SOMMARIO: La crisi economica impone una revisione della spesa, ma soprattutto la sua razionalizzazione, ad impedire che la vittima sia la parte più debole della popolazione. Gli attuali minimi di pensione non sono una risorsa per l'esistenza. Dalla sacralità della vita procede il bene della libertà e il sentimento della socialità, valore di riferimento della Costituzione. Non c'è logica esigenza di governo che possa giustificare il rifiuto di provvedere alla riforma pensionistica mentre si spendono 120 mila miliardi in nuovi sistemi d'armamento. La società politica invischiata negli interessi corporativi e confinata nell'inerzia. La proposta di legge radicale non è una definitiva riforma del sistema, ma un segno di effettiva volontà politica.
(NOTIZIE RADICALI n. 3, 20 gennaio 1983)
La proposta radicale è quella dell'elevazione a 300 mila lire mensili delle pensioni sociali, delle pensioni o assegni a favore dei ciechi civili, dei mutilati e invalidi civili, dei sordomuti, delle pensioni a carico delle forme obbligatorie di previdenza integrate al trattamento minimo, limitatamente ai titolari sprovvisti di altri redditi. Le ragioni sono semplici.
La crisi economica che attraversa il paese impone certamente una revisione della spesa, ma contestualmente richiede l'obbligo di una sua razionalizzazione per evitare che la parte più disagiata della popolazione venga penalizzata due volte: dalla sottrazione che le sopravvenute difficoltà economiche operano sulle sue risicate risorse e dal peso aggiuntivo esercitato dalla gestione della crisi. E' una questione di lealtà di governo e di giustizia.
Di questa esposizione all'ingiustizia il dato più scoperto è senza dubbio quello relativo ai pensionati a livello minimo, che è minimo di pensione ma anche e soprattutto minimo di garanzia per l'esistenza. C'è gente, nel nostro paese che "campa" con 165.550 lire mensili, una cifra che impone una improbabile riduzione della vita in uno spazio di privazioni drammaticamente esposte al rischio della inutilità perché insufficienti a risolvere, sia pure al minimo, il problema quotidiano del vivere. 165.550 lire mensili non sono una risorsa di esistenza; determinano piuttosto un disperato problema di sopravvivenza. Non crediamo esistano motivazioni accettabili per tollerare che ci siano fra noi uomini come noi, i cui giorni si consumano non solo al di qua del benessere ma al di là delle condizioni minime per fruire la vita. Ed è qui che corre la linea ultima oltre la quale le ragioni della crisi e della sua gestione perdono qualsiasi valore, essendo inammissibile che il governo del paese utilizzi un potenziale che
coincide con la negazione dell'esistenza dei governati.
Nella nostra civiltà, e negli ordinamenti che si è data, il rispetto della vita è acquisito in termini di valore primario e pregiudiziale dell'uomo che ne ha la responsabilità come coscienza e come titolare della vicenda umana. E' dalla sacralità della vita che procede il bene della libertà e il sentimento della socialità. La nostra Costituzione ha come punto di riferimento ultimo e indeclinabile questo valore, ed è questo valore ad essere negato dalla condizione di quanti, avendo superato il 65· anno di età, sprovvisti di altri redditi sono condannati a vivere con la "pensione sociale" o con il minimo della "pensione previdenziale".
Riteniamo che non ci sia logica ed esigenza di governo che possa ammettere e giustificare un dato di fatto che coincide con una patente violazione dell'umano, del giusto, del sociale. Tanto più quanto questa nostra società politica legge nella crisi le conseguenze dello spreco e persiste nel sostenere un dispendio effettivo di 12 mila miliardi destinati alla spesa militare e un programma di acquisizione di nuovi sistemi d'arma per circa 120 mila miliardi da qui al '90, con una coerenza di guerra e di morte che confina in margini residui di disponibilità di diritto alla vita e alla qualità della vita.
Le scelte, nella situazione data e date le risorse del Paese, pongono in termini di immediata semplicità e chiarezza o la sopravvivenza degli uomini o le armi destinate alla difesa militare di uomini che hanno bisogno di una difesa precedente: dagli assilli.
Non c'è dubbio che la società politica del nostro Paese ha avvertito lo spessore e la valenza del problema delle pensioni tanto è vero che postula una riforma del sistema pensionistico necessaria e urgente; ma al tempo stesso non c'è dubbio, stando ai fatti che la riforma è invischiata in una rete di interessi corporativi che sono una componente dei meccanismi di potere e resta confinata in una inerzia che è la proiezione della contraddizione paralizzante fra interessi determinati ed esigenza di intervento correttivo.
E' una situazione intollerabile, soprattutto se misurata sul prezzo che comporta. Che è prezzo umano e politico. La tolleranza di una situazione siffatta è il segno evidente e immediato di una debolezza di governo che si traduce in complicità e delegittima la classe politica.
La nostra proposta di legge non vale certo per una soddisfacente e definitiva soluzione del problema; vuole essere soltanto un segno di effettiva volontà politica che intanto opera per sanare nell'immediato i guasti più crudeli e intollerabili provocati dall'inerzia politica per eliminare la pratica degli aumenti desolanti e provvisori (l'ultimo dei quali, di 9.700 lire mensili per le pensioni sociali data dal 1· gennaio di quest'anno), per determinare contestualmente nel concreto condizioni di obbligatorietà e di urgenza operative in favore della riforma del sistema pensionistico che si vuole aggredire nel suo punto di più scoperta scandalosa contraddizione.
Con questi fini e limiti, la proposta di legge eleva le pensioni cosiddette sociali, quelle a favore dei ciechi civili, dei mutilati e invalidi civili, dei sordomuti e i minimi delle cosiddette pensioni previdenziali a 300.000 lire mensili, limitatamente ai pensionati che non hanno altri redditi. Ai titolari delle stesse pensioni che abbiano altri redditi ma in misura tale da non comportare, computando anche la pensione, il superamento dell'importo di lire 300.000 mensili, viene riconosciuta una integrazione fino al raggiungimento dello stesso importo di 300.000 lire mensili.
All'onere finanziario del provvedimento, valutato per il 1983 in 800 miliardi, si provvede mediante corrispondente riduzione dei capitoli del bilancio del Ministero della difesa relativi all'acquisizione di nuovi sistemi d'arma. Per gli anni successivi al 1983 la copertura finanziaria è disposta sui medesimi capitoli entro i limiti di stanziamento risultanti delle previsioni contenute nel bilancio triennale 1983-85. Ecco comunque il testo dell'articolato:
Art. 1
Con decorrenza dal 1· febbraio 1983 le pensioni a favore dei cittadini ultrasessantacinquenni previste dall'articolo 26 della legge 30 aprile 1969, n. 153; le pensioni a carico di forme obbligatorie di previdenza integrate al trattamento minimo ai sensi dell'articolo 11 del decreto-legge 10 gennaio 1983, n. 3; le pensioni e gli assegni a favore dei ciechi civili, dei mutilati e invalidi civili, dei sordomuti sono integrate all'importo di lire 300 mila mensili qualora il titolare non possegga altri redditi propri assoggettabili all'imposta sul reddito delle persone fisiche, escluso quello della casa di abitazione. Nel caso in cui il titolare della pensione possegga tali altri redditi ma in misura inferiore alla differenza i ragguagli ad anno, tra l'importo di lire 300 mila e l'importo mensile della pensione spettante in base alle normative vigenti, l'integrazione è riconosciuta in misura corrispondentemente ridotta.
L'importo di lire 300 mila mensili di cui al comma precedente è soggetto alla rivalutazione nella misura prevista dall'articolo 9 della legge 3 giugno 1975, n. 160 alle scadenze previste dall'articolo 3 della legge 29 maggio 1982, n. 297.
Art. 2
All'onere finanziario derivante dall'attuazione della presente legge, valutato per l'anno 1983 in lire 800 miliardi, si provvede mediante riduzione sia in termini di competenza che di cassa, dei capitoli n. 4011, n. 4031 e n. 4051 dello stato di previsione del Ministero della difesa rispettivamente in lire 200 miliardi, 200 miliardi e 400 miliardi. Agli oneri finanziari per gli anni successivi al 1983 si provvede mediante riduzione degli stanziamenti risultanti dalle previsioni per i medesimi capitoli contenute nel bilancio triennale 1983-85.
Il Ministro del tesoro è autorizzato ad apportare, con propri decreti le occorrenti variazioni di bilancio.
Art. 3
La presente legge entra in vigore il giorno successivo alla sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale.