di Marco PannellaSOMMARIO: Il senso del diritto e delle regole del gioco in Mussolini maggiore che nella classe dirigente post-fascista. La partitocrazia del monopartitismo imperfetto e l'eversione di estrema destra e sinistra che le è specularmente propria. Parlamento, Stato e partiti fuorilegge, non democratici. Non c'è che il Partito radicale per costituire un centro di lotta e di raccolta, di prefigurazione di "altro". Un nuovo tradimento dei chierici.
Segue a questa nota di Marco Pannella un corsivo di Mario Signorino: Marco Pannella altissimo esponente della scuola pubblicistica postrisorgimentale, ma oltre ciò demiurgo della politica. In questo scorcio di storia politica il suo giudizio di Mussolini può dar scandalo e incomprensione. Una punta di idealismo crociano. Pannella sostiene l'attualità di un processo di regime che tende a superare in forme non tradizionali il classico dualismo democrazia - dittatura.
(NOTIZIE RADICALI n. 39, 21 settembre 1983)
Se Mussolini avesse accettato o immaginato di poter edificare il suo Stato fascista mirando all'efficienza immediata ed alla sopravvivenza ad ogni costo, alla comodità del non rispetto di alcune regole del gioco, all'eliminazione "di fatto" e non di diritto, ufficiale, responsabile, dei suoi avversari ideali e politici, non sarebbe stato che un post-liberale qualsiasi e non sarebbe durato più di uno o due lustri, lasciando dietro di sé solo il vuoto di memoria e di storia.
A farlo tragicamente grande, vittorioso contro le nostre speranze ed i nostri ideali umanisti, di libertà, di giustizia, di democrazia politica, fu il suo profondissimo, al punto di essere forse quasi inconsapevole, senso del diritto, delle regole del gioco, dello Stato. In questo senso egli fu ed è infinitamente più vicino alla grande tradizione della Destra storica, della civiltà giuridica, della certezza del diritto come fondamento del patto sociale, in una parola ad un aspetto costruttivo della civiltà moderna ed alla richiesta dei popoli, degli umili, dei cittadini, di quanto non sia la classe dirigente postfascista che è il frutto putrido ed anche la "forza" del regime che da un quarantennio sgoverna e dilapida la nostra società.
La partitocrazia del monopartitismo imperfetto non è che l'impasto del peggio della nostra storia, del passato, e non a caso ha fatto i conti ed ha nutrito di sé nello scorso decennio una eversione di estrema destra e di estrema sinistra che le è specularmente propria, identica.
Trasformismo crispino, sottocultura cattolicastra e pontificia, raramente di dignità post-tridentina e consapevolmente inquisitoria o stalinista, vitalismo e dannunzianesimi di accatto, corporativismi prefascisti, uniti in una concezione, in una antropologia culturale che è letteralmente e storicamente la stessa che esprimono le "leggi" della "mafia", della "camorra": costituzioni "materiali", segreterie "soggettive"... Un mondo - cioè - necessariamente e, alla lunga, consapevolmente criminale di fronte ai valori ed alla lettera delle costituzioni e delle leggi scritte.
Lo scempio perfino di sé che i post-fascisti del monopartitismo imperfetto, uniti dalle P2, dalla massonerie clericali o atee, dalle P38, dal dozzinale cinismo di capi-bastone da vetrina, stanno realizzando non può da nessuno essere preso, e non lo è, per annunzio del futuro, pre-figurazione di un ordine nuovo, fondamento di un nuovo edificio statuale e sociale.
Il "nuovo" che si realizza attraverso il massacro delle regole parlamentari, attraverso le fumisterie delle "riforme costituzionali" destinate solamente a tentare di sbarazzarsi di qualsiasi minoranza politica suscettibile di rappresentare una alternativa democratica e popolare alla loro oligarchia, volte a sbarazzare di qualsiasi ostacolo le uniche monadi irriformabili, i "partiti", non è che l'affannoso ed esagitato colpo di coda di un regime che è già morto.
Il Parlamento, lo Stato, i partiti sono "fuorilegge, non" solo Parlamento, Stato, partiti democratici e costituzionali, ma gli usurpatori corrotti ed incapaci, violenti ed inutili della legalità.
Da Almirante a Berlinguer, da Bozzi a Spadolini, da Craxi a De Mita, da Lama a Merloni, da Capuzzo a Curcio, da Zanone al Toni Negri degli anni '60 o '70, il sistema è unico e di stesso segno.
Come ogni fatto di questo mondo, come qualsiasi storia che cammina sulle gambe delle persone, le contraddizioni esistono, da esse possono nascere prospettive di conversioni, di rigenerazioni, di mutamenti, di salvezza. Ma, per coltivarle, occorre esser divenuti tanto duri nello sperare e ragionare, quanto noi stessi difficilmente possiamo presumere d'essere, e constatare d'esser fin qui stati.
Non c'è altro - però - che il Partito Radicale a poter costituire il centro di raccolta, di lotta, di costruzione e di pre-figurazione di quest'"altro", rispetto alla cultura degli stermini, delle guerre, delle violenze, dei profitti selvaggi, distruttori e suicidi, dell'oppressione obbligata della persona da parte del nuovo Leviatano, del potere e del disordine stabiliti e dominanti.
E' drammaticamente, forse tragicamente semplice; non semplicistico. Il tradimento dei chierici è di nuovo, in Italia, assoluto: tanto da pensare che chierico e traditore non sono altro - nel nostro tempo - che sinonimi. Perciò, sempre più, siamo nonviolenti e democratici.
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Corsivo di Mario Signorino
"Anche se allo scrivere dedica ritagli marginali di tempo, si potrebbe considerare Marco l'ultimo esponente di quella pubblicistica post-risorgimentale che, dai primi decenni dello Stato unitario fino al secondo dopoguerra, ha costituito la coscienza critica della politica italiana, traendo dall'analisi del passato la chiave di volta, lo stimolo o anche il pretesto, dell'azione politica. Una scuola di grandi moralisti della politica, eterogenei e diversissimi tra loro, dal più noto Gobetti a Oriani, allo stesso F.S. Merlino, a Dorso.
Marco non è un moralista, ma un "demiurgo" della politica; non traccia analisi a tavolino, ma le affina nel mezzo dell'azione.
I suoi scorci di storia politica, non malgrado ma proprio per la loro dichiarata parzialità, sono sempre illuminanti. Talvolta però accade che il suo discorso si esprima, più del giusto, in modi semplificati e unidimensionali. Come nel caso di questa nota, in cui il giudizio che dà di Mussolini può suscitare scandalo ma, soprattutto, incomprensione.
A me sembra, ad esempio, frettoloso e troppo preoccupato di far risaltare, per contrasto, la mediocrità dell'attuale stagione partitocratica. Sicché il richiamo al passato non aiuta, ma ostacola la comprensione di un'analisi che nelle grandi linee rimane valida. Credo che il giudizio sintetico tratto dal bilancio complessivo di una fase storica non si possa affermare a dispetto della cronaca, che rimane la base e la verifica del giudizio storico.
Mi sembra di scorgere, in Marco, una punta di idealismo crociano nella valutazione di Mussolini; e, di contro, un'insofferenza morale di tipo salveminiano nei confronti della politica presente e della statura dei suoi protagonisti. Con il risultato di dare, da un lato, una visione artificialmente razionale e coerente del passato (con, ad esempio, la contraddizione teorica di attribuire "senso profondissimo" delle regole del gioco e del diritto, o "la certezza del diritto come fondamento del patto sociale" a un dittatore e a una dittatura che, se non erro, sono la negazione della democrazia, cioè di un sistema di regole del gioco certe e uguali per tutti. Oppure l'accenno disattento alla sorte degli avversari politici, dei quali non tutti - Gobetti, per esempio, o Giovanni Amendola, Matteotti, Rosselli ecc. - eliminati "di diritto" ma "di fatto" e piuttosto pesantemente). E dell'altro di sottovalutare, a causa delle miserie della cronaca, la forza storica del processo in corso e i suoi stessi caratteri innova
tivi. Di viverlo insomma soltanto come diminuzione rispetto a un passato, cui solo si riconoscono dignità e grandezza storiche (sia pure in negativo).
C'è questo rischio, per il lettore. Anche se non c'è in Marco, che ha sempre sostenuto l'attualità - non l'astratta possibilità - di una "via italiana a...", cioè di un processo di regime che tende a superare in forme non tradizionali il classico dualismo democrazia-dittatura."
Mario Signorino.