a cura di Giovanni Negri29· Congresso
DOCUMENTI PER IL DIBATTITO
Il gruppo di lavoro sull'informazione
SOMMARIO: Articolato lavoro di analisi sulle condizioni dell'informazione. L'impudenza del regime: l'inesistenza di regole del gioco è formalizzata e proclamata. Regnono illegalità, degenerazione, disordine. Sei mesi senza Commissione parlamentare di controllo. Nel Tg1 di massimo ascolto, il rapporto tra presenza di esponenti della maggioranza e dell'opposizione è quasi di dieci a uno. In due anni i radicali comparsi otto volte. Dopo le elezioni, cancellati. Il massimo imbarbarimento durante il momento del voto. Abolite le Tribune POlitiche, stroncata l'audience. i giornali dipendono dai contributi pubblici e perciò sono controllati dai partiti. Gli obiettivi radicali: regolamentare le campagne elettorali. Le esperienze in Europa: Francia, Inghilterra, Svezia, Danimarca. Gli Stati Uniti. La distinzione tra sistema d'informazione pubblico e privato. Il principio cardine dell' Equal Time. Informazione stampata e networks. Distruzione del monopolio informativo Rai e legislazione anti oligopolistica. La vicenda
di radio radicale: le iniziative suggerite. Differenziare radio e televisioni. Sostituire il finanziamento pubblico dei partiti. La definizione dell'ambito locoale. Il Piano nazionale delle frequenze. Conclusioni e proposte: nel 1984 una specifica campagna radicale per l'informazione.
(NOTIZIE RADICALI n. 41, 22 ottobre 1983)
Un veritiero bilancio dell'informazione del paese in questi ultimi dodici mesi, può essere condensato nella seguente proposizione: la loro violenza è aumentata, ma oltre ad aumentare ha perso pudore. Non si nasconde più: vive alla luce del sole.
Non c'è più violazione surrettizia, sempre alla ricerca di un fiore all'occhiello "legalitario". L'inesistenza di regole del gioco è formalizzata. La supremazia, che si traduce in prepotenza, arbitrio, disordine, è anzi proclamata.
Per questo, anche per questo, convivere con e contro l'illegalità di regime, significa per il Partito Radicale innanzitutto convivere con e contro l'illegalità della sua "informazione", così come essa è oggi articolata: scritta e audiovisiva, pubblica e privata.
Illegalità, degenerazione, disordine
Prima di esaminare i punti delle nostre possibili iniziative (regolamentazione campagna elettorale, informazione stampata, e networks, informazione Rai), vale forse la pena di riassumere alcuni dei segni più vistosi di questo "salto di qualità".
1) Quest'anno il servizio pubblico radiotelevisivo, cioè l'informazione della Rai, è stato ufficialmente sottratto al controllo del cosiddetto "Parlamento sovrano" per oltre sei mesi.
Dal 15 aprile 1983 al 15 ottobre 1983 è stata formalmente vietata la possibilità di costituire o attivare l'apposita Commissione. Il salto qualitativo che è stato compiuto (da violenza a violenza flagrante) è perciò evidente. Se prima la commissione di vigilanza era l'alibi "legalitario" della man bassa sulla Rai, uno strumento già aspramente criticato dai maggiori giuristi (basti ricordare Tosi, Chiola, Pizzetti, Sandulli e Fois), inefficace nella sua funzione e totalmente inascoltata, ora - semplicemente - non è proprio sentita, nemmeno dal punto di vista materiale, fisico.
2) Negli ultimi due anni (agosto '81-settembre '83) il vero organo d'informazione di massa della Repubblica italiana, il TG1, ha rispettivamente dato la voce e a 522 esponenti della maggioranza governativa a 59 dell'opposizione. Esponenti radicali hanno complessivamente potuto esprimersi otto volte: in tutte queste occasioni si è trattato o di un congresso del partito, o con l'intervistato al di sopra della soglia del 50· giorno di digiuno della fame o del 4· giorno di digiuno della fame e della sete.
3) A partire dal giorno successivo alle elezioni politiche (28 giugno), il TG1 ha decretato la non-esistenza del Partito Radicale. Segretario del partito, giunta, eletti non hanno avuto un solo secondo a disposizione per rivolgersi al paese, a differenza di tutte le altre forze politiche. Così come è stato espulso il Partito Radicale da tutte le trasmissioni del "servizio pubblico", realizzate dalle reti TV nelle ore di massimo ascolto e che di fatto si configurano come strumenti di propaganda, di rapporto con il paese, dei capi dei partiti di regime.
4) Questa escalation non ha risparmiato quelli che dovrebbero essere i "momenti sacri" della vita democratica. I giorni della campagna elettorale registrano anzi uno dei massimi livelli di imbarbarimento. Mentre nemmeno più partiti, ma uomini e clan letteralmente infeudavano Rai e catene televisione private, i due Telegiornali omettevano l'uno per il 35%, l'altro il 55% dei giorni di campagna elettorale ufficiale di anche solo citare in nome (sì da ricordarne l'esistenza) del Partito Radicale.
5) L'abolizione dell'ascolto delle Tribune politiche (non avendo ancora potuto abolirle formalmente se ne è abrogato l'ascolto attraverso un'oculata scelta di modi, tempi, forme delle trasmissioni) in campagna elettorale, ha fatto sì che i partiti di minoranza si potessero quest'anno esprimere ad un massimo di 4/5 milioni di persone, rispetto ai 10/12 milioni del 1979 e ai 20 milioni del 1976. In un clima da basso impero si è poi aggiunta degenerazione ad illegalità: secondo autorevoli indagini un candidato dei partiti di maggioranza per raggiungere l'elezione ha mobilitato - direttamente o indirettamente - una cifra di 900 milioni circa; mentre il consiglio di amministrazione della Rai, luogo di mercanteggiamenti e abusi, vive al di fuori della legge da mesi e mesi, essendo scaduto. Taluni suoi membri sono addirittura stati eletti al Parlamento, trovandosi oggi nella incredibile condizione di controllori-controllati, in realtà vassalli dei padroni tanto della Rai che del Parlamento.
6) Negli organi di stampa scritti è andato via via sempre più accelerandosi il processo di dipendenza dai fondi erogati attraverso la legge sull'editoria, dai ricavi di meccanismi truffa quali quelli della Sipra, dalla simbiosi stabilita con i grandi padroni delle catene televisive private (Montanelli-Berlusconi, "Il Giorno"- EuroTV, "Repubblica"-Mondadori-Retequattro). Il processo di putrefazione delle proprietà reali o quello di persistente lottizzazione, vengono poi evocati ogni giorno da semplici quanto autentiche accoppiate di nomi e sigle: Banco Ambrosiano, Pci, "Paese Sera"-Calvi, Piccoli, "L'Adige"-Calvi, Dc, "Gazzettino di Venezia"-Banco Napoli, Dc, "Il Mattino"-Montedison, Psi, "Messaggero" e via di questo passo).
Sono questi, a grandi linee, non più i sintomi ma i veri e propri segni che ci conducono a dire che è sul terreno dell'informazione che il regime produce uno dei più vistosi fenomeni della sua legalità.
E' con questo stato di cose che dobbiamo fare i conti, misurandoci con le nostre effettive capacità di agire.
Regolamentazione della campagna elettorale
La regolamentazione della campagna elettorale deve essere il primo obiettivo della nostra iniziativa. L'attuale situazione lascia libero campo alla pura e semplice logica della forza: essa si è potuta creare anche grazie alla unicità del caso italiano, che vede andare di pari passo l'occupazione del servizio pubblico Rai e l'accordo privilegiato con questa o quella grande catena televisiva privata. Protagonisti di entrambi i fenomeni sono gli stessi clan di partito e di potere: è loro interesse lasciare immutata e inalterata la situazione, fissando evidentemente questo status quo di illegalità.
Rientrare in un alveo democratico nel campo dell'informazione significa perciò regolamentare la campagna elettorale. Nell'ambito del Partito Radicale si confrontano a questo proposito due precisi orientamenti, profondamente diversi l'uno dall'altro. Una prima posizione vuole distinguere fra servizio pubblico e privato. La Rai dovrebbe continuare ad essere indirizzata dalla Commissione di vigilanza, mentre per i networks meglio sarebbe affidarsi alla autoregolamentazione nell'applicazione di alcune norme d'indirizzo fissate dalla legge (così come già è parzialmente avvenuto quest'anno) e ciò poiché imposizioni d'autorità da parte dello Stato andrebbero incontro sia a facili possibilità di essere eluse con molti accorgimenti, sia a grossi problemi di costituzionalità. L'autoregolamentazione dovrebbe valere anche per medie-piccole Tv private. Una seconda posizione richiede invece una specifica normativa dello Stato verso la Rai, i networks (eventualmente) anche le piccole-medie Tv private che imponga la trasmis
sione contemporanea su reti pubbliche e private di almeno due-tre trasmissioni per ciascuna forza politica concorrente (ad esempio: breve presentazione, conferenza-stampa del segretario, appello finale). Tale posizione si fonda sul principio per cui nel momento di massima importanza per la "polis", di formazione della volontà politica del popolo sovrano, il fatto che tutte le emittenti del paese - senza eccezione alcuna - trasmettano in contemporanea, è ormai una garanzia minima che va assicurata per un corretto svolgimento del gioco elettorale. E' evidente che ciò varrebbe alcune volte, nell'ambito esclusivo dei trenta giorni della campagna elettorale.
Va a questo proposito ricordato che la trasmissione a reti unificate di alcuni programmi è stato uno degli obiettivi dell'azione nonviolenta del partito. Peraltro, almeno per l'appello finale, i networks accettarono tale richiesta, che incontrò invece l'opposizione della Rai e del ministero delle Poste.
Sempre in argomento, vanno segnalate posizioni intermedie quale quella di contrarietà alla contemporanea Rai-private ma favorevole al sottoporre le private al controllo parlamentare (Taradash). Unanimità si riscontra invece a proposito di altri due aspetti estremamente rilevanti, concernenti il settore privato: la disciplina della pubblicità elettorale (con la individuazione di una soglia massima di spesa per tutti i candidati) e l'imposizione dell'obbligo di contrarre a parità di condizione (cioè vendita degli spazi a qualunque partito li chieda e allo stesso prezzo. Non manca tuttavia chi ritiene che il costo della pubblicità elettorale debba essere inversamente proporzionale alle quote del finanziamento pubblico, per cui i partiti maggiormente finanziati dallo Stato debbano maggiormente pagare). Altri punti di eventuale regolamentazione dovranno riguardare la struttura di controllo della stessa, rendendosi indispensabile una sua rigida applicazione nell'immediato per porre un freno agli indecorosi fenomen
i degenerativi ai quali si è potuto assistere prima del 26 giugno.
Proprio in relazione a questi, nonché alla tematica complessiva, alcuni spunti utili possono venire dalle discipline di campagna elettorale televisiva in altri paesi.
In Francia e in Inghilterra vige il principio della "contemporanea" su tutti i canali (i tre di Stato sono gli unici in Francia, mentre in Inghilterra ciò vale sia per le reti BBC che per l'ITA). In Francia è stata creata dal 1964 una Commissione nazionale di controllo della campagna elettorale, che dipende dal Consiglio costituzionale: il suo sindacato non si limita alle trasmissioni elettorali ufficiali ma si estende anche a tutte le altre. In Inghilterra il "Representation of People Act" del 1969 stabilisce che in periodo elettorale nessun candidato deve essere inviato a trasmissioni relative al suo collegio senza invitare tutti i candidati. Inoltre i candidati non possono partecipare ad altre trasmissioni che quelle strettamente politico-elettorali, e alla BBC è fatto divieto di far comparire giornalisti, dipendenti dell'ente, attori, cantanti che siano candidati nonché qualsiasi parente di candidato. (Queste ultime osservazioni non sono affatto marginali: basti pensare alle comparse di politici in trasm
issioni non elettorali a poco più di un mese dalle elezioni alla Rai e successivamente sulle private, o all'affollamento di dipendenti Rai - dal consiglio d'amministrazione a giornalisti - nelle liste elettorali e per questo sempre presenti sullo schermo di Stato).
Anche in Danimarca, la Tv manda esclusivamente in onda i programmi elettorali dei partiti: non trasmette filmati e diapositive di nessun candidato, né i notiziari diffondono i resoconti dei lori discorsi. Lo stesso in Finlandia, dove i candidati non possono apparire nei programmi dell'YLE (esclusi quelli elettorali) nei 50 giorni che precedono le elezioni politiche. E' fatto espresso divieto di chiamare a trasmissioni uomini politici con l'alibi dell'"esperto" (e sono ritenuti uomini politici tutti i membri del Parlamento nonché i segretari e i presidenti dei partiti). La nettissima separazione fra programmi elettorali e notiziari o altre trasmissioni è comunque presente nelle normative della stragrande maggioranza dei paesi esaminati, ed è proprio questo il punto da affrontare prioritariamente: quello dei telegiornali o delle grandi trasmissioni "di varietà" delle private e della Rai, che sono divenuti i veri, sostanziali canali di propaganda politica (con una china discendente che giunge sino alla telefona
ta della Dc a Pippo Baudo con l'offerta di una manciata di milioni "contro la fame nel mondo").
In Svezia i telegiornali non possono intervistare, per prassi, il candidato di un partito senza farlo anche per gli altri. In Israele la Tv non può fare servizi su avvenimenti ai quali partecipino i candidati, né può trasmettere le loro immagini o far sentire le loro voci (ad eccezione ovviamente delle tribune elettorali). In Spagna il rapporto fra notiziari e campagna elettorale si risolve invece con comunicati quotidiani che i partiti inviano e che sono trasmessi nel giornale-radio delle 8 e nel telegiornale delle 21: i comunicati non possono superare, per ogni partito, le 300 parole al giorno ripartite fra televisione e radio. In Turchia (ovviamente prima del colpo di Stato) ogni partito aveva diritto allo stesso tempo di divulgazione della propria posizione nei notiziari e i giornalisti non potevano intervistare nessun candidato in periodo elettorale.
Negli Stati Uniti, dove è praticamente assente il servizio pubblico radiotelevisivo, i privati operano con le loro stazioni dopo aver ricevuto una licenza dal governo federale. Per regolamentare la campagna elettorale c'è un Radio Code ed un Television Code (giunto recentemente alla sua 13ª edizione).
Il principio cardine è comunque quello dell'Equal Time: "Quel titolare che concede l'uso della sua stazione ad un candidato ad una certa carica pubblica elettiva, deve consentire a tutti gli altri candidati alla stessa carica uguale possibilità di uso con parità di trattamento". La sanzione per un'azione contraria al criterio della "generale equità" è la revoca della licenza. Un aspetto sicuramente rilevante, presente nei paesi dove le tribune elettorali non vengono trasmesse in contemporanea su tutti i canali, è comunque la tutela dei programmi politici in campagna elettorale (a differenza del nostro paese, dove la lotta per clan fa produrre ad una privata o magari ad una rete Rai sulla quale si esercita potere una programmazione di evasione in grado di massacrare l'ascolto del concorrente politico). E' infine anche esplicitamente regolamentata in diversi paesi la presenza "tecnica" in Tv del ministro degli Interni per le spiegazioni sul corretto svolgimento delle elezioni (e tali regolamentazioni non avreb
bero consentito a Virginio Rognoni di comparire in Tv sparando a zero su chi si accingeva a votare bianco o nullo, e definendo tale scelta come "antidemocratica"), nonché l'effettuazione di programmi con la medesima qualità e in diretta (respingendo dunque la formula della mediazione di un programma attraverso la registrazione).
Per quanto attiene alla regolamentazione della campagna elettorale per le sole Tv private era stata approntata nel giugno scorso una bozza di decreto-legge. Il testo può comunque fornire spunti di riflessione e delinea anche una sorta di "regolamentazione" per quei quotidiani e periodici che sono foraggiati dalla legge sull'editoria, o da Enti pubblici o società a prevalente capitale pubblico, ai quali verrebbe imposto (proprio per il carattere di "servizio pubblico" che ormai hanno implicitamente assunto per i loro finanziamenti) di destinare nei trenta giorni della campagna elettorale due intere pagine (o quattro, a seconda del formato) ad ogni partito politico concorrente. Tale spazio potrebbe essere utilizzato in un'unica edizione o essere ripartito invece in più interventi, e sarebbe integralmente autogestito.
Informazione stampata e networks
Per quanto riguarda l'informazione stampata, a parte la questione della regolamentazione della campagna elettorale, sono state proposte alcune iniziativa (sebbene di carattere marginale) capaci di dar seguito al convegno di Milano sul caso Rizzoli, nonché una campagna ad hoc di denuncia della paradossale situazione che può verificarsi in questo paese con il quotidiano "Il Giorno": pagato dal contribuente attraverso l'ente petrolifero di Stato, la gestione Zucconi è altamente rappresentativa del circolo vizioso informazione-partitocrazia-pubblico denaro. Lo stesso può a maggior ragione dirsi per tutta la vicenda SIPRA. I compagni Boneschi e De Martini ritengono che "sull'informazione stampata sia tempo di rilanciare i punti fondamentali della battaglia radicale, visto che gli anni passano e el scadenze della legge sull'editoria non sono poi lontanissime: prezzo libero, infrastrutture per la stampa e la distribuzione, fine della sovvenzioni pubbliche, liberalizzazione della professione giornalistica". Inoltre
propongono una specifica battaglia contro la commissione governativa creata per annullare il debito del Vaticano nei confronti del vecchio Banco Ambrosiano, sempre ovviamente in relazione alla vicenda Rizzoli-Corsera. Da parte di Gianfranco Spadaccia si propone di riprendere l'azione iniziata durante la campagna elettorale e poi interrotta, di documentazione e analisi (quantitativa e qualitativa) dell'informazione stampata e di confronto - su questa base - sia con direttori ed editori, sia con i poteri pubblici. E' a partire da questa documentazione e da questo dialogo che possono poi essere studiate e intraprese le iniziative di lotte successive.
Sui networks si torna a registrare invece, in seno allo stesso partito, un'altra differenziazione di orientamenti che in definitiva concerne poi lo stesso atteggiamento nei confronti del servizio pubblico RAI.
Accanto ad una posizione di stretta tutela, ed anzi rafforzamento del concetto di servizio pubblico radiotelevisivo (che non significa né ha mai significato avallo del monopolio), ve ne è un'altra che porta ad identificare la libertà d'informazione anche con una netta presa di posizione sulle grandi catene televisive private, statuendo il loro immediato diritto all'interconnessione (funzionare cioè anche formalmente collegate, come la RAI, e non attraverso diversi escamotages che consentono loro di essere vere e proprie Tv nazionali ma con formalistici omaggi ad una presunta natura di "televisione ad ambito locale"), nonché il diritto a fare informazione politica in modo concorrenziale alla RAI, il che è tecnicamente possibile solo con l'interconnessione, poiché il Tg non può essere irradiato in differita.
Questa posizione richiede in pratica la distruzione del monopolio RAI (che resterebbe ovviamente pur sempre il servizio pubblico radiotelevisivo), da accompagnarsi contemporaneamente con una normativa antioligopolistica per impedire l'abuso da parte di alcuni "grandi padroni" dell'informazione privata (in merito, il Centro Calamandrei ha già da tempo approntato un progetto di legge di regolamentazione delle radio e delle Tv private che anche se da attualizzare resta un punto di riferimento significativo).
La linea che mira invece alla tutela del servizio pubblico propone inoltre per il settore televisivo la costituzione di agenzie televisive a carattere nazionale a disposizione delle emittenti locali che garantirebbero a questo punto la pluralità dei soggetti attori dell'informazione senza correre il rischio di oligopolio nel settore privato quale si è già realizzato.
Informazione RAI
Quest'ultimo capitolo ci porta direttamente al nodo dell'informazione delle testate e delle reti RAI, rispetto alla quale - in termini di campagna politica - c'è chi ritiene appunto che l'iniziativa più utile ed efficace sia quella di un referendum contro il monopolio e per la liberalizzazione dell'etere. Idea pesantemente avversata da chi invece ritiene che il tipo di poter politico che si esercita sulla RAI non farebbe che ripercuotersi sui networks ma con meccanismi pur sempre meno controllabili di quelli a disposizione per il servizio pubblico, e in definitiva tale iniziativa non costituirebbe che una carta di credito (nonostante tutte le buone volontà di "regolamentazione") a ristrettissimi clan politico-economici.
Per quanto concerne invece il merito dell'informazione (essendo qui superfluo ricapitolare una analisi e un giudizio che ci trovano tutti concordi) è evidente che la nostra battaglia deve passare attraverso l'introduzione di anticorpi di democrazia che possano ribaltare la irrefrenabile necessità dei telegiornali di far fuori non tanto o solo le voci di reale opposizione politica, ma interi soggetti sociali che sono e sempre più saranno vittime di una politica. Si tratta, come noto, di una lotta di estrema difficoltà, molto spesso affidata alla iniziativa nonviolenta. Un obiettivo immediato dovrà essere quello della reintroduzione delle "Tribune Flash", cioè degli autonomi spazi di comunicazione autogestiti dai partiti al termine dei telegiornali; unitamente alla difesa e alla crescita degli spazi istituzionali (Tribune politiche, introduzione dei faccia-faccia). Un'altra iniziativa, che può trovare i suoi canali di espressione sia in Parlamento che tra gli operatori pubblici e privati dell'informazione, non
ché tra i cittadini, è quella che richiama la proposta avanzata dai deputati radicali sin dal 1976: la terza rete RAI-TV dovrebbe cioè essere destinata alla diretta dal Parlamento (integrata da riunioni delle Corti Costituzionale e dei Conti e da sedute di particolare rilievo di Regioni e Comuni). E' stato inoltre posto sotto accusa (in particolare da un convegno del Calamandrei) il sistema di controllo parlamentare della RAI, vale a dire la totale inefficacia della commissione ed anzi la sua istituzionale natura di organo di lottizzazione e di elisione di ogni responsabilità con il contestuale approfondimento di eventuali nuovi sistemi di controllo (comitato dei garanti, ruolo del Ministro PPTT, responsabilità del Presidente della Repubblica rispetto all'informazione di Stato, rendiconto diretto alle Camere di Presidente e Direttore generale RAI, ecc.).
Radio Radicale
La vicenda di Radio Radicale è di estrema importanza poiché attraverso questa si è tentato di operare in due direzioni: colpire da un canto uno strumento d'informazione pericoloso e alternativo, lanciando nel contempo un monito ai networks televisivi affinché non pensino in ogni caso di alzare troppo la testa venendo meno alle regole non scritte della complicità, e perché si trovino comunque più deboli all'interno del rapporto di forza.
Lo sviluppo della vicenda può essere seguito da tutti attraverso la lettura del dossier "Il caso Radio Radicale", comprensivo della cronistoria, di numerosi dati relativi ad alcune "emittenti locali", della posizione del magistrato che avendo sollecitato un'inchiesta sui networks fu invece assunta ad alibi per procedere contro R.R., nonché di tutti gli aspetti giuridici (memoria presentata dal prof. Sandulli in difesa di Radio Radicale, ricorso dell'avvocatura dello Stato, sentenza del Consiglio di Stato).
Per Paolo Vigevano la questione di Radio Radicale consente oggi di affrontare una serie di aspetti della legge sull'emittenza privata e di assumere le conseguenti iniziative. Queste sono:
1) La differenziazione del settore radiofonico da quello televisivo. Ciò è particolarmente rilevante proprio in Italia dove nonostante (o forse grazie) al grande interesse commerciale costituito dal mezzo televisivo, la radio è rimasta al di fuori dei grandi investimenti. Proprio per questo, nonché per la sua natura, lo strumento radio è oggi (e probabilmente anche in futuro) non controllabile dai grossi gruppi editoriali o imprenditoriali.
Si è conservata così quella pluralità di emittenti che esisteva sin dall'inizio del 1976, a differenza di quanto avvenuto per le televisioni che sono andate sempre di più diminuendo di numero e raggruppandosi nei grandi circuiti. Questa condizione di "privilegio" per la radio è un patrimonio da tutelare.
E' un aspetto che indipendentemente da ogni altra considerazione è sufficiente a far appoggiare la proposta di una normativa relativa al settore radiofonico autonoma da quella relativa alle televisioni.
2) La normativa relativa alle radio dovrà esser comunque tale da consentire la costituzione di reti radiofoniche estese fino ad un massimo del 50% del "territorio nazionale" (o aree di questo ordine di grandezza) in quanto potrebbero coesistere tranquillamente 10-15 (e forse più) reti senza alterare il numero già esistente di emittenti.
3) Dobbiamo in ogni caso cogliere l'occasione per riproporre la creazione di reti radiofoniche per i partiti in sostituzione del finanziamento pubblico, o almeno in parziale sostituzione. Sarebbe qualcosa di analogo a quanto avviene negli altri paesi per le emittenti non a fine di lucro (community radio) che non fanno pubblicità e sono invece finanziate in parte dallo Stato e beneficiano, a costi molto bassi, di particolari servizi. In Italia, per evitare il sorgere di decine di radio non a fine di lucro, di fatto facenti capo alle grandi organizzazioni cattoliche, comuniste, sindacali, l'unica proposta equivalente alla normativa già esistente negli altri paesi è proprio quella di assegnare intere reti radiofoniche ai partiti politici.
4) Quanto alla definizione del cosiddetto "ambito locale", va ricordato che tale termine è stato introdotto dalla sentenza della Corte Costituzionale che abrogava parzialmente la norma (legge 101, art. 1) che riservava allo Stato le trasmissioni radio-televisive su scala nazionale e in contemporanea.
Tale termine non è mai stato definito e precisato dal legislatore. Non esiste nemmeno in alcun testo di legge il concetto di "interconnessione" che viene normalmente usato nei dibattiti politico-giuridici. In realtà il termine interconnessione equivale a possibilità di effettuare informazioni cioè in diretta contemporanea. Fatta questa precisazione, va ricordato che, oltre ad almeno 5 networks che operano "in contemporanea sul territorio nazionale", esistono ormai numerose emittenti che operano in interconnessione su almeno quattro regioni italiane e molte che operano su due o tre regioni.
Il concetto quindi di "ambito locale" enunciato dalla Corte Costituzionale è ormai ampiamente superato dai fatti senza che né l'esecutivo, né il legislatore siano minimamente intervenuti per per porvi correttivi, o far rispettare almeno una univoca interpretazione del testo della sentenza della Corte Costituzionale.
In pratica ci troviamo quindi in una situazione di assoluta mancanza di legge, o di generalizzata violazione di legge, dove tranne che fare informazione (dato tacitamente concordato tra network e RAI e Ministero), tutto è consentito.
5) Ultimo aspetto è quello del piano nazionale delle frequenze, cioè dello strumento tecnico che attribuisce ai diversi soggetti utilizzatori le gamme di frequenze necessarie a svolgere la propria attività.
Ancora una volta, in violazione di quanto sancito dalla Corte Costituzionale è stato quest'anno approvato un piano delle frequenze in via amministrativa come decreto del Ministro delle Poste senza l'approvazione del Parlamento. Questo piano assegna ai vari enti (Ministero Difesa, Ministero Poste, RAI, privati) le bande a partire dalle quali possono svolgere le loro attività. E' quindi uno strumento che di fatto incide pesantemente su una possibile regolamentazione del settore radiotelevisivo. Di fatto l'assegnazione delle bande di frequenze è stata realizzata tramite un ennesimo accordo tra RAI-networks-Ministero PT.
Si assiste in sostanza alla sistematica sottrazione al legislatore degli strumenti indispensabili per lo svolgimento del suo compito.
Era stata inoltre prevista la costituzione di una commissione paritetica di cui facessero parte i rappresentanti delle emittenti private per la preventiva stesura di questo piano: la commissione non è mai stata costituita ed è in fase di costituzione solo ora, ma già sono stai invitati a farne parte solo i legali di Retequattro, Canale 5, Italia 1.
Entro i termini previsti per legge, Radio Radicale ha già impugnato il piano nazionale delle frequenze approvato quest'anno.
Per Paolo Vigevano tutti questi aspetti consentono di prevedere per la difesa di Radio Radicale, oltre alla indispensabile mobilitazione dei suoi ascoltatori e ad una eventuale legge di iniziativa popolare, un convegno sul caso di R.R. che certo si situerebbe al di fuori della troppo fiorente e troppo inutile convegnistica nazionale in materia. Il caso di Radio Radicale è caso fin troppo concreto, banco di prova determinante per la libertà di informazione in Italia.
Conclusioni e proposte
In definitiva, appare indispensabile per il 1984 - e dinanzi a scadenze sin d'ora conosciute e prevedibili - l'apertura di una complessiva "campagna sull'informazione". Ciò vale in direzione della RAI, in direzione degli editori (a partire da quelli maggiormente foraggiati dallo Stato, in direzione dei networks. Le diversità di visione che ci sono potute riscontrare si traducono poi in diversità di scenari di lotta e di strumenti. In poche parole: se siamo convinti che una situazione di maggiore democrazia si realizzi attraverso la distruzione (in determinati modi e tempi) del monopolio RAI, la "vertenza sull'informazione" potrà passare anche attraverso la richiesta di un referendum. Se siamo convinti invece che così non sia, allora si tratterà di mobilitarci per strappare una legge dello Stato che regolamenti in campagna elettorale non solo la RAI ma anche le grandi catene private, o tutte le emittenti operanti nel paese.
In tal caso la "vertenza sull'informazione" non potrà che essere affidata alla nonviolenza, e alla realizzazione di una rilevante "campagna di massa" (ad esempio di disdetta del canone, accompagnata di una raccolta di firme per una o più leggi di iniziativa popolare).
Possibilità di udienza democratica da parte del paese, freno dei fenomeni degenerativi di pubblicità elettorale, fine dell'abuso in reti e testate pubbliche e private, confronto politico e pubblico con gli editori dell'informazione stampata (parzialmente già intrapreso nella precedente campagna elettorale), attacco all'informazione della RAI e al suo inesistente controllo parlamentare, sono tutti obiettivi praticabili e sui quali già vi è stata elaborazione positiva e sperimentazione di iniziativa politica e lotta nonviolenta. Ma ciò è possibile a due condizioni: che si scelga in tempi rapidi, tali da consentire lo sviluppo di azioni che debbono essere anche organizzativamente previste; e che si scelga l'orientamento di fondo fra i due possibili che sono stati descritti, individuando il bandolo di una matassa che è assai difficile a sbrogliarsi.