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Pannella Marco - 23 giugno 1983
Su Montanelli (e Arpino)
di Marco Pannella

SOMMARIO: Marco Pannella, risponde alle polemiche sollevate dai giornalisti Montanelli e Arpino a proposito dell'elezione di Tony Negri a deputato.

(NOTIZIE RADICALI, 23 giugno 1983)

Non sono riuscito a volerne a Indro Montanelli quando chiedeva in nome della salvezza della Patria il cadavere del magistrato D'Urso, sequestrato dalla Br. Se quel cadavere fosse giunto, anziché la salvezza, avremmo avuto il governo della P2, già pronto, anziché la sua provvisoria sconfitta. E un assassinato in più invece di una vittoria della vita.

Non riesco a volergliene nemmeno oggi, quando chiede con qualche perifrasi il mio cadavere, e l'ostracismo per "indegnità" ad un deputato, Toni Negri: e lo chiede agli Andreotti ed ai Berlinguer, ai Labriola ed ai Ruffini, ai Gava ed ai Micelli, ai Longo ed agli Almirante, ai parlamentari tante volte Presidenti delle Commissioni Inquirenti, delle Giunte per le autorizzazioni a procedere, ai Segretari amministrativi "onorevoli" dei Partiti di regime, ai ricettatori di tangenti trentennali, agli apologeti delle guerre, dei terrorismi, delle crociate "giuste" di stato, di Chiesa, di partito, ai tenutari della Rai-Tv, agli eletti delle camere, delle lobby di ogni tipo.

Sono passati quasi trent'anni. Ma devo al giornalista Montanelli le più belle e serie pagine scritte sulla rivoluzione ungherese, sui giovani e sugli intellettuali che erano assassinati dai cari armati sovietici: solo Montanelli seppe scrivere quel che quei martiri ed eroi avrebbero forse chiesto che fosse la loro epigrafe: sapevano vivere e morire per le loro idee, le loro speranze comuniste. Montanelli, sul "Corriere della Sera" degli anni cinquanta, dei tempi di Scelba e di Togliatti, sapeva chiedersi e chiederci se avevano in Occidente la stessa forza e la stessa adamantina chiarezza negli ideali che avrebbero dovuto essere i nostri. Non è poco.

Poiché l'occasione si presenta, vorrei anche chiarire perché un altro editorialista de "Il Giornale", visceralmente ostile a quel che sono e che tento di fare, Giovanni Arpino, non riesce a suscitare in me né rancore né credito polemico. Devo, dobbiamo a Giovanni Arpino scrittore, al giornalista che per breve stagione prima di passare ai giornali frontisti scrisse su "Il Mondo" nella sua stagione d'oro, non poca, in un'epoca buia anch'essa. Ma gli debbo, debbo a Giovanni Arpino poeta, ("Il prezzo dell'oro") riconoscenze profonde. Posso solamente augurargli di non sopravvivere "attorcigliato a qualche momento solo mio come un serpente attorno alla sua preda..."? Nella melma delle alluvioni, in certe esistenze come in certi terreni, è lecito attendersi di trovare ogni tanto qualche pagliuzza d'oro; sono certo che Montanelli ed Arpino possono tornare a darcene. Per il resto, come politici non potrebbero che lasciarci un'Italia tutta di P2 e di P38, violenta, senza certezza e senza civiltà di diritto. Sono entra

mbi senza speranza; prediligono scelte da turarsi il naso.

Non sono interlocutori politici, o civili: perché vagliarli, trattarli come tali?

 
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