SOMMARIO: Il volume edito dal "Centro Calamandrei" raccoglie gli atti di un processo per diffamazione relativo al "caso D'Urso". Nel corso del rapimento da parte delle Brigate Rosse del magistrato Giovanni D'Urso, due quotidiani accusarono il leader radicale Marco Pannella di aver portato in televisione la figlia del rapito Lorena e di averla costretta a leggere un comunicato delle BR in cui si definiva il giudice "boia".
Le querele che ne seguirono e l'intero processo, al termine del quale i due giornali furono assolti, illuminano come viene considerato oggi il reato di diffamazione ed offrono lo spunto per una riflessione aggiornata sul rapporto fra cittadini e mezzi di comunicazione di massa.
Nel volume, oltre alle querele, agli interrogatori di Marco Pannella e Lorena D'Urso, all'arringa dell'avv. Luca Boneschi e alla sentenza, sono riportati quattro pareri "pro-veritate" che il Centro Calamandrei ha chiesto ad altrettanti insigni studiosi della materia: Giorgio Gregori, Ferrando Mantovani, Enzo Musco e Pietro Nuvolone.
La loro aspra critica della sentenza e dei suoi principi ispiratori fanno sperare che sia ancora possibile, in una società dominata dai mass-media, tutelare l'onore e la reputazione dei singoli e degli enti in cui si esplica la loro personalità.
("ESISTE ANCORA IL REATO DI DIFFAMAZIONE?" - Analisi di un clamoroso caso giudiziario - Centro di iniziativa Giuridica Piero Calamandrei - Edizioni di Informazione e Diritto, Roma)
Indice
Angiolo Bandinelli: Democrazia e persona (testo n. 3941)
Premessa (testo n.3942)
IL PROCESSO
L'articolo di Paese Sera del 13 gennaio 1981 (testo n. 3943)
L'articolo de L'Unità del 13 gennaio 1981 (testo n. 3944)
Le querele (testo n. 3945)
L'interrogatorio di Marco Pannella (testo n. 3946)
La testimonianza di Lorena D'Urso (testo n. 3947)
L'arringa di Luca Boneschi (testo n. 3948)
La sentenza (testo n. 3949)
I PARERI PRO VERITATE
Giorgio Gregori (testo n. 3950)
Ferrando Mantovani (testo n. 3951)
Enzo Musco (testo n. 3952)
Pietro Nuvolone (testo n. 3953)
APPENDICE (testo n. 3954)
Articolo da l'Unità dell'11 gennaio 1981
Articolo da l'Unità del 14 gennaio 1981
Articolo da l'Unità del 16 gennaio 1981
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L'arringa di Luca Boneschi
Signor Presidente e signori giudici, siamo chiamati oggi a discutere di cinque articoli, quattro del quotidiano l'Unità, uno del quotidiano Paese Sera, che si iscrivono nell'arco di tempo che va dall'undici al sedici gennaio 1981. Sono i giorni culminanti di una vicenda difficile e tragica, stampata nella memoria di ognuno di noi: il 15 gennaio, infatti, il giudice Giovanni D'Urso viene trovato libero e in vita. Quattro articoli - dunque - precedono questo momento: uno, forse il più grave, è successivo alla liberazione del giudice. Ma ve ne sono due, quelli del 13 gennaio de l'Unità e di Paese Sera, che rappresentano, da un altro punto di vista, il momento di maggior evidenza e di maggior forza della campagna diffamatoria. Essi concretizzano, a mio parere, nell'ambito di una campagna ancor più vasta di cui oggi non si discute, il tentativo di dare il colpo finale all'immagine e alla reputazione di un partito e di un uomo politico già distorte, massacrate, al centro di polemiche feroci nei giorni precedenti.
Ed è una campagna, signori giudici, che va al di là di qualunque possibile discriminante o invocazione di diritti di cronaca, di critica, di errore nell'esercizio del diritto.
Dicevo prima che quei trentacinque giorni sono stampati nella memoria di ciascuno di noi; sarebbe importante ma troppo lungo rievocarli uno per uno. Devo tuttavia far riferimento ad alcune date: il 12 dicembre 1980 viene rapito D'Urso. Seguono i comunicati drammatici delle Brigate Rosse. Si profilano subito due posizioni: quella della famiglia che dichiara immediatamente di essere pronta a fare tutto quello che è in suo potere per salvare la vita del marito e del padre; quella di molte forze politiche che lanciano appelli alla unità e alla fermezza nella difesa della Repubblica. Vi sono episodi significativi e gravissimi: da un lato la chiusura del carcere dell'Asinara, dall'altro l'assassinio del generale Galvaligi. Rapidissimamente, vi ricordo il blitz al carcere di Trani dopo la rivolta dei detenuti, avvenuto il 4 gennaio 1981, poi il comunicato n. 8 delle Brigate Rosse: condanna a morte del giudice D'Urso ma possibile sospensione (e non si sa cosa significhi) se i detenuti delle carceri di Trani e di Pal
mi daranno questa indicazione; ma la volontà e il giudizio dei detenuti di queste due carceri, devono essere resi noti, chiedono le Brigate Rosse, da tutti gli organi di stampa, dai telegiornali e dai radio giornali.
Marco Pannella e i radicali anticipano allora l'invio di una delegazione parlamentare al carcere di Trani, delegazione già in programma a seguito degli incidenti che vi erano successi. Una parte rilevante della stampa reagisce invece con il black-out: se fino a quel giorno era stato dato ampio spazio ai comunicati brigatisti, nel momento in cui i terroristi chiedono la pubblicazione di prese di posizione (ancora inesistenti) dei detenuti delle due carceri viene dichiarato il black-out. Si nega, cioè la possibilità di pubblicare qualsivoglia comunicato.
Su, questa decisione scoppia una polemica intensissima. Tre giorni dopo la delegazione radicale rende noto il documento dei detenuti di Trani e annuncia l'esistenza di un secondo documento dei detenuti che fanno capo a Toni Negri. Il 9 gennaio i giornali pubblicano la notizia che Curcio (cioè i detenuti di Palmi) avrebbe detto che il magistrato D'Urso può essere liberato. Il fratello del giudice D'Urso lancia un appello ai giornali e tenta la strada giudiziaria del ricorso ex articolo 700 per imporre ai direttori dei giornali la pubblicazione del comunicato dei detenuti di Trani, condizione per la liberazione del magistrato. Il 10 gennaio gli avvenimenti precipitano con una rapidità drammatica: da parte di Pannella e dei radicali si dice: »Attenzione, perché la lettura del comunicato dei detenuti di Palmi fa capire che la liberazione del giudice non è così semplice come oggi i giornali dicono: i detenuti di Palmi chiedono in realtà la pubblicazione del loro comunicato attraverso i canali della comunicazione
sociale in cambio della liberazione del magistrato . E' un passo avanti, dice Pannella, E' un passo avanti perché non si chiede più la pubblicazione su quotidiani, telegiornali e giornali radio, ma si parla di »canali della comunicazione sociale ; questi »canali , però "devono" pubblicare. "Il Manifesto" e "Lotta Continua", "Il Lavoro", la catena dei "Diari" e quella di "Radio Radicale", molte radio libere trasmettono i comunicati dei detenuti di Trani e di Palmi; ma la gran parte della stampa è ferma al black-out.
Puntualissimo purtroppo - siamo al 10 gennaio - arriva il comunicato n. 9 delle Brigate Rosse a smentire Curcio, o meglio i giornali che avevano pubblicato la notizia della facile liberazione attribuita ai detenuti di Palmi, e a smentire Pannella dicendo: dovete pubblicare sui maggiori quotidiani italiani. Partono altre iniziative. Leonardo Sciascia promuove un appello che raccoglie le adesioni importanti di Eleonora Moro, di Stella Tobagi, di Andrea Casalegno. Franca D'Urso interviene chiedendo la pubblicazione e usa parole drammatiche, che è giusto ricordare: »... poche colonne di piombo tipografico in cambio della vita di un uomo . Il 12 gennaio, e siamo al giorno dei fatti di causa, c'è un secondo appello di Sciascia: »... sottostare al ricatto, egli dice, è molto più nobile in queste condizioni, in questo momento, che rifiutarsi . Gruppi di magistrati lanciano appelli nella stessa direzione. Franca D'Urso fa un nuovo appello ai direttori dei giornali e ripete: »... poche righe di piombo valgono la vita
di un uomo .
Pannella e i radicali offrono quel poco che hanno, perché hanno poco, e la loro radio l'hanno già messa a disposizione: una Tribuna flash, quegli spazi che la Commissione di vigilanza assegna alle forze politiche, viene offerta alla famiglia D'Urso. »Fatene l'uso che volete . E Lorena D'Urso la usa.
Il 13 gennaio arriva una lettera di Giovanni D'Urso in cui ringrazia L'Avanti perché ha pubblicato i comunicati e conferma che la sua vita è legata alla loro pubblicazione. Se da una parte "L'Unità", "Paese Sera", la catena "Rizzoli", "La Stampa" di Torino insistono in questo black-out proclamato il 5 gennaio, altri direttori cedono all'evidenza della situazione: e ai giornali e alle radio già ricordate si aggiungono il "Messaggero" che pubblica, il "Secolo XIX" che pubblica. D'Urso viene liberato in vita. Tutto questo, le ore drammatiche di quei giorni, diventano quel che ora vedremo. La Tribuna flash offerta dai radicali alla famiglia D'Urso diventa: »"Ignobile: Pannella induce la figlia di D'Urso a chiamare »boia il padre , »I radicali hanno costretto Lorena D'Urso a leggere il comunicato dei terroristi , » Lorena D'Urso è stata costretta a chiamare boia il padre" .
Sia nell'uso dei mezzi tipografici che nell'uso delle parole »"costringono" - »"ignobile" - »"vergogna" , i due quotidiani comunisti si assomigliano.
Da questi articoli nascono tre problemi giuridici:
1) Se quello che hanno scritto i due quotidiani sia vero.
2) Se questa »non-verità , che dimostrerò tra poco, sia diffama
3) Se il comportamento dei giornalisti sia doloso.
1) "Verità o falsità".
Voi avete ascoltato, signori giudici, nelle udienze precedenti, sia Marco Pannella che Lorena D'Urso. Avete acquisito dei documenti. Dalle due deposizioni e dai documenti risulta non la distorsione dei fatti, non la inesatta cronaca, ma la "totale, assoluta, piena falsità" di quanto hanno scritto i due quotidiani. Se voi leggete integralmente, parola per parola, quello che hanno detto davanti a voi Marco Pannella prima e Lorena D'Urso poi, riscontrerete la puntuale rispondenza, con i linguaggi diversi di due persone così diverse come Marco Pannella e Lorena D'Urso, della ricostruzione di quel momento drammatico.
Racconta Marco Pannella, narrando il comportamento di Radio Radicale che aveva organizzato trasmissioni continue sulla vicenda che in occasione di queste trasmissioni vi furono più interventi spontanei e richiesti di componenti della famiglia D'Urso e sicuramente della signora D'Urso. In seguito, disponendo il Partito Radicale di una Tribuna flash di 4 minuti, l'organizzazione competente del partito, malgrado questo fosse al centro di un vero e proprio linciaggio da parte di tutta la stampa e della RAI-TV e ne avesse-quindi bisogno letteralmente vitale, decideva di porre lo spazio a disposizione della famiglia D'Urso. E poi racconta di essersi recato negli studi della RAI-TV aspettando di vedere la signora D'Urso mentre invece arrivò la figlia Lorena con lo zio e altre due persone. »Presi contatto con gli stessi dichiarando subito che il tempo era interamente a loro disposizione. Tecnicamente ammonii, per esperienza, che i quattro minuti erano terribilmente corti. Dissi che avevo portato con me, pensando che
arrivasse la signora D'Urso, alcuni appunti che erano in sintonia con quanto la signora ed altri membri della famiglia avevano in quelle ore, a Radio Radicale e altrove, detto, precisando che nel caso loro non fossero giunti o non avessero usato il tempo avrei usato io di quegli appunti. A questo punto Lorena D'Urso mi ha comunicato che aveva deciso di dare lettura di un comunicato delle Brigate Rosse di cui, in questo momento, non ricordo il numero né la provenienza. In quelle ore si discuteva sulla stampa della richiesta da parte delle Brigate Rosse di diffusione di un comunicato proveniente se non sbaglio dal carcere di Palmi e dal quale dipendeva, a detta delle Brigate Rosse, un esito positivo della vicenda. A questa affermazione io replicai scusandomi e sottolineando che non intendevo interferire, e che il tempo era a intera disposizione della famiglia, ma replicai fermissimamente che mi sembrava un grave errore la lettura del comunicato sottolineando oltre tutto che in tal modo le Brigate Rosse avrebb
ero sempre potuto protestare il mancato rispetto integrale di quanto richiesto; ricordo di aver, in due riprese, fatto la seguente argomentazione: è come se voi forniste 500 milioni a dei sequestratori che vi chiedono diversi miliardi: intascherebbero i 500 milioni e si riterrebbero liberi di assassinare l'ostaggio. Dopo di che mi allontanai . Poi viene richiamato e i familiari gli dicono: abbiamo deciso di seguire in parte i tuoi consigli: faremo l'appello prima, e poi nel tempo che avanzerà leggeremo quel che si potrà leggere del comunicato delle Brigate Rosse. Pannella ripete che è contrario alla lettura del comunicato; poi aggiunge che quando ha sentito la trasmissione, si è anche reso conto che forse Lorena D'Urso aveva avuto ragione, tanta era l'infamia che emergeva dal comportamento delle Brigate Rosse.
Lorena D'Urso con le sue parole conferma tutto: conferma che la famiglia incarica lei perché la madre non stava bene, conferma che quando arriva in televisione incontra Marco Pannella con il quale si consulta - anzi si consultano, perché non era sola - e che gli esprime l'intenzione di leggere molto velocemente il comunicato proveniente dal carcere di Palmi; »al che Pannella disse che secondo lui la lettura era inutile perché non sarebbe servita allo scopo in quanto una lettura affrettata non avrebbe reso ben comprensibile il contenuto del documento e non avrebbe soddisfatto le richieste delle Brigate Rosse. Invece di leggere un comunicato consigliò di fare un appello alle Brigate Rosse, anzi mi sottopose una traccia sulla quale dopo qualche modifica mi trovai sostanzialmente d'accordo. Le modifiche furono apportate da me. Effettivamente il colloquio con l'on. Pannella si svolse in due fasi: infatti lo stesso era in disaccordo sulla nostra intenzione di leggere il comunicato e dopo averci detto `decidete voi
' uscì dalla stanza .
Ecco signori giudici: tutto questo diventa quel che potete leggere sui giornali.
Ciò che è chiarissimo è che non vi fu nessun contatto diretto tra Marco Pannella e la famiglia fino al momento della trasmissione, tanto che egli aspettava la madre e non la figlia. Altrettanto chiaro è che la famiglia voleva leggere interamente il comunicato proveniente dal carcere di Palmi (che Marco Pannella non aveva neppure con sé!), e che è Pannella a dire e chiedere e implorare di non leggere quel comunicato perché sarebbe stato inutile se non dannoso. Egli motiva e spiega; la famiglia accetta solo in parte il consiglio, e insiste per usare l'ultimo piccolo spazio di tempo della trasmissione per leggere, dopo l'appello, una parte del comunicato. Tutto questo avviene in momenti drammatici e difficili non solo per la famiglia D'Urso o per Marco Pannella, ma per tutti, anche per i giornalisti. Ma nei momenti di difficoltà emerge la professionalità, la coscienza, il dovere di verità che i giornalisti hanno: un dovere che è proclamato nella loro legge professionale: »E' diritto insopprimibile dei giornalis
ti la libertà di informazione e di critica, limitata dall'osservanza delle norme di legge dettate a tutela della personalità altrui ed è loro obbligo inderogabile il rispetto della verità sostanziale dei fatti, osservati sempre i doveri imposti dalla realtà e dalla buona fede. Devono essere rettificate le notizie che risultino inesatte e riparati gli eventuali errori .
Ebbene, tutto ciò diventa »"Pannella costringe Lorena D'Urso a definire boia suo padre in TV . »Non gli è bastata la scena ed effetto" di portare Lorena D'Urso alla televisione e »"ha costretto la ragazza a leggere il comunicato dei terroristi di Palmi in cui si dice che il boia D'Urso è stato giustamente condannato. Sapevamo già che Pannella chiama i brigatisti compagni assassini. Ora sappiamo anche come loro chiamano Pannella: `compagno tirapiedi'" . Questo è Paese Sera. L'Unità dice: »"... quel che è stata costretta a fare la figlia di D'Urso nei quattro minuti messi a disposizione con cinico calcolo dai radicali. Per lei c'è tutto il nostro affetto, tutta la nostra partecipazione. Per Pannella c'è tutto il nostro disprezzo... è stata perfino costretta a leggere le parole dei suoi torturatori: tutto ciò segna il massimo punto di massima abiezione delle Brigate Rosse e di coloro che si prestano ad accettare o a subire i loro ricatti. Ignobile..." Falso dunque. Inequivocabilmente e indiscutibilmente, un f
also giornalistico.
2) "Diffamatorietà".
E' diffamatorio tutto questo, signori giudici? Io non so nemmeno se devo parlarne. Voglio soltanto mettere in rilievo tre aspetti.
La coartazione della volontà di Lorena D'Urso come punto centrale e portante di questi articoli: falsa, perché semmai era vero l'opposto, essendoci stato un tentativo di non farle leggere quel comunicato.
Il »cinico calcolo dei radicali per coartare la volontà, cioè non un gesto magari sbagliato ma che viene dal desiderio, dal tentativo di salvare la vita di qualcuno: ma un calcolo cinico per costringere qualcuno a un comportamento che non voleva. E poi l'appoggio alle Brigate Rosse, la disponibilità a subire i ricatti delle Brigate Rosse, il legame operativo con il terrorismo, l'essere il tirapiedi dei terroristi.
E allora, signori giudici: la non violenza, il rispetto dei diritti di ciascuno, la spoliazione del proprio tempo »vitale per tentare di salvare una vita, quello che i radicali fin dall'inizio, nel loro tentativo di inserirsi tra fermezza e trattativa, definiscono dialogo, quel continuare a dire (avete i documenti nel vostro fascicolo) »noi ripetiamo alle Brigate Rosse: liberate D'Urso senza condizioni , »noi ripetiamo: con chi ricatta nel modo più infame tenendo il grilletto pronto a sparare sulla nuca di una persona non si tratta, ma si fa tutto il possibile per salvare una vita ; il comportamento di chi, anche questo è scritto nei documenti, ha l'abitudine di offrire se stesso e il proprio corpo per salvare e non per prendere la vita degli altri, tutto questo diventa la costrizione, il calcolo cinico, la violenza sulle coscienze. E ricordatevi, ricordatevi i tentativi disperati della famiglia, la madre, la moglie, il fratello il ricorso al pretore!
E' ancora più grave la diffamazione, proprio perché nessuna speculazione viene fatta dal Partito Radicale e da Pannella sul gesto di Lorena D'Urso nel corso della trasmissione. Dice Pannella e lo sapete, »Io non ho partecipato . Dice Lorena D'Urso »alla trasmissione, ho partecipato soltanto io, senza l'intervento di alcun esponente del Partito Radicale : non c'era la sigla sopra, non c'era nessun tentativo di strumentalizzare quella trasmissione. Era stata data alla famiglia D'Urso, e gli è stata lasciata.
Il gesto di rinuncia alla propria utilità per un partito che è in quella situazione, viene descritto come speculazione, »cinico calcolo . Diffamatorietà anch'essa inequivocabile, dunque, e aggravata dalla determinatezza del fatto attribuito. Stravolgimento completo della verità, per poter rappresentare l'immagine di un partito e di una persona che è l'esatto contrario di ciò che in realtà fanno e vogliono: questa è la sintesi del caso che dovete giudicare.
3). "Dolo".
E parliamo pure del dolo. Io credo che se si deve fare un esempio di "animus diffamandi" o di particolare gravità del dolo, è questo. Basta una frase di Lorena D'Urso: »Per quanto ne so - ha detto a voi - dopo la messa in onda della trasmissione non ci vennero richieste notizie dai giornalisti circa il modo in cui si era giunti alla trasmissione . E allora dov'è la serietà professionale: dov'è la coscienza del giornalista? dov'è il corretto esercizio del diritto di cronaca, posto che di verità non possiamo parlare; dov'è il diritto di critica? E quando il giorno dopo Lorena D'Urso (che vi ha detto »Il comunicato dell'agenzia Ansa nel quale sono stati esposti chiarimenti in ordine alla trasmissione in questione venne deciso da noi - familiari - dopo aver letto i commenti alla trasmissione stessa apparsi sulla stampa ) quando Lorena D'Urso spontaneamente, stupefatta dai commenti dagli articoli che ha letto, dichiara all'Ansa: »Affermo di non essere stata costretta da nessuno a leggere alla televisione il comun
icato di Palmi. L'ho fatto di mia volontà al solo scopo di salvare mio padre esaudendo in qualche modo le richieste delle Brigate Rosse , non compare nessuna rettifica, signori giudici, su questi giornali: la famiglia D'Urso serve soltanto per attaccare Pannella e i radicali. Anzi, il 14 e il 16 gennaio, anche dopo la liberazione del magistrato, si insiste nel dire: »"Pannella e i radicali hanno costretto Lorena D'Urso ad andare in televisione e a chiamare boia il padre" .
Devo aggiungere ancora soltanto una cosa su questi due articoli: in essi non si critica Marco Pannella o il Partito Radicale perché hanno dato la Tribuna flash a Lorena D'Urso. Non si critica il gesto, l'offerta dello spazio televisivo alla famiglia (e sarebbe stato difficile, col padre condannato a morire, e loro condannati a tacere). Si afferma invece che con "cinico calcolo" si è "costretta" Lorena D'Urso a chiamare boia il padre. E si usano tutti gli strumenti dell'arte tipografica, dal titolo all'occhiello, all'impaginazione, alla prima pagina. Si attribuisce un fatto, determinato e diffamatorio. La critica è lontana.
Non so neppure se devo chiedere attenzione per escludere che si versi nell'ipotesi dell'esercizio del diritto di cronaca. Siamo infatti di fronte a un falso, a un riconosciuto non esercizio del controllo delle fonti, a un agghiacciante silenzio di fronte alla stessa smentita della famiglia che non lascia adito a dubbi circa la volontà cosciente di affermare il falso. Nessuno degli elementi richiesti per l'applicazione della scriminante ricorre in questo caso.
Io non voglio, signori giudici, difendere qui la posizione politica dei radicali o di Pannella, e quindi non vi dirò se e perché Pannella aveva ragione. Non vi dirò neppure che D'Urso è vivo forse grazie anche ai gesti »ignobili di Pannella, certamente grazie al grande amore che la figlia gli ha dimostrato e a un'opinione pubblica che si è mobilitata costringendo alcuni direttori di giornali a dare quelle poche righe di piombo in cambio della salvezza di un uomo. Non devo convincervi né che Pannella aveva ragione né che i radicali si sono comportati bene. Devo soltanto chiedervi con la massima fermezza di riaffermare diritto e legge, perché ciò che è in discussione oggi non è questione di parte, è questione della salvezza e della tutela della reputazione e dell'immagine di uomini politici e di partiti politici che hanno il sacrosanto diritto di essere anch'essi tutelati rispetto alle totali distorsioni, falsificazioni e diffamazioni di cui sono vittime. E si tenga conto, consentitemi signori giudici, della
davvero diabolica perseveranza de L'Unità dei giorni successivi, 14 e 16 gennaio, che getta una luce grave su un già grave episodio: il disegno diffamatorio, l'animus diffamandi anche dopo la liberazione di D'Urso.
Passo agli altri articoli: dovrei leggerli e commentarli riga per riga, perché riga per riga il loro significato ha quella grave portata diffamatoria cui accennavo prima. Non lo farò. Cercherò di riassumervi in poche parole quello che emerge da questi articoli.
"11 gennaio": si dice che la vita di D'Urso è appesa a un filo, che bisogna salvare la Repubblica dallo sfascio e via dicendo. Chi attenta alla vita di D'Urso e alla salvezza delle istituzioni? Vi è »"una complessa e cinica operazione politica" di cui fa parte il »"modo vergognoso con cui i radicali hanno annunciato di aver onorato i propri impegni con le Brigate Rosse" ; il Partito Radicale è »"entrato in gioco come forza convergente con le Brigate Rosse... nel comune antagonismo all'ordine repubblicano" . Si contrappongono, cioè, Brigate Rosse e radicali da una parte e ordine repubblicano dall'alta. I radicali fanno parte del fronte dei terroristi, non è la »solita pagliacciata , sono amici dell'eversione e compiono una azione dirompente.
"14 gennaio". »"I radicali, da oculati registi di un torbido gioco" non sono soltanto i partecipi, sono gli organizzatori (se parlassimo di banda armata saremmo nell'ipotesi più grave): »"lunedì sera hanno indotto la figlia del giudice rapito a umiliarsi insultando pubblicamente il padre e a farsi, spinta dal proprio dolore, strumento del ricatto dei terroristi. Perché dunque i radicali, che pure non hanno esitato a farsi megafono di ogni minaccia e di ogni ricatto, hanno così a lungo congelato questo documento pur avendo annunciato di esserne in possesso?" . L'articolo parla del comunicato di Toni Negri e altri di cui si è annunciata l'esistenza il giorno 8 gennaio (allorché si è reso noto il comunicato dei detenuti di Trani); non tenendolo nascosto (è stato consegnato al direttore del carcere e alla Procura della Repubblica), ma rinviandone la diffusione alla stampa perché non riguardava il sequestro del giudice D'Urso, bensì le condizioni carcerarie: Toni Negri e gli altri hanno rimesso ai radicali discr
ezionalmente i tempi e i modi della pubblicizzazione, avvenuta appunto il 13 gennaio. Ebbene, tutto ciò diventa, nell'articolo, che questo comunicato è stato »nascosto perché risulterebbe »"controproducente nella squallida escalation dei ricatto di cui i radicali si sono fatti `umanitarissimi' portatori a nome dei compagni assassini delle Brigate Rosse. In una parola i radicali hanno applicato un vero e proprio black-out sulle notizie, hanno nascosto la verità con lo stesso cinismo col quale hanno pubblicamente esibito lo strazio e la tragedia della figlia di D'Urso .
»... Hanno coscientemente favorito le Brigate Rosse... uno sporco gioco: non più solo megafoni dei terroristi ma costruttori di una falsa immagine di forza e di compattezza del gruppo terroristico, un altro favore reso dai radicali ai compagni assassini" . Io non voglio leggervi i passi, che avete agli atti, della conferenza stampa e della relazione presentata alle Presidenze dei due rami del Parlamento, ma in essi controllerete qual è la verità anche su questo episodio, verità resa nota ai giornalisti nella conferenza stampa dell'8 gennaio allorché i radicali hanno comunicato l'esistenza del comunicato di Toni Negri e la sua non pubblicizzazione perché il problema attuale era la liberazione del giudice D'Urso.
La delegazione dei radicali - non dimenticatelo - va a Trani a seguito della rivolta e delle notizie gravi di pestaggi e ferimenti. Ma tutto ciò diventa secondario nel momento in cui si capisce che dal carcere può venire qualcosa per la salvezza del giudice D'Urso. Si mette perciò da parte il documento di Toni Negri, con il consenso dei detenuti che l'hanno consegnato.
L'11 gennaio gli stessi detenuti ringraziano i parlamentari radicali per il loro comportamento, ben sapendo che quel loro comunicato non era ancora stato reso noto: cosa che avvenne il 13 gennaio, prima della liberazione del giudice D'Urso, anzi nel giorno più importante, perché si hanno ancora 48 ore di tempo e si tenta in tutti i modi di sbloccare la situazione.
Dov'è allora lo »sporco gioco ? C'è una volontà dolosa, un intento diffamatorio che trasuda da ogni riga e da ogni parola.
"Il 16 gennaio" siamo al culmine. E' difficile trovare le espressioni corrette per dirvi, signori giudici, quello che dovrei. In quest'ultimo articolo si fa un riassunto dei fatti in cui non c'è quasi nulla di vero: o meglio, i singoli episodi narrati in sé potrebbero anche essere veri, soltanto che sono capovolti, spostati con date che non sono quelle reali; si mette prima un fatto che viene dopo, si sposta tutto con l'intento chiarissimo di una ricostruzione che deve servire a dimostrare che Pannella e i radicali non sono più solo i »megafoni o i »tirapiedi del 13 gennaio, ma sono diventati gli animatori, gli »organizzatori , i »registi del sequestro D'Urso e dell'operazione brigatista; sono loro che, d'accordo con le Brigate Rosse, hanno orchestrato, messo insieme, fatto, diffuso. Questa è l'immagine che viene presentata di un partito e di un gruppo politico che da una vita fanno della non-violenza, della capacità di dialogare, (e non dello scambio, »ti do questo in cambio di quest'altro ), del sacrifi
cio di se stessi (e non dello sparare sugli altri) il loro credo politico. No, essi sono invece, per L'Unità, i fiancheggiatori, i ricattatori, gli infami, gli speculatori sul dolore altrui, i coartatori della libertà delle coscienze. Leggete l'articolo del 16 gennaio: »"Il leader radicale così commenta: è stato sconfitto il tentativo del partito della fermezza che stava organizzando e tentando un vero golpe. C'è un punto di convergenza tra Brigate Rosse e radicali: la lotta non è tra democrazia e terrorismo ma contro un golpe in atto (tesi Pannella) e uno stato fascistizzato (tesi Brigate Rosse) . Brigate Rosse e radicali di qua, la democrazia di là. E' per ora l'ultima fase di un dialogo praticato, per di più consentito" (certo, perché la visita al carcere di Trani è stata accompagnata dalla presenza del direttore e del giudice di sorveglianza, dal continuo contatto e rapporto con il Ministero di Grazia e Giustizia: non è stata scappata clandestina) »"che ha costituito l'asse della vera e propria torbida
trattativa tra un partito rappresentato in parlamento e un gruppo di terroristi. Quando è iniziato, almeno pubblicamente?" (almeno pubblicamente, perché, s'intende prima c'è la fase clandestina)... »"Prima della missione però lo stesso Pannella, senza che nessuno glielo avesse ancora chiesto, si dichiara disposto a diramare attraverso la Radio Radicale le eventuali richieste dei detenuti e a far pressione sugli organi di informazione perché facciano altrettanto" . Come: "prima" che nessuno glielo avesse chiesto!? Ma signori giudici, scherziamo! La pubblicizzazione di quei due testi che provenivano dai detenuti di Trani e di Palmi era il fatto su cui si decideva la vita o la morte del giudice D'Urso, e questo era scritto nel comunicato numero 8 delle Brigate Rosse: non è una fantasia di Pannella! »Prima che nessuno glielo chiedesse : ecco l'organizzatore, è lui che decide per le Brigate Rosse.
»"Il comunicato numero 8 delle Brigate Rosse che hanno in mano il giudice è già arrivato" , prosegue l'articolo: ma la frase precedente diceva prima! »"Il rilascio di D'Urso, dicono, è demandato alle decisioni dei reclusi di Trani e del carcere di Palmi" : peccato appunto, che non si dica che il comunicato delle Brigate Rosse chiede la pubblicizzazione dei due testi, addirittura dicendo »senza cambiare virgola . No. Nella ricostruzione a posteriori del signor Sergio Sergi non c'è più, bisogna far capire ai lettori che è Pannella che ha deciso tutto questo.
Arriviamo alle »"dichiarazioni dell'avvocato Di Giovanni che provocano l'immediata reazione dei radicali" . E' l'episodio di Curcio che avrebbe detto: »Liberate pure D'Urso senza condizioni. E allora cosa fa Pannella? »"Pannella minaccia gli avvocati di Curcio!" Minaccia gli avvocati di Curcio perché mette in guardia i giornalisti dicendo loro di stare attenti: quel comunicato dice delle cose diverse, parla di diffusione attraverso i canali della comunicazione sociale. Ma continua l'articolo: »"Non è vero che i detenuti non pongono condizioni, è la tesi dei radicali" . E' la tesi dei radicali?! Qui basta saper leggere, non c'è problema, non c'è questione di critica o di cronaca, di interpretazione o di giudizio, bensì di alfabetizzazione. Inizia poi, nell'articolo, il racconto di Pannella che "sgrida Spadaccia e gli dice: »Vi siete fatti fregare da Curcio" , attenzione, che Curcio è quello che vuole liberare D'Urso senza condizioni, non facciamoci fregare, non fatevi fregare da Curcio, non sono io che deci
do!
»"I radicali adesso tornano a Roma. Pannella e altri esponenti del Partito Radicale rinnovano attacchi contro chi aveva `frainteso' il documento di Curcio e compagni. Inizia adesso il ricatto contro i giornalisti perché pubblichino i proclami dei terroristi" . Il ricatto lo fanno Pannella e i radicali, naturalmente. »"Siamo entrati nell'ultima fase: alcuni giornali, tra cui l'Avanti, stampano i documenti... Ultima infamia: i radicali inducono Lorena D'Urso ad apparire in TV e a chiamare boia il padre. La sollecitazione emotiva è sfruttata per criminalizzare la stampa e per completare i guasti degli oscuri patteggiamenti" gli appelli della moglie, della figlia, del fratello, di Leonardo Sciascia, degli uomini di cultura, di quei giornalisti che hanno sensibilità professionale, diventano: »la sollecitazione emotiva è sfruttata per criminalizzare la stampa e via dicendo.
»"Intanto il 13, dopo 5 giorni, i deputati radicali rendono finalmente noto un nuovo documento di Trani," (quindi lo sapevano che era stato pubblicizzato il 13 il documento di Toni Negri di cui parlavo prima, e che il 14 è ancora dichiarato come tenuto nascosto per chissà quali misteriosi motivi), »"quello redatto dai detenuti che si dissociano dalla rivolta e dal sequestro. Una notizia celata per favorire le Brigate Rosse" . Non è dunque una notizia data, anche se accantonata e comunicata alla stampa il 13 per consentire in tutti i modi possibili la liberazione del giudice D'Urso, ma - secondo l'Unità - una notizia celata per far piacere alle Brigate Rosse. Ecco signori giudici, credo di essere avviato alla conclusione e mi scuso del molto tempo che vi sto prendendo, ma vi ripeto: è difficile concentrare in poco tempo una vicenda così complessa e episodi così gravi come quelli che ho cercato di indicarvi.
Certo, signori giudici, in questi articoli vi sono anche giudizi e fatti indeterminati e ne accennerà il collega Sandroni. Alle accuse di »pagliacciate ci siamo abituati, e sicuramente si tratta di fatto indeterminato: peraltro, questi sono termini che, soprattutto in situazioni in cui si gioca sulla vita o sulla morte di una persona, qualificano soltanto chi li usa. Non mi soffermo più sul »costringere Lorena D'Urso, che ricorre in quattro dei cinque articoli. Nella lettura, seppure sommaria, credo di avervi dato modo di riflessione e quindi farò solo qualche esempio.
»"Azione dirompente degli amici dell'eversione" : in quel contesto, con tutto quello che precede e segue quella frase, le visite al carcere di Trani e Palmi, la sollecitazione ai giornali, l'offerta alla famiglia, voi capite bene: l'»azione dirompente degli amici dell'eversione non è messa lì come riferimento a qualcosa di astratto, è la sintesi di un racconto che precede e segue, la definizione di una serie di fatti precisi e specifici; e »l'amicizia non è un giudizio, signori giudici, in questo contesto: è la sintesi di una serie di comportamenti; è scavata, analizzata, descritta in maniera fasulla, falsa, inventata, ed anche giudicata: »cinica operazione politica , »notizie scomode per le Brigate Rosse , »convergenza nella lotta contro la democrazia , »ricatto contro i giornali perché pubblicano i comunicati delle Brigate Rosse: quei comunicati, quei giornali, quel momento, quel giorno, quel fatto. E mai, mai si dica qual è la tesi, la posizione radicale, il fatto radicale, perché i radicali vogliono e
chiedono quella pubblicazione.
La critica politica, signori giudici. Io qui non vi richiamo nessun tipo di giurisprudenza, sapete bene che il limite è pur sempre quello del diritto di ciascuno alla propria reputazione, al proprio onore, ed è un limite invalicabile. Dare dell'alleato, complice, megafono, addirittura cinico e oculato regista di un'operazione come questa, signori giudici, è certamente molto peggio che dare degli »amici dei terroristi . E' l'unica sentenza che vi voglio leggere viene dal Tribunale di Bologna quale giudice d'appello, in data 27 maggio 1982. Riguarda una querela per diffamazione di Marco Pannella contro l'esponente locale del Partito Comunista per un manifesto in cui si diceva: »i radicali amici dei terroristi . Sono poche righe che vi prego di ascoltare: »Ma vi è di più: l'ultima frase, quella che suona »no ai radicali amici dei terroristi in nessun modo può essere giustificata, proprio per la repulsione profonda che l'opinione pubblica avverte ormai a fronte e a causa degli orrendi crimini perpetrati dai ter
roristi e coperta dal giudizio politico che si afferma di voler dare sul comportamento politico di un gruppo. Questo in nessun modo può essere fatto assurgere al rango di giudizio, perché è un periodo che, anche inserito nel più ampio contesto di spiegazioni e di giustificazioni, resta avulso da questo per la sua totale gratuità e per il fatto che si vuole colpire chi riceve il messaggio con un'affermazione particolarmente viva che richiami subito un'immagine di repulsione e di scandalo che giustifichi poi la condanna della parte alla quale l'espressione è rivolta. Affermare oggi, sia nei confronti di chi non svolge politica attiva, sia nei confronti di chi ancora è impegnato politicamente, che la sua azione lo qualifica come amico dei terroristi non può essere in alcun modo un giudizio politico, è pura contumelia mirante a ridurre al silenzio l'avversario additandolo insieme al pubblico disprezzo .
Concludo ricordandovi l'inizio dell'articolo del 13 gennaio dell'Unità, quando dice che il problema non è di »"scambiare qualche riga di piombo con la vita di un uomo ed è invece quello di alzare un argine contro l'imbarbarimento della vita civile, contro la svendita della sicurezza e della vita di tutti i cittadini" .
Signori giudici, si trattava invece proprio di questo, di qualche riga di piombo in cambio della vita di un uomo: chi ha visto Lorena D'Urso in televisione quella sera, sa che quello è stato il miglior modo di far capire cosa sono le Brigate Rosse e di alzare l'argine che l'Unità invocava. Il paragone tra chi chiede morte e terrore e chi invece dà una risposta in termini di umanità, di non-violenza e di civiltà. Io non vi chiedo, ve lo ripeto, nessun giudizio a posteriori, nessuna scelta tra radicali e compagni comunisti: vi chiedo soltanto il rispetto della verità e del diritto di ciascuno alla propria reputazione e alla propria immagine. Si può essere accusati di aver sbagliato, si può essere distorti, distrutti, massacrati, paragonati ai terroristi, chiamati registi dei terroristi, accusati di essere degli speculatori delle altrui tragedie, coartatori delle volontà, diffamati con il falso e con la menzogna.