Il decreto governativo sulle pensionidi Giuseppe Calderisi
SOMMARIO: Le norme sull'invalidità pretesto illogico per escludere dal diritto alla pensione d'invalidità chi ha un reddito superiore a 900 mila lire al mese. Lo scandaloso e complesso sistema dellepensioni d'invalidità. Il perseguimento di fini assistenziali e clientelari. Con le pensioni d'invalidità si elargisce reddito alle regioni più povere invece di risolvere i problemi strutturali. La collusione di forze politiche e sindacali. Dare applicazione alle direttive finora disattese del Ministero del Tesoro.
(NOTIZIE RADICALI n. 36, 30 agosto 1983)
(Si elude, con un intervento demagogico, il vero problema dell'uso illegittimo, clientelare e assistenziale che si è fatto delle pensioni di invalidità. Le proposte radicali.)
Le norme che escludono dal diritto alla pensione d'invalidità chi ha un reddito superiore a 900 mila lire al mese appaiono tanto illogiche ed inutili da indurre il sospetto che rappresentino norme-polverone per coprire interessi illegittimi e per deviare l'attenzione dalle reali cause che hanno posto sotto accusa l'istituto dell'invalidità pensionabile. "Istituto che" - occorre precisarlo - "ha un carattere previdenziale e non assistenziale".
Sotto l'aspetto previdenziale queste disposizioni sono del tutto illogiche: se l'assicurazione obbligatoria è stata estesa a tutti i lavoratori dipendenti, perché mai un reddito di 900 mila lire il mese dovrebbe precludere la copertura dell'assicurazione contro il rischio di invalidità? Facciamo un esempio: un giovane che dopo 10 anni di lavoro dipendente divenisse davvero invalido non avrebbe più diritto - se in possesso di un reddito di 900 mila lire (che potrebbe essere anche occasionale o temporaneo) - ad alcun tipo di pensione in dipendenza della contribuzione versata, né a quella di invalidità, né a quella di vecchiaia (per la quale occorrono almeno 15 anni di anzianità contributiva e che non sarebbe più conseguibile per l'intervenuta invalidità).
Si tratta di disposizioni chiaramente incostituzionali in quanto l'esclusione della pensione di invalidità per il lavoratore dipendente che abbia un reddito di 900 mila lire dovrebbe almeno essere correlata alla esclusione dell'obbligo assicurativo.
Ma è veramente questa la forma della previdenza a cui si tende?
Si tratta di norme perfettamente inutili anche sotto il profilo del risanamento finanziario. La riduzione di oneri sarà infatti molto modesta, di molto inferiore a quella indicata dai mezzi di informazione. Anzi, è probabile che comporterà, addirittura, un aggravio finanziario in quanto favorisce i possessori di redditi da lavoro dipendente elevati, specie se titolari di una pensione di invalidità illegittima. Infatti in base al meccanismo dell'articolo 8 del decreto, i pensionati d'invalidità che attualmente svolgono un lavoro dipendente con reddito superiore alle 900 mila lire ottengono, grazie alla revoca della pensione di invalidità, il diritto a conseguire a 60 anni una pensione sulla base della retribuzione "più elevata" e dell'intera anzianità assicurativa! Inoltre, dalla revoca, ottengono di sottrarsi alla revisione della pensione di invalidità finora percepita, che oltre a costituire motivo di scandalo pubblico, potrebbe comportare l'obbligo della restituzione delle somme illegittimamente percepite.
Si è tenuto conto di questi aspetti per calcolare i "benefici" finanziari del provvedimento? C'è seriamente da dubitare dei fini che si sono posti gli ispiratori e gli accurati estensori di questa norma.
Ben altri dovrebbero essere i rimedi nei confronti dello scandalo delle pensioni di invalidità.
Le ragioni che hanno fuorviato il corretto funzionamento del sistema in questo settore non derivano tanto, come invece si sente comunemente affermare, da inadeguatezza della normativa, bensì dalla applicazione illegittima della normativa vigente, ed è appunto questo che ha portato a snaturare profondamente l'istituto in questione facendone strumento per il perseguimento di fini assistenziali e molto spesso clientelari.
Spesso infatti la concessione della pensione d'invalidità ha costituito il mezzo attraverso cui è stato elargito reddito alle popolazioni delle regioni più povere, ma ciò è avvenuto mediante l'utilizzazione distorta ed illegittima dello strumento normativo.
La pensione d'invalidità è stata cioè concessa a chi invalido non era, ma versava soltanto in stato di bisogno. Il rimedio a questa situazione di bisogno è stato trovato, in sostanza, contro la legge sulla base di una benevola conclusione fra la spinta in tal senso esercitata dalle forze politiche e sindacali ad una tollerante e compiacente interpretazione giurisprudenziale. L'uso distorto della legge è servito anche al finanziamento surrettizio dei sindacati, che tramite i padronati hanno tratto benefici enormi dalla interessata assistenza fornita sia in sede amministrativa che in sede giudiziaria. E' noto infatti che l'obbligatorio patrocinio gratuito dei padronati è stato eluso attraverso la formula dell'iscrizione al sindacato. Di queste pratiche non hanno beneficiato poveri e bisognosi. Ne hanno approfittato ampiamente anche numerosissimi lavoratori a reddito elevato e con stabilità d'impiego: non spetta certamente la pensione d'invalidità a coloro la cui capacità di guadagno non risulta ridotta ad oltr
e la metà in conseguenza delle infermità da cui sono colpiti, se nonostante queste essi possono continuare a lavorare anche con normale sviluppo di carriera.
Per riportare ordine nel settore delle pensioni d'invalidità, come premessa di una riforma razionale, occorrerebbe iniziare a dare applicazione alle direttive già fornite dal Ministero del tesoro ma da questo disattese, circa la revisione dei trattamenti, in corso, peraltro con due accorgimenti:
- il primo (di ordine normativo) dovrebbe prevedere che la revoca dei trattamenti che risultino illegittimi debba accompagnarsi alla concessione di un corrispondente assegno assistenziale, in tutti i casi in ci gli interessati risultino privi d'altri redditi;
- il secondo (d'ordine applicativo) dovrebbe assicurare che l'Inps inizi a fare la revisione seriamente. Il che significa che i primi casi da sottoporre a revisione devono essere quelli relativi ai pensionati d'invalidità attualmente occupati; sono questi infatti i casi che presentano maggiori probabilità di risultare illegittimi, che presentano una maggiore misura d'iniquità; che infine avrebbero minore pregiudizio economico della eventuale revoca della pensione.