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Signorino Mario - 1 maggio 1983
La presa di potere della partitocrazia
di Mario Signorino

SOMMARIO: Il "libro bianco" sulla "democrazia reale" italiana che ha preso il sopravvento sul modello democratico indicato dalla Costituzione. Le istituzioni democratiche, dal Parlamento al Governo, sono state svuotate di ogni potere da parte dei partiti; la Costituzione viene continuamente violata; l'informazione pubblica è stata piegata a servire gli esclusivi interessi dei partiti di governo eliminando dalla scena politica ogni voce di dissenso: "La partitocrazia rappresenta ormai un sistema di potere parallelo a quello costituzionale e si alimenta con la corruzione e l'illegalità. Lobbies finanziarie e militari, centri di potere occulti, cosche mafiose, logge eversive attraversano orizzontalmente ogni settore dello schieramento politico e determinano la politica dei vari partiti".

(PARTITO RADICALE, maggio 1983)

Considerato finora un paradosso o una curiosità della politica europea, il ``caso italiano'' rappresenta oggi un'incognita che va svelata. Il sistema che sembrava reggersi su una ricetta provinciale e arretrata, in ritardo o comunque ai margini della grande politica europea, dimostra invece una tenuta e una capacità progettuale che nessun politologo ha voluto o saputo cogliere.

La concatenazione di fatti che esporremo consente, malgrado la sua parzialità, una prima presa d'atto del nuovo che in Italia si va producendo. Può essere superfluo o fuorviante, in questa fase, presentare anche l'interpretazione che noi diamo di questo processo: l'importante, ora, è cogliere il filo che unisce fatti apparentemente slegati, liberando il campo dal timore di far proprie, con questo, le posizioni di una parte politica.

LA FUNZIONE LEGISLATIVA

Nei 35 anni della repubblica si sono alternati 38 governi. Tutti, meno 4, sono caduti per decisione extraparlamentare. E' una prima prova dell'inesistenza del parlamento italiano.

Alle Camere sono sottratti, di fatto, anche la decisione e il controllo sul bilancio e sulla legge finanziaria dello Stato, momento principe della funzione parlamentare. Contrattati tra governo, enti locali, sindacati dei lavoratori e degli imprenditori, gruppi di pressione, il bilancio e la legge finanziaria vengono di consueto stravolti con decreti-legge fino alla scadenza ultima e sottoposti quindi, in tempi brevissimi, alla ratifica formale delle Camere.

Queste non hanno poi modo né strumenti per controllarne l'attuazione. Sicché l'effettivo flusso della spesa avviene al di fuori del controllo pubblico.

Per impedire un dibattito reale ed eliminare il dissenso, nel 1981 e nel 1983 il governo ha imposto il voto di fiducia anche su singoli articoli della legge finanziaria; e nel 1982 ha accorpato decine di articoli eterogenei in uno solo.

La funzione legislativa è impedita dal continuo ricorso del governo alla decretazione d'urgenza, che la costituzione prevede solo per casi eccezionali (art. 77).

Nell'ultima legislatura (1979-'83) il governo ha presentato per la conversione alle Camere 269 decreti-legge: uno ogni tre giorni e mezzo di lavoro parlamentare. Il lavoro delle Camere risulta così paralizzato; il che diviene motivo per l'emanazione di nuovi decreti.

Secondo la costituzione, i decreti-legge dovrebbero essere convertiti in legge dal parlamento entro 60 giorni, ma il governo elude il termine ripresentando gli stessi decreti dopo la loro scadenza e sanando con nuovi gli effetti di quelli decaduti.

Il ricorso abnorme alla decretazione d'urgenza si è accentuato con la VII legislatura (1976-'79), con l'avvento cioè dell'unità nazionale e del cosiddetto governo d'assemblea basato sulla formula anomala della ``non sfiducia''. La maggioranza quasi unanimistica (oltre il 90 per cento) che allora si costituì formalmente e che andava dalla democrazia cristiana al partito comunista era nei fatti particolarmente fragile a causa della separazione dalla realtà sociale che pretendeva di rappresentare. Anche in seguito, malgrado il cambio della formula, la prassi dell'unità nazionale è rimasta operante e, con essa, tutti i fattori di debolezza e di precarietà. E' stato l'impegno dell'opposizione radicale a rendere esplicito questo processo.

Contestualmente al potere delle Camere, è stata eliminata l'autonomia dei singoli parlamentari. L'art. 67 della costituzione afferma che ``ogni membro del parlamento rappresenta la nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato''. Gli eletti, invece, ricevono un mandato imperativo dai loro partiti e devono sottostare alla disciplina dei loro gruppi parlamentari, che a loro volta emanano direttamente dai partiti.

IL REGOLAMENTO DELLA CAMERA

Da due legislature la presidenza della maggiore delle due Camere non viene assegnata alla maggioranza ma l'opposizione, e in particolare al partito comunista. Con questo procedimento anomalo sono stati sanciti la rinuncia del PCI all'opposizione ed il suo coinvolgimento di fatto nella maggioranza parlamentare e nelle scelte del governo. E' grazie ad esso che si è accelerato lo svuotamento dell'istituto parlamentare, giunto adesso alla sua fase estrema attraverso l'attacco al regolamento della Camera.

Già nella VII legislatura, il regolamento della Camera era stato stravolto da una serie di atti interpretativi della presidenza in danno della minoranza. Nella legislatura appena troncata, con un ricorso esasperato a ``interpretazioni in via sperimentale'' del regolamento, con modifiche radicali e con successive ``interpretazioni'' in senso sempre più restrittivo, si è determinata una situazione di arbitrio totale e di assenza di qualsiasi regolamentazione.

Eliminata ogni possibilità d'ostruzionismo, elemento estremo ma essenziale dei sistemi parlamentari, con le interpretazioni regolamentari della presidenza e con nuove proposte di modifica si perseguono i seguenti risultati:

a) "abrogazione del diritto di emenda del deputato" attraverso l'attribuzione alla presidenza del potere discrezionale di sottoporre al voto gli emendamenti ``al fine dell'economia del dibattito'';

b) "abrogazione del diritto di parola del deputato" attraverso il ``contingentamento'' dei tempi di discussione e l'assegnazione a ciascun gruppo di ``pacchetti'' di minuti per gli interventi: in nessun caso il singolo deputato potrà prendere la parola senza il permesso del proprio capogruppo, quindi del proprio partito;

c) "abolizione del voto segreto", cancellando la possibilità oggi data a tutti i gruppi di chiedere lo scrutinio segreto e aumentando a 30 il numero dei richiedenti, il che limita questa facoltà solo ai gruppi maggiori (nell'ultima legislatura sarebbero stati esclusi i gruppi radicale, repubblicano, liberale, socialdemocratico, missino, del PDUP, misto).

La gravità eccezionale di queste misure si spiega con la volontà di neutralizzare l'opposizione del partito radicale, entrato in parlamento nel 1976 con 4 deputati (1 per cento dei voti) e passato a 18 deputati con le elezioni del '79 (3.4 per cento dei voti). Questo partito è stato l'unico a forzare le regole del gioco con le quali il blocco dei vecchi partiti, di governo e d'opposizione, aveva impedito per trent'anni l'ingresso nelle istituzioni di nuovi partiti (le uniche eccezioni sono rappresentate da scissioni di partiti preesistenti). Ma soprattutto, attivando al massimo il parlamento e i suoi poteri attraverso un uso estremo del regolamento, i parlamentari radicali hanno svelato il coinvolgimento del partito comunista nelle scelte della maggioranza e lo svuotamento dell'istituto parlamentare, realizzato gradualmente ed in modo indolore nel passato.

L'eliminazione del dissenso radicale è oggi la condizione per annullare gli ultimi residui di autonomia parlamentare.

LE ESPULSIONI DEI DEPUTATI

Gli attacchi diretti contro l'opposizione sono giunti ormai all'espulsione fisica dall'aula di Montecitorio.

Se si raffronta il periodo precedente con quello successivo al 1976, si nota che nelle prime sei legislature - in 28 anni - la presidenza della Camera ha comminato complessivamente 35 giornate di interdizione dai lavori parlamentari. Nelle due ultime legislature, in soli 7 anni, le interdizioni sono salite a 90 giornate, di cui 75 a carico dei soli deputati radicali. Il grosso delle sanzioni è degli ultimi due anni: 74 giornate dal gennaio '81 al marzo '83, di cui 59 a deputati radicali.

Se si considerano poi le motivazioni delle interdizioni, si notano eccezionali sperequazioni a danno dei deputati radicali. In passato, per aver rovesciato le urne durante una votazione a scrutinio segreto, il 13 dicembre 1953, al deputato Messinetti (PCI) vennero comminate 5 giornate d'interdizione.

Semplice censura al deputato Pozzo (MSI) per aver divelto il 29 ottobre '54 una tavoletta dal banco e minacciato con quella altri deputati; e al deputato Laconi (PCI) che nella stessa seduta fu tra i più violenti.

Semplice censura anche al deputato Cianca (PCI) per aver afferrato un calamaio il 25 gennaio 1955 e al deputato Scarpa (PCI) che nella stessa seduta brandì un microfono.

Nessun provvedimento per il deputato Pozzo (MSI) per essere sceso minacciosamente nell'emiciclo il 6 novembre '56; 2 giorni d'interdizione al deputato Leccisi (MSI) per avere aggredito altri deputati il 14 marzo 1958.

10 giorni d'interdizione, invece, al deputato radicale Crivellini che il 27 febbraio 1980 rese pubblica la registrazione di una seduta segreta della commissione bilancio, per protestare contro l'imposizione del segreto di Stato e copertura dello scandalo ENI-Petromin.

12 giorni al deputato radicale Cicciomessere che, il 10 dicembre '81, saltò sul banco del governo per richiamare l'attenzione della presidenza della Camera sull'aggressione in atto contro la sua capogruppo, Adelaide Aglietta, schiaffeggiata da un deputato comunista. Nessun provvedimento per il deputato che schiaffeggiò Aglietta e sanzione nettamente più lieve (4 giorni) al deputato Spataro (PCI) che in quell'occasione colpì con calci e pugni Cicciomessere.

Negli stessi giorni il deputato Madaudo (PSDI) ebbe 8 giornate d'interdizione per aver messo KO un ministro con un pugno sferrato all'improvviso.

6 giorni a testa ai deputati radicali Facio, Tessari e Calderisi che l'8 luhlio 1982 rifiutarono di lasciare l'aula dopo la seduta per protestare contro la presidenza che gli aveva negato la parola.

15 giorni d'interdizione al deputato radicale Cicciomessere per ``insulto alla presidenza'' nella seduta del 24 marzo '83, vale a dire per avere definito con parole gravi (``è politicamente oscena'') la decisione della presidenza di non mettere ai voti gli emendamenti dell'opposizione alla legge finanziaria. 6 giorni invece alla capogruppo radicale, Emma Bonino, per un reato più grave: per avere, cioè, ripetuto il giorno dopo il giudizio di Cicciomessere.

IL GOVERNO INESISTENTE

L'espropriazione dei poteri e delle funzioni del parlamento non si traduce in un rafforzamento dell'esecutivo, che anzi, se possibile, è ancora più debole e precario del parlamento stesso.

Se 34 governi, dei 38 succedutisi dal dopoguerra ad oggi, sono caduti per decisione extraparlamentare, ciò non denuncia soltanto l'impotenza delle Camere.

I governi vengono fatti e disfatti dai partiti.

Il potere non appartiene al presidente del consiglio, ma ai capipartito. Ministri e sottosegretari sono ufficialmente ``delegati'' dei partiti, sono scelti in base a rigide e pubbliche regole di lottizzazione e rispondono, non al parlamento, ma ai partiti che li hanno scelti.

Il consiglio dei ministri non è l'organo collegiale previsto dall'art. 95 della Costituzione, ma luogo di contrattazione tra ``delegazioni'' di partiti ufficialmente riconosciute. Tutte le decisioni politiche importanti vengono prese al di fuori di esso, nei ``vertici'' periodici tra i capipartito e il presidente del consiglio.

La distinzione di competenze tra potere centrale e poteri locali è talmente sfumata da eliminare ogni effettiva autonomia, non solo degli enti locali, ma dello stesso governo. Si pratica di conseguenza una quotidiana contrattazione tra governo, regioni ed enti locali, o più precisamente tra le forze politiche che nell'uno e negli altri detengono la maggioranza (è uno dei meccanismi attraverso cui si spiega come il PCI non possa essere considerato una forza di opposizione, ma piuttosto compartecipe della regola spartitoria che viene praticata nelle varie sedi).

L'esecutivo, insomma, è espropriato di ogni potere.

E' la conferma di una prassi instaurata ancor prima dell'entrata in vigore della costituzione, nel periodo di passaggio dalla monarchia alla repubblica, e che ebbe nel governo Parri del 1945 - il governo della Resistenza - la sua prima vittima. Dimissionato per volontà dei partiti coalizzati, il 24 novembre del '45, Ferruccio Parri lasciò il governo denunciando alla stampa il ``colpo di stato'' sommerso che così si realizzava. Pochi gli badarono allora. Ma quella prassi è sopravvissuta all'avvento della costituzione e vi si è infine sostituita.

COSTITUZIONE E CODICI FASCISTI

Fin dall'indomani della sua entrata in vigore, la costituzione è stata ridotta a un ruolo marginale, a favore di una politica di continuità con il passato regime che ha portato in questi anni al pieno dispiegamento del sistema corporativo progettato e avviato dal fascismo.

Non è un caso che le maggiori riforme prescritte dal costituzione siano state realizzate con grande ritardo o siano tuttora inattuate.

La riforma delle regioni è stata attuata 15 anni dopo l'entrata in vigore della costituzione, nel 1963.

L'istituto del referendum popolare è stato reso operante con 23 anni di ritardo, nel 1971, quando la coalizione dei partiti - di governo e di opposizione - ha ritenuto di aver raggiunto la coesione necessaria per impedire o neutralizzare le iniziative extraparlamentari.

Infatti, quando negli ultimi anni, la politica referendaria del partito radicale ha forzato questo disegno, la legge istitutiva dei referendum è stata di fatto abrogata attraverso numerose sentenze interpretative della corte costituzionale, fortemente condizionata dai partiti.

I codici penali in vigore sono ancora quelli fascisti del 1931 elaborati dal guardasigilli Alfredo Rocco. Ad essi sono stati apportati limitate modifiche e numerosi peggioramenti.

Due esempi: la legge n. 15 del 6 febbraio 1980 (``legge Cossiga'') che ha portato la carcerazione preventiva a oltre 10 anni; e la legge n. 304 del 29 maggio 1982 sui terroristi pentiti che attribuisce valore di prova alle dichiarazioni dell'imputato che, in cambio dell'impunità totale o parziale, accusa i suoi complici (``fornisce prove'') vere o presunti.

Questa legislazione speciale, giustificata con la lotta al terrorismo ma estesa nei fatti a qualsiasi processo penale, ha vanificato le garanzie processuali del cittadino. In conseguenza di ciò, l'Italia è stata più volte colpita da condanne internazionali.

LA PRESA DI POSSESSO DELLA PARTITOCRAZIA

La controversia in corso fra i sostenitori della ``grande riforma'' istituzionale e i sostenitori dell'attuazione integrale della costituzione è un equivoco. Si tratta di una disputa nominalistica che lascia in ombra gli elementi essenziali del caso italiano.

Non è più questione, infatti, di costituzione formale o materiale, né di costituzione inattuata, tanto meno di costituzione obsoleta. Non è più questione di costituzione. Le forze che appaiono formalmente in disaccordo su questo o quel punto sono in realtà d'accordo nel portare a compimento la vera ``grande riforma'' che hanno avviato da tempo.

Ormai è chiaro: in un contesto costituzionale ridotto a mero formalismo e con la sistematica violazione della legalità, si è affermato un nuovo assetto dei poteri che sfugge alla definizione e quindi al controllo e alla sanzione. La tradizionale distinzione dei poteri è stata annullata, le istituzioni espropriate delle loro funzioni, i momenti e i poteri decisionali trasferiti dagli alvei costituzionali alla coalizione dei partiti, che agiscono come organi dello Stato.

La costituzione prevede la formazione di partiti politici come espressione del diritto dei cittadini di associarsi per ``concorrere a determinare la politica nazionale''. Nella realtà si tratta di strutture di potere volte a produrre, organizzare e mantenere il consenso: una funzione più vicina a quella del partito nazionale fascista che non al modello costituzionale.

Oggi si parla molto in Italia di partitocrazia. Tale sistema fa sì che i partiti non siano più forze tra loro antagoniste: essi infatti non rappresentano posizioni ideali e politiche diverse che, nel momento elettorale e nella quotidiana lotta politica, si disputano la direzione del paese; e neppure coerenti concentrazioni di interessi capaci di proporsi come maggioritari.

Sono piuttosto correnti litigiose di un'unica corporazione arroccata a difesa dei suoi privilegi, senza confronto reale con l'opinione pubblica: una sorta di superpartito che si è sostituito al parlamento e al governo ed occupa tutti i livelli e le articolazioni della struttura pubblica.

In un sistema siffatto il meccanismo del potere si basa sulla mancanza di alternativa, che è sostituita da un metodo di contrattazione corporativa che, al di là delle maggioranze formalmente costituite, realizza di volta in volta nella spartizione del potere coinvolgimenti più ampi, tendenzialmente unanimistici. Così la pratica della cosiddetta unità nazionale è un requisito essenziale e permanente dell'attuale regime.

Paradossalmente, dopo essere stata praticata per 20 anni in forma occulta, essa è entrata in crisi solo nel breve periodo (1976-'79) in cui è stata formalizzata in maggioranza quasi unanimistica parlamentare e di governo. Fallita questa esperienza, si è dovuti tornare a forme occulte di compromesso corporativo e di unità nazionale.

SINDACATI E POTERI LOCALI

Le cerniere di questo sistema di potere sono essenzialmente due: il sindacato e i poteri locali.

Un sindacato diviso secondo schemi partitocratici ma unito nell'interclassismo corporativo; che non garantisce alcun controllo democratico da parte dei lavoratori iscritti e nei posti di lavoro; portato a compensare la sua mancanza di rappresentatività nelle funzioni tradizionali e sue proprie con poteri di carattere corporativo che gli vengono riconosciuti dal regime. Un sindacato che tratta ormai molto più con il governo che con le parti sociali, negozia e conclude su problemi che nei sistemi democratici appartengono all'autonomia e alla sovranità del parlamento. Per rendersi conto del peso di questa struttura corporativa, basterà ricordare che le tre federazioni ufficiali gestiscono complessivamente un bilancio annuale di almeno 1.000 miliari di lire, al di fuori d ogni controllo amministrativo e politico.

Ugualmente anomalo il quadro dei poteri locali. Alle regioni è stata negata l'autonomia legislativa prevista dalla costituzione in numerose materie di cui avrebbe dovuto essere sgravato il parlamento nazionale, che continua invece ad esserne ingolfato. Gli sono stati invece trasferiti in misura crescente poteri amministrativi delegati allo Stato, che la costituzione prevede solo in via eccezionale.

Le regioni non hanno alcuna forma di autonomia finanziaria. E' stata altresì eliminata anche quella di cui disponevano tradizionalmente, con proprio potere impositivo, i comuni.

Una delle conseguenze di ciò è che il partito comunista, che gestisce oltre un terzo dei poteri locali - avendo toccato in passato anche la metà - deve contrattare con i partiti di governo l'entità dei trasferimenti finanziari dallo Stato agli enti locali. Un'altra conseguenza è che le regioni, da organi di decentramento legislativo, e di autonoma programmazione territoriale, sono state trasformate in organi di decentramento del potere clientelare della partitocrazia.

Ma gli effetti generali sono ancora più pesanti. Quando i ministri convocano gli assessori regionali quasi fossero prefetti; quando gli assessori regionali contrattano direttamente con il ministro delle finanze; quando l'Anci, l'associazione nazionale dei comuni che un tempo rappresentava le istanze istituzionali delle autonomie, opera anch'essa come strumento di contrattazione corporativa; quando i sindacalisti democristiani, comunisti e socialisti dettano ai loro partiti, attraverso trattative dirette, le soluzioni legislative su problemi non di loro competenza: non è solo la democrazia ad esserne stravolta, ma la stessa politica dei partiti ne è condizionata e svuotata.

In questo sistema di potere, sulle diversità formali tra le forze politiche prevale una solidarietà di fondo che accomuna i partiti nella manipolazione del potere e nella violazione della stessa legge penale (come vedremo più avanti). Di conseguenza il voto popolare perde il suo significato e mantiene solo la funzione di conta delle diverse clientele.

La solidarietà partitocratica si manifesta poi nell'intolleranza verso qualsiasi forza politica - in particolare il partito radicale - che rifiuti l'omologazione e tenti invece di ridare alle istituzioni e ai partiti le funzioni e i poteri stabiliti dalla costituzione.

IL CONTROLLO DELL'INFORMAZIONE

L'arma principale che la partitocrazia usa per conservare il proprio potere, controllare il dissenso ed evitare il confronto con l'opinione pubblica è il sistema dell'informazione. E' attraverso di esso che i gruppi dirigenti dei partiti diffondono e impongono l'immagine che vogliono dare di sé, indipendentemente dalla politica realmente attuata.

L'editoria è probabilmente l'industria più assistita, in un paese in cui l'assistenzialismo si è imposto come pratica di governo e come cultura. Non esiste la figura dell'editore puro, indipendente dai partiti e dai centri di potere. I partiti ricattano la stampa con le provvidenze governative, la ripartizione della pubblicità, la concessione di mutui bancari; e la controllano direttamente attraverso le quote di proprietà detenute da enti pubblici, banche e imprese lottizzate. La Sipra, la società pubblica che gestisce la pubblicità televisiva (diretta da un comunista, un democristiano e un socialista) finanzia direttamente la stampa di partito.

L'impero editoriale Rizzoli, finito ora in bancarotta, costituisce l'emblema dell'intreccio tra politica, finanza, editoria.

Quel che colpisce - ha detto in un'intervista del settembre 1982 il direttore generale delle Fiat, Romiti - non è solo l'aspetto morale, quanto l'enorme quota di risorse così sottratte agli usi produttivi e destinate a investimenti che non hanno mai prodotto neanche un posto di lavoro. E lo ha detto con cognizione di causa.

Il mezzo televisivo, al di fuori di ogni controllo reale del parlamento, ha accresciuto enormemente il suo peso sulla vita politica.

Anche questo però è avvenuto in violazione del dettato costituzionale, che pone come condizione del monopolio pubblico la completezza, l'imparzialità e l'obiettività dell'informazione, assieme all'apertura a ogni espressione di opinione, di pensiero e di propaganda (art. 21 costituzione e sentenze della corte costituzionale).

Lo sviluppo recente dei network privati ha aggiunto un nuovo volano agli stessi centri di potere che controllano il mezzo pubblico e che si apprestano ora a lottizzare anche i privati. Sulle nuove emittenti non si legifera per non comprometterne il controllo oligopolistico del mercato e, insieme, per mantenerle sotto il ricatto della precarietà.

Il ministro per le poste e telecomunicazioni, cui la magistratura ha richiesto di indagare sulle emittenti televisive private, ha ordinato invece con diffida del 2 aprile 1983 la chiusura delle radio radicali che trasmettono in diretta, su gran parte del territorio nazionale, i lavori del parlamento e i congressi di tutti i partiti, assicurando così quel servizio pubblico finora negato dalla televisione di Stato.

LE CIFRE DELLA CENSURA

Il 12 aprile 1983 la Camere dei deputati ha respinto la relazione di maggioranza sull'attività della commissione di vigilanza sulla Rai-Tv. In effetti, l'uso attuale di questo mezzo è la negazione del servizio pubblico prescritto dalla costituzione, volto com'è a mantenere il potere partitocratico imbavagliando l'opposizione.

Il partito radicale, che più coerentemente è impegnato in una politica di reale opposizione, è stato letteralmente eliminato dall'informazione di Stato. Bastano pochi esempi.

Negli ultimi due anni (da febbraio 1982 ad aprile 1983) il telegiornale di maggiore ascolto della prima rete ha accordato al segretario del partito radicale due interventi in voce per un totale di 2 minuti e 39 secondi, poco più di 1 minuto l'anno. Nello stesso periodo il segretario del partito della Democrazia cristiana ha avuto 2 ore, 6 minuti e 25 secondi. I segretari di partiti con forza elettorale inferiore o uguale a quella radicale hanno avuto tempi che vanno da 23 a 57 minuti. Analoga la ripartizione dei tempi al telegiornale di maggiore ascolto della seconda rete.

Sulla campagna contro lo sterminio per fame promossa dal partito radicale l'informazione televisiva, quasi nulla agli inizi (1979), è andata diminuendo man mano che cresceva il consenso anche a livello internazionale (appello di 80 Premi Nobel; proposta di legge prima di 1000 e poi di 3200 sindaci italiani, in rappresentanza di circa 30 milioni di cittadini; dichiarazioni di teologi, parroci, vescovi e dello stesso pontefice, censurato come Pannella; deliberazioni del parlamento europeo, di quello italiano, del senato belga, ecc.).

I due principali telegiornali, dal 1· giugno al 31 luglio 1981, hanno dedicato allo sterminio per fame rispettivamente lo 0,21% e lo 0,48% del tempo totale. Dopo un indirizzo approvato dalla commissione parlamentare di vigilanza che impegnava la Rai-Tv a garantire un'informazione adeguata sul problema nelle ore di maggiore ascolto, i tempi passavano rispettivamente a 0,56% e 0,47% (1· agosto 1981 - 30 aprile 1982). Si mantenevano stazionari dopo un secondo indirizzo della commissione (0,62% e 0,57% dal 1· maggio al 31 luglio '82), per crollare successivamente al di sotto dei livelli del 1981 avvicinandosi allo zero (0,14% e 0,25% nel periodo dal 1· agosto '82 al 26 marzo '83).

Ma oltre ai radicali e alle loro iniziative, lo stesso parlamento è stato eliminato dall'informazione televisiva; rubriche di pochi minuti e trasmissioni speciali vanno in onda dopo la mezzanotte o nel pomeriggio con indici di ascolto insignificanti. In più, l'informazione è dedicata esclusivamente ad illustrare le posizioni del governo.

LA CORRUZIONE COME SISTEMA

Dai ministeri agli enti locali, dalle imprese pubbliche alle banche, dalla stampa e dalla Rai-Tv alle università e agli istituti culturali, dalla miriade di enti pubblici ai porti, agli enti acquedotti, alle centrali del latte, agli stessi servizi segreti, la partitocrazia occupa ogni articolazione della vita pubblica.

La lottizzazione ha valore di legge.

Malgrado siano finanziati dallo Stato (circa 80 miliardi di lire nel 1983), i partiti violano costantemente la legge per accaparrarsi risorse finanziarie sempre crescenti.

Il recente scandalo dell'amministrazione comunale di Torino ha fatto venire alla luce l'esistenza di un superpartito politico-affaristico che coinvolgeva amministratori e consiglieri comunali e regionali del PSI, del PCI e della DC, nonché uomini della Fiat. Lo scandalo di Torino rappresenta un'eccezione solo perché alcuni fattori imprevisti - un sindaco comunista onesto che ha attivato la magistratura, un imprenditore che ha rifiutato l'omertà, un gruppo di giudici realmente indipendenti - lo hanno reso manifesto e quindi perseguibile; per il resto, rappresenta la norma praticata in tutti i comuni.

I contratti e le forniture all'amministrazione pubblica, le licenze edilizie, il credito agevolato all'industria, il sistema intricato dei contributi statali e regionali alle attività produttive: tutto questo è regolato dalla lottizzazione che i partiti effettuano a favore dei propri aderenti e delle proprie clientele.

La tangente ai partiti è la regola.

La corruzione ha investito il corpo militare della guardia di finanza, forse anche a causa dell'enorme potere discrezionale che gli deriva dalla farraginosità e dalle disfunzioni del sistema fiscale. Comandanti del Corpo, generali, colonnelli, ufficiali sono stati incriminati dalla magistratura per scandali assai più gravi dell'affare Lockheed.

Dirigenti di partito, amministratori locali, imprenditori, funzionari, militari vengono quotidianamente inquisiti dalla magistratura. Un lavoro di Sisifo che viene di consueto neutralizzato - oltre che da pressioni sui settori lottizzati dalla magistratura - dall'uso abnorme dell'immunità parlamentare e della commissione inquirente sui reati ministeriali.

Per assicurare l'immunità, i segretari amministrativi dei partiti sono tutti parlamentari.

Il segreto di Stato viene normalmente opposto dal governo per coprire scandali, peculati, tangenti.

Rispetto ad altri paesi, dove la corruzione non è certo sconosciuta, il caso italiano ha una singolarità: sembra che non esistano mezzi di riequilibrio. Essere conosciuti come corrotti o prevaricatori non rappresenta un incidente molto grave per governanti e dirigenti di partito. Di fronte alla conoscenza assai diffusa e particolareggiata di frodi, corruzioni, concussioni e peculati di ogni genere, il caso di politici che paghino per i loro crimini è irrilevante. Qualcuno, anzi, vede aumentare il proprio potere e il timore di cui è circondato.

POTERE OCCULTO E PARTITOCRAZIA

La partitocrazia è solidamente legata a centri di potere occulti. Documenti giudiziari e parlamentari provano che esiste da anni un intreccio tra partiti e criminalità organizzata: dalla mafia alla camorra, al traffico d'armi; dal bancarottiere Sindona, oggi in carcere negli Stati Uniti, al bancarottiere Calvi finito sotto un ponte del Tamigi.

Negli archivi di Licio Gelli, capo della loggia eversiva P2, sono stati trovati i nomi di tre ministri e tre sottosegretari, di un segretario di partito, di un capogruppo parlamentare, di un ex ministro.

E ancora: il capo del cerimoniale del Quirinale, il segretario generale della Farnesina, più capi di gabinetto del presidente del consiglio.

E ancora: il capo di stato maggiore delle forze armate, 4 generali e 5 ufficiali superiori dell'aeronautica, 14 generali e 24 ufficiali superiori dell'esercito, 6 ammiragli e 22 ufficiali della marina, 6 generali e 39 ufficiali superiori dei carabinieri, il comandante, 5 generali e 18 ufficiali superiori della guardia di finanza; i massimi vertici di tutti i servizi segreti (Sismi, Sisde, Cesis) e del disciolto Sid.

E ancora: numerosi dirigenti dell'industria pubblica e privata e delle banche: in particolare, il presidente e il vicepresidente dell'Eni, il presidente della Finsider, il presidente della Condotte, il presidente della Stet-Selenia, il direttore generale dell'Italimpianti; 56 dirigenti di imprese private, di cui 12 presidenti di società.

E ancora: il vicepresidente e numerosi dirigenti della Rai-Tv; proprietari, amministratori e direttori della maggiore concentrazione editoriale italiana; il proprietario del più importante network televisivo privato; numerosi politici, parlamentari, giornalisti, magistrati, docenti universitari.

Il numero uno della P2, Gelli, ha mantenuto per anni rapporti con le maggiori autorità della Repubblica, a cominciare dall'ex presidente del consiglio Andreotti.

E' ormai provato che il maggior gruppo editoriale italiano era completamente controllato da Gelli e dai suoi accoliti della P2 tramite un'intricata vicenda proprietaria che coinvolgeva Calvi, Ortolani e Tassan Din (il progetto di assetto proprietario formalizzato nel 1980 è stato redatto da Gelli).

Il maggior quotidiano nazionale, il "Corriere della Sera", era sotto il completo controllo di Gelli. E ciò è potuto avvenire grazie alla connivenza dei partiti, che prima hanno determinato le cause dello strozzamento finanziario dell'azienda e la dilapidazione delle sue risorse, e poi l'hanno abbandonata alla mercé della finanza vaticano-piduista.

Tutte le informazioni sulla P2 che abbiamo dato e daremo più avanti sono tratte da documenti parlamentari o giudiziari.

LA LOGGIA P2, CALVI E I PARTITI

La DC, il PCI, il PSI, il PSDI o giornali ad essi collegati hanno ricevuto finanziamenti per un totale di circa 88 miliardi di lire dal Banco Ambrosiano del piduista Calvi, ritrovato cadavere a Londra il 17 giugno 1982.

La Democrazia cristiana, su richiesta del suo presidente Piccoli, ha garantito un finanziamento di circa 40 miliardi di lire dalla Centrale ai giornali "Il Gazzettino" di Venezia e "L'Adige".

Il partito socialista, tra il 1975 e il 1982, ha contratto con l'Ambrosiano un debito di circa 15 miliardi.

(Il 10 luglio 1981, intervenendo alla Camera nel dibattito sulla fiducia al primo governo Spadolini, il segretario del PSI Craxi trascurò i maggiori temi politici per impegnarsi in una serrata difesa del banchiere Calvi che i magistrati milanesi avevano appena arrestato).

Il partito comunista, tra il 1980 e il 1982, ha contratto con il Banco Ambrosiano debiti per 11 miliardi direttamente e per circa 21 miliardi attraverso la società editrice del quotidiano "Paese Sera" (venduto poi ad acquirenti occulti ed oggi in fallimento).

Il PSDI ha contratto un debito di circa mezzo miliardo. Mentre il PRI ha ottenuto dal Banco, tra il 1979 e il 1981, due scoperti di conto corrente di 600 milioni, non utilizzati.

Malgrado questi fatti inquietanti, lo schema di bilancio dei partiti deciso dalla presidenza della Camera con decreto del 28 luglio 1982 non contiene l'obbligo di indicare la situazione patrimoniale: i debiti verso le banche, le partecipazioni azionarie, le proprietà immobiliari. La dimenticanza non è casuale ed è in contrasto con la legge sul finanziamento pubblico dei partiti: la partitocrazia non accetta di essere sottoposta a processo e il presidente comunista della Camera si è abbassato a strumento di essa.

Molti episodi di coinvolgimento e interconnessione tra partiti, personalità politiche e sistema piduista sono stati oggetto di manovre di occultamento soprattutto tramite la sottrazione dei procedimenti alle singole magistrature su iniziativa della Procura di Roma avallata dalla Corte di Cassazione (decisione del 2 settembre 1981).

Il 4 giugno 1982 il procuratore generale Gallucci, successore del piduista Spagnolo, ha chiesto il proscioglimento, l'archiviazione o l'amnistia per politici, magistrati ed altri affiliati con cariche pubbliche. Nel marzo 1983 la richiesta è stata accolta dal giudice istruttore Cudillo.

Anche in Parlamento è in atto un'offensiva volta a coprire le responsabilità dei politici. Nella riunione dell'8 febbraio 1983 la grande maggioranza della commissione d'indagine sulla P2 ha posto il veto all'audizione dei politici implicati in fatti connessi alla loggia; si è optato per ``consultazioni'' con i segretari di "tutti" i partiti, peraltro poi non realizzate con il pretesto delle elezioni anticipate. Nello stesso tempo il capogruppo socialista al Senato, che doveva essere interrogato, è stato trasformato in inquirente entrando a far parte della commissione. Con il passare dei mesi, l'ostruzionismo contro i tentativi di approfondire l'inchiesta si è fatto sempre più pesante.

Dai tanti capitoli della vicenda P2, peraltro non ancora esplorati pubblicamente perché oggetto dell'inchiesta parlamentare, emerge come la storia della Repubblica dell'ultimo decennio sia stata segnata da una guerra per bande, ognuna delle quali ha visto associati politici, uomini dei servizi segreti, dirigenti dell'industria pubblica, finanzieri, altri gradi dei corpi militari, affaristi, che hanno trovato nell'organizzazione della P2 il luogo d'incontro e di composizione dei conflitti.

Fin dal 1969 Gelli ha avuto l'incarico di costituire una superorganizzazione occulta da parte di tutti i rami della massoneria, probabilmente su iniziativa di qualche branca dei servizi segreti nazionali ed esteri. Democristiani come Andreotti, i fanfaniani dell'entourage del presidente, Flaminio Piccoli; socialisti come Craxi, Martelli, Formica e Labriola risultano coinvolti ripetutamente in vicende interne al sistema piduistico. Senza il consenso o l'omissione di controllo del sistema dei partiti che sono stati nella maggioranza di governo nell'ultimo decennio, certamente il sistema piduistico non si sarebbe potuto sviluppare.

MADE IN ITALY...

Il cerchio si chiude. La partitocrazia rappresenta ormai un sistema di potere parallelo a quello costituzionale e si alimenta con la corruzione e l'illegalità. Lobbies finanziarie e militari, centri di potere occulti, cosche mafiose, logge eversive attraversano orizzontalmente ogni settore dello schieramento politico e determinano la politica dei vari partiti.

Gli uomini legati a questi traffici detengono in modo pressoché inamovibile il potere negli apparati di partito. Si consideri inoltre che, pur agendo ormai come istituzioni pubbliche, i partiti non sono soggetti ad alcun obbligo di osservare al loro interno leggi e statuti che garantiscano l'effettiva partecipazione degli iscritti ed il ricambio dei gruppi dirigenti.

E' dunque solo in apparenza paradossale affermare che il potere effettivo, di cui sono state espropriate le istituzioni, non è identificabile neppure nei singoli partiti e nei loro organi statutari. Il sistema della partitocrazia li ha svuotati, estraniandoli dal confronto politico reale.

Da molti mesi i maggiori leader degli industriali si fanno portavoce di un governo ombra che pare reclamare la direzione del paese. Si parla già di ``golpe bianco'', ma si continua a ignorare o a sottovalutare i processi reali che abbiamo descritto. L'allarme appare dunque poco credibile, come qualsiasi evento improvviso, estraneo al contesto, privo di preparazione.

Concludiamo, per ora: quel che distingue la situazione italiana e la trasforma in ``caso'' non sono i singoli fenomeni di involuzione né i singoli episodi di autoritarismo, bensì il fatto che rientrano tutti in un "sistema" coerente che si è sviluppato fuori degli alvei costituzionali. Crediamo che il modo migliore di definirlo sia quello di descriverne le manifestazioni.

Lasciamo comunque ai lettori d'interpretarlo in un modo o nell'altro. Ci siamo proposti soltanto di richiamare l'attenzione sulla gravità di quel che avviene e sulla necessità di reagire, di vincere la rassegnazione e l'apatia.

La cultura democratica è da sempre assai sensibile alle denunce di colpi di stato. Qui non si parla di accadimenti di tipo tradizionale ma, forse, di una terza via nella storica contesa fra regimi autoritari e democrazia.

La stampa nazionale ha sempre prodotto silenzio o sollevato polveroni.

La stampa estera ha nei confronti di questa situazione lo stesso atteggiamento che teneva negli anni '30, quando le azioni e la presenza degli oppositori antifascisti venivano presentate nel modo a tutti noto.

E' un errore grave. Forse, quel che oggi sta avvenendo in Italia interesserà domani altri paesi europei. Non sarebbe la prima volta.

 
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