturato la spesa pubblica su schemi e cadenze assistenziali, che non ha altre compatibilità morali se non il cinismo dei propri tornaconti, che assume le misure pressoché esclusive della contrattazione e della lottizzazione, che su questi riferimenti ha modellato se stessa e la cultura interna delle forze che la compongono, compromettendo la credibilità e la funzionalità (se non la stessa sopravvivenza) della società dei partiti, finisce col non avere altre "capacità" che governare se stessa e sovrapporre alla realtà del Paese il governo delle sue strutture di potere.
E' per questa via che si consuma la stessa esigenza di rigenerazione, avvertita come compensazione urgente dell'incapacità di governo di fronte ai problemi del Paese e delle "inquietudini" della società civile: la DC parte verso orizzonti liberaldemocratici e si arena subito nell'ambiguo bipolarismo DC-PC; il PCI proclama l'alternativa, massacrata dal togliattismo e si perde anche nel tentativo "realistico" di farsi valere nella contrattazione di un equilibrio di poteri; il PSI riscopre Proudhon, elabora la teoria dei "meriti e dei bisogni", tenta l'avventura di Rimini, cede alla tentazione di tracciare un "suo" itinerario dell'alternativa e finisce con lo strumentalizzare tutto questo per lanciarsi in una competizione interna al quadro di regime.
E' per questa via che i cosiddetti partiti intermedi si esauriscono in una funzione di mediazione, più o meno sostenuta da presunzioni e rivalse ma sempre e comunque subordinata alla obbligatorietà di un processo più grande di loro, così come loro si costruiscono e si ruolizzano.
In questa dimensione si è calata la crisi, che di conseguenza ha subito gli effetti, in Italia, di uno specifico moltiplicarsi. La società politica si è trovata tra le mani, per risolverla, le sole, perverse "risorse" che aveva accumulato nel tempo, tutte insite nella coerenza della partitocrazia e tutte cocncorretnti a determinare il segno proprio della nostra crisi, per risolvere la quale non ha altro modo che disintegrare le strutture di potere della partitocrazia, sulle quali tuttavia si fondono e si definiscono i ruoli e le stesse fisionomie delle forze politiche sindacali ed il loro insediamento nella società civile: un cane impazzito che si morde la coda.
Questa partita assurda degli attori ``dell'Arco costituzionale''con se stessi, tutta giocata sulla pelle del paese ma anche sulla propria, è ormai ai suoi tempi ultimativi con il Governo Fanfani. Fanfani, è l'indice rappresentativo di una componente rilevante, e forse decisiva, di questa vicenda: la crisi della grande sinistra.
Il suo ritorno, a meno di otto anni dalla storica sconfitta sul divorzio, ha un valore emblematico; è un punto di arrivo del percorso culturale e politico della sinistra: del PSI che ha annegato le sue "felici" contraddizioni nella compromissione più mediocre, nella quale ha finito per il momento col perdersi; del PCI che è passato alla scelta disastrosa di Togliatti (il frontismo in luogo dell'unità di sinistra, il compromesso con la DC in luogo dell'alternativa: senza la DC questo paese non si governa) al Compromesso Storico e all'unità nazionale, sul filo coerente della real-politik leninista, tradotta nei soldoni di un realismo di potere al quale sono mancate le doti del realismo politico.
E tuttavia il PCI, nella situazione data, non ha ancora consumato le sue contraddizioni. Bene o male è all'opposizione;
bene o male ha proclamato la scelta dell'Alternativa; bene o male subisce un processo di revisione, sia pure inficiato da una dinamica di ritardo sull'urto delle cose. E l'urto delle cose è, allo stato dei fatti, travolgente, per la sopravvivenza del governo Fanfani, per la sua "sortita" sul governo dell'economia, qual è questa imminente congiuntura dei decreti della "stangata", passa la continuità e la più alta impopolarità della politica dello sfascio che ormai scivola verso il punto di irreversibilità. E' l'urgenza di questo declino che pone drammaticamente il PCI di fronte ad una scelta decisiva. La forza comunista può ceto proseguire in Parlamento nella sua opposizione tutta interna agli spazi "unitari" di regime, cadenzata su voti contrari che si esauriscono negli "episodi" delle votazioni, non di rado apertamente contraddette dalle astensioni e qualche volta anche perfino dalle concessioni di "fiduce tecniche" ai governi della maggioranza, gestita in modo da stemperarsi nella contrattazione, tesa anzi
a determinare i momenti istituzionali, le opportunità ed il terreno del patteggiamento - la predilezione per il lavoro in Commissione, la partecipazione connivente ai centri esclusivi di potere (Comitato di Controllo sui Servizi Segreti, Collegio dei questori...) riservati alla DC al PSI ed al PCI sempre concordi, in sostanziale consenso alla decretazione d'urgenza e l'esplicito concorso alla conseguente ambiguità "correttiva" degli emendamenti, la complicità nell'accantonamento delle leggi di difficile intesa, i meccanismi introdotti con la riforma "unitaria" del Regolamento della Camera... - volta perennemente a dimostrare che senza il PCI non si governa piuttosto che ha sostenere una "opposta" ipotesi di governo, mai connotata dalla forza di grandi antagonismi, convergente nelle opzioni decisive (politica della fermezza, politica del riarmo, politica nucleare...), sempre tentata dal miraggio della lottizzazione, ancorata saldamente ai privilegi della partitocrazia.
Il PCI può certo continuare su questa strada o decidere di dar corpo all'alternativa, può insistere in una "opposizione" che consenta a Fanfani la sopravvivenza o eleggere una opposizione che batta Fanfani costringendolo alle dimissioni. Il PCI può imboccare l'una o l'altra strada, ma non può evitare che la sua decisione abbia l'evidenza di una scelta, configurata come tale dalla carica di obbligatorietà e d'urgenza e dalla forza di rivelazione che è nelle cose. Battere Fanfani senza concessioni di "ragionevolezza" e di "costruttività", batterlo significa andare ad una grande consultazione elettorale anticipata rispetto alle normali scadenze, ma tempestiva rispetto alla gravità del momento, evitando che il ricorso elettorale anticipato maturi dai calcoli "unitari" di convenienza del regime partitocratico che verrebbe messo in mora con un esplicito atto politico. Significa fornire all'elettorato la dovuta opportunità di una scelta giocata tutta sul terreno scoperto e di tale spessore da costituire l'avvio con
creto di una credibile e riconoscibile ipotesi d'alternativa, di cui il Paese ha immediato bisogno per non andare rassegnato al macello. Significa creare gli spazi del possibile per le grandi opzioni fondate su una diversa adozione di valori.
E' questa la nostra proposta al PCI. Che è perseguibile in un solo modo. Se i comunisti scelgono di battere Fanfani costringendolo alle dimissioni, basta un terzo dei loro deputati unito ai deputati radicali, del PDUP della Sinistra Indipendente, per bloccare i decreti della stangata in parlamento sino alla loro scadenza determinandone la caduta. Se cento parlamentari presentano ciascuno un solo emendamento per articolo e prendono la parola per illustrarlo il crollo dei decreti è scontato, la sorte del governo è segnata, il ricorso alle urne certo.
Il gruppo comunista ha concorso attivamente alla riforma del regolamento della Camera, correggendone le norme in modo che l'ostruzionismo non possa essere praticato da un piccolo gruppo ma solo da un grande numero numericamente cospicuo come quello del PCI. Anche se la riserva mentale che lo ha condotto a questa bella impresa (l'opposizione la fanno solo i comunisti e nel solo modo che essi scelgono) era quella di riservarsi tutte le risorse "ricattatorie" per avere la maggiore forza di contrattazione, il PCI può ora utilizzare questo suo privilegio esclusivo per una iniziativa che prelude, nel concreto e nell'immediato, al grande confronto per l'alternativa. Se si limiterà a dire di no e di conseguenza farà "passare" Fanfani con i suoi decreti, altro non vorrà dire che avrà scelto ancora una volta di ripetere, in un momento decisivo per le sorti del Paese, i tragici errori che hanno portato la sinistra alla perdita secca della sua forza morale e politica, la DC sulla linea della ripresa, Fanfani alla Presid
enza del Consiglio, la politica italiana nella zona occulta equivoci mortali per questa nostra democrazia, così come è descritta nella Carta Costituzionale.
Intanto l'equivoco della cosiddetta democrazia consociativa, e più chiaramente della partitocrazia pancontrattualistica, nella quale si colloca con disastrosa coerenza "l'Unità nazionale". Vorrà dire che la proclamazione dell'alternativa si sarà ridotta ad un'etichetta mistificatoria, alla scaltrezza di una tattica gattopardesca adottata per salvaguardare la continuità del "compromesso storico". E sarà in questo modo un'ulteriore impresa gattopardesca l'esplosione di un recuperato bipolarismo DC-PCI con funzione di tutela del contrattualismo di potere condotto alle sue coerenze ultime.
Né vale, ad assolvere la linea della opposizione compromissoria recentemente ancora teorizzata da Giorgio Napolitano su Repubblica, il calcolo di avvalersi dei contrasti interni alla maggioranza sino a puntare sulla comparsa dei franchi tiratori per far cadere i decreti. Ripetiamo che il valore di una operazione come quella proposta dal PCI dai Radicali è tutto affidato alla chiarezza e alla lealtà con cui provoca nel Paese un momento esplicito e coinvolgente di lotta politica e ne ipoteca le prospettive di sviluppo.
Il problema, il vero reale problema è di aprire gli spazi possibili ad una scelta di valori che i radicali indicano con puntuale focalizzazione rispetto alle compatibilità del momento attuale. Nessuno sino a questo momento è riuscito a contestare il nostro convincimento che "l'utopia" della lotta contro lo Sterminio per fame con le sue coerenze, sia la discriminante di valore che distingue, al di là degli schieramenti, una politica dell'alternativa dalle politiche della complicità e delle alternanze, una politica "di classe" dalle politiche corporative e compromissorie. E le coerenze immediate di chi sceglie il rispetto pregiudiziale per la vita come criterio di governo dei popoli e delle persone umane, si scontano senza mediazioni su una strategia che oppone la pace degli uomini all'equilibrio di potenza degli stati, la politica del disarmo alle politiche del folle ed immenso spreco riarmista, la politica della qualità della vita all'indifferenza di fronte ai bisogni della gente, tutte spendibili nel nostro
Paese.
E' in virtù di quelle coerenze che una forza politica recupera la forza morale e l'intelligenza per scegliere una pace equivalente alle condizioni attraverso cui gli uomini possano fruire la vita, dalla sopravvivenza alla libertà. E' in virtù di quelle coerenze che si ha la forza di recuperare alla qualità della vita (pensioni, case, salute, ambiente, giustizia, occupazione...) le risorse bruciate nell'acquisto di armi o nella follia del nucleare. Ed è un fatto che i potenti di casa nostra hanno già ipotecato con i loro programmi d'armamento 120 mila miliardi da qui al 1990 e 85 mila miliardi nella promozione del nucleare civile, innescando un processo automatico capace di condizionare inesorabilmente il governo e il destino democratico del Paese. Alla sinistra italiana noi proponiamo l'"utopia" di una prospettiva non della sinistra, ma di sinistra, sulla quale è possibile l'incontro con le coscienze cristiane e laiche, la convergenza su di un processo di civilizzazione segnato da valori e non "l'intesa" cos
titutiva di una corporazione di potere. Non è una scelta procrastinabile neppure di un giorno. I motivi di urgenza sono nudi e crudi, sotto i nostri occhi. Da qui questa nostra "offensiva" e la nostra determinazione d'avvalerci al massimo d'utilizzazione e di rendimento non solo di tutte le risorse ancora offerte dalla democrazia politica ma anche di tutte le risorse della non violenza intesa, sia chiaro, come forza scontabile in termini di lotta politica. Di aspra e dura lotta politica.