Nuovo rinvio degli aumenti dei minimi pensionisticidi Giuseppe Calderisi
SOMMARIO: Tutti i conti delle pensioni: l'iniziativa radicale è per un obiettivo concreto per i pensionati al minimo di pensione che non dispongono di altri redditi. Dimenticati dalla legge in un sistema che muove 20.000 miliardi per interessi elettorali e clientelari. Non è possibile calcolare con precisione il costo di un intervento risanatore: nello spirito della proposta radicale, 1500 miliardi. Convegno Dc sulle pensioni, il direttore dell'Inps Fassari tuona contro il baratro finanziario: per lui l'onere è di 12.500 miliardi. Non esita a sollevare un polverone per non confrontarsi con le proposte reali. Craxi e la bozza di programma per il governo. La posizione del Pri; il giudizio sui repubblicani di Luigi Spaventa. La competizione tra Pri e Psi; Scalfari e "La Repubblica; Spadolini. La convergenza sulla difesa d'interessi clientelari e assistenzialistici.
(NOTIZIE RADICALI n. 35, 23 agosto 1983)
(Una equivoca alleanza fra il partito del "rigore" e quello delle clientele cerca di imporre un atto di ingiustizia sociale contro i più deboli e indifesi. Un siluro contro la riforma. Pubblichiamo un articolo scritto da Giuseppe Calderisi per l'agenzia "Notizie Radicali" subito dopo la presentazione del programma del governo Craxi.)
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Il Ministro del lavoro intenderebbe rinviare sostanzialmente "sine die" l'aumento dei minimi pensionistici. In seguito a questa notizia la giunta federale del partito radicale ha chiesto un incontro urgente con De Michelis.
Secondo i propositi del Ministro del Lavoro - così come riferiti dalla stampa - l'elevazione dei minimi a livello di effettiva sussistenza non verrebbe infatti collocata né tra i provvedimenti da adottare con urgenza, né tra le misure da inserire nella legge finanziaria, ma solo come intervento addirittura successivo all'approvazione della riforma del sistema previdenziale. Sostanzialmente un rinvio sine die. Se questa impostazione venisse confermata si tratterebbe non solo di un arretramento rispetto al testo, già inadeguato, del programma di governo, ma di un vero e proprio affossamento della proposta e del programma stesso.)
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Il governo Craxi affronterà il problema dell'elevazione delle pensioni sociali e dei minimi pensionistici? E' singolare che non appena si è profilata questa possibilità, si è scatenato il più demagogico dei "polveroni" da parte dei poco credibili difensori del "rigore" e da parte dei rigorosi difensori d'interessi corporativi. Sono volate cifre cervellotiche - 12.500 miliardi di lire - senza che nessuno si sforzasse di precisare di cosa si stava parlando. Poiché sono stati i radicali a proporre al Presidente incaricato l'elevazione delle pensioni a 400 mila lire, siamo interessati a diradare il polverone e a non consentire equivoci demagogici attraverso cui si pretende di contrabbandare rigore, di fatto tutelando interessi corporativi e clientelari.
La proposta radicale, contenuta in un progetto di legge e sostenuta da una petizione popolare che ha già raccolto mezzo milione di firme, sollecita l'aumento per tutti quei pensionati che, percependo pensioni minime, non dispongono di altri redditi, e solo per essi. Qui sta il vero nodo della questione.
Le pensioni sociali (poco più di 700 mila) raggiungono oggi l'importo di 178.200 lire il mese. I minimi delle pensioni di lavoro autonomo e dipendente (circa 3 milioni le prime, 5 milioni le seconde) raggiungono rispettivamente gli importi di 248.900 e 297.100 lire il mese. Per coloro che non dispongono di altri redditi sono cifre lontane da quelle necessarie a garantire il minimo vitale.
Non si tratta però soltanto di porre rimedio nell'immediato ad una situazione crudele e intollerabile. La proposta ha anche il pregio di costituire una "leva" attraverso cui determinare condizioni di obbligatorietà e d'urgenza operative in favore della riforma complessiva del sistema pensionistico, riforma che tutte le forze politiche si sono impegnate ad approvare da svariate legislature, ma che continua a rimanere nei cassetti di Montecitorio, imbrigliata in una rete inestricabile di interessi corporativi. Aggredendo la "giungla" delle pensioni nel suo punto di più scoperta e scandalosa contraddizione, la proposta radicale intende, porre, nel concreto, una prima netta e significativa separazione tra assistenza e previdenze e incardinare su questa strada la riforma. Vediamone le modalità.
Gli otto milioni di integrazioni al trattamento minimo (d'interventi, cioè, che hanno un carattere assistenziale) sono attualmente concesse in modo indiscriminato, anche a chi ha altri redditi, redditi anche elevati, anche a chi usufruisce di un'altra pensione (di reversibilità, di altri fondi, dello Stato, di guerra), un'eventualità che si verifica almeno nel 60% dei casi. L'onere complessivo per queste integrazioni al minimo ammonta ad oltre 20 mila miliardi l'anno!
Quali interessi clientelari ed elettorali siano concessi con quest'ennesima, indiscriminata elargizione assistenzialistica è facilmente comprensibile se si tiene presente la vicenda del "decretone" sulla previdenza del governo Fanfani. Nelle prime due edizioni del decreto (dell'11 gennaio e dell'11 marzo scorso) era contenuta una misura tendente a limitare la concessione dell'integrazione al trattamento minimo solo a coloro in possesso di un reddito non superiore al doppio del trattamento minimo stesso. Non convertito in legge, il decreto viene nuovamente reiterato, ma tale misura sparisce. E' l'11 maggio, siamo alla vigilia delle elezioni.
Si può allora comprendere quale resistenza abbia incontrato la proposta di portare i minimi di pensione ad un livello di sussistenza per coloro che non dispongono di altri redditi ma escludendo nel contempo qualsiasi intervento integrativo assistenziale nei confronti di quanti già dispongono di redditi superiori a tale livello minimo. Secondo quest'impostazione diverrebbe infatti inconcepibile stabilire il limite dell'intervento assistenziale assumendo come parametro il "doppio" del trattamento minimo.
Quanto "costa" la proposta radicale? Non sono possibili calcoli perché mancano dati certi sul numero di coloro che hanno altri redditi. Son possibili delle stime, stime comunque attendibili effettuate sulla base di dati del Governo e dello stesso INPS. Gli otto milioni di minimi si riducono a 5 milioni e mezzo se si considerano solo i cittadini con più di 65 anni d'età; scartando chi ha altre pensioni (abbiamo detto almeno il 60%) si arriva a due milioni; sulla base dei dati relativi alle semplici dichiarazioni dei redditi la cifra si riduce ancora. L'onere può essere valutato attorno ai 1.500 miliardi l'anno. Non solo, però, la proposta radicale comporta un onere modesto.
Per mesi Parlamento, partiti e sindacati rimangono sostanzialmente indifferenti e oppongono il silenzio alla proposta radicale. Nel momento in cui la petizione popolare raggiunge quota 500 mila e l'esito delle elezioni non consente più di far finta che essa non esista, tocca a Fassari, direttore dell'INPS, sparare contro. Il 5 luglio, ad un convegno sulla sicurezza sociale ormai organizzato dalla DC, Fassari tuona contro il baratro finanziario che si apre sempre più profondo sotto i piedi dell'INPS. Ma oggetto dei suoi strali non sono le vere questioni che producono le voragini finanziarie come quella delle pensioni di invalidità (e Fassari dovrebbe saperne qualcosa) o quella delle integrazioni al minimo concesse indiscriminatamente. Oggetto dei suoi attacchi è la proposta radicale (di cui omette di citare la paternità): "portare i minimi di pensione a 400 mila lire il mese comporta un onere aggiuntivo per l'INPS di 12.500 miliardi per 1984". Certo il calcolo è esatto, salvo che esso si riferisce ad un aumen
to per tutti i minimi e non solo per coloro che non hanno altri redditi. Ma chi ha mai avanzato una proposta del genere? Per tutelare interessi clientelari, Fassari non esita a sollevare un polverone che gli consente di confrontarsi non le proposte reali ma solo con fantasmi di comodo.
La proposta di portare i minimi ad un livello di sussistenza sembra interessare Craxi che la inserisce nella bozza del programma di governo.
A questo punto entra in scena il "rigoroso" PRI con il suo ex presidente del consiglio "accomodante erogatore di un tempo, mediatore eccellente che non ha mai detto no, enunciatore di obiettivo sempre disattesi" (l'espressione è di Luigi Spaventa nel suo articolo del 2 agosto su Repubblica).
Motivi di competizione di potere nei confronti del PSI spingono così il rigoroso Spadolini, subito spalleggiato da Scalfari su "Repubblica", a convergere con Fassari e con la difesa d'interessi clientelari e assistenzialistici. La pressione repubblicana, in nome del "rigore" sulla pelle dei pensionati più deboli e indifesi, sembra aver conseguito un certo risultato: nel programma di governo la proposta di aumento dei minimi rimane, ma anziché costituire una misura puntuale e urgente, appare sfumata e rinviata nel tempo. E' possibile una correzione che recuperi appieno il significato e la portata della proposta? Ci auguriamo di sì.