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Notizie Radicali - 14 settembre 1983
UNA VERITA' CHE LI FA TREMARE
Inchiesta sui due "desaparecidos" italiani in Libano

SOMMARIO: Caso Toni-De Palo. Trattative segrete del governo Forlani. Con quali interlocutori? I servizi segreti indagano dopo aver esautorato l'ambasciata italiana a Beirut. Toni e la De Palo indagavano proprio sul ruolo dei servizi segreti militari italiani nell'esporatzione clandestina dell'industria bellica. In apparenza la benevola accoglienza dell'Olp. Ricostruzione della vicenda dal rapimento. La "pista falangista" e la "pista Sismi". Faccia luce il Presidente della Repubblica su una verità che può far tremare l'intero Palazzo.

(NOTIZIE RADICALI n. 38, 14 settembre 1983)

Il Governo Forlani condusse dall'ottobre 1980 alla primavera del 1981 una trattativa segreta con i rapitori di Graziella De Palo, la giornalista italiana sequestrata in Libano nel settembre 1980. La trattativa fu disposta ed affidata al Sismi dal Segretario Generale del Ministero degli Esteri, Francesco Malfatti di Montetretto, rappresentante della Farnesina all'interno del Cesis, il comitato che coordina l'attività dei servizi segreti italiani. Dell'esistenza di tale trattativa - nella quale intervennero, in qualità di mediatori, altissimi funzionari della polizia libanese e della diplomazia libica - vennero tenuti completamente all'oscuro la magistratura, il Parlamento e lo stesso Presidente della Repubblica, Sandro Pertini, nonostante la sua costante, personale e pressante richiesta di notizie sulla drammatica vicenda.

Il Ministero degli Esteri inviò a più riprese in Libano un aereo militare italiano, con l'incarico di prendere in consegna la De Palo. Eppure Graziella non ha mai fatto ritorno in Italia. Perché? e chi erano i veri interlocutori della trattativa?

Un fatto è certo: come in una scatola cinese, il G.I. Renato Squillante, il P.M. Giancarlo Armati e il Reparto operativo dei Carabinieri, sollecitati dallo stesso Pertini, si trovano oggi ad indagare sulle indagini che il Sismi ha condotto sul caso, dopo aver arbitrariamente esautorato, grazie alla connivenza del Segretario Generale della Farnesina, l'organo ufficiale italiano istituzionalmente preposto all'inchiesta: l'ambasciata d'Italia a Beirut. Indagini arbitrarie e tutt'altro che disinteressate: Graziella De Palo, si era recata in Libano con il collega Italo Toni proprio per raccogliere notizie per contro di "Paese Sera" sul ruolo svolto dai nostri servizi segreti in Libano nell'esportazione dell'industria bellica italiana.

Un'inchiesta che, almeno in apparenza, non sembrava disturbare l'Organizzazione per la Liberazione della Palestina, che aveva patrocinato il viaggio dei due giornalisti, ospitandoli gratuitamente in un suo albergo di Beirut-Ovest, il "Triumph". Eppure, la De Palo e il Toni vengono "fatti sparire" soltanto una decina di giorni dopo il loro arrivo.

Si aprono subito due inchieste: la prima è in mano all'ambasciatore Stefano D'Andrea, la seconda al corrispondente del Sismi a Beirut, col. Stefano Giovannone. Procedono parallelamente e, già in ottobre, approdano, quasi contemporaneamente, a conclusioni ufficiali. Entrambe segrete, ma diametralmente opposte una rispetto all'altra. D'Andrea comunica che quella stessa organizzazione che aveva invitato in Libano i due giornalisti, l'Olp, è responsabile del loro sequestro: gli sono noti perfino noti i nomi dei rapitori. Al contrario, il direttore del Sismi, gen. Giuseppe Santovito, comunica al Cesis che la De Palo è stata rapita a Beirut-Est dai falangisti, dopo aver chiesto un'intervista al loro capo, Béchir Gemayel. Santovito precisa che la De Palo è viva (in gennaio fornirà perfino notizie ufficiali sulle sue condizioni di salute), e informa che i servizi hanno avviato le trattative con i falangisti per la sua liberazione. In cambio, però, chiede riservatezza e il silenzio degli organi di stampa. E' il 29 ot

tobre 1980: a Roma Malfatti, che in virtù della sua duplice carica è l'unico funzionario italiano informato di entrambe le versioni, decide di sospendere immediatamente D'Andrea dai suoi compiti d'istituto e di accreditare all'interno del suo stesso Ministero e presso la Presidenza del Consiglio la versione fornita dal Sismi. Nell'ottobre 1981 scende in campo il Ministro Emilio colombo in persona, che, in un esposto alla Procura, chiede addirittura di svolgere accertamenti sull'operato di D'Andrea, intanto trasferito da Beirut a Copenaghen.

La situazione si ribalta nel febbraio 1982, quando il sost. proc. Armati - dopo aver sentito i De Palo, lo stesso D'Andrea e i responsabili del Sismi - dispone il sequestro della documentazione tenuta nascosta dal Ministero degli Esteri, e scopre che a mentire non era stato l'ambasciatore, ma il Sismi. Nell'aprile scorso, quando l'inchiesta è ormai in fase istruttoria, il capo del dipartimento internazionale del Sismi, col. Armando Sportelli e il col. Giovannone fanno in modo di scaricare tutte le responsabilità dei falsi del controspionaggio militare, che non sono più in condizioni di negare, sul loro ex-superiore gerarchico, ormai caduto in disgrazia perché iscritto nella P2 (mentre il suo "fratello" Malfatti, tessera 2099, superata la burrasca, continua a guidare, con la benedizione della Loggia, l'intero apparato della diplomazia italiana). E le loro disposizioni rendono inevitabile il mandato di comparizione per falsa testimonianza al gen. Santovito.

L'inesistente "pista falangista" ha così finito col trasformarsi in una vera e propria "pista Sismi", che vede il servizio segreto direttamente e gravemente coinvolto nei retroscena, se non addirittura nei moventi, del rapimento dei due giornalisti. Inconfessabili (e inconfessate) restano le ragioni dell'operato di Santovito e Giovannone.

I giudici Squillante e Armati hanno veramente intenzione di chiarire? Perché, data la gravità di quanto hanno scoperto, non agiscono con maggiore tempestività e determinazione? A cosa è dovuto l'inquietante silenzio che circonda una delle inchieste più gravi e scottanti che il Tribunale di Roma stia istruendo? Esso può essere giustificato soltanto dal timore che pericolose fughe di notizie inquinino le indagini. Ma se questo pericolo non è stato ancora superato dalle acquisizioni dell'istruttoria, per quale motivo i giudici non si decidono ad arrestare Santovito e Giovannone? Nonostante a chiedere piena luce su questo agghiacciante "affaire" sia lo stesso Presidente della Repubblica, e nonostante il potere e il prestigio dei quali gode, il consigliere Squillante appare come spaventato dalla verità che teme di sentirsi confessare dai possibili imputati: una verità che farebbe tremare l'intero Palazzo. E quanto valgono di fronte alla ragion di Palazzo, due "desaparecidos" italiani in Libano?

 
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