di Marco PannellaAppunti e spunti in riferimento agli articoli di Ferrara, Galante Garrone, Trombadori e altri.
SOMMARIO: Toni Negri, leader dell'autonomia operaia ed imputato per numerosi reati di terrorismo, viene eletto alla Camera dei deputati nella lista del Partito radicale il 26 giugno 1983 e di conseguenza scarcerato. Rispondendo alle numerose critiche che vengono avanzate in numerosi articoli, Marco Pannella precisa il suo giudizio sulla cultura politica espressa dal terrorismo e in generale dai movimenti di estrema sinistra marxista e le ragioni della candidatura di Toni Negri. "Personalmente non credo di aver consentito con una sola parola, con un solo scritto di Toni Negri" ... "suppongo anche che Toni li abbia violati (i codici) e ne abbia ispirato e organizzato la violazione anche in ben altri casi" ma lo Stato, afferma Pannella, non può fare giustizia sommaria, tenere in carcere per oltre cinque anni una persona senza processarla, accusarla, con dolo, di reati non commessi, violare tutti i principi del diritto e le garanzie poste a tutela dell'imputato. L'obiettivo della candidatura di Negri è quindi la
modifica della legislazione "speciale" che, fra l'altro, consente una carcerazione preventiva di oltre dieci anni ed anche la riforma dell'istituto della "immunità parlamentare": "volevamo mostrare che siamo contro l'immunità perché riteniamo che debba prevalere il diritto-dovere del cittadino imputato di essere giudicato e riconosciuto innocente o colpevole".
E' importante rilevare che questi giudizi vengono espressi da Marco Pannella prima che la Camera voti, con il concorso determinante dei deputati radicali, l'autorizzazione a procedere e all'arresto nei confronti di Toni Negri. Lo "scandalo" per questo voto radicale, coerente con le posizioni che il Pr ha sempre manifestato, viene denunciato proprio da coloro che precedentemente avevano polemizzato duramente contro la candidatura di Toni Negri.
In seguito a questa iniziativa radicale, il processo contro Toni Negri e gli altri imputati del "7 aprile" viene finalmente celebrato e il Parlamento approva una serie di riforme in materia di giustizia fra cui la riduzione della carcerazione preventiva.
(Opuscolo diffuso dal Partito radicale, 15 luglio 1983)
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Ho già avuto modo di affermare che il brigatista Curcio e il magistrato Calogero mi sembrano avere una cultura comune: una cultura da giustizieri. E' un giudizio, non una condanna.
Una concezione della giustizia da giustizieri è o è stata propria di tradizioni e forze storiche che si sono affermate per secoli, o decenni: la Chiesa cattolica, alcune altre chiese o sette cristiane, la maggior parte delle forze rivoluzionarie, alcune di quelle giacobine, gran parte del comunismo reale. Posso sbagliare, ma così giudico e assumo la responsabilità di giudicare.
Curcio ha sicuramente violato la legge; Calogero non so: gli sono state messe in mano leggi barbare, forse si è limitato a usarle fino in fondo, nella loro logica perversa. Dubito che quelle leggi siano costituzionali; sono anzi convinto che non lo sono. Ma non posso prescindere dal fatto che tali non sono state dichiarate, anche se mi auguro che vengano abrogate e lotto perché lo siano, avendo già lottato con i miei compagni radicali, come nessun altro in Parlamento, perché non fossero votate e venissero anzi abrogate - contro il terrorismo, contro i violenti - le stesse leggi fasciste delle quali non sono - ideologicamente e tecnicamente - che un inaudito peggioramento. Mi auguro che si trovino finalmente avvocati e giudici che operino per consentire alla Corte Costituzionale di pronunciarsi e che - nel caso - ci sia la sorpresa che si pronunci in modo democratico e non partitocratico, com'è divenuto ormai costume.
CATTIVI MAESTRI E CATTIVI FARISEI
Dunque esprimo pubblicamente e reiteratamente questa mia intellettuale e politica convinzione. Ma nient'affatto una "condanna morale". Se la cultura di Calogero - o quella di Curcio - fosse come credo una cultura da giustizieri anziché da uomini di giustizia, riterrei immorale che si comportassero altrimenti che da giustizieri. La mia condanna interviene, per Curcio, in sincronia e sintonia con le sentenze della giustizia, non per le sue convinzioni - opposte alle mie - ma perché ha commesso crimini e reati violando le leggi penali, cioè le regole del gioco della convivenza civile.
Ma è condanna politica, non morale, oltre che adesione e fiducia rispetto al concreto esercizio della giustizia ed alle sue conclusioni, nell'accertamento della verità fattuale e nell'applicazione delle sanzioni previste. Non perché la sua sia una cultura moralmente condannabile: nessuna lo è. Per una civiltà, per una cultura, come per una persona non v'è perversità possibile ma solo diversità. Può esservi solo un comportamento, non una persona, perverso se vogliamo porci all'interno della storia della civiltà politica e giuridica, dello Stato di diritto, dei presupposti stessi della democrazia "occidentale". Per Calogero, fin quando non mi convincerò del tutto che egli viola in modo flagrante e certo, oltre che doloso, la legge, il mio giudizio è di piena ostilità politica, non di condanna o di richiesta di condanna "morale".
Chi altrimenti sente, parla e predica può ben legittimamente farlo: ma a nome dello Stato "etico", non di quello di diritto; o in nome della ragion di stato o di parte, non del senso dello Stato o civile della Polis. Oppure lo faccia da chierico e giustiziere per conto della propria verità di "chiesa" o di setta - "atea" o "confessionale" che si proclami - eretta a verità unica o superiore ad ogni altra, e come tale da affermare con la violenza della scomunica morale se non con la forza della spada della propria "giustizia". Ma Curcio e Calogero non sono "professori"; scrivono l'uno e l'altro ma non è al loro scrivere ed al loro "professare" che vengono ricondotte in genere la loro personalità e la loro funzione. Per Negri invece sì... E' dunque un "pessimo maestro".
Nella storia ogni nuovo maestro, per ergersi ed esser riconosciuto tale, non può non apparire "pessimo maestro"; almeno ai più e a coloro il cui insegnamento di vita e di parola egli supera, corregge, smentisce; tanto più scandalosamente quanto più grandemente e radicalmente è "maestro", cioè "nuovo maestro".
Vuol dire che chiunque - scrittore o di professione docente o avente influenza e prestigio in cerchie più o meno ristrette - susciti riprovazione, scandalo, sdegno o scomuniche, per ciò solo debba esser tenuto in fumus di genio o di grande magistero? Certo che no. Anche un cretino, in certe condizioni ambientali e di cronaca, per ragioni estranee alle proprie qualità, può esser erroneamente tenuto o temuto per un momento come un "grande maestro" o una sorta di cattivo demone distruttore. Mi limito a ritenere che "lo scandalo", la "perversità" è condizione necessaria e del tutto insufficiente perché vi sia davvero un nuovo grande insegnamento attraverso un nuovo "ottimo" maestro.
E, sempre, contro tale ipotetico maestro, finché non si può usare (come con Socrate o con Cristo, con Capitini o con Guido Calogero) la forza della legge, si usa la "condanna morale", la scomunica, l'esclusione dalla comunione dei "buoni" da parte dei cattivi (non tutti) farisei.
TONI NEGRI HA VIOLATO LA LEGGE?
Personalmente non credo di aver consentito con una sola parola, con un solo scritto di Toni Negri, o di poter oggi consentire o anche accettare o esser agnostico rispetto al suo pensiero quale si espresse negli anni in cui sarebbe stato "pessimo maestro". E lo terrei per "immorale" proprio se egli non avesse in qualche modo agito conseguentemente al suo pensiero, alla sua moralità, cioè anche violentemente. Il mio problema è semmai quello di sapere se la sua coerenza lo abbia portato a violare la legge. Suppongo di sì, anche perché essendo ancora i codici notoriamente quelli fascisti, personalmente e con tutti i miei compagni radicali siamo stati continuamente accusati di violarli e ci siamo infinite volte dovuti autoaccusare di averli violati, se mi si consente e per andare per le spiccie, per dovere socratico, costituzionale e nonviolento. Suppongo anche che Toni li abbia violati e ne abbia ispirato e organizzato la violazione anche in ben altri casi: noi non abbiamo atteso oltre l'aprile 1968 per combatte
re le scelte "teoriche" e le prassi del "movimento", studentesco o meno, in Italia o in Francia che fosse. E non l'abbiamo fatto in salotti o accademie ma sul vivo, anche nelle assemblee o nelle strade, da nonviolenti cioè con forza e rigore, con personale e politica esposizione. Lo suppongo e affermo di supporlo senza problemi, come da 15 anni.
E sul piano personale e politico, può ben bastare a me di supporlo. Ma non al giudice. Il giudice deve accertare quando, come, dove e anche perché, con chi; deve farlo rapidamente, con certezza. Se non lo fa, se non può o sa farlo, se i fatti o l'esercizio legittimo del diritto alla difesa, le regole del gioco processuale non gli consentono di tradurre il proprio soggettivo convincimento di colpevolezza in imputazioni comprovate, non ha che da prosciogliere o assolvere.
UN'ABERRANTE PERSECUZIONE
Per quanto mi riguarda, in assoluta coscienza, nulla, dico nulla, nemmeno sul piano intellettuale e logico, mi consente di ritenere che Toni Negri sia colpevole di insurrezione armata, o sia il capo gerarchico di una "Autonomia" militarmente organizzata, o sia il mandante o il complice degli assassinii per i quali sono stati condannati i vari Fioroni (per tenermi ad alcune delle superstiti imputazioni e non inseguire la miriade d'altre che vengon fuori come scatole cinesi man mano che la giustizia deve abbandonare le imputazioni precedenti).
Trovo non solamente deplorevole ma aberrante che Toni Negri sia stato presentato, per responsabilità colposa o dolosa del giudice Calogero, dalla stampa di tutto il mondo come il telefonista Br dell'assassinio di Modo; poi come il vero capo delle Br; poi come il capo non più delle Br ma di un'unica organizzazione terroristica variamente denominata ma solo per copertura dell'"Autonomia" (con A maiuscola) e via dicendo.
Trovo non solamente deplorevole ma aberrante e indegno che un cittadino sicuramente innocente dei reati e dei fatti infami e gravissimi per i quali è stato arrestato, infamato nel mondo intero; linciato moralmente nella sua identità e immagine, non sia risarcito o liberato, almeno per un'ora, in quattro anni, ma venga richiuso nelle carceri speciali, con i più elementari diritti della persona negati; trasportato in tutta Italia; raggiunto in tali condizioni da nuove imputazioni mano a mano che le vecchie decadono; passato da un giudice innaturale all'altro; oggetto per gli stessi fatti di più processi; mai messo a confronto nemmeno per un attimo con i suoi tardivi accusatori (fra i quali individui condannati per assassinio che grazie a queste accuse si trovano in libertà); con lo stesso giudice che ne ha ordinato l'arresto che per oltre 4 anni non sente il bisogno di vederlo di nuovo non fosse che per un nuovo interrogatorio-lampo; necessitando di milioni e milioni solo per acquisire le fotocopie dei process
i dai quali emergono le nuove imputazioni; dovendo rispondere continuamente - e fornire alibi o ricordi documentati - di eventi lontani dieci, dodici anni; via via accusato d'essere il mandante, l'"ispiratore", il "pessimo maestro" magari, di assassinii commessi quando era in galera speciale da anni, di aver organizzato evasioni mentre non ha mai tentato la propria o quella dei suoi vicini o più vicini compagni, sempre invece gridando che voleva esser processato. Processato, subito, per l'assassinio di Moro, per il comando delle Br, ecc... Invece si attende il 1981, la promozione dei "pentiti" e poi la loro utilizzazione, per poter trovare altri "riscontri" che consentano altre "imputazioni"...
Mi si consente, in queste condizioni, di benedire una volta di più la civiltà giuridica, la stessa Costituzione, che mi ingiungono sempre di presumere la non colpevolezza fino a prova del contrario?
Ma credete ch'io abbia davvero potuto immaginare che il giudice Calogero non fosse certissimo, documentatissimo, sulle "telefonate" di Negri alla famiglia di Moro prima di partecipare al suo assassinio, quando lessi sulla stampa senza eccezioni che a questo era dovuto l'arresto del 7 aprile? Credete davvero ch'io non abbia dovuto impiegare del tempo per cessare di far credito ad un'azione giudiziaria così ferocemente sicura di sé? Eppure sono forse fra le migliaia o centinaia di cittadini e di politici, in mezzo a sessanta milioni di italiani, più di altri da quasi trent'anni imputato o costretto ad aver a che fare con la giustizia, da una parte o dall'altra.
Precisiamo ora che non solo Toni Negri, ma migliaia di imputati, di cittadini in anticipata espiazione di una pena che potrebbe non essergli mai comminata perché non riconosciuti colpevoli con regolari sentenze, si trovano a subire questa realtà aberrante. Ma è indubbio che la vicenda Toni Negri, in gran misura, comprende la maggior parte delle altre. Non conosco il reciproco, come non lo conosce l'Italia, e il mondo; non dico che non vi sia vicenda più crudele e infame. Dico che non la conosco, che i giudici non l'hanno fatta conoscere alla stampa e la stampa a tutti, anche a me. Ecco perché, un anno fa, mi sono recato da Toni, e non da altri, o anche da altri.
LE COLPE DI NEGRI ASSOLVONO LO STATO?
Dunque, la vicenda è mostruosa. E nessuno lo nega. Tutti, anzi, proprio tutti (e non li nomino perché sono schiera: una vera plebe di aristocratici del pensiero, dell'intelletto, della morale, del giure, della politica, di resistenze in genere cessate nell'altra metà del secolo ma da allora molto ben amministrate), proclamano che lo Stato è sicuramente colpevole di uno stato di cose in una vicenda che non va. Ma subito dopo, a iosa, vengono i "ma". In breve, dicono tutti che la colpa dello Stato non assolve Negri dalle sue. Lapalisse e i suoi discendenti figliano come conigli. Non c'è altra spiegazione dinanzi alla progressione geometrica di lapalissate che ci si rovesciano addosso con frenetica intensità.
Vecchi, incalliti stalinisti; adulti arrivisti arrivati a fatica nelle pagine importanti dei giornali e negli scranni degli eletti del regime dopo decenni di timorati servizi (e guai se il sovrano prescelto diventa inerme ed è ferito); prestigiosi patriarchi che bevono stancamente solo quel che la stampa che ogni tanto ancora li sollecita e ospita vuol loro far sapere e crede, privi di curiosità e di attenzione; una classe dirigente unanime per un quarantennio nell'inchiodare la Repubblica a quei codici fascisti che il Pnf regalò all'Italia per meno di un decennio; i paleo-fascisti in servizio ausiliario permanente... Non manca davvero nessuno. E siccome solo loro hanno in mano l'informazione, al più tollerano la fronda di qualche raro collaboratore dissenziente.
Ma certo che le colpe dello Stato non assolvono Negri: ma non capisco nemmeno perché dovrebbero condannarlo, in sempiterno e irrimediabilmente come l'hanno già condannato. Se quei signori non ne sono convinti, gli è che ingiustamente non hanno fatto, forse, nemmeno quattro giorni di galera, per capire cosa significhi... per la loro famiglia, il papà, la nuora, i nipotini, la gente. Non quattro anni, in attesa di farne, anche se assolti in un processo, altri dieci e mezzo per via delle nuove imputazioni che arrivano ora.
Noi riteniamo, inoltre, e di questo ci occupiamo, che le colpe - da provare - di Negri non assolvano lo Stato. Perché abbiamo il senso dello Stato, oltre che della Giustizia. E se lo Stato è nei guai, se la Repubblica va a far compagnia all'Urss e al Cile, alla Turchia e all'Iran negli elenchi di Amnesty, nelle Corti internazionali ed europee di giustizia (ve ne siete accorti, censori e colleghi dei censori?), se si continua a far stragi di legalità anche ufficialmente e ostentatamente (oltre che ad avere i propri servizi segreti, a detta della magistratura, in tutte le infamie di Br, di Autonomi, di neri, di mercanti di droga e di armi), allora si preparano ineluttabilmente stermini anche di vite umane, e non solamente di quei trenta milioni fatti fuori per fame e miseria "altrove".
Ce ne occupiamo. Oh, certo non come quei signori si preoccupano di carcerazione preventiva e di tortura (vi dice nulla?), parlandone "in linea di principio" quando si tratta di difendere in concreto la carcerazione stessa e di negare disperatamente che tortura almeno in un caso ci sia o ci sia stata. Noi non ce ne "preoccupiamo", ma ce ne occupiamo, a nostro rischio e pericolo, in coscienza e nei fatti.
A NOSTRO RISCHIO E PERICOLO
Abbiamo pensato innanzitutto allo Stato, alla giustizia, alla nonviolenza, all'ordine, alla forza della civiltà giuridica e della tolleranza da salvaguardare. Toni poteva anche essere sul punto di esser riconosciuto colpevole dell'assassinio di Moro, di Giorgiana Masi, delle stragi di Milano, Brescia, Bologna, Italicus invece di esserne assolutamente e certamente innocente, visto che lo è per lo stesso Calogero, ora. Ma fin quando non fosse stato condannato, saremmo potuti andare lo stesso da lui, come ci siamo andati lo scorso anno e tornati per accompagnarlo all'uscita di Rebibbia, scarcerato per decorrenza dei termini con ordinanza diretta della "nazione", del "popolo sovrano" che egli oggi rappresenta.
Ora è scandalo. Ora si discute dell'immunità parlamentare, perfino. Da parte di chi ne ha approfittato con protervia e l'ha difesa contro la nostra lotta incessante e solitaria, come per l'inquirente: democristiani e repubblicani, socialdemocratici e missini, comunisti e socialisti.
Saremmo in contraddizione? Ma quale? Volevamo imporre all'attenzione della nazione - e del mondo, investito in passato con diverse notizie, con infami menzogne - la situazione nella quale le infami leggi imposte dall'unità nazionale e dai partiti della fermezza (gli stessi che contrattano ufficialmente, ogni giorno, la libertà di qualsiasi assassino in cambio di delazioni, false o vere che siano) hanno gettato la giustizia italiana. Volevamo ribadire con Beccaria che la certezza e la prontezza della pena non le inquisizioni, possono essere deterrenti e vincenti contro la criminalità, garanzia di giustizia per gli innocenti. Volevamo colpire - interrompendone il corso nella più grave e d emblematica vicenda di anticipata, feroce, persecutoria espiazione di una pena non comminata - leggi e situazioni anticostituzionali, barbare, suicide per la democrazia e la civiltà politica. Volevamo restituire all'economia processuale, almeno per un minimo, l'apporto di una difesa ormai vanificata, per giungere all'accertam
ento della verità dei fatti e processuale. Volevamo, certo, mostrare che il Leviatano non è onnipotente e che se la violenza lo rafforza, la nonviolenza - solamente - può batterlo e sostituirlo con uno Stato di diritto, democratico, civile. Volevamo far divampare, infine, la riflessione e il dibattito sull'immunità parlamentare, per imporre il nostro progetto di legge, l'unico che la riformi e non la perpetui mutandola, come fu fatto dalla partitocrazia per l'Inquirente quando eravamo sul punto di farla abrogare con referendum.
Volevamo mostrare - una volta ancora - che siamo contro l'immunità perché riteniamo debba prevalere il diritto-dovere del cittadino imputato di essere giudicato e riconosciuto innocente o colpevole, anche quando ci sia "fumus persecutionis": perché nel caso di Toni Negri non v'è solamente "fumus" ma una Seveso certa di persecuzione.
Lascio ai Tartufi raccontare a se stessi senza ridere che si sono - loro! - "battuti" per le garanzie o i garantismi prima di battersi "contro le idee" dei "pessimi maestri", a suon di anatemi e di scomuniche morali, visto che per il momento gli abbiamo tolto dalle mani (e dalle galere d'inquisizione, fasciste o da Terza Internazionale) il condannato in attesa di giudizio.
S'acquetino. Per un Negri eletto, malgrado elezioni truffaldine, in un Parlamento degradato dalla loro partitocrazia al pari della giustizia in questa vicenda, il mondo non cambia: restano pur sempre milioni di altri negri al mese con cui rifarsi, negando loro per gli stessi ideali perfino pane e acqua fino all'ultimo rantolo. Loro non possiamo eleggerli. Ed è il trionfo indiscusso di lor signori, ottimi e strenui maestri.