di Gianni Baget BozzoSOMMARIO: I radicali "sono stati uno dei fatti salienti degli anni Settanta". Hanno avvertito i cambiamenti della società. Forse ora si sono trasformati in setta, dietro a un leader con "carisma". Ma, nel paesaggio italiano, i radicali sono stati un necessario anticorpo". E ora, "si deve parlare di loro al passato?". Pannella intende oggi "guidare l'astensione" offrendole forma e significato. E' una prospettiva con un suo peso. Queste elezioni, infatti, ripetono cose già viste, con i vari partiti "senza prospettiva". Ma dove porterà questa "assenza", questa - forse - "sfiducia nella politica?" Purtroppo, vi è "crisi delle speranze politiche" e "riflusso dell'attenzione nel privato". Tutto ciò accresce la responsabilità dei partiti, per colmare il "vuoto" che c'è tra loro e il popolo.
(LA REPUBBLICA, 21 maggio 1983)
I Radicali si presenteranno alle elezioni? L'ultima parola non è ancora detta, ma alcune riflessioni in proposito si possono comunque fare fin d'ora. I radicali sono stati uno dei fatti salienti degli anni Settanta. Essi più di ogni altro hanno inteso che la società cambiava, che si secolarizzava sia oltre le religioni che oltre le ideologie. Hanno inteso che i problemi esistenziali divenivano politici e cercavano, per esprimersi, vie diverse da quelle dei partiti e delle chiese.
Si può obiettare ai radicali che alle chiese e ai partiti hanno sostituito la setta unita attorno al carisma del leader. Ma infine il termine setta o gruppo non ha nulla in sè di squalificante: nella tipologia religiosa come in quella politica, i dissenzienti hanno sempre scelto questa forma. E senza i "dissenters", la storia delle istituzioni sarebbe grigia e uniforme; senza gli eretici, le ortodossie imploderebbero in se stesse.
Nel paesaggio culturale e politico italiano, la traccia radicale appare come un anticorpo a cui tutti i corpi hanno dovuto reagire. Essa è il fermento alternativo alla cultura neorivoluzionaria, che è finita poi nella teoria della violenza nascosta all'interno delle istituzioni e ha generato la legislazione d'emergenza. I radicali hanno fornito una risposta alternativa sia alla violenza terrorista sia all'irrigidimento delle istituzioni.
Si deve parlare di essi soltanto al passato? Nel gesto del possibile ritiro elettorale vi è un indubbio elemento di sfida. Compiere l'esodo nel momento in cui vi è la calca per entrare nei padiglioni del potere, significa rivolgersi alle ragioni del popolo contro quelle dei partiti: una causa che trova una risposta effettiva nell'opinione pubblica. Pannella ha affermato che aspira a dare valore politico alle schede bianche, a guidare dunque l'astensione offrendole forma e significato.
Anche questa prospettiva può avere un suo peso. Queste elezioni avvengono sotto il segno dell'eterno ritorno, della costante ripetizione dell'identico. Liberali e socialdemocratici sembrano impegnati ad occupare i posti in prima fila per lo spettacolo del pentapartito; i repubblicani si chiudono nella torre d'avorio del programma: nei partiti al di sopra dei partiti. Segno di speranza è ciò che viene chiamato ora il disimpegno socialista dal pentapartito, anche se questa possibilità giace ora coperta dall'ombra dei silenzi del Psi, più che lumeggiata dalla chiarezza delle parole. A elezioni senza prospettiva, i radicali contrappongono il significato della assenza.
E tuttavia che cosa indica l'assenza? Il rifiuto delle istituzioni? Non è certo questa l'intenzione dei radicali. Eppure questo è il significato obiettivo che prende il loro messaggio. Ma le istituzioni democratiche e i partiti sono in Italia tanto vincolati che vi è un piccolo passo dalla critica agli uni al rigetto delle altre. Esiste un filone culturale che vede nella democrazia un incidente di percorso della storia: il frutto di un tempo, non una conquista irreversibile dell'uomo.
Fuori dal Parlamento, non sarà più facile cancellare la voce radicale? La sfiducia nella politica finisce per impedire la nascita e la presenza dei movimenti alternativi.
E' importante notare come in queste elezioni ci sia una riscossa dalle figure dei movimenti verso quelle dei partiti. Il fatto più significativo è la confluenza del Pdup nel Pci, sia pure salvando l'onore della diversità e della bandiera. Ma si tratta sempre di una diversità concessa. E una parte degli eletti radicali ha già scelto il Psi: pare, in qualche caso, perfino il Psdi.
Solo Democrazia Proletaria, rimasta in campo, può commemorare elettoralmente ciò che furono i movimenti extraparlamentari. La crisi delle speranze politiche svuota i movimenti, che hanno base volontaria, più dei partiti, che affondano le loro radici nella legittimità istituzionale e nella partecipazione al potere. In questo tempo di riflusso dell'attenzione nel privato e dei movimenti nei partiti, possono i radicali contare sull'emozione morale di un popolo sfiduciato, che non ha più passione collettiva se non per il calcio? Queste sono le elezioni del "viva la Roma". E dato che Roma in Italia vuol dire tante cose, l'acclamazione diviene obiettivamente simbolica: un segno della ironia delle cose.
La responsabilità dei partiti diviene ancora più grande. Tra di essi e la gente vi è un vuoto che trasforma il popolo in una comunità dell'indifferenza: non anti-democratica. E' poco significante la trovata degli "indipendenti" come ponte tra partito e popolo. Gli "indipendenti" sono uno schermo che i partiti pongono al reale problema della rappresentanza della nazione.
I partiti debbono offrire al popolo scelte reali e non fittizie. Ormai la proporzionale, il voto di preferenza, l'indefinita replica dei mandati, non sono più strumenti della democrazia: sono il male oscuro che la consuma dall'interno. Rimasti soli, avendo fatto il pieno del politico, i partiti hanno la responsabilità, in tempi ristretti, di ridare al popolo il gusto della politica offrendogli l'efficacia della scelta.