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Cicciomessere Roberto - 31 gennaio 1984
E' LO STATO CHE SI E' DIMESSO
Noi ci appelliamo...

di Roberto Cicciomessere

SOMMARIO: Le dimmissioni del segreatio e del tesoriere del Pr sono l'unico strumento per avvertire gli iscritti e la parte del paese che ha fiducia nella politica radicale, che la strada imboccata con la mozione congressuale è impraticabile, che le condizioni politiche che si sono configurate non consentono ragionevolmente di sperare che sia possibile attuare l'obiettivo costitutivo del Partito radicale del 1984; queste dimissioni consentono di rappresentare in tutta la durezza e drammmaticità quali sono le conseguenze politiche della rinuncia del Partito al suo impegno prioritario contro lo sterminio per fame.

(NOTIZIE RADICALI n. 1, 31 gennaio 1984)

(A tutti i credenti in altro che nelle violenze del potere, del denaro, dell'ingiustizia, delle guerre alimentari o nucleari che siano, e nella loro ineluttabilità, perché un sussulto di speranza e di dignità diano mano, voce, valore, corpo, perché negli esigui margini di tempo che ancora possono apparir sussistere, si iscrivano al PR e sottoscrvivano per la sua attività, dando così i loro connotati, la loro speranza, la loro forza, così potenziandoli con l'unirsi e l'organizzarsi in comune al Partito che lega tutta o tanta parte della sua sorte alla salvezza di tre milioni di esseri attualmente agonizzanti per fame e miseria)

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Le mie e quello di Francesco Rutelli sono dimissioni dalla lotta? Abbandono del progetto politico che ostinatamente perseguiamo da oltre un decennio? Rinuncia allo scontro con il regime dei partiti proprio quando diviene sempre più chiara a tutti la sua incapacità di risolvere anche uno solo dei problemi che assillano ogni ceto sociale non privilegiato? Rassegnazione a convivere con lo sterminio per fame e con il rischio di un olocausto nucleare?

Se dovessi giudicare dal calo delle iscrizioni e delle sottoscrizioni al Partito radicale dell'ultima settimana la mia risposta non potrebbe che essere positiva. Certo è difficile convincersi che le dimissioni possano essere, come sono le nostre, un estremo tentativo per non dover, fra qualche mese, rassegnarci effettivamente e senza appello al fallimento. Ma tu, lettore di "Notizie Radicali", cosa avresti fatto se ti fossi accorto, dopo aver imboccato una strada, che questa era paludosa e senza sbocco? Sicuramente saresti tornato indietro e avresti avvertito gli altri che per quella direzione non era possibile proseguire.

Come può un segretario di partito avvertire gli iscritti e la parte del paese che ha fiducia nella sua politica, che la strada imboccata con la mozione congressuale è impraticabile, che le condizioni politiche che si sono configurate non consentono ragionevolmente di sperare che sia possibile attuare l'obiettivo costitutivo del Partito radicale del 1984?

Il segretario del Partito radicale può solo dimettersi. Gli altri, com'è noto, non hanno questi problemi di coerenza politica, preoccupati come sono di restare attaccati alla loro poltrona il maggior tempo possibile. E dimettersi significa dire che l'alternativa è la rimozione delle cause che hanno determinato la decisione politica o la modifica degli obiettivi della cui attuazione è responsabile il segretario. Dimettersi significa rappresentare pubblicamente all'opinione pubblica le difficoltà perché possano essere eventualmente superate.

In particolare, nel nostro caso, dimettersi significa rappresentare in tutta la durezza e drammaticità quali sono le conseguenze politiche della rinuncia del partito al suo impegno prioritario contro lo sterminio per fame: certezza della emanazione, anche nel 1984, del decreto di morte nei confronti di tutti i 40 milioni di uomini, donne e bambini che la sordità della classe politica decide di abbandonare nella fame, nella malnutrizione, nella malattia, nella disperazione. Solo l'affermazione di questa verità, solo la denuncia delle tremende responsabilità di governo, partiti, movimenti, sindacati che hanno ignorato perfino le accorate invocazioni del presidente della Repubblica e del Papa può forse imporre quel sussulto di speranza e di dignità a cui la mozione del Consiglio federale si appella.

Ancora una volta nella nostra vita politica siamo alle prese non con un problema "settoriale", ma con la stessa capacità di questa società, così com'è, di far fronte ai problemi della qualità della vita, delle leggi violate, dei diritti elementari compressi, dell'esistenza della democrazia, delle leggi o stupide o barbare, del diritto all'onestà in un mondo di ladri, che fanno tutt'uno con l'incapacità della classe politica partitocratica, delle maggioranze come delle opposizioni senza alternativa, di percepire i rischi di una politica che sempre più chiaramente deve mettere nel conto più guerra, più fame, più ingiustizia, più terrore, meno libertà.

Non è la nostra crisi, ma quella di partiti che si agitano affannosamente alla ricerca di un punto di equilibrio che hanno già demolito affossando le rigide regole della democrazia. Ma loro non la avvertono. Noi che abbiamo difeso con le unghie la capacità di vedere nella società civile, e non solo in quella politica, avvertiamo nella sua ultimatività gli errori sempre più gravi a cui è costretta e si costringe la partitocrazia. Non è quindi solo in gioco la nostra esistenza politica, quella del partito, ma la stessa possibilità di individuare sponde, magari diverse da quelle indicate dalla Costituzione, sulle quali ancorare uno Stato alla deriva.

Adesso cari lettori di "Notizie Radicali", cari compagni che con straordinario entusiasmo avete investito nel progetto radicale, in due soli mesi, tante risorse, tante ricchezze quanto sarebbe stato folle solo immaginare pochi anni fa, cari amici silenziosi, che consapevolmente avete deciso, finora, di rendere improbabile la raccolta di 3 miliardi e quindi di far mancare la copertura finanziaria del progetto radicale, provate a mettervi nei miei panni, in quelli del tesoriere, in quelli dei membri di giunta e degli eletti, in quelli dei compagni che isolati alzano ancora la bandiera della speranza nelle città d'Italia. Fate questa prova non certo per comprenderci o per darci ragione, per pensare - piuttosto - cosa ognuno di voi può fare. Ne abbiamo bisogno; abbiamo bisogno della vostra intelligenza e della vostra voglia di andare avanti e non solo dei vostri soldi che, credetemi, con estrema fatica pur dobbiamo richiedervi.

Non riesco a dirvi, a garantirvi che ce la possiamo fare. Dovete dircelo voi.

 
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