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Negri Giovanni - 21 settembre 1983
PARTITO SOCIALISTA, TORNATO SPADOLINI
LOTTA ALLO STERMINIO? Ma Colombo dice no

di Giovanni Negri

SOMMARIO: A parole per Craxi la questione della lotta alla fame "priorità delle priorità". La realtà è diversa per bocca dell'ex-ministro Colombo: "Se scegliessimo l'impostazione dei radicali condanneremo i paesi poveri al non-sviluppo, alla non-autonomia economica". La faccia di bronzo. Tutto continua come prima, strutture, appalti, ditte, amici e amici degli amici. Il salvagente a Colombo vienne dal Pci. Con la Somalia siamo in parola per 300 miliardi: a Mogadiscio laureati ed arrestati. Il 40% dei fondi sprecato per lentezze burocratiche. Dispersione a pioggia. I carrozzoni internazionali. La solerzia di Bonalumi. Il compito dei radicali.

(NOTIZIE RADICALI n. 39, 21 settembre 1983)

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Dopo le buone intenzioni iniziali, un primo bilancio della

Presidenza socialista: ergastolo preventivo, sanatoria per i lottizzatori, affari sugli sterminati, fame per i pensionati.

Sulla carcerazione preventiva le scelte del governo si sono rivelate una tragica beffa.

Sullo sterminio per fame Craxi e Andreotti si limitano a dichiarazioni di intenzioni, mentre il partito della speculazione e degli affari - guidato dall'ex ministro Colombo - si oppone ad ogni impegno programmatico per la salvezza degli affamati. Sui minimi di pensione, le buone intenzioni di Craxi sono già state contraddette e smentite dai fatti. Con le proposte della legge finanziaria, con la sanatoria dell'abusivismo edilizio, con lo sbarramento del 5% previsto per le elezioni europee, ce n'è abbastanza per esprimere un giudizio. Senza alcuna contraddizione, Bettino Craxi ha già accettato di essere il presidente-prigioniero, il presidente-esecutore della partitocrazia?

L'ex ministro degli esteri, attaccando i radicali, ha inviato un avvertimento e lanciato un siluro perfino contro le "buone intenzioni di Craxi e Andreotti, difendendo e riproponendo l'ideologia dello sviluppo e con essa la politica degli affari, della speculazione, dello sterminio)

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In Parlamento, nel corso del dibattito sulla fiducia, Bettino Craxi era apparso netto: la questione della lotta alla fame veniva individuata come "priorità delle priorità" per la salvaguardia della sicurezza internazionale. Il ministro degli esteri Andreotti ha ribadito questa linea alla Camera e alla assemblea delle Nazioni Unite del 29 settembre: "Il superamento del sottosviluppo rappresenta un obiettivo fondamentale per il conseguimento della pace. La lotta alla fame costituisce pertanto obiettivo primario dell'azione italiana... L'azione italiana di cooperazione ha come suo motivo ispiratore il convincimento della centralità dell'uomo nello sviluppo, da attuarsi superando sia l'approccio assistenzialistico sia quello mercantilistico".

Questi elementi lascerebbero intendere che vi sono dei margini, delle contraddizioni, delle possibilità di imporre finalmente al nostro paese un nuovo corso e una nuova politica fondata innanzitutto sull'atto internazionale che da anni invochiamo: rendere la possibilità di vivere ai condannati allo sterminio, per avviare lo sviluppo. Al di fuori di questo preciso concetto, c'è solo l'equilibrio dell'assassinio di massa e il fallimento di ogni modello di sviluppo, come da anni si constata.

Dopo e oltre le parole contano però i fatti, e in questi giorni è venuta alla luce una volontà di segno chiaro. Craxi e Andreotti chiacchierino pure: Colombo ha illustrato la linea, l'ideologia, la squallida concretezza di quella che è nei fatti la politica italiana di cooperazione allo sviluppo. E' accaduto nella riunione del 4 ottobre della Commissione Esteri della Camera, convocata per ascoltare una relazione di Giacomelli, direttore del ben noto dipartimento della Farnesina. L'ex ministro per una volta non ha usato troppi giri di parole: "Avremo sempre una differenza d'impostazione fra noi, e con noi larga parte del Parlamento, e la visione dei radicali. Se scegliessimo l'impostazione radicale condanneremmo i paesi poveri al non-sviluppo, alla non-autonomia economica, alla non-autonoma capacità di creare meccanismi di sviluppo".

In tal modo Colombo ha inteso difendere il bilancio fallimentare che vede sempre più precipitare la speranza di vita e di sviluppo per milioni di esseri umani. Soprattutto, gli premeva tutelare una politica sciagurata che va sotto il nome di "cooperazione" e che altro non è che la difesa degli interessi delle aziende italiane che hanno investito nel terzo mondo.

Con la stessa serafica faccia di bronzo con la quale faceva un anno fa annunciare dai telegiornali che l'Italia "avrebbe salvato un milione di bambini nel 1983" (grazie ad un fantomatico accordo con l'Unicef), Colombo ha poi tentato di giustificare la vergognosa marcia indietro italiana rispetto alle solenni proclamazioni di Spadolini a Ottawa, confermate da egli stesso successivamente. Ad una precisa domanda dei radicali, ha dovuto confermare che non si è svolto nemmeno nel 1983 quel convegno internazionale di Roma che avrebbe dovuto tenersi nell'autunno dell'82, dovendo rappresentare il seguito politico e operativo degli impegni di Ottawa.

Infine Colombo ha ritenuto opportuno tirare un siluro a tutti coloro che hanno ventilato la creazione di un alto commissariato per la lotta alla fame: "E' necessario lasciare immutati gli strumenti di azione. Invitiamo la fertile fantasia di singoli o di partiti a non inventarsi ogni settimana, ogni mese, ogni crisi di governo una proposta nuova... Prima l'Agenzia, poi il Ministero, infine l'Alto commissario... così non si lavora. Sono contro tutte le soluzioni che stacchino la cooperazione allo sviluppo dalla politica estera".

Tutto continui così, dunque. Con queste strutture, questi appalti, queste ditte, questa Somalia, questi amici degli amici, e via rubando e lasciando crepar di fame.

Ma a gettare ben più di un salvagente a Colombo è subito giunto il Pci, che in commissione opera con maggiore scaltrezza e minor pudore rispetto ad altre e più pubbliche sedi. Le uniche preoccupazioni sollevate dal Pci sono state quelle dettate da un sano e robusto aziendalismo. Come mai - è stato chiesto - le sole ditte coinvolte sono i grandi gruppi industriali e non la piccola e media industria? Che non sia stato fatto nulla, assolutamente zero non della politica chiesta dai radicali, ma delle "loro" stesse promesse, degli ordini del giorno dove si chiedeva di operare in direzione dei bisogni fondamentali dei paesi poveri (vedi quello della Camera del 6 aprile '82) al Pci non interessa.

Così come non è stata mossa una sola critica da parte comunista sull'impostazione di fondo della politica del dipartimento e del ministero degli esteri, e tanti saluti ai Nobel, al Parlamento Europeo, ai sindaci e alle autorità religiose... Sicché mentre si strilla per Comiso si è potuto vedere un Petruccioli intervenire solo per comunicare la piena adesione alla linea colombo, con in più un monito ai socialisti: "Nulla ha da cambiare nella struttura che gestisce la cooperazione".

Quanto a Giacomelli, gli è rimasto l'arduo compito di dover difendere e di dover non-dare spiegazioni su quella che peraltro è una non-politica del dipartimento. Senza una sua strategia, senza spina dorsale, tutto è affidato non ad una autonoma capacità decisionale e di iniziativa ma agli eventi. Quando qualcuno bussa, siano aziende o amici o cugini di qualche potente, allora ci si interessa e si corre.

Ci è stato così detto che con la Somalia siamo in parola per investimenti di 300 miliardi. Il fiore all'occhiello italiano è la luccicante università di Mogadiscio dove (ci è stato precisato) "già vi sono dei laureati" (e già saranno stati arrestati, abbiamo aggiunto noi). Nessuna spiegazione sul perché i mille miliardi di incremento dell'impegno italiano siano tutti finiti in accordi bilaterali (cioè quelli dove la dimensione affaristica è molto più presente) e nulla in quelli multilaterali. Evasività imbarazzata sul misterioso "Progetto Sahel" (spacciato all'opinione pubblica come esempio di "impegno italiano per sottrarre alla morte per fame"): è tutto per aria, a parte molti viaggi turistico-diplomatici.

La differenza fra i soldi impegnati e quelli effettivamente erogati? C'è un margine fisiologico del 40 per cento per colpa della lentezza delle procedure. Perché non si possono avere informazioni sulle ditte che ottengono gli appalti? Per carità, sono tutte gare indette regolarmente, ci si metta pure la mano sul fuoco. La dispersione geografica e politica dei nostri interventi, per cui non possono avere alcuna efficacia (320 progetti su 68 paesi nel 1982)? In effetti è un problema, ma si tratta di decisione politica, non dipende da noi. Perché figurino paesi come Egitto, Malta, Turchia, Jugoslavia, Messico però nessuno lo ha spiegato, e forse ce lo possono spiegare solo le aziende italiane che colà felicemente operano con i foraggiamenti "per lo sviluppo" elargiti dal contribuente.

Ancora, è stato ricordato a Giacomelli che le lodi dell'OCSE all'Italia non sono altro (ed esplicitamente, perché su questo ci sono i documenti) che il patrimonio di credibilità incassato dal nostro paese con quegli atti di Parlamento e di Governo dove si faceva esplicito riferimento allo spirito del Manifesto-appello dei premi Nobel. Si è ottenuta in compenso una chiara ammissione sull'espansione dei crediti di aiuto, che in stragrande maggioranza sono crediti misti, elegante etichetta di pure e semplici operazioni commerciali legate all'esportazione, che testimoniano come il concetto-cardine della cooperazione italiana sia la garanzia del "ritorno" per le aziende del nostro paese, altro che "terza via" fra il mercantilismo e l'assistenzialismo del quale ci si accusa (quello che per Colombo condannerebbe appunto i morti di fame al non-sviluppo).

Non sono invece arrivate risposte esaurienti sul perché dal gennaio '81 al maggio '82 risultino 45 milioni di dollari di crediti riservati a paesi che "non" figurano fra quelli che dovrebbero essere primariamente oggetto di aiuto.

Né sui finanziamenti ad enti internazionali sui quali la stessa Corte dei Conti ha da anni sostenuto la totale estraneità con l'aiuto pubblico allo sviluppo (la Corte ha tra l'altro anche osservato che "le deliberazioni del comitato direzionale risultano spesso adottate senza chiari indirizzi e precisi limiti alla attività esecutiva", denunziando dunque la totale discrezionalità politico-diplomatica degli organi amministrativi). Continuano perciò ad essere foraggiati enti come l'Unione postale universale di Berna e l'Agenzia internazionale per l'energia atomica, l'Organizzazione mondiale per la proprietà intellettuale e l'Istituto agronomico per l'Oltremare. Così come non si sa che fine facciano i soldi devoluti a Unicef, Fao, Unctad, Oms, Pam, Undp (che questi enti spenderanno pure onorevolmente, forse, ma certo il dipartimento non controlla).

Nulla di più ha potuto o voluto aggiungere quello che è certamente un alto funzionario dello stato che tenta di essere onesto e preciso, ma è ingabbiato in una politica sciagurata e certamente sottoposto a molteplici pressioni.

Del resto a poco sarebbe servito, dopo le "chiarificazioni" di Colombo, sperticarsi in dichiarazioni di "ottima volontà".

Il fatto grave è che in chiusura di riunione è stata annunciata dal solerte Bonalumi, immaginiamo come sempre dietro consiglio di Colombo, la precisa volontà di arrivare ad una legge "sulla fame nel mondo". La coda di paglia è evidentemente enorme: rischia di produrre un mostro legislativo, un nuovo alibi, una nuova offesa alle speranze di vita e di sviluppo.

Bisogna impedirlo e capovolgere questa volontà, e questo può esser solo compito nostro.

 
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