di Gianfranco SpadacciaSOMMARIO: Il Partito radicale ha proposto al Pci iniziative parlamentari comuni per battere la politica economica e riarmista del governo Fanfani. Ma la politica del Pci resta quella di sempre: la lotta nel Pese e la contrattazione in Parlamento e nelle istituzioni. Per fermare il governo Fanfani, per far cadere i decreti della stangata economica basterebbero cento deputati comunisti, ma ci saranno invece, a condurre l'opposizione in Parlamento, solo gli 11 deputati e i due senatori radicali.
(NOTIZIE RADICALI N. 1, 10 gennaio 1983)
LA LETTERA del segretario del Partito Radicale al Segretario del PCI è stata inviata il giorno stesso della conclusione dell'Assemblea dei parlamentari radicali, cui hanno partecipato anche gli organi del partito, e cioè la sera del cinque gennaio. Da allora e finora non abbiamo avuto risposta. Ma dalla lunga esperienza dei nostri rapporti con il PCI sappiamo che una omissione di risposta ha sempre e soltanto il significato di una risposta negativa.
Dunque, fino a prova davvero incontrovertibile del contrario, dobbiamo ritenere che il PCI ha scelto. Ed ha scelto non di proporre al paese una politica alternativa di risanamento e di ricostruzione dell'economia e dello Stato ma di collaborare, con la maschera della opposizione dura, alla prosecuzione e all'aggravamento della politica del dissesto, dello sfascio e della bancarotta.
Al primo confronto e scontro parlamentare sui decreti del governo Fanfani, che si è svolto mercoledì 12 gennaio alla Camera, il PCI si è dato il volto della opposizione dura tirando fuori dalla posizione di eterna riserva (e anche di eterno riserbo) Pietro Ingrao, il quale ha pronunciato un bel discorso - come si sarebbe detto in altri tempi - di denuncia e di lotta. Ma il giorno dopo l'"Unità" dovendo sintetizzare l'intero discorso, ne ha significativamente estrapolato questa frase: "combattiamo con durezza questi metodi e questi abusi, lo sappia in tempo il governo".
Davvero non solo il PCI, ma anche Ingrao ritiene che il problema sia solo di metodi e di abusi e non riguardi invece i contenuti e le scelte dell'intera politica di dissesto e di bancarotta praticata dalla attuale maggioranza? L'uso illegittimo di certi metodi (il ricorso anticostituzionale ai decreti legge) è reso necessario dalle scelte politiche che giorno dopo giorno, anno dopo anno, hanno condotto il regime a calpestare ogni residuo di legalità democratica. Dobbiamo ricordare che senza i comunisti la maggioranza da sola non avrebbe avuto la forza di imporre lo scempio del regolamento che si è verificato in occasione del raddoppio del finanziamento pubblico dei partiti, in occasione della discussione della legge finanziaria e del bilancio dello scorso anno e in tante altre occasioni?
E che significa quell'avvertimento solo apparentemente minaccioso "lo sappia in tempo il governo"? "Lo sappia in tempo" per cosa? Naturalmente per scendere a patti con il PCI.
Dunque è chiaro, anche nelle parole di Ingrao, perfino nelle parole di Ingrao, la politica e la strategia del PCI rimangono quelle della lotta nel Paese e delle contrattazione in Parlamento e nelle Istituzioni. Questa politica del doppio binario che anche in altri periodici storici (per esempio dal '46 al '48) ha prodotto più guasti per la classe operaia e per il paese che non successi per il PCI, non ha oggi davanti a sé nessuna prospettiva. La pretesa lotta nel Paese diventa pura e semplice,
irresponsabile, demagogia di piazza, subito svelata e contraddetta dalla contrattazione in Parlamento, condannata ad assumere il ruolo di collaborazione attiva alla politica del governo e della maggioranza.
Non si può ingannare il Paese. Una politica alternativa non può esimersi dal proporre ai lavoratori, ai pensionati, ai senza casa, agli handicappati e alle loro famiglie, ai disoccupati e a coloro che rischiano in numero crescente di essere espulsi dall'industria e dal processo produttivo, un uso alternativo delle risorse. Si tratta di fermare e di rovesciare le folli scelte politiche che hanno già ipotecato per i prossimi 7 bilanci dello Stato in lire 1990 (scontando un improbabile rientro dell'inflazione) 120 mila miliardi di lire per l'acquisto di nuovi sistemi di arma e 85 mila miliardi di lire per il progetto di centrali nucleari, per recuperare queste immense risorse a scelte per la vita e la qualità della vita.
La politica disarmista e quella antinucleare non appartengono più per l'Italia al futuribile, non sono prediche accademiche e utopistiche; sono scelte attuali, urgenti, vitali. Promuovere le manifestazioni di massa cosiddette pacifiste contro gli euromissili per poi far passare al Parlamento e nelle istituzioni, nella politica interna e in quella internazionale, i progetti di riarmo del Ministro Lagorio e del Generale Santini; promuovere nel paese con l'Arci e la Lega Ambiente (insieme all'incremento della caccia e del massacro della fauna residua) le agitazioni ecologistiche ed antinucleari per poi votare in Parlamento quell'articolo 17 che, comprando i comuni e mettendo a tacere le popolazioni interessate dà il via alla installazioni delle centrali nucleari, sono mediocri espedienti di una doppiezza che ripropone, questa volta in termine di farsa e non di tragedia, la politica della doppia verità.
Non si può accettare che per tamponare i guasti del regime si riversi ogni sei mesi una stangata sui lavoratori e sui ceti più deboli ed indifesi quando non si fa nulla per eliminare i due maggiori fattori del disavanzo pubblico che, secondo le stime dell'ex Ministro Reviglio ammontano a 30/40 mila miliardi di evasioni fiscali e a 40/50 mila miliardi di sprechi e di spese improduttive.
Se è così, per quanto ci riguarda, sappiamo di ritrovarci ancora soli, in 11 deputati e 2 senatori a proporre al Paese questa politica di opposizione e di alternativa: senza il PCI, senza - pare - le altre opposizioni di sinistra, senza i vari "pentiti" di questo nostro partito e della sua politica.
Lo ripetiamo: per fermare questo governo, far cadere i nuovi decreti di questa stangata, imporre nuove elezioni sarebbe sufficiente l'impegno neppure di tutti i gruppi comunisti, ma di un terzo di essi; basterebbe che cento deputati presentassero ciascuno un emendamento per ogni articolo di ogni decreto e prendessero la parola su ogni emendamento. Basterebbe per avere la matematica certezza di fermare il governo e la maggioranza e costringerlo a rimettere le scelte al Paese e all'elettorato.
La mancata risposta del PCI ci dice che non sarà così. Non potremo che trarne tutte le logiche conseguenze. E' chiaro, fino ad incontrovertibile prova del contrario, che il PCI ha proclamato l'alternativa senza nessuna volontà di praticarla
solo per meglio assicurare la continuità di quella politica dell'unità nazionale che, scelta allora apertamente e lealmente, dal '76 al '79, fu battuta innanzitutto dalla lotta politica Radicale nel Parlamento e nel Paese. E' evidente fino ad incontrovertibile prova del contrario, che il PCI ha scelto la liturgia parlamentare di una opposizione dura a parole e complice nei fatti, già rassegnata a partecipare all'ammucchiata partitocratica che si spartisce le spoglie della democrazia italiana e della qualità della vita degli italiani.
In una tale situazione la nostra opposizione alternativa non farà differenze fra le responsabilità del governo della maggioranza e quelle del PCI e tornerà ad essere anche formalmente identica a quella che i quattro deputati radicali della precedente legislatura esercitarono da soli contro l'intero Parlamento dal 1976 al 1979.