di Gianluigi MelegaSOMMARIO: Una lettera inviata da Gigi Melega al Segretario e alla Giunta del Pr prima del voto della Camera sul "caso Toni Negri"
Il caso Negri non rientra tra gli obiettivi della mozione congressuale del 1983; Negri l'unico candidato nelle liste radicali non iscritto al Pr. La promessa di non essere in Parlamento come parlamentari ma come militanti del Partito radicale. Il nostro codice di comportamento esclude come regola generale la partecipazione al voto ma non all'attività parlamentare non non è tavola di legge inderogabile. Con il voto su Negri dobbiamo cercare di realizzare la sacrosanta battaglia contro la carcerazione preventiva. Si delinea una maggioranza politica e parlamentare "divorzista", non partitocratica come abbiamo più volte invocato. Non dobbiamo astrarci dallo schieramento che può attuare il successo della democrazia.
(NOTIZIE RADICALI n. 37, 7 settembre 1983)
Cari compagni, salvo improbabili ripensamenti a cui potrei essere indotto dagli ultimi interventi nel dibattito parlamentare, vi comunico che prenderò parte alle votazioni sul caso Negri per le ragioni che vi espongo.
La decisione di candidare Negri è stata contestuale a quella di depositare liste radicali in occasione delle ultime elezioni: ma le motivazioni erano in parte convergenti, in parte no.
Negri venne candidato come vittima-simbolo dalla privazione di un diritto civile (quello a un regolare processo e a una condanna definitiva entro un tempo ragionevole come condizioni preliminari alla carcerazione) che colpiva per tempi sempre più lunghi migliaia e migliaia di cittadini, vanificando di fatto lo stato di diritto.
Il "caso Negri" non rientrava certo né nelle iniziative da prendersi per la realizzazione della mozione congressuale per il 1983, né tra le iniziative successivamente indicate dal Consiglio Federale e concretatesi con la campagna di petizioni popolari.
Per questo, per Negri e soltanto per lui, si fece valere l'eccezione alla regola che i candidati dovessero essere tutti iscritti al Partito Radicale.
La promessa elettorale su cui ci impegnammo fu che saremmo stati in Parlamento non come parlamentari, ma come militanti del Partito Radicale, così come lo saremmo stati nelle piazze, ai tavoli, nelle diverse sedi estraistituzionali del dibattito politico democratico.
Il codice di comportamento dei parlamentari che esclude come regola generale la partecipazione al voto, ma non all'attività parlamentare, fu una delle esplicitazioni successive di quella promessa, e può certo essere invocata come motivo della propria condotta da parte del singolo militante radicale parlamentare: ma non come tavole di legge inderogabile e perenne per altro militante radicale parlamentare che con motivate ragioni ritenga di comportarsi diversamente.
Come saremmo stati pronti a votare la mozione di fiducia parlamentare al governo Craxi che noi stessi abbiamo presentato perché raccoglieva il senso della mozione congressuale di Bologna, così ritengo che noi, militanti radicali in Parlamento, dobbiamo tutti prendere parte delle votazioni sul caso Negri, per cercare di realizzare lì, in quel momento e con quel voto, la sacrosanta battaglia contro la carcerazione preventiva che abbiamo condotto fuori, da Rebibbia a piazza Navona.
Se la lotta contro lo sterminio per fame o contro la carcerazione preventiva di Negri, simbolo di migliaia e migliaia di altre, si concretizza nell'Italia di oggi con un voto parlamentare, io non vedo contraddizione tra l'essere militante radicale e votare. Anzi: vedo contraddizione nel non prendere parte al voto, come titolari individuali e collettivi della responsabilità delle conseguenze che il non votare provoca (e non sto a preoccuparmi se il voto sia o no, come pur potrebbe essere in questo caso, determinante).
Tanto per l'aspetto formale. Ma non posso non aggiungere qualche considerazione, assolutamente opinabile, sul piano politico. Sul caso Negri si va delineando la possibilità che una maggioranza politica e parlamentare di tipo "divorzista" riesca a prevalere, attraversando lo schieramento dei partiti, dai comunisti ai democristiani, dai repubblicani ai missini. E' il tipo di maggioranza non partitocratica che abbiamo più volte a gran voce invocato come la sola capace di affrontare e risolvere i grandi problemi del nostro Paese.
Il caso della carcerazione preventiva di massa, così fortemente portato in primo piano grazie all'iniziativa radicale della candidatura e della elezione di Toni Negri, è ora il primo possibile banco di prova per questa nuova maggioranza non partitocratica: è il primo appuntamento su cui si può determinare, grazie a noi, il successo della democrazia. Che senso ha non solo rinunciare alla titolarità di questa eventuale vittoria politica, ma addirittura astrarsi dallo schieramento che la può concretamente attuare?
Per queste ragioni voterò sul caso Negri e mi auguro che tutti gli altri radicali parlamentari facciano altrettanto.