L'eredità della VIII legislaturaSOMMARIO: Di fronte al fallimento della ventennale politica degli aiuti, nel settembre del '79 le camere, riunite in seduta straordinaria, hanno votato due analoghe mozioni pronunciandosi per "interventi immediati e straordinari" volti a salvare "quanti diversamente sono destinati, secondo le previsioni dell'ONU, a sicura morte per fame nel corso delle prossime settimane e dei prossimi mesi".
Da qul momento, nonostante l'interesse suscitato negli ambienti politici italiani ed europei dall'argomento, gli interventi in favore dei paesi poveri hanno continuato a percorrere le vie fallimentari della "politica della cooperazione e dello sviluppo".
Nel 1982 oltre 3.000 sindaci italiani hanno presentato alla Camera una proposta di legge popolare chiedendo un intervento urgente e straordinario per salvare almeno 3 milioni di agonizzanti per uno stanziamento di 3.000 miliardi. Ma uno schieramento maggioritario ha ricondotto la proposta entro gli schemi della collaudata politica della cooperazione e dello sviluppo, riproponendo i meccanismi che hanno sempre consentito l'utilizzazione degli aiuti ai paesi poveri in favore degli interessi affaristici dei paesi eroganti. Sono questi i motivi per cui gli appelli reiterati del Presidente Sandro Pertini, del Pontefice, di 86 premi Nobel e del Parlamento Europeo non sono riusciti a bloccare l'immane strage.
(NOTIZIE RADICALI, 23 giugno 1983)
Nel settembre del '79 le assemblee del Senato e della camera, sulla spinta di oltre 300 parlamentari di diverso colore politico (Dc, Psi, Sinistra Indipendente, Pri, Psdi, Svp, Pr) che ne avevano avvertito l'urgenza, si è riunita in seduta straordinaria, evento più unico che raro nelle vicende parlamentari della Repubblica.
In quelle sedute, che la stessa procedura di convocazione marcava di un segno di solennità, le due Camere hanno votato due analoghe mozioni pronunciandosi per "interventi immediati e straordinari" volti a salvare "quanti diversamente sono destinati, secondo le previsioni dell'ONU, a sicura morte per fame nel corso delle prossime settimane e dei prossimi mesi".
Di fronte al fallimento clamoroso della ventennale politica degli "aiuti allo sviluppo" e della obbligatorietà delle ragioni e degli interessi che l'hanno portata alla sconfitta, il Parlamento dava priorità assoluta e immediata all'obiettivo di restituire alla vita gli agonizzanti per fame, si sostituire alle prospettive strutturaliste dello sviluppo che si traducevano nella politica del rinvio la finalità semplice e chiara di salvare con urgenza chi con urgenza era destinato a morire; e assumeva questa scadenza per riavviare con limpidità di fini e di propositi, la politica di cooperazione dei paesi ricchi e potenti con i paesi poveri e deboli, sin qui subordinata alle immediate e miopi convivenze dei paesi erogatori degli aiuti.
Affarismo e "sviluppo" contro la vita
Da quel momento, nonostante una seconda mozione della Camera, del luglio '81, ed una più esplicita ed impegnativa risoluzione del Parlamento Europeo (settembre '81) che disponeva l'elaborazione di "un piano di emergenza volto a strappare dalla morte per fame e malnutrizione almeno 15 milioni di vite umane, già condannate dalla situazione attuale, entro il 1982", nonostante gli appelli reiterati da Sandro Pertini, nonostante le solenni proclamazioni dell'allora presidente del Consiglio Spadolini, pronunciati in Parlamento e in importanti assise internazionali (Spadolini ai capi di governo della CEE: "nonostante la difficile congiuntura che attraversa il mio Paese, il mio governo... ha assunto di recente in Parlamento l'impegno di mobilitare risorse aggiuntive per complessivi 3.000 miliardi di lire..."), nonostante la dichiarata ed esplicita disponibilità di molti ministri e di moltissimi parlamentari della stessa maggioranza, nonostante alla marcia di Pasqua del 1982 abbiamo partecipato oltre 50 mila persone
per chiedere la salvezza di almeno 5 milioni di agonizzanti per fame, gli interventi in favore dei paesi poveri hanno continuato a percorrere le vie fallimentari della "politica della cooperazione e dello sviluppo". Gli stanziamenti destinati a questo fine sono aumentati considerevolmente. Da poco più di 200 miliardi l'anno sono passati ai 2 mila miliardi annui di oggi ma hanno prodotto affari più o meno puliti, sono stati persino impiegati per finanziare bilanci militari di paesi africani, ma non hanno salvato una sola vita e tanto meno promosso sviluppo.
Tre milioni di vivi subito: la proposta dei sindaci italiani
Nel 1982 oltre 3.000 sindaci italiani, rappresentanti di comunità operaie e contadine, di ogni regione d'Italia, prospere e disagiate, sindaci comunisti, socialisti, democristiani e repubblicani, amministratori di una popolazione di oltre 25 milioni di cittadini, hanno tradotto nei termini propositivi di una proposta di legge popolare presentata alla Camera le indicazioni prodotte dall'appello dei premi Nobel, dalle risoluzioni votate nel '79 dalle due Camere, dalla risoluzione approvata dai parlamentari europei.
Nella loro proposta i sindaci chiedevano un intervento urgente e straordinario per salvare nell'immediato almeno 3 milioni di agonizzanti per fame e chiedevano a questo fine uno stanziamento di 3.000 miliardi, una cifra che per il suo stesso "costo", comportando scelte consistenti in ordine alla struttura e alla destinazione della spesa, configurava non una elargizione ma il finanziamento di una politica, e introduceva nell'economia del bilancio la preminenza di una misura di giudizio e di governo: la vita e la qualità della vita.
Tale opera, peraltro non era un'invenzione; corrispondeva ai calcoli della Commissione Carter e corrispondeva ad un impegno assicurato dal Presidente del Consiglio Spadolini un anno prima.
A fronte dei sindaci e delle loro proposte, uno schieramento maggioritario ha ricondotto l'iniziativa entro gli schemi della collaudata politica della cooperazione dello sviluppo, riproponendo i meccanismi che hanno sempre consentito e che consentono l'utilizzazione degli aiuti ai paesi terzi in favore degli interessi corporativi ed affaristici dei paesi eroganti. Ma questa iniziativa maggioritaria "vincente", è servita solo a sgombrare il terreno dalla legge dei sindaci e, assolto questo compito, è stata lasciata cadere, dalla maggioranza e dal governo che la sostenevano.
L'olocausto continua: una responsabilità e pieno titolo anche italiana
E' questo lo stato della questione che questa legislatura eredita. Sta dinanzi ai parlamentari la scelta di condannare alla fame "finché morte non sopravvenga" tre milioni di esseri umani o di salvarli.
Cinque anni fa l'ONU proclamava il 1979 "anno del fanciullo": si era accorta che nel cumulo dei 40 milioni di morti uccisi ogni anno dalla fame nel nostro mondo e nel nostro tempo c'erano 17 milioni di bambini.
Siamo nel giugno dell'83 e l'immane, mostruoso olocausto continua.
Sono cadaveri di bambini, di donne, di uomini del terzo e del quarto mondo, ma la loro condanna a morte è un fatto di casa nostra, pesa sulla nostra coscienza umana e politica, contraddice e vanifica la nostra civiltà, è un momento mostruosamente "indispensabile" alla nostra economia.
Una civiltà che ha posto al centro del suo sistema di valori il rispetto e le ragioni della vita, se manca al dovere elementare di garantire la sopravvivenza degli uomini, provoca da sé il crollo dei propri principi, per la memoria storica delle sue grandi tensioni cristiane, liberali, socialiste.
Un sistema economico che determina un assetto del mondo dove la morte sistematica di milioni di esseri umani per fame è un momento comprensivo del "benessere" dei paesi leaders, ricchi e potenti, perde la misura delle proprie genti.
Quella montagna di cadaveri che si accumula ogni anno è dunque un problema nostro: morale, politico, economico.
In questi ultimi anni, dal '79 ad oggi, si sono levate altissime e assidue le voci delle coscienze più rappresentative del nostro tempo e della nostra civiltà. Anno dopo Pertini ha ripetuto il suo appello "svuotate gli arsenali, riempite i granai", dal suo altissimo seggio il Pontefice di Roma ha implorato gli uomini, credenti e non, perché si salvi chi muore per fame. Hanno parlato i vescovi e i parroci della chiesa cattolica, gli esponenti più prestigiosi delle confessioni cristiane, della religione ebraica e mussulmana. Fatto assolutamente inconsueto nelle cronache contemporanee, 86 premi Nobel hanno lanciato un appello ai governanti dei paesi ricchi, ritenendo possibile, e quindi tanto più doveroso, salvare chi muore per fame. Così ha deliberato il Parlamento Europeo, con una risoluzione presa a grandissima maggioranza.
Ma la mostruosa, immane strage continua. Nessuna guerra mai, nessun cataclisma mai, nella storia dell'umanità, è costato tanto.