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Roccella Franco - 7 settembre 1983
CHIAREZZA E' FATTA
Dopo i voti alla Camera

di Franco Roccella

SOMMARIO: Nelle cronache giornalistiche opaca e miserevole servitù verso i sovrani. Gli insulti a Pannella. Se Pci e Psi non si fossero astenuti sull'autorizzazione all'arresto, Negri sarebbe libero. Questo non significa favorire un simbolo né assolverlo per simpatia, ma rimettere in discussione la "filosofia della fermezza" e gli "anni di piombo" e le responsabilità che vi si addensano. Chi ha inteso liquidare lo stato democratico con il terrorismo politico e chi lo ha martoriato con la P2. I comunisti dimenticano che il processo "7 aprile" è pesantemente condizionato nelle soluzioni dai decreti Cossiga: è arduo pensare all'assoluzione. L'astensione comunista sull'autorizzazione all'arresto segno di patimento e di paralisi; Il Psi vagante come un truciolo sull'onda del regime che minaccia di chiudersi sulla sua testa. Il caso Moro; il caso D'Urso. Carcerazione preventiva di 11 anni; emendamento comunista: 8 anni. Questa è l'unità della sinistra che i radicali avrebbero rotto. La Dc vicina all'Almirante del

la pena di morte. Per i radicali la battaglia continua contri tutti i barbari teoremi. Toni Negri torna in galera non per ossequio alla democrazia e alla giustizia, ma per compensare la cattiva e aberrante coscienza deli attori della fermezza. Mai come ora il potere è stato debole e cinico.

(NOTIZIE RADICALI n. 37, 7 settembre 1983)

Talune cronache giornalistiche del voto della Camera sulla "sospensiva" si sono esaurite nella registrazione dei "giudizi" formulati sull'assenza dei radicali da personaggi che non raramente, se dovessero rispondere di sé e della propria storia, ammucchierebbero cumuli di merda. Per questi giornalisti, che nei giorni democristiani, socialisti, comunisti si fanno prudentissimi (di solito non vedono, non sentono e soprattutto non parlano) e nei giorni radicali spavaldi e loquaci, e per quanti fra i politici si sono sfogati insultandoci, probabilmente per compensare le frustrazioni derivate da un'opaca e miserevole servitù verso i loro sovrani, scriviamo questa nota.

Intanto non possiamo fare a meno di notare l'ipocrita diligenza con cui si è giustificata sulla stampa l'astensione di comunisti e socialisti nella votazione di ieri, quella definitiva e secca sull'arresto. Perché astenuti? Ma perché erano frastornati dal comportamento pagliaccesco e mascalzone di Pannella! Il Segretario del PR fa lo stronzo ed è ovvio che l'eroica, drammatica, sofferta tensione della scelta (arresto sì, arresto no) perda tutto il suo vigore e il suo impegno nei più grossi partiti italiani che hanno potere di governo e dominano, per loro intima forza (!), la politica italiana. Sicché non si è rilevato (e che importanza ha) a carico del PCI e del PSI quello che si è rilevato con scandalo e sdegno a carico dei radicali: che se comunisti e socialisti non si fossero astenuti e avessero votato contro l'arresto, Negri sarebbe libero e la sinistra vincente. Ingenuità? No, colleghi, parliamoci chiaro: è semplice e schietta malafede. Siete gli stessi che avete storto il naso dinanzi alla candidatura

e all'elezione di Negri; e siete i convinti della sua colpevolezza. E veniamo alle nostre ragioni.

Liberare Negri non significa favorire un simbolo né assolverlo per simpatia, non vuol dire una professione emotiva e pregiudiziale d'innocentismo e non vuol dire regalargli ambiguamente qualche mese di aria aperta per seppellirlo definitivamente nelle patrie galere con buona pace della propria coscienza. Liberare Negri significa aprire nella lotta politica un contenzioso che rimetta in discussione la filosofia della "fermezza", il "teorema Calogero", la degenerazione del diritto in uno stato di diritto, con tutte le implicazioni di giudizio e di effetti che questo comporta. Liberare Negri significa rimettere in discussione gli "anni di piombo" con tutte le responsabilità che vi si addensano: del terrorismo e della società politica, di chi ha inteso liquidare lo stato democratico con la P38 e di chi lo ha martoriato con la P2. Liberare Negri significa non consentire ai protagonisti del potere di sottrarsi alle proprie contraddizioni, e quindi non avallare aggiustamenti di comodo che coprono i vessilliferi del

la fermezza (a destra, al centro e a sinistra), li assolvono dai loro perfidi "errori" riversati cinicamente sul paese, li aiutano ad occultare gli scheletri custoditi nei loro armadi.

Liberare Negri vuol dire non permettere ai comunisti un arrangiamento "unanimistico" che lasci inalterata la scelta da essi operata sui decreti Cossiga, tutt'ora incombenti su un processo "7 aprile" mostruosamente ipotecato nelle sue soluzioni. E' arduo attendersi che questo processo si concluda con una assoluzione, si intende se meritata, sino a che la strada che vi può condurre è sbarrata da una politica.

Se fosse passata la transizione comunista avremmo tenuto Negri libero uno, due, tre mesi, un anno (il processo sarebbe andato avanti con ritmi spediti) per incarcerarlo definitivamente in forza di un processo e di una condanna avallati da una attesa "neutrale". Avremmo favorito temporaneamente e illusoriamente, ma anche mistificatoriamente, Negri e compromesso la lotta politica condotta nel segno del Negri candidato nelle liste radicali ed eletto con un voto radicale (un voto del quale sono chiarissimi a Giorgio Bocca la natura e il senso).

E' del tutto coerente allora che i radicali vogliano portare le scelte di fondo dei partiti, che pesano come macigni sulla democrazia di questo paese e in questa vicenda, sul terreno drammaticamente scoperto, sul quale riemergano le fiere decisioni della "fermezza", le sue ragioni, le sue implicazioni. E questo è cinismo? No. Questo è coraggio, onestà rigore, intelligenza, moralità.

Il voto di astensione comunista, quello definitivo sull'arresto di Negri, espresso ieri alla Camera, è un dato di preziosa chiarezza. E' rispettabile nella misura in cui esprime il patimento di un conflitto all'interno del gruppo del PCI; ma è soprattutto significativo come documento di una paralisi del più grosso partito della sinistra, che tuttora apre un'aspra contraddizione: il PCI può "liberare" Negri in forza di un pateracchio che non sommuova la sua memoria remota e recentissima; non può farlo con una scelta netta ed esplicita, che lo porterebbe ad altri e diversi rapporti, innanzitutto con se stesso, al di sopra di ogni compromissione. Quando deve scegliere senza mediazioni e diaframmi, sceglie l'arresto.

Il rilievo tocca anche e purtroppo i socialisti, allineatisi sull'astensione per più mediocri e meno faticosi motivi di "prudenza", dopo aver inizialmente giudicato improponibile per vizio giuridico il compromesso proposto dal PCI ed essersi dichiarati per il rigetto dell'arresto. Povero PSI, vagante come un truciolo sull'onda del regime che minaccia di chiudersi sulla sua testa.

Quel voto è un cappio che provoca una disperata asfissia: gli astenuti sono stretti al collo dal retaggio di quella manovra che spinse i fragilissimi socialisti del caso Moro e del caso D'Urso a schierarsi per la fermezza e consentì ai comunisti di fingere, maldestramente ma con enorme arroganza, l'opposizione con un emendamento che fissava a 8 anni anziché 11 la durata della carcerazione preventiva; per ratificare subito dopo il decreto Cossiga con un voto di fiducia al governo. E' questa l'unità della sinistra che i radicali avrebbero rotto.

Il voto dei democristiani li riporta accanto all'Almirante della pena di morte, della seconda repubblica, dei giorni malsani e sommersi delle trame golpiste, dei generali eversivi, delle stragi di Peteano.

Ci siamo sul terreno scoperto. Vogliamo che su di esso si celebri un processo che non chiuda la partita con una indenne e obbligata sentenza di condanna.

Che significa che salvaguardiamo il segno di rivolta morale e di lotta politica di cui Negri si è fatto protagonista? Va benissimo. Toni ha accettato e cercato quel segno che, fra l'altro, è l'unico serio, valido indice di ricatto al di sopra di pentimenti remunerati e delazioni. E questo dovrebbe operare in un giudizio, anche umano, sulla sua storia e sulla sua persona. Non possiamo scordare che alla sua candidatura e alla sua elezione, e non al fanatismo o all'amore per la giustizia di politici e giornalisti "maggioritari", si deve questo straordinario fermento che alimenta oggi il momento politico portandolo a livelli di grandissima dignità e valenza. Presumo che ciò valga molto per Toni; presumo che molto valga per lui e per il suo destino il riscontro nonviolento proveniente dalle carceri, la saldatura fra errori, miserie, lusinghe, pene che lievitano nelle nostre prigioni e la coscienza popolare di aver vissuto e di vivere una stagione di storia comune.

Va benissimo allora il naufragio della proposta di mediazione comunista così come andò benissimo il naufragio del "realistico" ed accomodante compromesso Carettoni nella "avventura" del divorzio.

Così è possibile e vale la pensa combattere con e per Toni Negri; anche per la sua persona e la sua sorte. E la battaglia continua: contro tutti i barbari teoremi che intendono la carcerazione preventiva come una legittima condanna a priori e sorreggono i processi con un'accanita e lugubre volontà d'incolpare ricorrendo a serie continue e inesauribili d'incriminazioni, per realizzare alla fine una persecuzione e una vendetta e costruire una mostruosa obbligatorietà della condanna. E' questa la martirizzazione di Toni Negri. L'ipotesi di una liberazione definitiva, per quanto difficile ed aspra, e compromessa, passa attraverso questa battaglia morale e politica, nostra e di Toni, che include un recupero degli anni di piombo nella misura in cui non lascia da parte e non lascia indenni le tremende e miserabili responsabilità e corresponsabilità della nostra società politica.

Sia chiaro: Toni Negri torna in galera, alla carcerazione preventiva, alle prigioni della "fermezza": non per quello che eventualmente ha fatto lui ma per quello che ha fatto, o ha omesso di fare, la partitocrazia della P2, delle eversioni, dei peculati, delle tangenti, dell'occupazione dello Stato, della privatizzazione delle istituzioni, dell'egemonia di potere sulla società civile; non per quello che è stato, nel bene e nel male, ma per quello che è; non per ossequio alla democrazia e alla giustizia ma per compensare la cattiva, aberrante coscienza degli attori della fermezza. Mai come ora il potere è stato debole e cinico.

 
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